Codice Penale art. 240 - Confisca 1 .

Mariadomenica Marchese

Confisca 1 .

[I]. Nel caso di condanna [442 2, 533 1, 605 c.p.p.], il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [164 3, 531-536 1, 600-septies, 733 2; 676 c.p.p.].

[II]. È sempre ordinata la confisca [416-bis 7, 446, 722]:

1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640, secondo comma, numero 2-ter640-ter e 640-quinquies  nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti 23  4.

2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

[III]. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale  5.

[IV]. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa [655 c.p.p.]  6.

 

[1] [1] In tema di reati transnazionali v. l. 16 marzo 2006, n. 146.

[2] Le parole «640, secondo comma, numero 2-ter),» sono state inserite dall'art. 16, comma 1, lett. a), della l.28 giugno 2024, n. 90.

[3] [2]  Numero inserito dall'art. 1, l. 15 febbraio 2012, n. 12.

[4] [3]  Le parole da «nonché» a  «prodotto diretti»  sono state aggiunte dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202

[5] [4] Comma sostituito dall'art. 1, l. 15 febbraio 2012, n. 12. Il testo precedente recitava: «Le disposizioni della prima parte e del numero 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato».

Inquadramento

Il tema delle interferenze tra misure reali penali ed esecuzioni individuali pone rilevanti questioni di ordine applicativo: proseguibilità dell'esecuzione forzata, stabilità dell'aggiudicazione e questioni in materia distributiva. Nonostante l'accavallarsi di interventi legislativi (da ultimo la l. n. 161/2017), il tema riveste tuttora grande attualità a causa di un perdurante vuoto normativo quanto allo specifico atteggiarsi di tali interferenze con riguardo alle c.d. misure penali tradizionali, ordinarie (sequestro probatorio, sequestro conservativo, sequestro preventivo e confisca) e costituisce terreno fertile per un dibattito che «(....) interessa dal punto di vista teorico perché consente di individuare il punto di equilibrio che si è inteso stabilire tra interesse pubblicistico alla repressione del fenomeno criminale e legittima tutela delle situazioni giuridiche facenti capo a soggetti estranei al reato. Essa riveste, altresì, significativo rilievo pratico, atteso che la presenza di diritti di terzi sui beni oggetto di confisca rappresenta uno dei principali ostacoli alla conclusione del procedimento di destinazione – a finalità pubblicistiche – dei patrimoni in tal modo sottratti alla criminalità organizzata» (Mazzamuto).

Come noto, con una normativa puntuale e dettagliata, il legislatore del codice antimafia ha espressamente disciplinato le ricadute delle misure di prevenzione sulle esecuzioni individuali sancendo la prevalenza delle misure reali penali e correlativa improcedibilità dell'esecuzione individuale. Siffatta scelta normativa è stata da ultimo estesa anche alla c.d. confisca allargata così ponendo fine al contrasto interpretativo in ordine all'applicabilità o meno del codice antimafia anche alla confisca allargata (l. n. 161/2017).

Le ragioni che sono a fondamento di queste scelte normative risiedono essenzialmente in esigenze di politica criminale come emerge dal catalogo dei reati in relazione ai quali le misure penali in oggetto possono essere adottate, reati di particolare allarme sociale.

D'altra parte, l'intento repressivo si coglie nella progressiva attenuazione del nesso di pertinenzialità tra cose e reato, così come in alcuni peculiari accorgimenti disciplinari: la confisca di prevenzione determina un acquisto a titolo originario del bene in capo allo Stato e i terzi titolari di diritti di proprietà o diritti reali di garanzia possono trovare tutela solo in sede penale.

Diversamente, come detto, permane un «vuoto» normativo quanto ai rapporti tra misure penali tradizionali ed esecuzioni individuali.

Come anticipato, tuttavia, la ratio della disciplina del codice antimafia e, da ultimo, della l. n. 161/2017 e la connotazione di dette misure reali penali caratterizzate da un sostanziale affievolimento del nesso di pertinenzialità col reato, pone all'interprete l'interrogativo in ordine alle sorti dell'esecuzione forzata del bene attinto anche da una di queste misure: se possa mutuarsi la disciplina dettata dal legislatore nel codice antimafia o se i criteri risolutori del potenziale conflitto con i terzi titolari di diritti confliggenti debbano essere rintracciati altrove.

Occorre, ad ogni modo interrogarsi sull'impatto che in sede interpretativa riveste l'entrata in vigore del Codice della crisi e dell'insolvenza che espressamente disciplina i rapporti con le procedure concorsuali.

Misure reali penali c.d. tradizionali: cenni

Le misure reali penali si classificano in provvisorie e definitive. Le prime generano solo un vincolo temporaneo di indisponibilità sui beni dell'indagato o dell'imputato, mentre quelle definitive hanno un effetto ablativo generalmente conseguente alla condanna definitiva. Si collocano nella prima categoria i sequestri e nella seconda le confische.

Non ogni misura definitiva dev'essere preceduta da quella temporanea (così Cass. sez. pen., n. 9738/2015 «in tema di confisca per equivalente, il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, può disporre il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità di individuare i beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell'esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare»).

Si collocano nel novero delle misure reali provvisorie il sequestro probatorio, quello conservativo ed il sequestro preventivo.

Il primo è funzionale all'accertamento del reato e tale finalità esclude la proseguibilità dell'esecuzione forzata almeno per la durata di detta misura (così Cardino secondo cui «il sequestro probatorio, piuttosto, può essere considerato come un temporaneo divieto, incombente sugli organi dell'esecuzione, di esitare il bene a favore di terzi; ovvero, nel caso di espropriazione forzata mobiliare, di asportare la cosa sequestrata dal luogo in cui essa si trovi (come avviene, d'ordinario, exartt. 520 e 521-bis c.p.c.). Nel corso della espropriazione forzata, pertanto, non potranno – sia pure temporaneamente – essere emessi i provvedimenti di cui agli artt. 530 o 569 c.p.c., se non una volta venuto meno il vincolo del sequestro probatorio. Pertanto, l'ufficiale giudiziario dovrà astenersi dalle operazioni di cui agli artt. 606 e 608 c.p.c.; pur in presenza di una esecuzione forzata legittimamente intrapresa. In sostanza, pur non costituendo il sequestro probatorio impedimento all'esercizio dell'attività esecutiva, esso, nondimeno, non consente il compimento di quegli atti o l'emissione di quei provvedimenti che comporterebbero la violazione della custodia penale e la frustrazione dell'attività di indagine (in sostanza, la consegna della cosa a terzi). Non potendosi parlare di sospensione dell'esecuzione in senso proprio, non può gravarsi, perciò, il creditore procedente o l'esecutante di alcun onere di riassunzione (art. 627 c.p.c.), una volta cessato il temporaneo impedimento all'azione esecutiva, con il venir meno del sequestro probatorio. Nulla, in conclusione, impedisce che, ad esempio, un bene sottoposto a sequestro probatorio possa essere oggetto di un successivo pignoramento. Parimenti, un sequestro probatorio non può porre nel nulla un pignoramento precedentemente eseguito o rendere improcedibile l'esecuzione che ne consegue. Il successivo pignorante si sottoporrà, però, al rischio della minaccia di evizione, derivante da una misura cautelare temporanea, potenzialmente idonea alla definitiva acquisizione del bene allo Stato»).

Sono questi gli approdi della giurisprudenza in materia: così Cass.., n. 877/2011 secondo cui «le norme che disciplinano l'evizione totale sono applicabili soltanto nel caso in cui la cosa compravenduta sia oggetto di confisca in sede penale, come misura comportante l'acquisto della proprietà della cosa stessa da parte dello Stato e lo spossessamento del compratore, e non anche nel caso in cui essa sia oggetto di sequestro, costituendo tale provvedimento semplice minaccia di evizione, destinata a concretizzarsi soltanto quando sopravvenga il definitivo provvedimento di confisca». Ancora, nello stesso senso, Cass., n. 5243/2006 secondo cui «Le norme che disciplinano l'evizione totale sono applicabili soltanto nel caso in cui la cosa compravenduta sia oggetto di confisca in sede penale, come misura comportante l'acquisto della proprietà della cosa stessa da parte dello Stato e lo spossessamento del compratore, e non anche nel caso in cui essa sia oggetto di sequestro, costituendo tale provvedimento semplice minaccia di evizione, destinata a concretizzarsi soltanto qualora sopravvenga il definitivo provvedimento di confisca».

Il sequestro conservativo penale, similmente a quello civile, benché per una platea circoscritta di crediti, è funzionale alla tutela dei crediti dello Stato per il pagamento delle spese processuali, delle pene pecuniarie e di ogni altra somma comunque dovuta allo Stato o del credito della parte civile. Si tratta della misura reale penale provvisoria che si rivela meno ostativa rispetto allo svolgersi dell'esecuzione forzata tenuto conto che tale sequestro si attua nelle forme previste dal codice di procedura civile e, in caso di condanna, si converte in pignoramento (Cass. n. 9851/2015 secondo cui «la conversione del sequestro conservativo in pignoramento, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna al risarcimento in favore della parte civile, presuppone che la pronuncia abbia dichiarato l'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, così da costituire titolo esecutivo; di talché, nel caso di condanna generica, detta conversione si verifica solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile, il quale, sulla base della certezza del danno acquisita in sede penale, abbia proceduto alla sua liquidazione. (In motivazione la Corte ha precisato che nel caso di condanna generica al risarcimento del danno, prima della definizione del giudizio civile per la liquidazione di esso, spetta al giudice penale la competenza ad adottare ogni provvedimento sui beni in sequestro)»). Ne discende inoltre, a seguito della conversione in pignoramento, la competenza del giudice dell'esecuzione civile (così Cass. n. 16132/2013, Cass. n. 25950/2008 «la conversione del sequestro conservativo in pignoramento ai sensi dell'art. 320 c.p.p. ha luogo anche al passaggio in giudicato di sentenza di patteggiamento, dopo il quale ogni provvedimento relativo al bene oggetto del vincolo rientra nella competenza del giudice civile. Ne consegue che è illegittimo il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione dichiara la perdita di efficacia del sequestro in conseguenza di sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti», n. 37579/2001 «il giudice dell'esecuzione penale è funzionalmente incompetente a deliberare in tema di cose soggette a sequestro conservativo disposto a norma dell'art. 316 c.p.p., in quanto, a differenza del regime stabilito nell'abrogato codice di procedura penale, secondo il quale, dopo la sentenza irrevocabile, l'opposizione di qualsiasi interessato al sequestro conservativo e l'esame delle domande di restituzione costituivano materia di incidente di esecuzione da promuovere dinanzi al giudice penale, il codice di rito vigente attribuisce al passaggio in giudicato della condanna l'effetto di convertire automaticamente il sequestro conservativo in pignoramento, con la conseguenza che la competenza a giudicare domande di terzi intese a contestare il vincolo imposto sul bene è funzionalmente devoluta al giudice civile, dinanzi al quale la domanda va introdotta nelle forme dell'opposizione del terzo al pignoramento»).

Il sequestro preventivo (art. 321 e ss. c.p.p.) è una misura cautelare reale preordinata a scongiurare la commissione di nuovi reati o l'aggravamento dei reati per cui si procede (Cass. pen. n. 1236/1995 ha precisato come oggetto di tale misura possa essere anche il corpo del reato, «in tema di sequestro preventivo, la nozione di «cosa pertinente al reato» ha un significato ampio e comprende anche il corpo del reato, e cioè le cose sulle quali o mediante le quali il reato stesso è stato commesso. Le due categorie, infatti, si pongono tra loro in rapporto di continenza, nel senso che la prima è più vasta e contiene anche la seconda. In particolare, si è distinto il corpo del reato dalle cose pertinenti, per dare una «definizione sufficientemente comprensiva del concetto di corpo di reato e per mettere in risalto che la categoria dei beni pertinenti al reato non comprende solo il corpo del reato, ma abbraccia tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa», con l'ulteriore precisazione che, nell'art. 321 c.p.p., la suddetta nozione va riferita alle finalità del sequestro ed esprime non solo la esistenza del vincolo tra cosa e reato, ma tra essa e le eventuali conseguenze dannose legate alla sua libera disponibilità. (Nella specie la S.C. ha osservato che la diversa interpretazione restrittiva, volta a ritenere incluse tra le cose pertinenti solo le «res» «esterne» al reato, è illegittima, poiché determinerebbe la impossibilità di disporre il sequestro preventivo dell'oggetto materiale del reato e quindi consentirebbe la sua riutilizzabilità per la perpetrazione di nuovi potenziali illeciti)»). Il sequestro preventivo si esegue secondo le formalità di cui all'art. 104 disp. att. comma 2 c.p.p. con le prescritte pubblicità quando attinga beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri.

Ha carattere definitivo e quindi ablativo la confisca di cui all'art. 240 c.p. Si tratta di una misura di sicurezza che può essere facoltativa o obbligatoria.

Attualmente vi è una disciplina organica dei rapporti tra le misure reali penali e le esecuzioni individuali limitatamente alle misure di prevenzione per le quali il Codice Antimafia, d.lgs. n. 159/201, detta una disciplina improntata alla prevalenza delle misure reali penali e correlativa improcedibilità dell'esecuzione individuale. Il trend normativo ha trovato conferma anche con la novella del 2017 con riguardo alla c.d. confisca allargata (l. n. 161/2017). Già prima della novella del 2017, proprio l'allarme sociale connesso ad alcune tipologie di reato e la progressiva assimilazione della ratio della confisca allargata a quella delle misure di prevenzione, aveva condotto a ritenere improseguibile l'esecuzione forzata anche a fronte della confisca allargata similmente a quanto accadeva per le misure di prevenzione (cfr. Cass. , n. 22814/2013 «costituisce principio generale dell'ordinamento quello della prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito da misura di sicurezza patrimoniale. Ne consegue che, in tema di confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992 (e successive modifiche), il diritto del creditore – sebbene assistito da garanzia reale sul bene confiscato iscritta in data precedente alla confisca stessa ed eccettuato il solo caso in cui anche il trasferimento del bene pignorato sia intervenuto anteriormente ad essa – non può più essere tutelato davanti al giudice civile» ed anche Cass., n. 21/2013).

L'opzione esegetica estensiva fin qui descritta non era tuttavia maggioritaria riscontrandosi anche pronunce di segno opposto alla possibile estensione, in via analogica, della disciplina delle misure di prevenzione alla confisca allargata, così Cass. pen., n. 8935/2016 secondo cui «(...) la questione posta dalla ricorrente concerne l'ambito della previsione della l. n. 356/1992, art. 12-sexies, comma 4-bis, come modificata dalla l. n. 228/2012, art. 1, comma 190, che estende ai sequestri ed alle confische cosiddette «allargate», di cui al cit. art. 12-sexies, le disposizioni, testualmente indicate come «in materia di destinazione ed amministrazione dei beni sequestrati e confiscati», del d.lgs. n. 159/2011. Oggetto del tema posto in discussione, in particolare, è se tale rinvio, come sostenuto dalla ricorrente, comprenda tutte le disposizioni del decreto richiamato, e quindi anche quelle di cui all'art. 45, per la quale i beni confiscati sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri, la confisca prevale di conseguenza sugli eventuali diritti di garanzia esistenti sui beni in favore di terzi e la tutela di questi ultimi è affidata alla particolare procedura concorsuale prevista dall'art. 57 e ss. cit. decreto nella forma dell'ammissione dei creditori garantiti, in esito alla liquidazione dei beni, alla ripartizione del ricavato nell'ordine e nei limiti previsti dal piano di pagamento segnatamente previsto dall'art. 61; ovvero se, come invece sostenuto dalla I. nella memoria depositata, la riportata limitazione testuale del rinvio alle disposizioni del decreto concernenti la destinazione e l'amministrazione dei beni escluda il citato art. 45, con la conseguente legittimità dell'immediato riconoscimento dell'opponibilità all'A. ricorrente dei diritti dei terzi sui beni, come nella specie avvenuto. Questa Corte non ignora l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale formatosi nel senso invocato dalla ricorrente (Cass. pen. I, n. 21/2015; Cass. pen. I, n. 26527/2014). E tuttavia non può sottacersi che tale indirizzo, fondato esclusivamente su un elemento storico-sistematico individuato nella progressiva assimilazione funzionale, nella recente legislazione, della confisca di prevenzione, oggetto della normativa di cui al d.lgs. n. 159/2011, a quella prevista dal più volte citato art. 12-sexies, non appare conforme, come altrove puntualmente osservato (Cass. pen. II, n. 10471/2014), al chiaro tenore letterale del novellato comma 4-bis dell'articolo di cui sopra, il cui esplicito riferimento alle disposizioni del decreto in tema di destinazione ed amministrazione dei beni non può comprendere le norme dettate dal decreto per la ben diversa materia della tutela dei diritti vantati sui beni dai terzi, ed al carattere di specialità complessivamente attribuibile al decreto per la disciplina delle misure di prevenzione. Specialità che, come pure rilevato nella pronuncia da ultimo richiamata, esclude la praticabilità di un'interpretazione analogica che superi la descritta delimitazione testuale, non sussistendo peraltro nel sistema alcuna lacuna legislativa che debba essere colmata con siffatta interpretazione. La decisione impugnata deve pertanto ritenersi corretta con riguardo alla ritenuta possibilità di riconoscere l'opponibilità del diritto di garanzia dell'istituto di credito sui beni confiscati», e Cass. pen., n. 36092/2017.

Si colloca nel solco della tendenza panpenalistica anche la disciplina delineata dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'insolvenza tanto da condurre qualche interprete a ritenere che dalla sua entrata in vigore stante la medesima ratio, si potrebbe sostenere che tale disciplina si estenda al caso (ancora) non espressamente disciplinato dei rapporti con le esecuzioni individuali (così Auletta).

La natura giuridica dell'acquisto in capo allo Stato

Come detto, «(...) con specifico riguardo alle ricadute applicative in ordine alle procedure esecutive, il Codice antimafia ha optato per l'inibizione dell'inizio dell'esecuzione forzata e l'improseguibilità dell'esecuzione già pendente. Esplicito in tal senso l'art. 55 cod. antimafia secondo cui a seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive. I beni oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall'amministratore giudiziario. Le procedure esecutive già pendenti sono sospese sino alla conclusione del procedimento di prevenzione. Le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca. In caso di dissequestro, la procedura esecutiva deve essere iniziata o riassunta entro il termine di un anno dall'irrevocabilità del provvedimento che ha disposto la restituzione del bene. Si profila così una sospensione ex lege ai sensi dell'art. 623 c.p.c. quando la misura di prevenzione intervenga nel corso dell'esecuzione forzata che subirà sorti diverse a seconda che sopraggiunga o meno la misura della confisca o del dissequestro (estinzione nel primo caso e riassunzione nel secondo».

Non vi sono altrettanti espliciti referenti normativi, invece, quanto all'incidenza delle misure reali penali c.d. ordinarie (sequestro preventivo, per equivalente e confisca ordinaria di cui all'art. 240 c.p.) sulla procedibilità e proseguibilità dell'esecuzione forzata per le quali manca un richiamo alla disciplina dettata dal codice antimafia come quello di cui all'art. 104-bis, comma 1-quater disp. att. c.p.p.

Di qui il dibattito e la disomogeneità del panorama interpretativo.

Le interferenze tra misure reali penali ed esecuzioni individuali si traducono sostanzialmente nel conflitto tra il creditore procedente ed ipotecario e lo Stato che acquista il bene (con la confisca dell'immobile precedentemente oggetto di sequestro) e si riflettono su tutto il corso dell'esecuzione forzata ponendo problemi di opponibilità delle formalità anteriori (pegno, ipoteca e pignoramento), in punto di stabilità della vendita coattiva e di proseguibilità e sospensione dell'esecuzione forzata. Una situazione di potenziale conflitto tra diritti incompatibili potrebbe inoltre porsi allorquando il bene sia già stato aggiudicato nel corso della procedura esecutiva, quale conflitto perciò tra l'interesse statuale da un lato e quello dell'aggiudicatario alla stabilità della vendita forzata, dall'altro.

Il nodo problematico essenziale ruota attorno alla ricostruzione della natura giuridica dell'acquisto della res illecita in capo allo Stato, se a titolo originario o derivativo. Sul punto si sono succeduti, nel corso del tempo, orientamenti molto disomogenei se non del tutto opposti né si rintraccia, attualmente, una soluzione interpretativa maggioritaria.

La prevalenza dell'interesse pubblicistico è alla base dell'opzione esegetica tesa a riconoscere natura originaria all'acquisto in capo allo Stato. La natura originaria dell'acquisto porta con sé, tuttavia, un innegabile sacrificio della tutela del creditore che viene così posticipata al momento in cui, riconosciuta la colpevolezza dell'imputato, il sequestro si trasforma in confisca. Così opinando la tutela dei diritti dei terzi in buona fede è rimessa alla fase esecutiva dinanzi al giudice penale (Marchese, 2021).

Si colloca in tale solco interpretativo Cass. pen., n. 1390/2016 secondo cui «in tema di sequestro preventivo, il creditore assistito da garanzia reale non è legittimato a chiedere la revoca della misura mentre il processo è pendente, in quanto la sua posizione giuridica non è assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà ed il suo diritto di sequela non esclude l'assoggettabilità del bene a vincolo, essendo destinato a trovare soddisfazione solo nella successiva fase della confisca e non attraverso l'immediata restituzione del bene, come invece accadrebbe per il proprietario».

La prevalenza dell'interesse statuale alla repressione porta così a sacrificare la tutela del terzo. In particolare, nel conflitto tra il diritto di proprietà dello Stato e del terzo titolare di un diritto reale di garanzia, l'orientamento in oggetto finisce con l'accordare al terzo in buona fede, solo come detto, solo una tutela successiva rispetto al provvedimento definitivo di confisca, tutela da realizzare dinanzi al giudice penale. Nello stesso senso anche Cass. pen., n. 42464/2015 secondo cui «deve premettersi che, secondo questa Corte, in tema di sequestro preventivo, l'esistenza di ipoteche sui beni o di altre forme di garanzia non esclude la assoggettabilità a sequestro dei beni medesimi, trovando il diritto di sequela del creditore ipotecario o pignoratizio soddisfazione solo nella successiva fase processuale, relativa alla confisca ed alla esecuzione della stessa (ex plurimis, Cass. pen. II, n. 22176/2014). Tale assunto si collega strettamente a quello, ribadito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. pen. II, n. 10471/2014), secondo cui, in caso di sequestro preventivo disposto su un bene gravato da pegno o da ipoteca, il terzo creditore titolare del diritto reale di garanzia non è legittimato a chiedere la revoca della misura cautelare, non essendo la sua posizione giuridica assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà, la cui sussistenza – essendo giuridicamente incompatibile con la pretesa ablatoria dello Stato – comporta l'immediata restituzione del bene ai sensi dell'art. 321, comma 3, c.p.p. – Nel caso in esame la Banca ricorrente invoca a suo favore il disposto dell'art. 321, comma 3, c.p.p., nella parte in cui dispone che «il sequestro è immediatamente revocato a richiesta [...] dell'interessato quando risultano mancanti [...] le condizioni di applicabilità previste dal comma 1»; invoca altresì l'art. 322-bis c.p.p. – il quale attribuisce la legittimazione a proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Sempre secondo la ricorrente, le condizioni di applicabilità del sequestro mancherebbero nel caso di specie, in quanto la cosa non solo non sarebbe nella libera disponibilità del proprietario (art. 321, comma 1, c.p.p.) ma non sarebbe neanche confiscabile in pregiudizio dei diritti del terzo, il quale sarebbe comunque legittimato all'impugnazione come persona alla quale le cose sono state sequestrate». La censura è infondata. – Non vi è dubbio che il terzo titolare di un diritto di credito assistito da garanzia reale non possa essere pregiudicato dalla confisca penale. Sul punto, va ricordato, in primo luogo, che nessuna forma di confisca può determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito. Va ribadito, in secondo luogo, che i terzi che vantino diritti reali hanno l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza e di estraneità al reato, dalle quali dipende l'operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato (ex multis, Cass. pen. I, n. 32648/2009; Cass. pen. I, n. 32648/2009; Cass. pen. II, n. 10471/2014). In tale quadro si pone la questione di quale sia il momento processuale in cui il suddetto diritto può essere fatto valere, e cioè: se in via anticipata durante il processo penale o solo in via posticipata e cioè quando, riconosciuta la colpevolezza dell'imputato, il sequestro si trasforma in confisca. Le disposizioni invocate dalla Banca ricorrente (art. 321, comma 3, e art. 322-bis c.p.p.) non legittimano il creditore pignoratizio a chiedere la revoca del sequestro preventivo mentre il processo penale è pendente, perché si riferiscono alla diversa posizione del soggetto che assume di essere proprietario del bene sequestrato. Quest'ultimo fa valere un diritto (quello di proprietà) che, in quanto caratterizzato dall'assolutezza, si pone in una situazione di giuridica incompatibilità con quello vantato dallo Stato che, attraverso il sequestro finalizzato alla confisca, tende a conseguire lo stesso risultato e cioè di divenire proprietario – a titolo derivativo – dello stesso bene rivendicato dal terzo; con la conseguenza che la suddetta situazione può essere risolta immediatamente senza attendere l'esito del processo penale perché due diritti assoluti (proprietà) sullo stesso bene sono giuridicamente inconcepibili; cosicché è del tutto irrilevante attendere l'esito del processo penale perché, quand'anche l'imputato fosse condannato definitivamente, il giudizio non potrebbe avere alcun effetto su un bene di proprietà altrui. Diversa è, invece, la posizione del terzo creditore assistito da un diritto reale di garanzia. In questa ipotesi, infatti, il conflitto non è fra due soggetti che reclamano lo stesso diritto (di proprietà) sullo stesso bene, ma fra un terzo che vanta un diritto di credito e lo Stato che vanta un diritto di proprietà, seppure all'esito di un processo penale che si concluda con la condanna dell'imputato: il credito, sebbene assistito da un diritto reale di garanzia caratterizzato dal c.d. ius sequelae , non ha la stessa valenza del diritto dominicale perché il bene continua a rimanere di proprietà dell'imputato il quale, avendone la disponibilità, ben può effettuare su di esso negozi giuridici. Ed è proprio per questo che il legislatore, a tutela del (futuro) diritto ablatorio a favore dello Stato, ha previsto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca che è, appunto, una misura temporanea tipicamente cautelare che tende ad impedire che l'imputato, nelle more del processo, possa disperdere il bene, frustrando, quindi, l'interesse dello Stato a divenirne proprietario. Ove si consentisse al terzo creditore di anticipare la tutela del proprio diritto fin dal momento in cui il sequestro è stato disposto, la pretesa ablatoria dello Stato verrebbe frustrata a monte determinando la sostanziale impossibilità di disporre il sequestro preventivo su beni gravati da garanzie reali e di garantire così, anticipatamente, il buon esito della confisca. Né il conflitto fra il terzo creditore titolare di un diritto reale di garanzia sul bene e lo Stato può essere regolato in una fase anticipata del processo, perché, fino alla conclusione dello stesso, non può ancora parlarsi di diritto ablatorio dello Stato ma solo di un'aspettativa. Da qui la necessità di attendere l'esito del processo penale e l'eventuale decisione definitiva sulla confisca perché solo in tale momento il conflitto fra creditore e Stato da potenziale diventa attuale e concreto e, quindi, idoneo ad essere risolto. E dal combinato disposto degli artt. 676, comma 1, e 667, comma 4, c.p.p. (nonché degli artt. 86 e 88 norme att. c.p.p. e art. 13 reg. esec. c.p.p.), si evince che competente a decidere sulla confisca e, quindi, su tutte le questioni che su di essa possono sorgere, è appunto, il giudice dell'esecuzione penale – e non il giudice dell'esecuzione civile – il quale è l'esclusivo titolare del potere di provvedere alla custodia del bene confiscato e di disporne la vendita, assicurando, tuttavia, che, all'esito della procedura di liquidazione, sul ricavato il creditore stesso possa esercitare lo ius praelationis, conseguendo quanto spettantegli, con priorità rispetto ad ogni altra destinazione: principio che, ovviamente resterebbe disatteso ove si accedesse alla tesi della tutela anticipata del ricorrente. In conclusione, il diritto al soddisfacimento sul bene può essere fatto valere solo in via posticipata davanti al giudice dell'esecuzione penale e non in via anticipata davanti al giudice dell'esecuzione civile quando ancora la confisca non è divenuta definitiva».

La giurisprudenza, pur non facendo esplicito riferimento alla natura originaria dell'acquisto del bene in capo allo Stato, la pone, evidentemente, quale premessa indefettibile per dedurne una tutela solo posticipata in capo al creditore ipotecario.

Da ultimo, sulla prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito dalle misure di sicurezza patrimoniali, Cass. n. 30990/2018 secondo cui «(...) secondo la banca ricorrente, per quanto la confisca del bene pignorato disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. dal giudice penale (trattasi di confisca facoltativa del bene immobile acquistato con i proventi del reato di appropriazione indebita commesso dal debitore esecutato, costituente quindi profitto del reato stesso) sia intervenuta e sia divenuta definitiva in data anteriore al pignoramento, i suoi effetti non potrebbero prevalere su quest'ultimo, l'opposizione di terzo all'esecuzione proposta, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., dalle amministrazioni beneficiarie del relativo acquisto non potrebbe pertanto trovare accoglimento. Ciò in quanto, da una parte, la suddetta confisca non risulterebbe trascritta e, d'altra parte, nessun rilievo potrebbe avere l'avvenuta trascrizione (in data anteriore a quella della trascrizione del pignoramento) del sequestro avente ad oggetto il medesimo bene pignorato, trattandosi di mero sequestro probatorio, non strumentale alla confisca stessa (i cui effetti quindi non potrebbero saldarsi con quelli del successivo provvedimento ablatorio), come già ritenuto dal giudice di primo grado, con statuizione che non sarebbe stata oggetto di specifica impugnazione e sulla quale si sarebbe pertanto formato il giudicato interno. – In realtà non può ritenersi fondato il presupposto di diritto alla base della complessiva prospettazione di parte ricorrente, secondo il quale la confisca (facoltativa) disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. in sede penale, laddove non preceduta da sequestro ad essa strumentale trascritto anteriormente al pignoramento, prevale agli effetti civili su quest'ultimo solo laddove venga a sua volta trascritta prima della trascrizione del pignoramento. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il ricorso non offre motivi per rivedere, infatti, «la prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito dalle misure di sicurezza patrimoniali, anche se il primo sia assistito da garanzia reale sul bene, costituisce principio generale dell'ordinamento (con la conseguenza che, in tema di confisca prevista dal d.l. n. 306/1992, art. 12-sexies, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992 e successive modifiche, il diritto del creditore, quand'anche assistito da garanzia reale sul bene confiscato iscritta in tempo anteriore ed eccettuato il solo caso in cui il trasferimento del bene pignorato sia intervenuto prima della confisca penale, non può più essere tutelato davanti al giudice civile)» (cfr. Cass. III, n. 22814/2013; tale pronuncia sviluppa e precisa quanto già statuito da Cass. S.U., n. 10532/2013, Cass. S.U., n. 10533/2013 e Cass. S.U., n. 10534/2013, in tema di confisca misura di prevenzione antimafia; i suddetti precedenti risultano del resto in linea con la costante giurisprudenza di questa stessa Corte, in materia penale, secondo la quale i diritti vantati dai terzi sul bene oggetto di confisca di qualunque natura, anche laddove oggetto di iscrizione o trascrizione anteriori alla confisca stessa, possono essere fatti valere esclusivamente mediante incidente di esecuzione dinanzi al competente giudice penale e non in sede civile; cfr., ex multis: Cass. pen. I, n. 45572/2007; Cass. pen. I, n. 27201/2013; Cass. pen. II, n. 22176/2014). Costituendo principio generale dell'ordinamento quello per cui gli effetti della confisca penale (di qualunque natura) prevalgono sui diritti dei terzi creditori del soggetto in danno del quale la confisca stessa è operata, anche se si tratta di diritti reali di garanzia iscritti anteriormente, con il solo limite dell'intervenuto trasferimento del bene pignorato prima della confisca stessa, è inevitabile ritenere (anzi la conclusione ne discende a più forte ragione) che la confisca penale intervenuta (e divenuta addirittura definitiva) anteriormente al pignoramento prevale senz'altro su quest'ultimo, sul piano civile, indipendentemente dalla data della sua trascrizione, mentre la eventuale tutela dei diritti dei creditori pignoranti è possibile solo in sede penale. Ciò rende irrilevante ed assorbe ogni questione relativa alla natura ed agli effetti del sequestro trascritto precedentemente allo stesso pignoramento. In altri termini, secondo la ricostruzione dell'istituto della confisca (anche quella disposta ai sensi dell'art. 240 c.p., costituente misura di sicurezza penale, obbligatoria o facoltativa che sia) quale provvedimento ablativo dei diritti del condannato e di tutti i diritti gravanti sul bene confiscato, ricostruzione che sta alla base degli orientamenti (sia in sede civile che in sede penale) di questa Corte, l'eventuale conflitto tra i diritti dei creditori del condannato stesso (anche se essi siano assistiti da garanzia reale sul bene e/o abbiano già proceduto al pignoramento) e quelli dello Stato, beneficiario del provvedimento stesso, non si risolve, sul piano civilistico, in base all'anteriorità della iscrizione o trascrizione nei registri immobiliari dei relativi acquisti, essendo sufficiente, per la prevalenza degli effetti civili della confisca, che questa intervenga (a prescindere dalla sua trascrizione) nel momento in cui il bene confiscato risulti ancora di proprietà del condannato (o quanto meno esso non sia stato già oggetto di un provvedimento di aggiudicazione in favore di un terzo, in sede di esecuzione forzata, secondo quanto espressamente previsto dalle disposizioni in tema di confisca di prevenzione: in questo senso, dunque, e solo in questo senso, può affermarsi la natura «derivativa» del relativo acquisto in favore dello Stato); il suddetto conflitto, ai fini della tutela dei diritti dei terzi creditori, può essere risolto invece sul piano penalistico, in sede di incidente di esecuzione della misura.».

In passato la giurisprudenza espressasi in tal senso aveva posto l'accento anche sul carattere extra commercium delle cose oggetto di confisca (così Cass. pen., n. 4174/1984, Cass. pen., n. 1321/1974).

La dottrina ha efficacemente messo in luce i limiti di simile ricostruzione (sul punto Cardino, cit., secondo cui «(...) un altro fondamento del tracciato interpretativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità riposa sulla intrinseca pericolosità del bene confiscato e sulla necessità di escludere lo stesso dall'area della commerciabilità. A tale proposito occorre distinguere, però, i beni destinati a confisca obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.), intrinsecamente e oggettivamente pericolosi, per i quali la conclusione della prevalenza della confisca è indiscutibile, dai beni destinati a confisca facoltativa, o comunque pericolosi non di per loro stessi, ma in ragione della particolare relazione che li legava al condannato, la liquidazione dei quali a terzi non perpetua alcuna pericolosità (Cass. pen., S.U., n. 29951/2004. Vedi anche supra., circa la distinzione fra confisca preventiva e confisca repressiva). Secondo un'altra affermazione ricorrente, consentire al debitore (condannato o proposto che egli sia) di liberarsi delle proprie obbligazioni mediante l'aggressione esecutiva dei beni destinati alla confisca, porterebbe ad un suo illecito profitto, consistente nella esdebitazione, che l'ordinamento non può agevolare (Pret. Pisa 8 giugno 1998, riportata in motivazione da Cass. sez. pen. S.U., n. 9/1999). Si tratta di argomentazione che non può essere condivisa perché dimentica che l'adempimento giova, in primis, al creditore di buona fede, che non può essere gravato dell'onere di sopportare il costo della mancata esdebitazione e di soddisfare l'esigenza di impedire vantaggi patrimoniali indiretti del condannato. Senza contare che, ragionando in tal modo, dovrebbe essere inibita in radice qualsivoglia forma di tutela del credito che transiti per la vendita dei beni illecitamente accumulati (quindi, anche la liquidazione ad opera del giudice dell'esecuzione penale). Non si comprende, poi, da un punto di vista più complessivo, quale vantaggio trarrebbe l'ordinamento dal non consentire al debitore – quantunque condannato penalmente – di soddisfare i suoi creditori. Anzi, un simile risultato si porrebbe contro il principio giuridico fondamentale del soddisfacimento delle obbligazioni assunte. In conclusione, l'orientamento di legittimità ormai prevalente afferma che la confisca ordinaria – a differenza della confisca di prevenzione (o confische assimilate) – non priva di efficacia i diritti reali di garanzia o i vincoli pignoratizi opponibili, ma l'accertamento della tutela spettante al creditore di buona fede e il suo concreto soddisfacimento sono sottratti alla competenza del giudice dell'esecuzione civile (esattamente come per le misure di prevenzione patrimoniali). I creditori chirografari, a fronte di una confisca tipica, non godono di alcuna particolare tutela, diversamente da quanto disposto per la confisca di prevenzione. Pertanto, al sopraggiungere di una confisca definitiva – ma anche di un sequestro preventivo che ne costituisce l'anticipazione – consegue l'impossibilità per il giudice dell'esecuzione civile di proseguire nell'espropriazione, che non potrebbe mai condurre al soddisfacimento dei creditori, riservato al giudice dell'esecuzione penale. Ciò anche se la confisca o il sequestro siano posteriori all'iscrizione ipotecaria o alla trascrizione del pignoramento. In pratica, ciò avvicina le misure reali ordinarie a quelle di prevenzione, dove, peraltro, l'improseguibilità provocata dal sequestro è espressamente sancita (art. 55, comma 1, cod. antimafia). L'affermazione di principio secondo la quale «il terzo titolare di un diritto di credito assistito da garanza reale non può essere pregiudicato dalla confisca penale» viene così, di fatto, ad essere notevolmente ridimensionata. Parimenti, dell'affermazione di principio sul carattere derivativo dell'acquisto per confiscam, mai esplicitamente abbandonata, alla luce dall'orientamento di legittimità che si è ora illustrato, rimane ben poco. La prevalenza assoluta della confisca sui vincoli o le garanzie, anche temporalmente anteriori, del terzo creditore non consente diversa conclusione. Ciò, anche in considerazione del fatto che le decisioni del giudice dell'esecuzione penale sul bene confiscato e la tutela dei terzi creditori devono attendere la definitività dell'ablazione a favore dello Stato. In sostanza, il passaggio in giudicato della sentenza di condanna (Cass. pen., n. 42464/15, cit.). Si aprono, pertanto, due possibili scenari. In esito al procedimento penale, la confisca diviene definitiva e, probabilmente a distanza di anni dall'inizio dell'esecuzione forzata, il creditore portatore di garanzia reale (o di pignoramento) opponibile avrà l'onere di rivolgersi al giudice dell'esecuzione penale per ottenere il proprio soddisfacimento. Sarà quest'ultimo giudice a disporre la vendita del bene confiscato e a provvedere alla liquidazione del ricavato, nel rispetto della prelazione del terzo. L'imputato viene assolto (o, comunque, non viene disposta la confisca per altre ragioni). Il sequestro preventivo adottato in vista della futura confisca viene meno (è sufficiente una sentenza di assoluzione, anche se non passata in giudicato o, comunque, un provvedimento di revoca del sequestro, ancorché a procedimento penale non ancora definito) e l'esecuzione forzata – sospesa ex art. 623 c.p.c. – potrà riprendere davanti al giudice dell'esecuzione civile o, se non ancora iniziata, essere intrapresa con un pignoramento».

Diverse sono le premesse teoriche e le ricadute applicative a fronte della ricostruzione che descrive invece l'acquisto del bene in capo allo Stato alla stregua di un acquisto a titolo derivativo.

In particolare, la tesi della natura derivativa dell'acquisto del bene in capo allo Stato, «pur non frustrando la volontà statuale repressiva, opera un bilanciamento degli interessi coinvolti che si rivela maggiormente sensibile all'interesse del creditore in buona fede» (Marchese, 2021).

I corollari applicativi della tesi della natura derivativa dell'acquisto in capo allo Stato, sono la proseguibilità dell'esecuzione forzata quando l'iscrizione ipotecaria sia anteriore alla misura reale penale tradizionale (così Cass. pen., n. 28145/2013 secondo cui «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non è impedito dall'esistenza di ipoteca gravante sul bene a tutela dei diritti di terzi, operando, per determinare la destinazione del bene stesso in caso di conflitto tra i diversi titoli, i generali principi in tema di rapporti tra creditori») o quando tale misura sia successiva alla trascrizione del pignoramento così come l'inopponibilità al creditore ipotecario/procedente in buona fede della successiva confisca. D'altra parte, si è detto, la volontà statuale di repressione del crimine non è così frustrata potendosi far luogo ad una diversa ed autonoma misura reale sul ricavato della vendita forzata. In tal senso Cass. n. 5988/1997 secondo cui «la confisca, sia essa quella regolata dagli artt. 236 e 240 c.p.p., quale misura di sicurezza, sia quella disciplinata come vera e propria sanzione o surrogato di sanzione da alcune leggi speciali (soprattutto in materia fiscale), e sia quella avente – infine – duplice carattere preventivo e repressivo, dà luogo ad un acquisto in favore dello Stato, del bene confiscato, non altrimenti definibile che come «derivativo», proprio in quanto esso non prescinde dal rapporto già esistente fra quel bene ed il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto «presuppone» ed un tal rapporto è volto a fare venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto, dal privato condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose, allo Stato. Ciò è a maggior ragione vero quando la confisca incida su un «diritto di credito», non potendo plausibilmente sostenersi che, per effetto di essa, sorga un diritto di credito nuovo dello Stato nei confronti del «terzo debitore e che possa il correlativo rapporto altrimenti spiegarsi che in ragione di un nesso di «derivazione» dalla precedente relazione obbligatoria, tra il medesimo debitore e l'originario creditore fatto destinatario della misura ablativa. In tal caso, pertanto, si ha una mera «modificazione soggettiva attiva» dell'originario rapporto obbligatorio, riconducibile allo schema (parallelo a quello delle ipotesi codicistiche della «cessione negoziale del credito», della «surrogazione personale», della «delegazione attiva», della «vendita ed assegnazione forzata») definito come cessio legis, e che identifica, più propriamente, la sostituzione, ex lege o per factum principis, della persona del creditore, all'interno di un rapporto di obbligazione, regolato in modo autonomo, dalla lex cessionis».

Nel medesimo solco interpretativo si pone Cass. sez. civ. con la pronuncia n. 51043/2018 come si coglie da alcuni passaggi motivazionali «(...) devono ritenersi pienamente condivise le argomentazioni sviluppate dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, laddove rileva che, in tema di rapporto tra sequestro e confisca in sede penale e procedimento immobiliare in sede civile con riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, difettando specifiche disposizioni che lo disciplinino, deve ritenersi che il legislatore abbia considerato ed ammesso la possibilità di una contemporanea pendenza di due procedimenti, cui consegue la possibilità di rinvenire un punto di coordinamento nel principio secondo il quale la confisca diretta del profitto, che nel caso in esame è individuato negli immobili con riferimento al reato di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000, non può attingere beni appartenenti a persone estranee al reato (...) Va poi rilevato, tenuto conto anche del disposto dell'art. 2915 c.c., che l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att, c.p.p.), che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, che l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto. Diversamente, se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo pieno iure con conseguente impossibilità della confisca posteriore all'acquisto. A tale evenienza non può sopperire, tuttavia, la mera indicazione della trascrizione del sequestro nel bando di vendita, che non è elemento idoneo ad escludere la buona fede e consentire conseguentemente la confisca, poiché, come pure osservato dal Procuratore Generale, l'estraneità e, quindi, la buona fede, deve essere valutata rispetto al reato e non alle vicende del processo»). Ne discende, correlativamente, come la soluzione del conflitto tra diritti incompatibili vada rintracciata nel principio dell'ordo temporalis delle formalità pregiudizievoli.

Tra le pronunce più risalenti, si collocano nel solco della natura derivativa dell'acquisto del bene in capo allo Stato anche Cass. n. 5988/1997, Cass. pen. n. 9/1999, n. 47887/2003.

Con la pronuncia del 1999 la Cassazione ha tracciato i confini della prevalenza dell'interesse statuale rispetto ai diritti dei terzi estranei al reato: «(...) va sottolineato, anzitutto, che non è conferente il riferimento alla confisca quale modo di acquisto a titolo originario. Al riguardo, deve precisarsi che il carattere originario della fattispecie traslativa, posto in dubbio da una parte della dottrina, è stato sottoposto, di recente, ad acuta riflessione critica nella giurisprudenza civile di questa Corte, nella quale è stato rilevato che –al di là di tralaticie enunciazioni di natura meramente definitoria e classificatoria – la reale causa giuridica del trasferimento deve essere individuata alla luce della effettiva disciplina legale dell'istituto ed è stato precisato che la confisca, compresa quella regolata dall'art. 240 c.p., dà luogo «ad un acquisto a favore dello Stato, in relazione al bene confiscato, non altrimenti definibile che come derivativo proprio in quanto esso non prescinde dal rapporto già esistente fra quel bene e il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto presuppone ed è volto a far venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato (condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose) allo Stato» (Cass. I, n. 5988/1997). Del resto, anche a voler tenere ferma l'opinione tradizionale che riconduce la confisca nella categoria dei modi di acquisto a titolo originario, deve comunque escludersi che tale classificazione possa far derivare dalla misura di sicurezza patrimoniale l'effetto di determinare l'estinzione degli «iura in re aliena» dei quali siano titolari soggetti diversi da quello nei cui confronti è esercitata la pretesa punitiva. Invero, la fattispecie traslativa si connota nel senso della originarietà per l'unica ragione che il trasferimento del diritto si realizza autoritativamente, indipendentemente dalla volontà del precedente titolare e su basi esclusivamente legali: il che non significa, tuttavia, che il trasferimento stesso possa avere ad oggetto un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare. In altri termini, la confisca, quale che sia la configurazione che voglia adottarsi, investe il diritto sulla cosa nella esatta conformazione derivante dalla peculiare situazione di fatto e di diritto esistente all'epoca del provvedimento, con l'ovvia conseguenza che lo Stato, quale nuovo titolare di esso, non può legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità. Tali notazioni trovano inequivoca conferma nella funzione della confisca, la cui causa giuridica non è costituita dall'acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, con il sacrificio dei diritti dei terzi, ma è identificabile, invece, nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l'autore del reato e di sottrarlo alla sfera di disponibilità di quest'ultimo. Va riconosciuto, pertanto, che l'acquisizione del bene allo Stato è una conseguenza della sottrazione, non già l'obiettivo della confisca, il cui «fine primario e immediato è la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa e l'acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione» (Cass. I, 20 dicembre 1962): ditalché il richiamo al bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, risolto dalla legge con la prevalenza attribuita al primo sul secondo, può essere pertinente soltanto nell'ottica della specifica funzione che tipicizza la confisca e, quindi, ha un senso rispetto ai diritti del condannato sulla cosa e non anche riguardo alle situazioni giuridiche soggettive dei terzi. Queste stesse riflessioni contribuiscono a rivelare che non sono neppure producenti le analisi ricostruttive che fanno perno sulla nozione di provvedimento ablatorio e di espropriazione per pubblico interesse, trattandosi di tentativi di trasposizione sul terreno della confisca di istituti e di fenomeni giuridici che possono avere una qualche utilità soltanto sul piano meramente classificatorio e descrittivo, ma non possono legittimare la contaminazione tra discipline legali totalmente divergenti quanto a presupposti e finalità. Peraltro, mette conto osservare che la normativa in materia di espropriazione regola espressamente la sorte dei diritti su cosa altrui, stabilendo che questi non possono impedire gli effetti del provvedimento ablatorio e che, una volta pronunciata l'espropriazione, tutti i diritti anzidetti si possono far valere non più sul fondo espropriato, ma sulla indennità che lo rappresenta (art. 52, comma 1 e 2 l. n. 2359/1865): ond'è che, anche se dovesse ritenersi praticabile il riferimento alla disciplina dell'espropriazione per pubblico interesse, dovrebbe, comunque, riconoscersi che il diritto reale di garanzia e la prelazione che lo assiste potrebbero essere fatti valere dal creditore sulle somme ricavate dalla liquidazione delle cose confiscate.

Nell'ordinanza impugnata l'estinzione del diritto di pegno è stata giustificata sul rilievo che la speciale disciplina della confisca in materia di usura, dettata dagli artt. 644, ultimo comma c.p. e 12-sexies del d.l. n. 306/1992, contribuirebbe a fare qualificare le cose che ne sono oggetto come «illecite in modo assoluto» e «intrinsecamente criminose», onde la loro destinazione non può essere diversa dall'utile pubblico. L'argomento è privo di consistenza. L'intrinseca criminosità della cosa, che attribuisce alla confisca l'effetto di escludere la sopravvivenza di qualsiasi diritto dei terzi, corrisponde ad una nozione ben definita nella quale, in base alle regole generali poste dall'art. 240 c.p., sono riconducibili le «cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato» (comma 2 n. 2), sempreché tali attività non siano consentite neppure con autorizzazione amministrativa (comma 4). È palese che nel caso di specie il riferimento alla categoria delle cose oggettivamente ed intrinsecamente criminose ha valore meramente assertivo e non è convalidato da alcun elemento di riscontro normativo, essendo manifesto che ai certificati di deposito confiscati non può assegnarsi il connotato della pericolosità «ex se» – indipendente, cioè, dalla identificazione del soggetto cui appartengono – e che la confiscabilità dipende unicamente dalla relazione in cui essi si trovano col responsabile del delitto di usura: ditalché l'obbligo di confisca viene meno nell'ipotesi di «appartenenza» di detti certificati a persone estranee al reato. Infine, non è producente nemmeno l'argomento sviluppato nell'ordinanza impugnata secondo cui riconoscere l'intangibilità dei diritti di pegno degli istituti bancari significa, nella sostanza, ammettere che il Bacherotti possa trarre vantaggi dal provento della sua attività usuraria dato che il soddisfacimento delle ragioni dei creditori pignoratizi si risolverebbe nell'estinzione delle obbligazioni che il reo aveva verso le banche.

L'assunto non ha pregio, in quanto muove da una premessa giuridicamente errata. Invero, con riferimento alla confisca penale di un immobile su cui era iscritta ipoteca, nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che la misura di sicurezza patrimoniale non estingue la garanzia ipotecaria e che, a seguito del soddisfacimento del creditore garantito, l'Amministrazione dello Stato subentra nel credito verso il debitore-reo, proprietario del bene confiscato, in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale ex art. 1203 c.c. (Cass. III, n. 811/1978, cit.). In applicazione di tale principio deve, quindi, riconoscersi che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l'estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, ma determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio, dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore per conseguire le somme che non ha potuto acquisire perché destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia. – La sola riconducibilità del diritto reale di garanzia nella nozione di «appartenenza» di cui all'art. 240, comma 3 c.p. non basta, però, a giustificare l'intangibilità della posizione giuridica soggettiva e l'insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca, atteso che l'applicazione delle regole generali poste dallo stesso art. 240 implica altresì che la cosa confiscata deve appartenere, nel senso dianzi chiarito, a «persona estranea al reato»».

Come sottolineato anche dalla dottrina, l'interesse statuale prevale sino a comprimere i diritti dell'indagato o dell'imputato, ma tale prevalenza non necessita e non involge i diritti dei terzi (sul punto Mazzamuto, «(...) tutti gli argomenti addotti al fine di giustificare il sacrificio dei diritti dei terzi sono stati sottoposti ad esame critico. Si è esclusa, in primo luogo, la natura originaria dell'acquisto per confisca. E ciò sulla base della considerazione che, a ben vedere, quest'ultimo «non prescinde dal rapporto già esistente tra quel bene ed il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto presuppone ed è volto a far venir meno per ragioni di prevenzione o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato (condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose) allo Stato». La confisca, in altri termini, poiché investe il diritto sulla cosa nella esatta conformazione derivante dalla peculiare situazione di fatto e di diritto esistente all'epoca del provvedimento, ha come conseguenza che lo Stato, quale nuovo titolare del diritto, non può legittimamente acquistare facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità per effetto di compresenti diritti altrui sul bene. Non ha convinto, in secondo luogo, l'idea che il bilanciamento tra interessi pubblici e privati risolto dalla legge con il sacrificio dell'interesse privato abbia come risultato il sacrificio dei diritti dei terzi. Difatti, la funzione della confisca «non è costituita dall'acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, con il sacrificio dei diritti dei terzi, ma è identificabile, invece, nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l'autore del reato e di sottrarlo alla disponibilità di quest'ultimo». L'acquisizione del bene allo Stato, invero, va considerata come una conseguenza della sottrazione, non già l'obiettivo della confisca, «il cui fine primario e immediato è la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa e l'acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione». Né, del resto, l'esigenza di tutela dell'interesse pubblico sottesa alle misure di prevenzione potrebbe giustificare la soppressione dei diritti dei terzi di buona fede, la cui posizione «è da ritenere protetta dal principio dell'affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico». In quest'ottica, il richiamo al bilanciamento tra interesse pubblico ed interesse privato, risolto dalla legge con la prevalenza attribuita al primo sul secondo, ha senso solo al fine di dare una giustificazione al sacrificio dei diritti del condannato, non già con riferimento alle situazioni giuridiche dei terzi. Né è apparso pertinente, al fine di giustificare l'estinzione dei diritti dei terzi, il richiamo alla nozione di provvedimento ablatorio o di espropriazione per pubblico interesse. A parte il rilievo che ciò comporta una «contaminazione tra discipline legislative completamente diverse quanto a presupposti e finalità», risulta dirimente la considerazione che «l'espropriazione non determina l'estinzione dei diritti che i terzi eventualmente vantavano sul bene, che invece potranno comunque essere fatti valere sull'indennità di espropriazione». Correttamente, dunque, la giurisprudenza osserva che, quand'anche dovesse ritenersi praticabile «il riferimento alla disciplina della espropriazione per pubblico interesse, dovrebbe, comunque, riconoscersi che il diritto reale di garanzia e la prelazione che lo assiste potrebbero essere fatti valere dal creditore sulle somme ricavate dalla liquidazione delle somme confiscate». Da ultimo, quanto all'idea secondo la quale l'estinzione dei diritti dei terzi deriverebbe dalla necessità di destinare ad uso pubblico cose intrinsecamente pericolose, si è giustamente rilevato che tale argomento vale solo in relazione alle «cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato». Tale esigenza evidentemente non si pone in relazione a quei beni che non si connotano di pericolosità in sé, giacché la confiscabilità dipende unicamente dalla relazione che si instaura tra il bene che si intende confiscare ed il reato commesso. L'idea che nessuna forma di confisca possa determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa si pone in sintonia col «principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito»).

In sede di giurisprudenza di merito, a differenza del disomogeneo quadro di legittimità, si sono recentemente succedute plurime pronunce tese a risolvere il conflitto in parola alla luce del principio dell'ordo temporalis delle formalità pregiudizievoli sulla base della natura derivativa dell'acquisto del bene in capo allo Stato: Trib. Matera 30 ottobre 2018, Trib. Napoli nord 2 giugno 2019 e Trib. Bari 12 marzo 2020.

Tra le argomentazioni a sostegno di quest'impostazione viene sottolineata anzitutto la specialità della disciplina dettata dal Codice antimafia e, correlativamente, l'impossibilità di un'estensione analogica oltre le ipotesi da essa contemplate nonché la soddisfazione dell'interesse statuale a spezzare il vincolo tra il reo e la cosa a mezzo della sottrazione del bene allo stesso, finalità che perciò non richiede necessariamente l'apprensione del bene in capo allo Stato («(....) trattandosi di lex specialis infatti non si reputa ammissibile un'estensione analogica della stessa a fattispecie non espressamente contemplate. D'altra parte, la scelta del legislatore, manifestata da ultimo con la l. n. 161/2017, di estendere la disciplina anzidetta alla c.d. confisca allargata (cfr. testo attuale dell'art. 104-bis disp. att. c.p.p.), conferma la necessità di un'espressa opzione normativa in tal senso e dell'attuale esclusione, dall'ambito applicativo del codice antimafia in punto di conflitti con i titolari di diritti reali di garanzia, delle misure reali penali c.d. ordinarie (sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p. e confisca di cui all'art. 240 c.p.) (...). Ulteriore corollario applicativo di tale impostazione dogmatica è quello per cui, in mancanza di un'espressa scelta normativa ad hoc, come accaduto per le misure di prevenzione, il conflitto tra la pretesa statuale e quella dei terzi creditori andrebbe risolto sulla base del principio dell'ordo temporalis delle formalità pubblicitarie sebbene con l'importante temperamento della verifica della buona fede del creditore da parte del giudice penale (...) laddove il legislatore ha inteso discostarsi dai principi generali ha optato per espresse deroghe normative tipizzando l'improseguibilità dell'esecuzione forzata a fronte di ipotesi di reato di particolare allarme sociale ed a fronte di specifiche misure reali, caratterizzate da una spiccata funzione preventiva e da un'attenuazione del nesso di pertinenzialità tra la cosa ed il reato. D'altra parte, proprio l'allarme sociale connesso ad alcune categorie di reato nonché l'attenuazione del vincolo di pertinenzialità e la progressiva assimilazione della ratio della confisca allargata a quella delle misure di prevenzione ha condotto gli interpreti (prima della recente scelta legislativa) a ritenere improseguibile l'esecuzione forzata anche a fronte della confisca allargata similmente a quanto accade per le misure di prevenzione (cfr. Cass. n. 22814/2013); in assenza perciò di indici normativi di segno contrario la fattispecie va risolta alla luce dei principi generali prima richiamati tenuto conto dell'assenza di un attuale diritto di proprietà in capo allo Stato, diritto che si cristallizzerebbe solo con la confisca e che non giustifica la tutela posticipata del creditore che vanti un'ipoteca o un pignoramento anteriori rispetto alla misura reale penale. D'altra parte, come detto, la funzione di tali misure è quella di sottrarre i beni ad esse sottoposte all'indagato e non già farli transitare nel patrimonio dello Stato. Tale funzione non può dirsi aprioristicamente minacciata dalla vendita forzata in sede civile stante il divieto, per il debitore, di partecipare all'asta. Ancora, il rischio di più agevole riappropriazione del bene in sede civile non è argomento idoneo e sufficiente ad alterare i meccanismi operativi in punto di formalità e di ordo temporalis di iscrizioni e trascrizioni, se non a seguito di una precisa scelta normativa in tal senso così come recentemente si è assistito in tema di confisca c.d. allargata», così Trib. Matera, cit.

Si muove in questo sento anche Trib. Napoli nord, cit. secondo cui «(...) l'art. 55, Codice antimafia, però, non è, allo stato, applicabile ai sequestri (che per comodità espositiva possono essere definiti ordinari) strumentali ad una confisca exartt. 240 o 322-ter c.p., letti in relazione all'art. 321, comma 2, c.p.p. Ed è proprio in relazione a tale ipotesi che la giurisprudenza di legittimità mostra un profilo frastagliato.(... ): i. secondo la Cassazione penale «in tema di rapporto tra sequestro e confisca in sede penale e procedimento immobiliare in sede civile con riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, difettando specifiche disposizioni di legge che lo disciplinino, deve ritenersi che il legislatore abbia considerato ed ammesso la possibilità di una contemporanea pendenza di due procedimenti, cui consegue la possibilità di rinvenire un punto di coordinamento nel principio secondo il quale la confisca diretta del profitto, che nel caso di specie è individuato negli immobili, non può attingere beni appartenenti a persone estranee al reato». Peraltro, «tenuto anche conto del disposto dell'art. 2915 c.c., (...) l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104, disp. att. c.p.p.), che deve essere antecedente al pignoramento immobiliare venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto» (Cass. sez. pen., n. 51043/2018). Va aggiunto che, in altra (sostanzialmente coeva) occasione, la stessa Cassazione penale (Cass. sez. pen. n. 51603/2018) ha specificato che «è manifestamente infondata in diritto la tesi (...) per la quale il richiamo dell'art. 104-bis, disp. att. c.p.p. alle norme di cui al libro I, titolo III, del d.lgs. 159/2011 si estenderebbe anche all'art. 20 del d.lgs. 150/2011 per il riferimento contenuto nell'art. 41», in quanto «confisca di prevenzione, confisca del profitto e confisca per equivalente hanno tre distinte rationes e tre distinte nature giuridiche»; altrimenti detto, si è escluso che la disposizione contenuta nell'art. 104-bis disp. att. c.p.p., relativa all'attuazione dei sequestri ex art. 240-bis c.p. (che opera un richiamo, per quanto qui interessa, alle norme del Codice antimafia), sia applicabile in via analogica ai sequestri ordinari; ii. secondo la Cassazione civile costituisce «principio generale dell'ordinamento» quello della «prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali sulle ragioni del creditore del soggetto colpito dalle misure di sicurezza patrimoniali, anche se il primo sia assistito da garanzia reale sul bene», con la conseguenza che «non può ritenersi fondato il presupposto di diritto alla base della complessiva prospettazione di parte ricorrente, secondo il quale la confisca (facoltativa) disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. in sede penale, laddove non preceduta da sequestro ad essa strumentale, prevale agli effetti civili su quest'ultimo solo laddove venga a sua volta trascritta prima della trascrizione del pignoramento» (Cass. n. 30990/2018). Resta salva solo l'ipotesi in cui vi sia già stata l'aggiudicazione, dovendosi qui ritenere stabile l'acquisto dell'aggiudicatario, posto che «in questo senso, e solo in questo senso, può affermarsi la natura ‘derivativa' del relativo acquisto in favore dello Stato» [i.e. dell'acquisto operato con la confisca]. A ben vedere, quindi, la Cassazione civile si occupa specificamente dell'ipotesi in cui nelle more del procedimento espropriativo sia intervenuta una confisca; confisca che determina – salvo il caso in cui vi sia già stata l'aggiudicazione – la improcedibilità dell'azione esecutiva (perché verrebbe a mancare, sia pure nelle more del procedimento e prima del decreto di trasferimento, la imprescindibile condizione dell'appartenenza del bene al debitore). Invero, nessuno degli arresti sopra citati prende apertis verbis posizione in relazione al punto (che appare invece nodale) se la confisca di cui si tratta (per la quale – si ripete – manca una disposizione «qualificatoria» simile all'art. 45, Codice antimafia, sopra citato) determina un acquisto a titolo derivativo o a titolo originario. Vero è tuttavia che i richiamati precedenti – avuto riguardo ai contrapposti esiti cui pervengono – presuppongono (ancorché non esplicitata) la ricostruzione della vicenda in un senso o nell'altro. Appare evidente, infatti, che la regola dell'ordo temporalis, fatta propria dal recente arresto della giurisprudenza penale, si basa – e non potrebbe essere altrimenti – sulla qualificazione della vicenda che porta lo Stato ad acquistare la proprietà del bene in termini di acquisto a titolo derivativo, se è vero che tale regola viene posta per risolvere – appunto in base al criterio della priorità della formalità pubblicitaria – i conflitti tra diversi aventi causa dal medesimo autore [nel senso che la confisca integri un acquisto a titolo derivativo, nella giurisprudenza precedente, v. Cass. n. 5988/1997, che giunge alla predetta qualificazione sul rilievo che l'acquisto «non prescinde dal rapporto già esistente fra quel bene ed il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto presuppone ed è volto a far venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato (...) allo Stato»]. Al contrario, la regola della generale prevalenza delle esigenze punitive, specie se affermata con la precisazione che la confisca prevale anche laddove non sia trascritta, pare affondare le radici nella ricostruzione della confisca come acquisto a titolo originario (per finalità sanzionatorie) secondo una prospettiva non dissimile (pur nella diversità delle sottostanti esigenze giustificatrici) da quella che connota i provvedimenti ablatori della pubblica amministrazione [nel senso che la confisca integri un acquisto a titolo originario, nella giurisprudenza precedente, v. Cass. n. 20664/2010, dove si sottolinea che l'ipoteca si estingue solo per le cause indicate nell'art. 2828 c.c.; nell'ambito della giurisprudenza di merito v. Trib. Roma n. 15768/2008; Trib. Lucca 6 marzo 1992; Trib. Palermo 24 luglio 1985]. In questa logica, peraltro, e come la dottrina non ha mancato di sottolineare, non sono però adeguatamente esplicitate, nella sent. n. 30990/2018, le ragioni per le quali sarebbe salvo il diritto dell'aggiudicatario a conseguire la proprietà del bene con il decreto di trasferimento. Difatti, se si ragiona in termini di acquisto a titolo originario, non può non essere ricordato l'orientamento secondo cui il conflitto fra l'acquirente a titolo derivativo e quello a titolo originario (nella specie per usucapione) è risolto, nel regime ordinario del Codice civile, a favore del secondo, «indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l'usucapione e dall'anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell'acquisto a titolo derivativo, atteso che il principio della continuità delle trascrizioni, dettato dall'art. 2644 c.c., con riferimento agli atti indicati nell'art. 2643 c.c., non risolve il conflitto tra acquisto a titolo derivativo ed acquisto a titolo originario, ma unicamente fra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa» (Cass. n. 2161/2005; Cass. n. 18888/2008). Principio che – sempre secondo la Cassazione – «trova applicazione anche in relazione all'acquisto di un bene per aggiudicazione in sede di esecuzione forzata, essendo quest'ultimo un acquisto non a titolo originario, ma a titolo derivativo, in quanto trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato da quest'ultimo all'acquirente» (Cass. n. 15503/2000). Per la verità, la giurisprudenza civile (si badi: in un caso relativo ad una confisca antimafia disposta nel vigore della l. n. 228/2012, applicantesi ai procedimenti non ricadenti, ratione temporis, nel regime regolatorio del Codice antimafia) ha successivamente ed opportunamente chiarito che «una delle componenti che concorre in modo significativo all'efficienza delle vendite giudiziarie è rappresentata dalla tutela dell'aggiudicatario. Infatti, la partecipazione ad un'asta giudiziaria sarà tanto più ‘appetibile', quanto minori siano le incertezze in ordine alla stabilità degli effetti dell'aggiudicazione. La prospettiva di un acquisto stabile e sicuro attira un più elevato numero di partecipanti all'asta e determina una più animata competitività nella gara, e quindi, si traduce, in ultima analisi, in un maggior ricavo in minor tempo. Sebbene l'aggiudicatario non vanti sul bene espropriato un diritto soggettivo pieno, quanto piuttosto un'aspettativa, questa non è di mero fatto, bensì di diritto. Infatti, in capo all'aggiudicatario deve essere ravvisato un affidamento qualificato sulla stabilità della vendita giudiziaria, come si ricava dall'art. 187-bis disp. att. c.p.c. e dalla l.fall., art. 18 (v. S.U. , n. 21110/2012). Persino dopo l'estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo, l'aggiudicatario ha diritto al decreto di trasferimento. Per tali ragioni questa Corte ha ravvisato in capo all'aggiudicatario uno speciale ius ad rem (condizionato al versamento del prezzo), rispetto al quale è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede a carico dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato (Cass. III, n. 14765/2014). Il favor legis di cui gode l'aggiudicatario, anche provvisorio, non trova la propria giustificazione nell'esigenza di tutela di una posizione giuridica individuale, bensì nell'interesse generale – di matrice pubblicistica – alla stabilità degli effetti delle vendite giudiziarie, quale momento essenziale per non disincentivare la partecipazione alle aste e quindi per garantire la fruttuosità delle stesse, in ossequio del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (...)» [Cass. n. 3709/2019]. – Peraltro, pur volendo ritenere che un tale principio sia vigente in subiecta materia (cioè al di fuori della materia della prevenzione antimafia), la sua applicazione presuppone, pur sempre, che il procedimento volto all'applicazione della misura penale si sia positivamente concluso con l'adozione della confisca. – Ed invece, siccome dalle indagini finora effettuate dagli ausiliari non è emersa la trascrizione (e, salvo ulteriori accertamenti, anche la stessa adozione) di un provvedimento di confisca, occorre qui ragionare del se l'esecuzione sia – in ragione della sola adozione del sequestro (e cioè prima dell'adozione o della trascrizione di un provvedimento di confisca), peraltro non trascritto – procedibile o meno. – Per risolvere la questione occorre, ad avviso del Tribunale, approfondire due profili. A. In primo luogo, occorre rimarcare che, con riferimento ai sequestri (che abbiamo definito) «ordinari», manca, diversamente da quanto accade con riguardo ai sequestri ed alle confische antimafia ed a quelli espressamente parificati, una disposizione che regoli il «concorso» tra il mero sequestro e la procedura esecutiva. B. In secondo luogo, occorre verificare se tale norma sia enucleabile in via di applicazione analogica. In senso negativo si possono richiamare i seguenti argomenti: come già evidenziato, la Cassazione penale ha espressamente affermato che «è manifestamente infondata in diritto la tesi (...) per la quale il richiamo dell'art. 104-bis, disp. att. c.p.p. alle norme di cui al libro I, titolo III, del d.lgs. n. 159/2011 si estenderebbe anche all'art. 20 del d.lgs. n. 150/2011 per il riferimento contenuto nell'art. 41», in quanto «confisca di prevenzione, confisca del profitto e confisca per equivalente hanno tre distinte rationes e tre distinte nature giuridiche»; la giurisprudenza di merito (invero anteriore ai sopra menzionati arresti della Cassazione civile e di quella penale, ma i cui esiti sono stati confermati in sede reclamo, in data posteriore) ha condivisibilmente osservato che la ratio del sequestro penale qui in discorso «è quella di sottrarre all'indagato (o imputato) la disponibilità del bene»; e che tale funzione preventiva «è soddisfatta con la sottrazione del bene al reo rispetto alla quale, pertanto, non assume rilievo la successiva commerciabilità del bene sottratto»; ne discende che corollario applicativo di tale impostazione «è quello per cui, in mancanza di un'espressa scelta normativa ad hoc, come avvenuto per le misure di prevenzione, il conflitto tra la pretesa statuale e quelle dei terzi creditori andrebbe risolto sulla base del principio dell'ordo temporalis delle formalità pubblicitarie, sebbene con l'importante temperamento dell'accertamento della buona fede in capo al creditore» (accertamento che è indefettibile e che deve essere condotto dal Giudice penale, come precisato da Cass. S.U., n. 11170/2015; ma si tratta di un accertamento che – evidentemente – attiene alla sola possibilità di procedere alla distribuzione del ricavato, laddove nelle more sia intervenuto il provvedimento di confisca, non intercettando, come detto, il profilo della vendibilità del bene) [v. Trib. Matera 30 ottobre 2018/o.; provvedimento confermato, in sede di reclamo, da Trib. Matera 27 ottobre 2019]. Né in senso opposto rileva quanto disposto dall'art. 317, comma 1, CCII, che ha stabilito il principio di prevalenza tra sequestro preordinato alla confisca (deve ritenersi: sia facoltativa che obbligatoria) e procedura di liquidazione giudiziale (olim: fallimento). Invero: a) tale disposizione non è ancora entrata in vigore; b) la stessa attiene – come detto – ai rapporti con la procedura concorsuale, onde è solo a seguito della sua entrata in vigore che potrà ipotizzarsi la relativa applicazione in via analogica alle procedure esecutive; ed anzi, la circostanza che la norma non sia ancora in vigore fornisce ulteriore riprova che, in atto, non vi sia alcuna disposizione che regoli espressamente la materia (o che – come nella specie – regolando un caso retto dalla medesima ratio sia applicabile analogicamente a tale caso). – Per le ragioni sopra esplicitate: non può trovare applicazione in via analogica l'art. 55, Codice antimafia, atteso che – al di fuori di una scelta legislativa esplicita nel senso della equiparazione alla stessa di altre fattispecie – la ratio della norma si connette a doppio filo con la esigenza – che è specifica della c.d. lotta alla criminalità organizzata e quindi settoriale – di estromettere un bene o un complesso di beni dalla circolazione giuridica (il che trova conferma nella prevista possibilità di colpire con tale misura anche fenomeni di intestazione fittizia: v. art. 26, Codice antimafia). È chiaro, quindi, che si tratta di una esigenza preventiva più intesa di quella (propria delle confische «ordinarie» e quindi dei sequestri alle stesse strumentali) di privare puramente e semplicemente il reo della disponibilità del bene e la cui esportazione al di fuori del contesto di riferimento (salva sempre restando una diversa scelta del legislatore) costituirebbe una operazione interpretativa, ad avviso del Tribunale, errata».

Da ultimo, nella medesima direzione interpretativa, Trib. Bari, cit., secondo cui «(...)partendo dalle puntuali motivazioni espresse dai citati precedenti di merito, si evidenzia, premessa l'adesione alla teoria della natura derivativa dell'acquisto (in assenza di norma analoga all'art. 45 cod. antimafia, dal che si deduce la salvezza dei diritti reali di terzi acquistati in epoca anteriore al sequestro), che: a) la ratio del sequestro penale in esame è quella di sottrarre all'indagato (o imputato) la disponibilità del bene (nel caso di specie, dei plessi abusivi), mirando a «impoverirlo» (finalità sanzionatoria) e non ad «arricchire» l'ente beneficiario, sicché la incondizionata prevalenza della misura reale risulta ragionevole solo in presenza di misure «antimafia», in quanto caratterizzate dalla scopo di sottrarre il bene non al soggetto attinto ma alla circolazione giuridica. Diversamente opinando, si determinerebbe un ingiustificato sacrificio del diritto di credito. In altri termini, il bilanciamento degli interessi poggia sulla diversità teleologica delle ipotesi di confisca: la confisca ordinaria ha l'unico obiettivo di recidere il legame tra il reo e il bene, non anche quello di sottrarre il bene dalla circolazione giuridica, scopo, questo, esclusivo della confisca antimafia, evidentemente per tale motivo unica a essere espressamente qualificata come acquisto di natura originaria. Sicché, valorizzando la ratio della confisca ordinaria e l'assenza di disposizione che qualifichi l'acquisito in termini di originarietà, non può che venire in rilievo il principio generale dell'ordo temporalis; b) tale funzione preventiva «è soddisfatta con la sottrazione del bene al reo rispetto alla quale, pertanto, non assume rilievo la successiva commerciabilità del bene sottratto»: anche tenuto conto della circostanza che il debitore non può partecipare all'asta (art. 571 c.p.c.), tale funzione non solo non è evidentemente vanificata dalla messa in vendita (nella specie in sede di esecuzione forzata) del bene in questione, ma può essere anche in tale sede soddisfatta, rendendosi tuttavia necessario il dare congruo avviso della «circostanza» alla platea dei potenziali offerenti, dal momento che l'aggiudicatario dovrà poi ottenere la cancellazione del gravame in sede penale, poiché attività preclusa al g.e. – Se lo scopo della misura ordinaria è quello di recidere il legame tra reo e res, privando il condannato del bene e non arricchendo lo Stato (o il Comune), il rischio di inquinamenti della procedura liquidatoria, si ritiene, deve essere scongiurato con altri mezzi rispetto a quelli del suo radicale divieto o sospensione, come accennato in primis pubblicitari (cfr. pure l'art. 70 c.p.c.: il P.M. ha facoltà di intervenire nell'esecuzione forzata ove ravvisi interventi distorsivi della naturale funzione della procedura). Ne consegue che potrebbe persino azzardarsi che anche la confisca definitiva non impedisce il prosieguo della procedura esecutiva, salve le verifiche in sede penale sotto il profilo distributivo, ad esempio al pari delle ipotesi di sopravvenuto fallimento del debitore (cfr. art. 107, comma 6, l.fall.). Meritevole di approfondimento è, semmai, l'opportunità e la giuridica possibilità, al fine di verificare la concreta destinazione del bene sotto il profilo soggettivo, di disporre, nell'ordinanza di vendita, per la tutela di esigenze pubblicistiche, speciali condizioni di vendita in punto di requisiti soggettivi, in modo da arginare il rischio che il bene ritorni nella «disponibilità» dell'esecutato, per il tramite di un aggiudicatario a questi riconducibile (ad es., escludendo la partecipazione all'asta dei successibili); c) il profilo problematico, pertanto, non è quello della vendibilità del bene ma della sua «(in)appetibilità» (antieconomicità), legata alla presenza del gravame che l'aggiudicatario ha l'onere di cancellare, nonché all'assenza, a monte, di coordinate normative e, a valle, di stabilità pretoria. Deve dunque più correttamente parlarsi non di (in)vendibilità astratta, ma di (in)vendibilità concreta. Il rischio di «inappetibilità» deve quindi essere oggetto di valutazione da parte del creditore; di talché in vicende siffatte acquista rilievo fondamentale e prioritario la verifica del suo interesse al prosieguo. Premesso che, nella fattispecie, non vi sono gli estremi per disporre d'ufficio la chiusura anticipata della procedura ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c., inattuabile sulla base di una prognosi meramente astratta di invendibilità alla luce del gravame penale (in difetto pure di esperimento di tentativi di vendita idonei a «testare» la risposta del mercato) e valorizzando la ratio della citata disposizione, posta a presidio del «ragionevole soddisfacimento» delle pretese creditorie, è evidente che il prosieguo della procedura esecutiva deve essere rimesso alla valutazione del procedente ipotecario, in tal senso e in questo frangente «dominus» dell'azione esecutiva. Nella fattispecie, il procedente non ha assunto specifica posizione sul punto, ma ha comunque chiesto, in sede di udienza ex art. 569 c.p.c., il rinvio della stessa al fine di monitorare lo stato del processo penale di appello»).

Ancora, tra gli argomenti valorizzati a sostegno della natura derivativa dell'acquisto in capo allo Stato, vi è la considerazione per cui la misura reale penale non può attingere beni appartenenti a terzi estranei al reato, non essendo la sua finalità quella di garantire l'immobile allo Stato, quanto di sottrarlo all'indagato, imputato, proposto. D'altra parte, è stato sottolineato, sarebbero percorribili altri strumenti allo scopo di non vanificare la pretesa punitiva dello Stato così abbandonando un approccio di aprioristica sfiducia nella liquidazione forzosa degli immobili (Marchese, 2021, in tal senso Cardino, op. cit., 1564, «(...) se lo scopo del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. – e della futura confisca – è quello di impedire che la libera disponibilità della cosa possa agevolare la commissione di altri reati o protrarne le conseguenze o permettere al colpevole di godere dei vantaggi derivanti dall'illecito, tale finalità viene pienamente raggiunta mediante la liquidazione forzosa del bene; anche davanti al giudice dell'esecuzione civile (o in sede fallimentare). Il rischio di inquinamento della procedura liquidatoria deve essere scongiurato con mezzi diversi da quelli del suo radicale divieto. Non ultimo, ricordando che il Pubblico Ministero ha la facoltà di intervenire nell'esecuzione forzata, ex art. 70 c.p.c., ove ravvisi interventi distorsivi della naturale funzione della procedura. La confisca ha lo scopo di privare il condannato del bene, non lo scopo di arricchire lo Stato».

Dal punto di vista applicativo le premesse teoriche di tale tesi conducono così all' operatività, in mancanza di espresse deroghe normative del principio generale della successione temporale delle formalità nei pubblici registri. Se ne trae così anche la necessità, in base al disposto dell'art. 2915 c.c., della trascrizione della misura reale penale (art. 104 disp. att. c.p.p.) antecedente al pignoramento immobiliare (in termini Cass. pen., n. 51043/2018, inedita, secondo cui «(...) va poi rilevato, tenuto conto anche del disposto dell'art. 2915 c.c., che l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att. c.p.p.), che deve essere antecedente a quella del pignoramento immobiliare, venendo così a rappresentare il presupposto per la confisca anche successivamente all'acquisto. Diversamente, se la trascrizione del sequestro è successiva, il bene deve ritenersi appartenente al terzo pleno iure con conseguente impossibilità della confisca posteriore all'acquisto. A tale evenienza non può sopperire, tuttavia, la mera indicazione della trascrizione del sequestro nel bando di vendita, che non è elemento idoneo ad escludere la buona fede e consentire conseguentemente la confisca, poiché, come pure osservato dal Procuratore Generale, l'estraneità e, quindi, la buona fede, deve essere valutata rispetto al reato e non alle vicende del processo»).

La Cassazione in tal caso (Cass. n. 51043/2018) infatti, in una fattispecie di confisca per equivalente, sulla base della constatata anteriorità dell'ipoteca in favore del creditore procedente, ha risolto il conflitto con la pretesa statuale alla luce dei principi generali e dunque riconoscendo prevalenza all'iscrizione ipotecaria e piena legittimità all'esecuzione proseguita nonostante la sopraggiunta misura reale penale e culminata con il decreto di trasferimento (provvedimento adottato prima della definitività della confisca).

Assumono decisivo rilievo alcuni chiari ed espliciti passaggi motivazionali secondo cui «(...) devono ritenersi pienamente condivise le argomentazioni sviluppate dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, laddove rileva che, in tema di rapporto tra sequestro e confisca in sede penale e procedimento immobiliare in sede civile con riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, difettando specifiche disposizioni che lo disciplinino, deve ritenersi che il legislatore abbia considerato ed ammesso la possibilità di una contemporanea pendenza di due procedimenti, cui consegue la possibilità di rinvenire un punto di coordinamento nel principio secondo il quale la confisca diretta del profitto, che nel caso in esame è individuato negli immobili con riferimento al reato di cui all'art. 11 d. lgs. n. 74/2000, non può attingere beni appartenenti a persone estranee al reato».

La pronuncia, proprio tenuto conto del panorama giurisprudenziale in cui si inserisce, si connota originalmente confermando come la mancanza di espresse disposizioni derogatorie simili a quelle operate, come detto, in tema di misure di prevenzione e confisca allargata, dovrebbe indurre a privilegiare i principi generali fin qui richiamati sulla premessa della natura derivativa dell'acquisto in capo alla Stato che subentra nella titolarità del bene nella stessa posizione del reo con i corollari che ciò comporta in punto di risoluzione dei rapporti tra titolari di diritti confliggenti.

Si colloca in tale ultimo solco interpretativo anche una recente pronuncia della Corte di legittimità (Cass. n. 28428/2020) che, pur non facendo esplicito riferimento alla natura giuridica dell'acquisto del bene in capo allo Stato, parte evidentemente da tale presupposto per affermare l'operatività del principio dell'ordo temporalis delle formalità pregiudizievoli.

La pronuncia, pur dando atto del passaggio in giudicato del rigetto delle pretese dell'amministrazione comunale fondate sull'applicazione analogica dell'art. 55 cit., coglie l'occasione per sottolineare la corretta applicazione dei principi della materia da parte del giudice di merito di primo grado. In particolare, la Corte di legittimità riconosce alla disciplina di cui al d.lgs. n. 159/2011 il carattere della specialità, non essendo espressione di un principio generale di prevalenza delle esigenze pubblicistiche ma operando limitatamente alle ipotesi di confisca direttamente disciplinate dal codice antimafia o da norme che ad esso esplicitamente rinviano («(...) ne segue che, da un lato, i rapporti tra confisca e procedure esecutive civili sono regolati dal d.lgs. n. 159/2011 (con sostanziale prevalenza dell'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi, che solo se di buona fede possono vedere tutelate le loro ragioni, ma in sede di procedimento di prevenzione o di esecuzione penale) esclusivamente nelle ipotesi di confisca che sono disciplinate da quello direttamente o da norme che esplicitamente vi rinviano (come l'art. 104-bis disp. att. c.p.p.; da ultimo: Cass. pen. n. 14378/2020; Cass. pen. n. 30422/2019)»). Ancora, sottolinea come «(...) a regolare i rapporti tra le tipologie di confisca diverse da quelle del d.lgs. n. 150/2011 e le procedure esecutive civili si applica il principio generale della successione temporale delle formalità nei pubblici registri» (si era già espressa in termini, come visto, Cass. pen. n. 51043/2018, cit.).

Come sottolineato in sede di primo commento alla pronuncia in oggetto (Cass. n. 28242/2020), «(...) l'opzione esegetica della Cassazione civile in commento merita consenso. La funzione propria delle misure reali penali non è quella di far conseguire allo Stato il bene confiscato ma, piuttosto, di recidere il collegamento tra indagato/imputato/proposto e disponibilità della cosa. Non è perciò sufficiente una mera diffidenza per il sistema delle esecuzioni individuali ed il rischio connesso alla riappropriazione dei beni per giustificare un'alterazione delle regole generali in punto di soluzione dei conflitti tra titolari di diritti in contrasto. Ancora, si tratta di una scelta interpretativa che si rivela maggiormente conforme all'attuale quadro normativo laddove il legislatore ha tipizzato le ipotesi di prevalenza della misura reale penale limitatamente alle misure di prevenzione (e alla confisca allargata). Laddove il legislatore non è stato altrettanto esplicito occorre perciò attingere, in sede interpretativa, ai principi generali in tema di soluzione dei conflitti tra formalità pregiudizievoli. D'altra parte, proprio la natura generale degli interessi tutelati dalla stabilità della vendita forzata (tutela dell'economia nazionale e del favor nei confronti delle vendite coattive) induce a ritenere che tale acquisto debba essere salvaguardato anche a fronte di una misura di prevenzione. Infine, merita una riflessione il profilo relativo allo stato soggettivo del terzo. Pur non affrontato nella sentenza in commento, va rilevato come, nel corso del tempo, si è registrata omogeneità interpretativa quanto all'indefettibilità dell'accertamento della buona fede del terzo da parte del giudice penale. La rilevanza dell'elemento soggettivo, tuttavia, come condivisibilmente sottolineato dalla dottrina, non appare imprescindibile a fronte della soluzione dei conflitti in oggetto sulla base del principio dell'ordo temporalis in quanto la soluzione viene affidata, piuttosto, alla priorità temporale delle trascrizioni o iscrizioni rispetto alle quali non rileva lo stato soggettivo dei soggetti confliggenti» (Marchese, 2021).

Dal punto di vista applicativo delle c.d. interferenze con l'esecuzione individuale, rintracciare la soluzione nel principio prescelto dalla Cassazione nella pronuncia del 2020, si traduce peraltro in un'anticipazione della tutela del creditore ipotecario quando l'iscrizione sia anteriore alla trascrizione del sequestro (sul punto, cfr. Auletta, 2017, rispetto alla pronuncia della Cass. sez. pen. n. 1390/2017 che invece posticipa la tutela del creditore ipotecario sulla base della considerazione per cui il diritto di garanzia non ha la stessa valenza del diritto dominicale, e ciò per la semplice ragione che il bene continua a rimanere di proprietà dell'imputato il quale avendone la disponibilità, ben può effettuare su di esso negozi giuridici e, pertanto, il conflitto è pur sempre tra un titolare di un diritto di credito, sebbene assistito da garanzia reale, ed il titolare di un diritto di proprietà, che non sono affatto compatibili tra loro. Il contributo infatti sottolinea criticamente come «(...) lo Stato che sequestra non è ancora proprietario del bene (...), l'art. 2808 c.c. riconosce al creditore ipotecario il diritto di espropriare il terzo acquirente del bene costituito in garanzia e quindi l'attuale proprietario dello stesso, anche ove diverso dal debitore/dante causa, se vi è conflitto tra diversi danti causa dal medesimo autore lo stesso va risolto in base all'ordo temporalis e cioè si tratterà pur sempre di iscrizione/trascrizione delle formalità pregiudizievoli»).

Ancora, l'adesione all'opzione esegetica fatta proprio dalla pronuncia del 2020 comporta, correlativamente, la prevalenza di pignoramento ed ipoteca anteriori al sequestro e la procedibilità dell'esecuzione forzata anche quando abbia ad oggetto beni sequestrati (sulla prevalenza di pignoramento ed ipoteca anteriori al sequestro, Cass. S.U., n. 9/1994; Cass. n. 9/1999 ed anche Cass. sez. pen., n. 28145/2013. Sulla procedibilità dell'esecuzione forzata anche quando abbia ad oggetto beni sequestrati, Cass. pen., n. 2635/1989).

Si tratta peraltro di percorso interpretativo che meglio si concilia con la tutela dell'aggiudicatario in quanto, diversamente opinando, una misura reale penale, destinata a prevalere in modo svincolato dai principi in parola, si rivelerebbe pregiudizievole per la stabilità dell'aggiudicazione.

In senso adesivo alla pronuncia del 2020 la dottrina (Farina, 2021) ha segnalato come «(...) la decisione in commento merita di essere segnalata perché segna finalmente un ripensamento della questione da parte della Cassazione civile. Ed infatti, non va dimenticato che Cass. III, n. 30990/2018, aveva ritenuto infondato il presupposto per il quale «la confisca (facoltativa) disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. in sede penale, laddove non preceduta da sequestro ad essa strumentale, prevale agli effetti civili su quest'ultimo solo laddove venga a sua volta trascritta prima della trascrizione del pignoramento». Pertanto, in base a questo orientamento non avrebbe trovato applicazione, per dirimere l'eventuale conflitto tra i creditori del condannato e lo Stato, il principio dell'ordo temporalis delle iscrizioni/trascrizioni, bastando soltanto che – al momento della adozione del provvedimento ablatorio – l'immobile risulti di proprietà del condannato. Tuttavia, la Corte – sempre con la Cass. n. 30990/2018 – non aveva mancato di sottolineare la necessità di tutelare l'acquisto compiuto dall'aggiudicatario, in quanto «solo in questo senso, può affermarsi la natura ‘derivativa' del relativo acquisto in favore dello Stato». In breve: il Collegio era consapevole che la prevalenza incondizionata della misura penale, avrebbe irreversibilmente pregiudicato la salvezza dell'acquisto del terzo, con un inevitabile corto-circuito del sistema».

I più recenti arresti, ad ogni modo, si pongono nel solco della tesi c.d. panpenalistica. In particolare, assume rilievo in tale contesto interpretativo la pronuncia della Cassazione penale (Cass. pen. n. 39201/2021) che, attraverso una complessa lettura del quadro normativo di riferimento, ha esteso l'ambito applicativo dell'art. 104-bis comma 1-sexies d.a. c.p.p. facendolo assurgere a referente normativo funzionale a risolvere il conflitto tra misure reali penali c.d. ordinarie e procedure esecutive sulla scorta del Codice antimafia. La Corte ha infatti statuito che «In tema di confisca ex art. 12-bis del d.lgs. n. 74/2000, la tutela dei terzi di buona fede, titolari di diritti acquisiti anteriormente al sequestro, è assicurata non attraverso l'inopponibilità nei loro confronti del provvedimento ablativo, ma riconoscendo agli stessi la possibilità di far valere le proprie ragioni in sede di esecuzione penale, nel contraddittorio con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo IV, Libro I, d.lgs. n. 159/2011, ed in particolare degli artt. 52 e 55». Come sottolineato dalla giurisprudenza di merito, l'interpretazione offerta dalla Cassazione penale consente un'applicazione del Codice Antimafia non già analogica, ma sulla base di plurimi rinvii normativi. Così Trib. Napoli nord 22 novembre 2021 «il Tribunale, data l'autorevolezza e la specificità dei precedenti in questione (specificità che non si apprezza nella pronuncia richiamata dal procedente), è dell'avviso che la presente esecuzione vada dichiarata improcedibile; va chiarito che le circostanze sopra riportate non si pongono in contrasto con quanto affermato nella prima parte dell'ordinanza del 22.7.2021; non viene in rilievo, infatti, una applicazione analogica della disciplina dettata dal Codice antimafia (la cui possibilità nel predetto provvedimento era stata comunque esclusa) ma una applicazione della stessa recta via sulla scorta del – non del tutto lineare ma comunque inequivoco – sistema di richiami normativi «a catena» esaminato; altrimenti detto, non si tratta di colmare una lacuna normativa o di affermare (quanto meno non in termini di assioma) la natura generale delle norme del Codice antimafia, bensì di fare applicazione di una disciplina normativa specifica; in particolare, il procedimento che porta all'affermazione della soggezione della fattispecie de qua al CAM si snoda attraverso i seguenti passaggi: natura generale dell'art. 578-bis c.p.c. (così come stentoreamente affermata dalle Sezioni Unite della Cassazione); richiamo al comma 1-quater da parte del comma 1-sexies (che a sua volta richiama l'art. 578-bis c.p.c., esprimendo in ciò una precisa scelta normativa in senso estensivo); soggezione di tutte le misure penali alla disciplina richiamata dal comma 1-quater (ossia gli artt. 52 e ss. CAM); d'altro canto, Cass. pen., n. 39201/2021 ha condivisibilmente osservato che «una diversa interpretazione (...) renderebbe del tutto superfluo il comma 1-sexies dell'art. 104-bis cit., posto che già il comma 1-quater del medesimo articolo fa espresso riferimento all'art. 240-bis c.p. e alle altre disposizioni di legge che ad esso rinviano»; in altre parole, la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 104-bis d.a. c.p.p. svolge la funzione di norma-ponte tra i sequestri e le confische «ordinari» ed il Codice antimafia, sotto il profilo della disciplina della tutela dei terzi; se diversamente intesa, la stessa non avrebbe – al contrario – alcun valore precettivo; a fronte di un ordito normativo così congegnato, ed al di là della condivisibilità dello stesso in termini di tecnica normativa e di scelte assiologiche sottese, emerge la (incontestabile, nei limiti della ragionevolezza) volontà del legislatore di aderire ad una visione panpenalistica, ove la tutela del creditore soggiace a regole peculiari per il solo fatto che il bene sul quale questi intenda soddisfarsi sia interessato da una misura di carattere penale (secondo una prospettiva già valorizzata, quando al profilo del necessario accertamento della buona fede, da Cass. S.U., n. 11170/2015)».

Ancora, sempre nel solco panpenalistico si colloca la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 40797/2023) secondo cui «L'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari». La previsione dell'art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 che consente il sequestro dei beni «salvo che appartengano a persona estranea al reato» è stata interpretata nel senso di ritenere che l'attrazione dei beni alla massa fallimentare non consenta di ritenerli come appartenenti a terzi con la conseguenza che la dichiarazione di fallimento dell'imputato non osta al provvedimento di confisca diretta o per equivalente, ai sensi dell'art. 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Il curatore fallimentare è un mero gestore-detentore dei beni dell'imprenditore e questi ultimi, sebbene acquisiti nella procedura concorsuale, non possono qualificarsi come beni appartenenti ad una persona estranea al reato. Come si legge nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, «l'obbligatorietà della confisca del profitto dei reati tributari comporta la prevalenza del vincolo penalistico rispetto ai diritti incidenti, per effetto della pendenza di una procedura concorsuale, sul patrimonio del soggetto sottoposto alla cautela reale, proprio perché i beni restano nella titolarità del fallito e non “passano” al curatore, essendo quindi necessario sottrarli al primo, non potendosi applicare la deroga del “terzo estraneo” di cui all'art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000. La finalità del legislatore di ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato non è, pertanto, vanificabile in alcun modo; va aggiunto che, ove si ragionasse diversamente, si verrebbe ad annettere alla procedura concorsuale un effetto di “improcedibilità” e, nel caso di confisca per equivalente, di “estinzione” della sanzione del tutto extravagante rispetto agli specifici casi contemplati dal sistema codicistico».

In tale contesto interpretativo si colloca la scelta del Codice della crisi di positivizzare la disciplina delle interferenze tra misure reali penali tradizionali e procedure concorsuali facendo esplicito riferimento, ancora una volta, al Codice Antimafia. Vengono in rilievo, in particolare, gli artt. 317 e ss. del CCII che, secondo qualche interprete, consentirebbero un'applicazione della disciplina dettata anche al rapporto tra dette misure e le esecuzioni individuali attesa la lacuna normativa e l'analogia della materia.

Il presupposto soggettivo della buona fede del terzo

Al di là delle oscillazioni in punto di tipologia dell'acquisto in capo allo Stato (a titolo derivativo o originario) è pressoché unanime in sede interpretativa, civile e penale, la ritenuta indefettibilità del presupposto soggettivo della buona fede del terzo (cfr. Cass. n. 29586/2017 secondo cui «in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è persona estranea al reato – nei cui confronti non può essere disposta la misura di sicurezza in esame, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 240 c.p. – il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l'utilizzo del bene per fini illeciti. (Nella specie la Corte ha escluso il requisito dell'estraneità nel caso di soggetto, comproprietario di immobile dove si svolgeva attività di prostituzione, che, legato da stretto vincolo parentale all'altro comproprietario che aveva sottoscritto i contratti di locazione, non aveva dato prova di avere ignorato in maniera incolpevole l'utilizzo del bene»).

Va premesso che può ritenersi terzo il soggetto estraneo al reato, che non abbia partecipato alla sua commissione e che dal reato non abbia tratto nessun vantaggio o utilità. Come sottolineato dalla Cassazione, infatti, è ammessa la misura reale anche nei confronti del soggetto che abbia tratto utilità dalla commissione del reato (così Cass. S.U., n. 10561/2014 secondo cui «È legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l'ente una persona estranea al detto reato»). La Cassazione ha pertanto evidenziato come l'estraneità al reato sia un elemento più ampio rispetto all'estraneità alla commissione dello stesso (in questo senso anche Cass. sez. pen., n. 17840/2019 secondo cui «(...) in ogni caso, a prescindere dai profili di responsabilità del legale rappresentante, l'ente che trae profitto dall'altrui condotta illecita non può mai essere considerato «estraneo» al reato ai fini della confisca diretta del profitto medesimo (cfr., sul punto, C. cost. n. 2/1987 secondo cui l'art. 27, comma 1, Cost., non consente che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto; in senso analogo, Cass. I, n. 3118/ 1991 aveva affermato il principio che la confisca, come misura di sicurezza patrimoniale, è applicabile anche nei confronti di soggetti (quali le società) sforniti di capacità penale. Ciò sul rilievo che l'estraneità al reato esige che la persona cui le cose appartengono non abbia partecipato con attività di concorso o altrimenti connesse, ancorché si tratti di persona non punibile perché priva di capacità penale; nello stesso senso Cass. III, n. 3390/1979, aveva affermato che può ritenersi estraneo al reato soltanto colui che alla commissione del reato medesimo non abbia partecipato in alcun modo con una qualsiasi attività di concorso o altrimenti connessa, ancorché non punibile. Costituisce declinazione di tali insegnamenti il principio affermato da Cass. S.U., n. 10561/2014, sopra riportato; nel senso che la nozione di «persona estranea al reato» cui appartiene e va restituita la cosa sequestrata (art. 240 c.p.) è diversa da persona estranea al procedimento penale, in quanto richiede la estraneità al fatto – reato, che non ricorre in chi sia sfuggito al procedimento penale, Cass. I, n. 7855/1988)».

Sul punto, anche Cass. pen., n. 29586/2017 secondo cui «in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è persona estranea al reato – nei cui confronti non può essere disposta la misura di sicurezza in esame, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 240 c.p.il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l'utilizzo del bene per fini illeciti». Sono plurime anche le ipotesi in cui il requisito soggettivo della buona fede è richiesto nonostante non espressamente previsto dal legislatore: confisca del mezzo impiegato per il trasporto illecito di rifiuti (Cass. n. 18515/2015 «in tema di gestione dei rifiuti, al fine di evitare la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto prevista per il reato di raccolta e trasporto illecito di rifiuti (art. 6 comma 1-bis del d.l. n. 172/2008, conv. in l. n. 210/2008,), incombe al terzo estraneo al reato, individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell'illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati, l'onere di provare la sua buona fede, ovvero che l'uso illecito della «res» gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento colpevole o negligente»), del mezzo di trasporto utilizzato per l'immigrazione clandestina (Cass. n. 1927/2005 «il proprietario del mezzo di trasporto utilizzato per il reato di immigrazione clandestina, previsto dall'art. 12 comma 1 d.lgs. n. 286/1998, perché possa qualificarsi persona estranea al reato e far valere il diritto al dissequestro e alla restituzione del bene, ha l'onere di dimostrare di non aver mantenuto una condotta colposa, costituita dalla mancanza di diligenza nel controllo sull'operato del soggetto che ha materialmente e illecitamente usato il mezzo di trasporto»), di contraffazione di opera d'arte e confisca in danno di persona estranea dal reato (Cass. n. 22038/2003 «in tema di confisca obbligatoria di opere d'arte ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, del d.lgs. n. 490/1999, la clausola di esclusione relativa alle «cose appartenenti a persone estranee al reato» non copre i diritti dell'erede dell'imputato, poiché tali beni, incommerciabili, non possono essere entrati nell'asse ereditario, mentre tale previsione, in conformità alla disposizione generale di cui all'art. 240 c.p., tutela solo l'affidamento del terzo che abbia acquistato le opere in buona fede»), di sottrazione fraudolenta di olii minerali al pagamento delle accise (Cass. n. 15848/2017 «In tema di sottrazione fraudolenta di oli minerali al pagamento delle accise, la confisca del mezzo di proprietà di un terzo estraneo al reato, utilizzato per il trasporto della merce, è esclusa solo se tale soggetto fornisce la prova non soltanto della sua buona fede ma, specificamente, di non aver potuto prevedere, per cause indipendenti dalla sua volontà, l'illecito impiego – anche occasionale – del veicolo da parte di terzi e di non essere incorso in un difetto di vigilanza»).

Così chiarita la posizione del terzo e potendo tale situazione essere assunta anche dal creditore, ne discende l'indefettibilità del presupposto soggettivo della buona fede. Come anche evidenziato dalla dottrina, «(...) il requisito oggettivo dell'anteriorità temporale della formalità pubblicitaria e il requisito soggettivo della buona fede del terzo creditore debbono ricorrere congiuntamente. La buona fede deve essere intesa non come semplice estraneità al reato – ché, nel caso di concorso nel reato, nemmeno potrebbe parlarsi di «terzo» – ma come esclusione di un qualsiasi addebito di negligenza in capo al terzo proprietario, dal quale possa essere derivato l'uso illecito, da parte del responsabile, della cosa confiscata. Ciò, si badi, nonostante l'assenza di previsioni codicistiche in tal senso. L'art. 240 c.p. non fa riferimento, infatti, ad una nozione di buona fede del terzo, nel senso poc'anzi esposto» (Cardino).

Il terzo in buona fede è colui che non abbia partecipato al reato e non abbia tratto utilità o vantaggio (così Cass. sez. pen., n. 4064/2016 secondo cui «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposto nei confronti della società incorporata, può essere esteso alla società incorporante purché si abbia riguardo alla tutela dei terzi di buona fede, estranei al reato. A tal fine occorre verificare, sul piano oggettivo, se attraverso la fusione per incorporazione, la società incorporante abbia conseguito vantaggi o, comunque, apprezzabili utilità, e su quello soggettivo, se, all'atto della fusione, essa non fosse in condizioni di buona fede, cioè se conoscesse o fosse in condizioni di conoscere, attraverso l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, che la società incorporata si era avvantaggiata del profitto derivante dai reati per i quali sia stata disposta la misura cautelare.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato la necessità di tale presupposto soggettivo sia con riguardo alle misure di prevenzione che alle c.d. misure reali penali tradizionali (cfr. ex plurimis, Cass. pen. n. 29586/2017 «in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è persona estranea al reato – nei cui confronti non può essere disposta la misura di sicurezza in esame, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 240 c.p. – il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l'utilizzo del bene per fini illeciti. (Nella specie la Corte ha escluso il requisito dell'estraneità nel caso di soggetto, comproprietario di immobile dove si svolgeva attività di prostituzione, che, legato da stretto vincolo parentale all'altro comproprietario che aveva sottoscritto i contratti di locazione, non aveva dato prova di avere ignorato in maniera incolpevole l'utilizzo del bene)», Cass. pen. n. 42778/2017 «in tema di confisca, rientra nella nozione di «persona estranea al reato», in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti ai sensi dell'art. 240, comma 3, c.p., richiamato dall'ultimo comma dell'art. 2641 c.c., il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall'altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede. (Nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha riconosciuto l'estraneità dell'istituto bancario ai reati di aggiotaggio e di ostacolo all'attività di vigilanza, di cui era stato incolpato il suo amministratore delegato, in quanto la banca non aveva ricevuto alcun vantaggio, bensì un danno, dall'attività criminosa del suo manager)».

Come sottolineato in dottrina, «l'introduzione di un simile requisito si spiega con la necessità di contemperare due esigenze: da un lato, evitare il sacrificio dei diritti dei terzi incolpevoli; dall'altro, garantire l'effettività del sistema di misure di prevenzione antimafia, che risulterebbe vanificata ove non si riuscissero a colpire situazioni di intestazioni fittizie di beni di provenienza mafiosa. Il punto è stato definitivamente chiarito dalla già citata Cass. sez. pen., n. 9/1999, la quale ha affermato che il creditore pignoratizio, per poter ottenere il riconoscimento del proprio diritto reale di garanzia, deve fornire la prova, in aggiunta ai presupposti formali di opponibilità del titolo, della propria estraneità alle attività illecite del reo, intesa questa come situazione nella quale il terzo non abbia tratto alcun vantaggio dall'altrui attività criminosa, ovvero, avendo di fatto tratto vantaggio dalla medesima, non sia tuttavia in grado di dimostrare di trovarsi in una condizione soggettiva di buona fede, nel senso della non conoscenza o non conoscibilità, con l'uso della diligenza richiesta dal caso concreto, del collegamento tra il proprio diritto e l'altrui condotta delittuosa» (così Mazzamuto).

È altresì prevalente l'orientamento secondo cui l'accertamento della buona fede va svolto dal giudice penale e non può essere intrapreso se non a fronte di un provvedimento ablativo definitivo (cfr. Cass. sez. pen., n. 1390/2016; Cass. sez. pen. S.U., n. 11170/2015 secondo cui «(...) la questione del giudice competente a verificare la titolarità del diritto del terzo e l'acquisizione dello stesso in buona fede merita però un ulteriore approfondimento perché la difesa delle due ricorrenti, come risulta dai motivi di ricorso prima riportati, ha sostenuto che l'accertamento dei diritto del terzo compete al giudice fallimentare, in applicazione analogica di quanto previsto in materia di prevenzione antimafia, e che la buona fede deve essere presunta ai sensi dell'art. 1147, comma 3, c.c. La tesi delle società ricorrenti non è condivisibile, oltre che per tutte le ragioni già indicate, anche per la seguente considerazione. L'applicazione della disciplina dettata in tema di misure di prevenzione, la quale, secondo le ricorrenti, prevede che il profitto del reato è comunque destinato alla soddisfazione dei creditori e che alla verifica dei crediti provvede in ogni caso il giudice delegato al fallimento, in materia di confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 in pendenza di procedura fallimentare sollecitata dalle ricorrenti non è possibile per assenza dei presupposti che legittimano il ricorso alla interpretazione analogica. Ciò sia perché si tratta di istituti differenti nelle finalità e nelle modalità applicative, dovendosi, peraltro, ravvisare un carattere di specialità della disciplina del procedimento di prevenzione (vedi Cass. II, n. 10471/2014), sia perché, come si è dimostrato nei paragrafi precedenti, non è ravvisabile una vera e propria lacuna normativa colmabile attraverso l'interpretazione analogica in materia di sequestro/confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 e rapporti di tale istituto con la procedura fallimentare. Siffatta considerazione consente di non approfondire la normativa del c.d. codice antimafia sul punto. Sarà, pertanto, il giudice penale in sede di cognizione e/o di esecuzione che dovrà verificare, oltre la titolarità del diritto, anche l'acquisizione in buona fede dello stesso»).

Ancora, quanto alle misure di prevenzione, a seguito della novella del 2017 (l. n. 161/2017), il requisito della buona fede ha assunto una connotazione rafforzata così ulteriormente sacrificando e restringendo i margini di tutela dei creditori. In base al novellato disposto dell'art. 52, d.lgs. n. 159/2011, infatti, all'esito della riforma del 2017, oltre al carattere non strumentale del credito (con ciò intendendosi il credito non erogato in funzione dell'attività illecita), è necessario anche l'accertamento della buona fede del creditore. Tanto si ricava in via esegetica alla luce dell'attuale locuzione «sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'incolpevole affidamento» in luogo della precedente formulazione della norma («a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità»). In sostanza, non è sufficiente che il credito non sia strumentale all'attività illecita essendo comunque necessaria la prova della buona fede e dell'incolpevole affidamento del creditore. La buona fede così da elemento scusante nel sistema previgente assurge a requisito aggiuntivo che deve sussistere anche per il credito non strumentale (Marchese, 2021).

Come sottolineato in dottrina «(...) la tutela del credito esige, in oggi, due condizioni, le quali debbono coesistere. Una condizione di carattere oggettivo: la non strumentalità; cui si aggiunge una condizione soggettiva: la buona fede. Ne consegue che il credito strumentale non è mai tutelabile. In sostanza, qualora il credito fosse strumentale ad attività illecita, esso non incontrerà alcuna tutela, ancorché il terzo creditore si trovasse in istato di buona fede. Solo nel caso in cui il credito sia non strumentale, si fa assurgere lo stato di buona fede del creditore a condizione indispensabile per la tutela. Si tratta, come si può notare, di un notevole inasprimento del regime di tutela del credito, negata quando questo sia oggettivamente collegato ad attività illecite (o ad attività che ne costituiscono il frutto o il reimpiego), senza che il terzo creditore possa invocare in alcun modo la propria buona fede. Ciò desta notevoli perplessità, in quanto pone nel nulla un diritto soggettivo per motivi di carattere squisitamente oggettivo, dipendente dalla strumentalità del credito rispetto ad attività illecite; senza che rilevi in alcun modo l'inconsapevolezza del terzo creditore rispetto alla finalità delle somme erogate. Nel caso, invece, di credito non strumentale ad attività illecite – o ad attività che di queste costituiscano il frutto o il reimpiego; condizione, come ognuno può notare, di incerta ed estesissima applicabilità – il creditore può dimostrare la buona fede e il proprio inconsapevole affidamento. Buona fede che non è ben chiaro, però, a cosa si riferisca; visto che l'attività finanziata, in tale ipotesi, deve, per definizione, essere oggettivamente lecita e non ricollegabile, nemmeno indirettamente, ad attività criminose. Il nuovo regime di cui all'art. 52, comma 1, lett. b), cod. antimafia – applicabile, in forza di quanto si dirà oltre, anche alle confische «atipiche o allargate» o a quelle penali, disposte per reati di criminalità organizzata – è destinato a porre in secondo piano il dibattito sullo stato di buona fede del terzo creditore; condizione soggettiva la cui rilevanza è stata relegata ai soli debiti «privati» del proposto, nel senso limitato sopra descritto. La buona fede continua, invece, ad avere rilievo qualora intervengano sequestri o confische penali «ordinari» su beni sottoposti a garanzia reale o a pignoramento. La buona fede, inoltre, continua ad avere rilevanza per quei sequestri e confische di prevenzione (e assimilati), cui non applichi la modifica dovuta alla l. n. 161/2017, cit. Cioè, in assenza di specifica norma transitoria, qualora si riconosca alla norma un carattere processuale, in quanto risolve il conflitto fra un provvedimento dell'autorità giudiziaria e il diritto di un terzo, a quelle misure adottate in data anteriore al 19 novembre 2017. Ci si chiede, a questo punto, stante l'esclusione, in via assoluta, di qualunque tutela al credito strumentale all'attività illecita, su chi incomba il relativo onere della prova. Spetta al creditore dimostrare la non strumentalità del credito, esattamente come accade per lo stato soggettivo della buona fede, o spetta al pubblico ministero richiedente dimostrare che l'attività finanziata era illecita? Qualora si considerassero i requisiti posti dall'art. 52, comma 1, cod. antimafia, quali elementi costitutivi della tutela del credito, si dovrebbe concludere che l'onere di dimostrare la loro sussistenza incombe sul creditore. Ovviamente, a conclusione opposta si giungerebbe considerando tali requisiti come fatti impeditivi della tutela» (Cardino).

Va rilevato, tuttavia, come recentemente la Cassazione abbia confermato la possibilità di tutela anche del credito strumentale. In tal senso Cass. sez. pen. n. 28034/2021 secondo cui «Una volta accertato che il credito è strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, il creditore ha l'onere di provare di avere ignorato in buona fede tale nesso di strumentalità, prestando un affidamento incolpevole nella relativa operazione negoziale».

La rilevanza dell'elemento soggettivo, ad ogni modo, come condivisibilmente sottolineato dalla dottrina, non appare imprescindibile a fronte della soluzione dei conflitti in oggetto sulla base del principio dell'ordo temporalis in quanto la soluzione viene affidata, piuttosto, alla priorità temporale delle trascrizioni o iscrizioni rispetto alle quali non rileva lo stato soggettivo dei soggetti confliggenti (così Farina, op. cit., «(...) alla luce delle regole contenute negli artt. 2913 ss. c.c., risulta dunque, irrilevante la buona fede del creditore pignorante, degli intervenuti e, conseguentemente, dell'aggiudicatario, ex art. 2919 c.c. Se poi si considera che la funzione delle misure reali ordinarie è quella di privare l'indagato dei beni da queste colpite (e non da farli acquisire al patrimonio dello Stato), tale funzione non viene compromessa dalla vendita forzata, stante il divieto per il debitore di partecipare all'asta, né potrebbe giustificare l'alterazione dei meccanismi che regolano le formalità e l'ordo temporalis delle iscrizioni e trascrizioni»). D'altra parte, sono eccezionali le ipotesi in cui il legislatore accorda rilevanza allo stato soggettivo di buona fede, cfr. art. 2652, comma 1, nn. 4, 5, 6, 7 e 9, c.c.).

La giurisprudenza, come detto, è piuttosto omogenea nel porre l'onere di provare la buona fede in capo al terzo così come in ordine alla sede di tale accertamento (sul punto Cass. pen. S.U., n. 11170/2015; Cass. pen. S.U., n. 27201/2013 «in materia di confisca – sia quale misura di prevenzione reale, sia quale confisca atipica – i terzi rimasti estranei al procedimento nel cui ambito è stato disposto il sequestro, possono proporre incidente di esecuzione per far valere i propri diritti sul bene oggetto di ablazione, a condizione che versino in buona fede e che abbiano trascritto il loro titolo anteriormente al sequestro»). In tema di misure di prevenzione tale onere, come detto, è codificato all'art. 52, comma 1, lett. b). La rilevanza e decisività dell'elemento della buona fede è argomentata e sostenuta allo scopo di rafforzare la tutela penale così scongiurando la riappropriazione dei beni da parte del reo ed allo scopo di evitare che gli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose possano precostituirsi, mediante i prestiti bancari, una platea fittizia di creditori muniti di titolo avente data certa e dunque destinati a prevalere sulla successiva confisca.

Infine, come anche sottolineato, «(...) proprio l'indefettibilità dell'accertamento della buona fede con onere a carico del creditore e nell'ambito di un incidente di esecuzione dinanzi al giudice penale (art. 666 c.p.p.) costituisce un aspetto di perdurante delicata interferenza tra la misura reale penale ed il normale corso dell'esecuzione forzata con tutto ciò che questo comporta in punto di prosecuzione dell'esecuzione a fronte di formalità dall'innegabile forza dissuasiva dei potenziali offerenti e tenuto conto anche della circostanza che la misura reale non può essere cancellata dal giudice dell'esecuzione civile, anche laddove non opponibile al creditore» (Marchese, 2021).

Le sorti dell'esecuzione forzata e la tutela dell'aggiudicatario.

Le sorti dell'esecuzione forzata nelle ipotesi di interferenza con le misure reali c.d. tradizionali e per le quali permane il vuoto normativo né v'è un esplicito richiamo alla disciplina del Codice antimafia come recentemente accaduto per la confisca allargata, dipendono perciò dall'opzione esegetica che si mutui in punto di natura giuridica dell'acquisto del bene in capo allo Stato.

La natura originaria di detto acquisto porta con sé la prevalenza della misura reale tipica (sequestro o confisca), indipendentemente dalla priorità temporale rispetto all'iscrizione ipotecaria o alla trascrizione del pignoramento e, correlativamente, l'arresto dell'esecuzione forzata. Diversamente, la ricostruzione dell'acquisto in capo allo Stato in termini di acquisto a titolo derivativo, consente di accedere a principi generali in punto di priorità temporale delle formalità pregiudizievoli con correlativa proseguibilità dell'esecuzione forzata laddove il sequestro, debitamente trascritto, sia anteriore rispetto all'iscrizione ipotecaria in favore del creditore procedente o rispetto alla trascrizione del pignoramento (in dottrina, sostiene la tesi della natura derivativa Cardino, secondo cui «(...) alla luce dell'ormai acclarato carattere derivativo dell'acquisto dello Stato per confisca penale tipica, dovrebbe seguire – sia pure con l'importante temperamento della prova della buona fede da parte del terzo – l'aurea regola del prior in tempore, potior in iure. L'unica in grado di generare certezze sulla sorte dei conflitti fra diritti incompatibili. In sostanza, occorrerebbe valutare solo la priorità temporale fra pubblicità della confisca (o del sequestro che l'anticipa) e iscrizione ipotecaria (o trascrizione del pignoramento) per dirimere il relativo conflitto. Esattamente come avviene quando il bene ipotecato, o pignorato, viene alienato a terzi (o da terzi rivendicato etc.) con atto trascritto successivamente. Anche l'affermazione del carattere derivativo dell'acquisto per confiscam, pertanto, viene ad essere superato dal prevalente orientamento di legittimità (si ripete, a scanso di equivoci, che si sta parlando di confisca penale tipica, ex art. 240 c.p.). Non può, poi, sottacersi la difficoltà pratica di svolgimento, davanti al giudice dell'esecuzione penale, delle procedure satisfattive previste dal codice di rito civile per l'escomio dei beni del debitore-condannato. Nulla dicono gli arresti di legittimità su tale, delicato, punto. Viene fatto un fugace riferimento agli artt. 86 e 88 disp. att. c.p.p. e all'art. 13 reg. esec. c.p.p. (Cass. sez. pen., n. 42464/2015), ma è evidente che tali norme si riferiscono ai beni mobili di scarso valore, la cui custodia sia rimasta nelle mani del cancelliere (art. 259, comma 1, c.p.p.), il quale può giovarsi dell'ausilio dell'Istituto Vendite Giudiziarie. Con esclusione, pertanto, delle confische aventi ad oggetto beni (soprattutto immobili) richiedenti la nomina di un ausiliario terzo (per un richiamo anche all'art. 152, d.P.R. n. 115/2002, vedi Cass. sez. pen., n. 12317/2005, in motivazione, par. 6). Bisogna quindi ritenere che il giudice dell'esecuzione penale dovrebbe applicare le forme liquidatorie previste per i beni pignorati dal Terzo Libro del c.p.c., le procedure distributive conseguenti etc. etc. I relativi provvedimenti, poi, dovrebbero essere impugnati, stante la sede processuale, con le forme dell'incidente di esecuzione (artt. 665 e ss. c.p.p.) e non con quelle delle opposizioni esecutive, previste dal codice di rito. Si tratta di problematica non toccata dai citati arresti di legittimità e sulla quale, a quanto consta, non sussistono precedenti in termini. Né si vede come, in via analogica, potrebbero essere applicate, alla confisca penale tipica, le norme in materia di liquidazione dei beni sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale, di cui al Titolo IV, cod. antimafia (cfr. Cass. sez. pen., n. 8935/2016). In mancanza di una qualsivoglia disciplina, relativa alla liquidazione dei beni colpiti da confisca tipica e alla distribuzione del ricavato fra i terzi creditori tutelabili, la conclusione cui è giunta la giurisprudenza di legittimità rimane sospesa in un vuoto normativo). La Corte di cassazione afferma che, consentendo la prosecuzione (o l'inizio) dell'esecuzione civile si cagionerebbe la frustrazione della pretesa ablatoria dello Stato, in caso di futura confisca (cfr., in motivazione, Cass. pen., n. 42464/2015). Ma non è chiaro perché tale frustrazione debba essere considerata un danno da evitare. Se lo scopo del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. – e della futura confisca – è quello di impedire che la libera disponibilità della cosa possa agevolare la commissione di altri reati o protrarne le conseguenze o permettere al colpevole di godere dei vantaggi derivanti dall'illecito, tale finalità viene pienamente raggiunta mediante la liquidazione forzosa del bene; anche davanti al giudice dell'esecuzione civile (o in sede fallimentare). Il rischio di inquinamenti della procedura liquidatoria deve essere scongiurato con mezzi diversi da quelli del suo radicale divieto. Non ultimo, ricordando che il Pubblico Ministero ha la facoltà di intervenire nell'esecuzione forzata, ex art. 70 c.p.c., ove ravvisi interventi distorsivi della naturale funzione della procedura. La confisca ha lo scopo di privare il condannato del bene, non lo scopo di arricchire lo Stato»).

La premessa teorica della natura derivativa dell'acquisto in capo allo Stato comporta, correlativamente, la proseguibilità dell'esecuzione forzata laddove il sequestro intervenga solo successivamente all'iscrizione ipotecaria del procedente o alla trascrizione del pignoramento, circostanza che non consentirebbe di accedere ad una sospensione della procedura né ai sensi dell'art. 623 c.p.c. né dell'art. 624 c.p.c. E tanto viene condiviso dalla dottrina secondo cui «(...) il vincolo disposto dal gip (vincolo successivo sia all'iscrizione ipotecaria, sia alla trascrizione del pignoramento) appartiene alla tipologia delle misure penali reali c.d. ordinarie trattandosi di un sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p. (tipologia a cui va ascritta anche la confisca ex art. 240 c.p.). Ebbene, in mancanza di un'espressa previsione normativa, tali misure e, conseguentemente, il conflitto tra le esigenze dei creditori e quelle dell'aggiudicatario di buona fede sono regolati dal principio di carattere generale dell'anteriorità delle trascrizioni. La seconda: nel caso di specie non sembra consentita un'interpretazione analogica della disciplina propria della confisca c.d. allargata e delle misure penali di cui al codice antimafia per le quali il legislatore ha espressamente previsto (art. 55) l'improseguibilità dell'espropriazione; in effetti, il suddetto codice costituisce una lex specialis che comporta deroghe significative rispetto alla disciplina di diritto comune, non esportabili in altri comparti dell'ordinamento, senza un'esplicita disposizione normativa (lo dimostra la l. n. 161/2017 che ha espressamente esteso tale lex specialis alla confisca allargata). Solo un regime speciale adottato dal legislatore anche in forza del singolare allarme sociale che origina da alcune categorie di reato può, dunque, giustificare un acquisto del bene da parte dello Stato a carattere originario; di contro nel regime ordinario – qual è quello del caso di specie – la funzione del sequestro penale è meramente preventiva, in quanto tesa a privare l'indagato della disponibilità del bene, e, pertanto l'acquisto del bene in capo allo Stato opera a titolo derivativo, con conseguente salvezza dei diritti dei terzi (se trascritti prima della misura penale). Posto che la funzione delle misure reali ordinarie è quella di privare l'indagato dei beni da queste colpite «e non già di farli transitare nel patrimonio dello Stato, tale funzione non può dirsi minacciata dalla vendita forzata in sede civile stante il divieto per il debitore di partecipare all'asta» (p. 6 ord. g.e.), ne potrebbe giustificare l'alterazione dei meccanismi che regolano le formalità e l'ordo temporalis delle iscrizioni e trascrizioni. In breve: l'anteriorità dell'ipoteca (e/o del pignoramento) in forza delle regole proprie della trascrizione determina la salvezza dell'acquisto dell'aggiudicatario e in caso di sopravvenuta confisca la pretesa dello Stato avrebbe ad oggetto non più il bene, ma il ricavato (trattandosi di misura ablatoria indirizzata al tantundem). Alle considerazioni sopra illustrate va aggiunto che la soluzione fornita dal g.e. prima e dal tribunale di Matera poi è altresì confortata dalla disciplina propria della sospensione dell'esecuzione. Ed infatti il caso di specie non integra affatto – come invece chiesto dal debitore – un'ipotesi di sospensione ex art. 623 c.p.c. non essendo disposta dal giudice della impugnazione del titolo esecutivo di formazione giudiziale; né dal giudice dell'opposizione a precetto; né può ricondursi ad una forma di sospensione ex lege posto che non è applicabile al caso di specie la normativa di cui all'art. 55 del d.lgs. n. 159/2011. Se poc'anzi si è dato conto del passo in avanti fatto nella tutela dei diritti di credito dalla giurisprudenza di merito e della Cassazione penale, deve per completezza essere segnalato che dalla Cass. n. 30990/2018 provengono indicazioni contrarie che possono così riassumersi: è infondato il presupposto per il quale «la confisca (facoltativa) disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. in sede penale, laddove non preceduta da sequestro ad essa strumentale, prevale agli effetti civili su quest'ultimo solo laddove venga a sua volta trascritta prima della trascrizione del pignoramento». Pertanto non trova applicazione, per dirimere l'eventuale conflitto tra i creditori del condannato e lo Stato, il principio dell'ordo temporalis delle iscrizioni/trascrizioni, bastando soltanto che – al momento della adozione del provvedimento ablatorio – l'immobile sia di proprietà del condannato; salvo precisare che per questo stesso motivo, va fatto salvo l'acquisto compiuto dall'aggiudicatario, in quanto «solo in questo senso, può affermarsi la natura ‘derivativa' del relativo acquisto in favore dello Stato» (così Farina).

Nel stesso senso, quanto alle ricadute applicative della natura derivativa dell'acquisto del bene in capo allo Stato, si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito. Così Trib. di Napoli nord 1° giugno 2019, cit. secondo cui «(...) non può trovare applicazione l'art. 623 c.p.c., che presuppone una disposizione che determini l'effetto sospensivo di cui il Giudice debba prendere atto e ciò anche intendendo tale norma come norma di chiusura in tema di poteri sospensivi innominati del giudice dell'esecuzione civile, dettata a fini di coerenza dell'ordinamento processuale» (Cass. n. 22814/2013), perché, invero, ciò non toglie che si tratti pur sempre di una «sospensione esterna» e che, quindi, il relativo effetto debba essere dichiarato dal g.e. a condizione che sia aliunde previsto o disposto. In definitiva, deve ritenersi che, con le opportune cautele (relative alla opportunità di una esplicita richiesta del creditore di procedere malgrado la riscontrata criticità – che potrebbe far scemare l'interesse del mercato per il bene –, richiesta nella specie formulata, alla necessità monitorare lo sviluppo del parallelo procedimento penale ed alla necessità di informare adeguatamente il mercato della relativa pendenza, allorché si autorizzi, in sede civile, la messa in vendita e si proceda perciò alla formazione degli avvisi di vendita), la presente esecuzione possa procedere oltre, a ciò non ostando la adozione (e, in thesi, per le ragioni dette anche la trascrizione, purché successiva alla trascrizione del pignoramento o all'iscrizione dell'ipoteca) del sequestro di cui si è detto; ciò con l'opportuna precisazione che, nel caso di specie, la mancata trascrizione del sequestro lo rende senz'altro inopponibile al creditore procedente, la cui iscrizione ipotecaria, oltretutto, risulta anteriore alla stessa adozione del provvedimento penale)».

Ancora, quanto allo specifico profilo della tutela dell'aggiudicatario, i limiti della tesi della natura originaria dell'acquisto e, segnatamente della prevalenza delle misure reali penali, erano stati già evidenziati dalla stessa giurisprudenza che aveva tuttavia optato per detta prevalenza. Assume rilievo sotto tale profilo, in particolare, un passaggio motivazionale della sent. Cass., n. 30990/2018 laddove, a fronte della necessità di tutelare l'acquisto dell'aggiudicatario concludeva ritenendo che «in altri termini, secondo la ricostruzione dell'istituto della confisca (anche quella disposta ai sensi dell'art. 240 c.p., costituente misura di sicurezza penale, obbligatoria o facoltativa che sia) quale provvedimento ablativo dei diritti del condannato e di tutti i diritti gravanti sul bene confiscato, ricostruzione che sta alla base degli orientamenti (sia in sede civile che in sede penale) di questa Corte, l'eventuale conflitto tra i diritti dei creditori del condannato stesso (anche se essi siano assistiti da garanzia reale sul bene e/o abbiano già proceduto al pignoramento) e quelli dello Stato, beneficiario del provvedimento stesso, non si risolve, sul piano civilistico, in base all'anteriorità della iscrizione o trascrizione nei registri immobiliari dei relativi acquisti, essendo sufficiente, per la prevalenza degli effetti civili della confisca, che questa intervenga (a prescindere dalla sua trascrizione) nel momento in cui il bene confiscato risulti ancora di proprietà del condannato (o quanto meno esso non sia stato già oggetto di un provvedimento di aggiudicazione in favore di un terzo, in sede di esecuzione forzata, secondo quanto espressamente previsto dalle disposizioni in tema di confisca di prevenzione: in questo senso, dunque, e solo in questo senso, può affermarsi la natura «derivativa» del relativo acquisto in favore dello Stato); il suddetto conflitto, ai fini della tutela dei diritti dei terzi creditori, può essere risolto invece sul piano penalistico, in sede di incidente di esecuzione della misura».

Come sottolineato dalla dottrina, la motivazione svolta dalla Corte di Cassazione è sintomatica della consapevolezza del rischio che tale opzione esegetica reca con sé, ovvero il pregiudizio rispetto alla stabilità dell'acquisto del terzo (così Farina «(...) ed infatti, non va dimenticato che Cass. III, n. 30990/2018, aveva ritenuto infondato il presupposto per il quale «la confisca (facoltativa) disposta ai sensi dell'art. 240 c.p. in sede penale, laddove non preceduta da sequestro ad essa strumentale, prevale agli effetti civili su quest'ultimo solo laddove venga a sua volta trascritta prima della trascrizione del pignoramento». Pertanto, in base a questo orientamento non avrebbe trovato applicazione, per dirimere l'eventuale conflitto tra i creditori del condannato e lo Stato, il principio dell'ordo temporalis delle iscrizioni/trascrizioni, bastando soltanto che – al momento della adozione del provvedimento ablatorio – l'immobile risulti di proprietà del condannato. Tuttavia, la Corte – sempre con la Cass. n. 30990/2018 – non aveva mancato di sottolineare la necessità di tutelare l'acquisto compiuto dall'aggiudicatario, in quanto «solo in questo senso, può affermarsi la natura ‘derivativa' del relativo acquisto in favore dello Stato». In breve: il Collegio era consapevole che la prevalenza incondizionata della misura penale, avrebbe irreversibilmente pregiudicato la salvezza dell'acquisto del terzo, con un inevitabile corto-circuito del sistema. Più sensibile al problema della tutela dei creditori e dell'aggiudicatario era risultata, invece, la giurisprudenza di merito (Trib. Matera 30 ottobre 2018) che aveva optato per la prosecuzione dell'espropriazione nonostante la sopravvenuta trascrizione del sequestro preventivo penale, anticipando così l'orientamento inaugurato dalla Suprema Corte (si tratta di Cass. sez. pen. 51043/2018). Ed infatti, a norma dell'art. 2915 c.c., la giurisprudenza di merito aveva affermato che l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in sede esecutiva dipende dal momento della trascrizione della misura penale, trascrizione che se successiva a quella del pignoramento immobiliare risulta inopponibile ai creditori e, conseguentemente, al terzo aggiudicatario. Con la decisione in commento la Corte si allinea, dunque, ai risultati raggiunti dalla giurisprudenza di merito più attenta (peraltro già confermati dalla Cassazione penale), affermando che le misure penali reali c.d. ordinarie, in mancanza di un'espressa previsione normativa, seguono il principio di carattere generale dell'anteriorità delle trascrizioni. Né potrebbe giustificarsi un'interpretazione analogica della disciplina propria della confisca cd. allargata e delle misure penali di cui al codice antimafia per le quali il legislatore ha espressamente previsto (art. 55) l'improseguibilità dell'espropriazione. Ciò in quanto, il suddetto codice costituisce una lex specialis che presenta deroghe significative rispetto alla disciplina di diritto comune, non importabili in altri settori dell'ordinamento, senza un'esplicita disposizione normativa. Una conferma alla correttezza di tale ricostruzione è direttamente fornita dalla l. n. 161/2017 che ha espressamente esteso tale lex specialis alla confisca allargata. Solo un regime speciale – adottato dal legislatore anche in considerazione dell'allarme sociale provocato da alcune categorie di reato – può prevedere un acquisto del bene da parte dello Stato a carattere originario; di contro nel regime ordinario – quale quello del caso di specie – la funzione del sequestro penale è meramente preventiva, in quanto tende a privare l'indagato della disponibilità del bene, e, pertanto l'acquisto del bene in capo allo Stato opera a titolo derivativo, con conseguente salvezza dei diritti dei creditori e dei terzi (se trascritti prima della misura penale).

D'altra parte, la pronuncia del 2018 «(...) non esplica adeguatamente le ragioni per le quali sarebbe salvo il diritto dell'aggiudicatario a conseguire la proprietà del bene con il decreto di trasferimento, data anche l'impossibilità di applicare in via analogica – in ragione del suo carattere temporaneo – l'art. 1, comma 195, l. n. 228/2012. Difatti, se si ragiona in termini di acquisto a titolo originario, non può non essere ricordato l'orientamento secondo cui il conflitto tra l'acquirente a titolo derivativo e quello a titolo originario (nella specie per usucapione) è risolto, nel regime ordinario del Codice civile, a favore del secondo», così Auletta, 313, cit.

Sulla prevalenza dell'acquisto a titolo originario con specifico riguardo al giudizio di usucapione ed alla posizione processuale del creditore garantito da ipoteca quale litisconsorte necessario, cfr. Cass. sez. civ., n. 29325/2019 secondo cui «nel giudizio avente ad oggetto l'usucapione di beni immobili è litisconsorte necessario il creditore garantito da ipoteca iscritta anteriormente alla trascrizione della domanda, in quanto titolare di un diritto reale – risultante dai pubblici registri ed opponibile erga omnes – di cui l'usucapione produce l'estinzione. Ne deriva che la sentenza resa in pretermissione di tale creditore non spiega effetti nei suoi confronti e può essere apprezzata quale mero elemento di prova nella opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. promossa dall'usucapente avverso l'espropriazione dello stesso bene immobile».

La Cassazione in una pronuncia in tema di confisca antimafia disposta nel vigore della l. n. 228/2012 e dunque con riguardo a misure di prevenzione non disciplinate dal codice antimafia, ha sottolineato il carattere generale della tutela dell'aggiudicatario e della stabilità della vendita, quali esigenze che si pongono a presidio della stessa efficienza delle vendite forzate oltre che a tutela dell'interesse del singolo aggiudicatario, Cass. n. 3709/2019 secondo cui «(...) il problema del conflitto fra i creditori pignoranti e lo Stato che confisca il medesimo immobile si svolge sul piano dei principi generali. Da un lato, emerge l'interesse pubblico a reprimere il fenomeno della criminalità organizzata, soprattutto nella sua dimensione economica, sottraendole i patrimoni provento di reato ed evitando il finanziamento di ulteriori attività illecite. Sul versante opposto si pone il diritto del creditore a soddisfarsi sui beni del debitore, che trova la sua consacrazione non solo nell'art. 2740 c.c., ma anche nei principi costituzionali di tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24 Cost.), dell'iniziativa economica (art. 41 Cost.) e della proprietà privata (art. 42 Cost.). Vengono in rilevo, inoltre, i principi fondamentali del giusto processo e della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.). Il processo esecutivo, infatti, non si sottrae all'esigenza pubblicistica di uno svolgimento rapido ed efficiente. In particolare, sotto quest'ultimo profilo, assume rilievo centrale la fase liquidatoria: l'espropriazione forzata sarà tanto più efficiente, quanto più elevato sia il prezzo di aggiudicazione e minore il numero dei tentativi di vendita. Pertanto, approntare le condizioni alle quali la vendita forzata è maggiormente fruttuosa significa dare concreta attuazione al principio del giusto processo anche dell'ambito dell'espropriazione forzata. Una delle componenti che concorre in modo significativo all'efficienza delle vendite giudiziarie è rappresentata dalla tutela dell'aggiudicatario. Infatti, la partecipazione ad un'asta giudiziaria sarà tanto più «appetibile», quanto minori siano le incertezze in ordine alla stabilità degli effetti dell'aggiudicazione. La prospettiva di un acquisto stabile e sicuro attira un più elevato numero di partecipanti all'asta e determina una più animata competitività nella gara, e quindi, si traduce, in ultima analisi, in un maggior ricavo in minor tempo. Sebbene l'aggiudicatario non vanti sul bene espropriato un diritto soggettivo pieno, quanto piuttosto un'aspettativa, questa non è di mero fatto, bensì di diritto. Infatti, in capo all'aggiudicatario deve essere ravvisato un affidamento qualificato sulla stabilità della vendita giudiziaria, come si ricava dall'art. 187-bis disp. att. c.p.c. e dalla l.fall., art. 18 (v. Cass. S.U., n. 21110/2012). Persino dopo l'estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo, l'aggiudicatario ha diritto al decreto di trasferimento. Per tali ragioni questa Corte ha ravvisato in capo all'aggiudicatario uno speciale ius ad rem (condizionato al versamento del prezzo), rispetto al quale è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede a carico dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato (Cass. III, n. 14765/2014). Il favor legis di cui gode l'aggiudicatario, anche provvisorio, non trova la propria giustificazione nell'esigenza di tutela di una posizione giuridica individuale, bensì nell'interesse generale – di matrice pubblicistica – alla stabilità degli effetti delle vendite giudiziarie, quale momento essenziale per non disincentivare la partecipazione alle aste e quindi per garantire la fruttuosità delle stesse, in ossequio del principio costituzionale di ragionevole durata del processo. Questo favor è certamente presente anche nelle scelte compiute dal legislatore penale. La disciplina transitoria contenuta nella l. n. 228/2012, art. 1, comma 195, infatti, ritiene subvalenti le ragioni individuali del creditore, rispetto all'esigenza di repressione di fenomeni criminali di particolare gravità, ma fa salva la tutela dell'aggiudicatario, nell'evidente consapevolezza che diversamente si infliggerebbe un grave vulnus all'efficienza dell'intero sistema delle vendite giudiziarie. Consegue che, in presenza di una scelta legislativa così saldamente radicata nei principi generali che regolano il processo esecutivo, non vi è spazio per trovare una regola di contemperamento fra gli opposti interessi del creditore e dello Stato diversa da quella sopra richiamata. L'unico criterio legale per regolare il conflitto fra le ragioni dei creditori e quelle dello Stato è dettato dalla l. n. 228/2012, art. 1, comma 195: restano salvi gli effetti non solo dei trasferimenti, pure quelli dell'aggiudicazione, anche in via provvisoria, determinatisi in data anteriore al 1° gennaio 2013 (data di entrata in vigore della legge). Va dunque affermato il seguente principio di diritto: «Nel caso di sequestro penale o confisca disposti ai sensi della l. n. 575/1965 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) su un bene immobile che è oggetto di espropriazione forzata, l'interesse dello Stato a confiscare il bene prevale, secondo quanto disposto dall'art. 1, comma 194, della l. n. 228/2012 su quello del creditore a soddisfarsi sull'immobile, ma è sempre recessivo rispetto a quello del terzo che si sia reso aggiudicatario del bene, anche in via provvisoria, in data anteriore all'entrata in vigore della stessa l. n. 228/2012 (1 gennaio 2013). A tali fini è irrilevante la circostanza che l'Erario abbia proposto opposizione di terzo con ricorso depositato anteriormente all'aggiudicazione, qualora la procedura esecutiva non sia stata tempestivamente sospesa».

E proprio la natura generale degli interessi tutelati dalla stabilità della vendita forzata (tutela dell'economia nazionale e del favor nei confronti delle vendite coattive) ha indotto a ritenere che tale acquisto debba essere salvaguardato anche a fronte di una misura reale penale.

La stabilità della vendita è funzionale, come detto, non solo alla tutela dell'affidamento dell'aggiudicatario (art. 187-bis disp. att. c.p.c.), ma anche alla soddisfazione di interessi di portata generale. La Corte di legittimità ha spesso dato atto dell'esistenza di un vero e proprio ius ad rem sul bene in capo all'aggiudicatario. Ne discinderebbe così l'inidoneità del sequestro successivo all'aggiudicazione non sia idoneo a travolgerla. Al contempo, il contemperamento delle ragioni pubblicistiche penali potrebbe realizzarsi con un sequestro per equivalente del prezzo di aggiudicazione, art. 25 Codice Antimafia (sulla configurabilità di uno ius ad rem in capo all'aggiudicatario, Cass. n. 14765/2014 secondo cui «a tale stregua, atteso che con l'esaurimento dell'iter procedimentale l'aggiudicatario definitivo acquista una posizione giuridica tutelata, da questa Corte già qualificata come ius ad rem, sospensivamente condizionata al versamento del prezzo (v. Cass. n. 1730/1995; Cass. S.U., n. 413/1983. Nel senso che l'aggiudicatario goda di un'«aspettativa o di un diritto al diritto (...) per ottenere il trasferimento, aspettativa anch'essa giuridicamente tutelata» v. Cass. n. 5751/1993), il soggetto tenuto alla custodia e conservazione del bene oggetto di aggiudicazione è in relazione alla medesima tenuto, in virtù degli obblighi di diligenza e buona fede, su di lui incombenti, ad assicurare la piena corrispondenza tra la cosa sulla quale è caduta la manifestazione di volontà dell'aggiudicatario e quella venduta (v. Cass. n. 1730/1995), nonché a tutela dell'aspettativa dell'aggiudicatario, quale posizione giuridica strumentale, attualmente tutelata, distinta da quella finale di proprietà. A tali obblighi è invero senz'altro tenuto il proprietario esecutato).

Si è espresso nel senso della necessità di presidiare la stabilità dell'acquisto del bene da parte dell'aggiudicatario, Cardino, op. cit., «(...) ritengo che anche l'aggiudicazione precedente il sequestro debba rimanere ferma e il decreto di trasferimento emesso, nonostante la sopravvenienza della misura patrimoniale. Ciò, in applicazione dell'art. 187-bis disp. att. c.p.c., che impone la stabilizzazione della vendita anche nel caso di chiusura anticipata dell'esecuzione. Benché la sospensione non consenta l'emissione di ulteriori atti esecutivi, una volta perfezionatasi l'aggiudicazione, ed essendo la stessa poziore rispetto al sequestro di prevenzione successivo, il decreto di trasferimento altro non rappresenta che un atto dovuto e consequenziale. Il versamento del saldo prezzo fa sorgere, in capo all'aggiudicatario un vero e proprio ius ad rem, che non vi sarebbe motivo di disconoscere. Un indice normativo in favore della tutela del semplice aggiudicatario, anche provvisorio, si può rinvenire nell'art. 1, comma 195, l. n. 228/2012. Nel vigore della precedente normativa sulle misure di prevenzione patrimoniali, sulla tutela dell'acquisto del terzo aggiudicatario, Cass. n. 845/2007. Inoltre, la previsione del sequestro e della confisca di prevenzione, per equivalente, di cui all'art. 25, comma 1, codice antimafia, ben può applicarsi anche al caso di aggiudicazione del terzo in buona fede. In altre parole, avendo il proposto perso la disponibilità del bene aggiudicato, ben può riconoscersi nel ricavato dell'aggiudicazione quel bene di valore equivalente e di legittima provenienza che può essere sottoposto alla misura patrimoniale».

Le ricadute del dibattito interpretativo anche in ordine ai confini della tutela dell'aggiudicatario sono destinate ad essere fortemente incise dall'opzione che si scelga in punto di applicabilità o meno, in via analogica, e sulla scorta del CCII, della disciplina di cui al Codice Antimafia specie nella particolare ipotesi in cui la misura penale intervenga tra l'aggiudicazione e l'adozione del decreto di trasferimento. Laddove, infatti, si ritenesse di poter risolvere, in via analogica sulla base della disciplina dettata dagli artt. 317 e ss. CCII cit., anche i rapporti tra esecuzioni individuali e misure reali penali, verrebbe in rilievo la natura originaria dell'acquisto quale emerge dall'art. 45 d.lgs. n. 159/2011. Non rileverebbe cioè l'anteriorità della trascrizione del pignoramento in quanto il principio dell'ordo temporalis delle formalità pregiudizievoli presidia solo il conflitto tra acquisti a titolo derivativo che sono invece soccombenti nel confronto con un acquisto a titolo originario.

Bibliografia

Auletta, Interferenze tra misure penali reali e procedure espropriative immobiliari e le anguste prospettive di tutela del terzo, in REF, 2020, 313; Auletta, Misure reali penali antimafia e procedure esecutive individuali e concorsuali, in IUS-Crisi d'Impresa, 6 maggio 2017; Auletta, L'amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario a seguito della riforma del codice antimafia, in IUS-Penale, 30 novembre 2017; Auletta, Sequestro e confisca antimafia: le principali questioni interpretative, con segnato riferimento alla (denegata) tutela del creditore ipotecario, in IUS-Processo civile, 1° febbraio 2017; Bongiorno, La giustizia civile tra nuovissime riforme e diritto vivente - Gli attuali contrasti giurisprudenziali in materia di vendite forzate dei beni confiscati, GI, 2009, 6; Calvigioni, La tutela del credito e l'esecuzione forzata tra il sequestro preventivo penale e la confisca definitiva, FI, 2016, 11, I, 3693.3696 (nota a Ordinanza Trib. di Sassari, 3 novembre 2015); Cardino, Sequestri, confische ed espropriazione forzata, in Processo di esecuzione, Padova, maggio 2018; Farina, Esecuzioni civili: per le confische diverse dalle misure patrimoniali antimafia vale la priorità della trascrizione, in IUS-Processo civile, 23 dicembre 2020; Farina, Sulla tutela dei creditori ipotecari e dell'aggiudicatario nell'espropriazione di beni confiscati, Fa, 2008, 6, 493 ss.; Guardigli, Le misure preventive patrimoniali antimafia al cospetto dei diritti vantati dai terzi in buona fede, CorG, 2016, 1, 32; Gorgoni, Confisca antimafia e terzi creditori titolari di diritti reali parziari, in ilcaso.it, doc. 276/2011; Leuzzi, I rapporti tra misure ablatorie penali e liquidazione giudiziale nel CCII, Fa, 2019, 12, 1440; Marchese, Misure reali penali ed esecuzioni individuali: la specialità della disciplina del Codice Antimafia, in REF, 2021, 128; Marchese, Misure reali penali ed esecuzione civile, in Giustiziacivile.com, 13 novembre 2019; Mazzamuto, Gli aspetti civilistici della confisca dei beni alla criminalità organizzata, in CeI, 2012, 6, 1387; Menditto, Le luci e le molte ombre del c.d. codice antimafia, CP, 2012, 799 ss.; Monteleone, Effetti ultra parte delle misure patrimoniali antimafia, RTPC, 1988, 576; Ziino, Le Sezioni Unite tra nomofilachia e monocraticità: note critiche ad una recente decisione in materia di espropriazione forzata di beni oggetto di misure di prevenzione patrimoniali, DF, 2013, 5, 2041.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario