Disp. Att. Trans. Codice Procedura Civile - 18/12/1941 - n. 1368 art. 181 - Disposizioni sulla divisione 1.

Giorgia Viola

Disposizioni sulla divisione 1.

[I]. Il giudice dell'esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice, se gli interessati sono tutti presenti.

[II]. Se gli interessati non sono tutti presenti, il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui all'articolo 600, secondo comma, del codice, fissa l'udienza davanti a sé per la comparizione delle parti, concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l'integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell'ordinanza. Al procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 281-undecies e seguenti del codice.2.

 

[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 2 3-ter lett. f) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dalla data indicata sub art. 161-bis. Per la disciplina transitoria v. art. 23-sexies d.l. n. 35, cit., sub art. 161-bis. Il testo precedentemente in vigore, era il seguente: «[I]. Il giudice dell'esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice, se gli interessati sono tutti presenti e l'ufficio al quale egli appartiene è competente per la divisione. [II]. Se tutti gli interessati non sono presenti o per la divisione è competente altro giudice, il giudice dell'esecuzione fissa il termine perentorio entro il quale, a cura della parte più diligente, deve essere proposta domanda di divisione nelle forme ordinarie».

[2] Comma modificato dall'art. 4, comma 4, lett. g) ,  d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha aggiunto il seguente periodo «Al procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 281-undecies e seguenti del codice.»  Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

Al termine dell'udienza di comparizione degli interessati, il Giudice dell'esecuzione decide con ordinanza per a) la separazione in natura della quota del comproprietario obbligato; b) la vendita della quota indivisa; c) l'introduzione del giudizio di divisione incidentale.

Invero, il giudizio di divisione costituisce l'esito più probabile dell'udienza ex art. 600 c.p.c., considerato – per un verso – la difficoltà pratica di eseguire la separazione della quota in natura e – dall'altro – lo sfavore del legislatore per la vendita della quota.

Prima della riforma del 2005 la competenza per il giudizio di divisione endoesecutivo spettava al Giudice dell'esecuzione solo nel caso in cui l'ufficio al quale apparteneva fosse competente per tale giudizio, altrimenti la relativa domanda andava proposta secondo i criteri ordinari. In tal caso, il Giudice dell'esecuzione fissava un termine per l'introduzione del giudizio di divisione a carico della parte più diligente.

Il legislatore del 2005, modificando gli artt. 600 c.p.c. e 181 disp. att. c.p.c., ha attribuito la competenza del giudizio di divisione al giudice dell'esecuzione in funzione di giudice della cognizione e ha inciso sulle modalità della sua introduzione.

Il giudizio di divisione è tradizionalmente considerato una parentesi di cognizione nell'ambito del procedimento esecutivo, autonoma e distinta da questo, così da non poter essere considerata una continuazione o una fase (Cass. n. 6072/2012; Cass. n. 2889/1982).

La competenza funzionale del Giudice dell'esecuzione a conoscere del giudizio di divisione incidentale che egli stesso ha disposto permette una maggiore celerità del procedimento divisorio.

Procedimento: ricorso al Giudice dell'esecuzione per la fissazione dell'udienza di comparizione

Al fine di determinare le modalità attraverso cui liquidare la quota sottoposta ad esecuzione, il creditore pignorante deve proporre – ai sensi dell'art. 600, comma 1, c.p.c. – ricorso al Giudice dell'esecuzione per la fissazione dell'udienza di comparizione per l'audizione degli interessati.

Il Giudice dell'esecuzione, nel fissare l'udienza, pone a carico dell'istante l'onere di notificare il relativo decreto e il ricorso al fine di procedere all'audizione dei soggetti portatori di un interesse giuridicamente rilevante a tutti i provvedimenti adottabili.

Udienza di comparizione delle parti

L'udienza prevista dagli artt. 600 c.p.c. e 180, comma 2, disp. att. c.p.c. è il momento in cui il Giudice dell'esecuzione, nel contraddittorio con tutti gli interessati individua la via più adeguata per una celere ed utile esecuzione rispetto alle tre diverse modalità di liquidazione della quota del debitore.

Sono chiamati a partecipare il creditore, i comproprietari e ogni altro interessato.

La categoria degli interessati riguarda tutti i soggetti portatori di un interesse giuridicamente rilevante a tutti i provvedimenti adottabili e, dunque, comprende i creditori (anche intervenuti), gli aventi causa del debitore, i contitolari e i creditori iscritti in data anteriore al pignoramento, che sono chiamati nella divisione totale ex art. 1113 c.c. (Redenti, Sul pignoramento e sulla vendita forzata di beni indivisi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948).

L'audizione dei contitolari permette agli stessi di partecipare alla decisione circa le modalità di espropriazione, tutelando il loro interesse a non essere pregiudicati dall'esecuzione sul bene indiviso.

I contitolari potrebbero avere, ad esempio, interesse ad evitare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 600 c.p.c. e mantenere integra la cosa comune, offrendo un adeguato conguaglio in denaro su cui far convergere l'esecuzione; oppure, ad acquistare la quota in natura, onde impedire l'eventuale ingresso nella comunione di un soggetto estraneo.

L'udienza in commento ha il solo scopo di far acquisire al giudice notizie utili, non essendo consentito alle persone convocate di proporre domande o istanze (vd. infra).

Si è discusso su quali siano i rapporti tra l'udienza di comparizione degli interessati e l'udienza di autorizzazione alla vendita.

Nella prassi si osserva che i due adempimenti convergono in un unico momento processuale nel quale vengono proposte tutte le istanze possibili relative alla sorte della quota pignorata.

Tuttavia, la dottrina più attenta (Cardino, Comunione dei beni ed espropriazione forzata, 2011) ha osservato che tra le due udienze (così come tra i provvedimenti che ne scaturiscono) vi è solo un rapporto di pregiudizialità logica, nel senso che l'udienza di autorizzazione alla vendita presuppone che, a seguito dell'udienza ex art. 600 c.p.c., il Giudice dell'esecuzione abbia deciso di vendere la quota indivisa oppure abbia scelto di separare la quota in natura oppure che sia già stato celebrato il giudizio di divisione incidentale conclusosi con l'attribuzione al debitore di una porzione concreta di beni da vendere coattivamente.

Gli interessati possono partecipare all'udienza ex art. 600 c.p.c. personalmente e senza l'assistenza di un difensore. La partecipazione del creditore non vale quale ricorso per intervento (Cass. n. 2889/1982) e, in generale, le parti non sono autorizzate a proporre domande o istanze (Cass. n. 2706/1960; Cass. n. 6253/1996).

Modalità di liquidazione della quota

La norma delinea tre diverse modalità di liquidazione della quota e precisamente: a) la separazione della quota in natura; b) la separazione della quota ideale pro indiviso; c) la divisione del bene o del patrimonio comune secondo le regole ordinarie.

L'individuazione di diversi percorsi di liquidazione della quota risponde alla esigenza di approntare uno strumento che risponda adeguatamente all'interesse dei creditori e del debitore per ottenere il miglior prezzo dalla vendita del bene e all'interesse degli altri contitolari, affinché la liquidazione avvenga senza danneggiarli.

Il Giudice dell'esecuzione, dunque, è chiamato a valutare – da un lato – la possibilità obiettiva di utilizzare una determinata modalità e – dall'altro – la reale convenienza dell'uso della stessa.

In realtà, le modalità di liquidazione previste dal legislatore costituiscono operazioni molto diverse tra di loro.

La separazione della quota in natura lascia permanere lo stato di comunione tra i contitolari non debitori, comportando esclusivamente la scissione della porzione del debitore da quelle degli altri contitolari.

La vendita della quota ideale pro indiviso lascia permanere lo stato di comunione tra i comproprietari non debitori, ma – in conseguenza dell'esecuzione nella titolarità del diritto sulla quota astratta del debitore esecutato – si sostituisce un terzo aggiudicatario, determinandosi la trasformazione diretta della quota in somma di denaro.

La divisione del bene o del patrimonio comune secondo le regole ordinarie comporta la sospensione ex lege del processo esecutivo ex art. 601 c.p.c. durante lo svolgimento del processo di cognizione di cui agli art. 784 c.c. e ss., la cui conclusione conduce alla cessazione della comunione nei confronti di tutti i comproprietari.

Ci si domanda se gli ausiliari (esperto e custode) possono incidere sulla scelta del giudice.

Invero, nel caso di espropriazione della quota indivisa l'esperto stimatore ha maggiori compiti:

a) la stima, oltre che del valore del diritto pignorato (quota indivisa), anche del valore di mercato della piena proprietà del bene. Il dato è in particolare utile sia ai fini della scelta del giudice tra la vendita della quota indivisa e la divisione, a condizione che sia chiaro all'esperto che in regime di libero mercato la quota indivisa e di regola marcatamente deprezzata rispetto al valore proporzionale sull'intero bene;

b) la verifica dell'esistenza di oneri e formalità pregiudizievoli che deve riguardare non solo il diritto pignorato in danno del debitore ma anche i comproprietari. Il dato è necessario al fine di stabilire l'identità dei creditori iscritti e degli aventi causa da uno dei partecipanti, cui deve estendersi il contraddittorio mediante notifica dell'ordinanza ex art. 181 disp. att. c.p.c.;

c) la valutazione della comoda divisibilità del bene in ragione delle quote di diritto dei partecipanti alla comunione e la formazione dei lotti nel caso in cui il bene sia comodamente divisibile ovvero siano stati pignorati più beni omogenei appartenenti alla medesima massa.

Il custode, dal canto suo, ha la possibilità di interloquire con i comproprietari, facendo presente che nel caso in cui fossero interessati all'acquisto della quota sarà necessario formulare una manifestazione di interesse all'udienza di comparizione exartt. 569 e 600 c.p.c. ovvero «un'offerta cauzionata e congrua, che cioè non tenga conto di abbattimenti e riduzioni per opere di adeguamento» [di cui parla il gruppo di lavoro del CSM nelle c.d. buone prassi nel settore delle esecuzioni - Aggiornamento Linee guida (delibera 6 dicembre 2021).

Separazione della quota in natura

A norma del primo comma dell'art. 600 c.p.c. il Giudice dell'esecuzione deve preventivamente valutare se è possibile procedere alla separazione in natura della quota spettante al debitore, purché ne facciano istanza o il creditore pignorante o uno dei contitolari.

Si tratta della soluzione preferita dal legislatore, che, tuttavia, richiede che sia «possibile» e «richiesta».

La separazione consiste in una divisione parziale con la conseguente formazione del lotto corrispondente alla quota del debitore esecutato e con la permanenza dello stato di comunione a carico della massa del lotto residuo fra gli altri contitolari (in questo senso, Satta, Commentario al codice di procedura civile, cit.; Grasso, L'espropriazione della quota, cit.).

Dal tenore della norma non vi sarebbe dubbio che la separazione sia vincolata ad una apposita istanza proposta dai soggetti individuati dal legislatore nel creditore e nei comproprietari.

Si è discusso sulla circostanza se la separazione in esame sia una vera e propria divisione e, come tale, necessiti del consenso di tutti i condividendi o se, invece, si configuri come provvedimento del giudice (in questo senso, Acone, La separazione della quota in natura nella espropriazione dei beni indivisi, in FI, 1960).

Al riguardo, secondo una parte della dottrina è necessario il consenso di tutti contitolari non obbligati, poiché la separazione sarebbe il frutto di una convenzione tra i comunisti non esecutati e il debitore, rappresentato dal giudice dell'esecuzione (in questo senso, Redenti, Sul pignoramento e sulla vendita forzata di beni indivisi).

Altri hanno, invece, sostenuto che la separazione di cui all'art. 600, comma 1, c.p.c. è provvedimento del Giudice dell'esecuzione, per cui non è necessario il consenso dei contitolari non obbligati, ai quali può essere imposta, così da garantire la speditezza del processo esecutivo (Grasso, L'espropriazione della quota, cit.; Ferro, Problemi e casi nelle vendite mobiliari ed immobiliari, in Dir. fall., 1999) ed altri ancora hanno sostenuto che la separazione della quota può essere imposta al contitolare solo se il pignorato sia una cosa fungibile (Satta, Commentario al codice di procedura civile, cit.).

La separazione della quota deve, comunque, essere possibile e non deve ledere i comproprietari.

Al riguardo, si è affermato che il giudice può disporre la separazione nei soli casi in cui nessuno dei soggetti, di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 1113 c.c., possa soffrire pregiudizio, per effetto del provvedimento di separazione, e non risultino, nei confronti del comunista esecutato, crediti derivanti dallo stato di comunione. In questo senso si è espressa autorevole dottrina (Acone, La separazione della quota in natura nella espropriazione dei beni indivisi,cit.).

Non è possibile, pertanto, ritenere che il mutamento soggettivo ed oggettivo della comunione possa essere imposto ai comunisti non obbligati, in forza di un'esecuzione non intrapresa nei loro confronti: tali soggetti – terzi – sono già costretti a partecipare all'esecuzione e questa non può determinare effetti sostanziali anche nei loro confronti senza la loro volontà.

La dottrina più risalente riteneva che l'istanza non potesse essere proposta dal debitore per carenza di interesse a dare impulso al processo nei suoi confronti (Grasso, L'espropriazione della quota, cit.).

Più recentemente vi è chi ne ha ipotizzato la possibilità che il debitore avanzi tale richiesta per conseguire una più rapida esdebitazione (Cardino, La comunione di beni e espropriazione, cit.).

L'operazione può essere disposta solo se possibile: il Giudice dell'esecuzione, quando all'esito dell'udienza provvede con ordinanza alla separazione in natura, deve determinare le nuove caratteristiche identificative del bene oggetto della quota separata così da rendere possibile la trascrizione ex art. 2645 c.c.

Non è, invece, consentita se si determina un significativo deprezzamento del bene ovvero se si tratta di cose che se divise cesserebbero di servire all'uso al quale sono destinate.

La convenienza va considerata sia dal punto di vista dei creditori del contitolare esecutato che degli altri contitolari e degli eventuali loro creditori e aventi causa.

Il concetto di impossibilità della separazione della quota in natura deve essere inteso anche in senso giuridico, intesa quale assenza di divieti legislativi alla divisione anche parziale del bene (ad esempio, per vincolo di carattere urbanistico).

Nel corso delle operazioni necessarie alla separazione il giudice può farsi assistere da un esperto-consulente tecnico ex art. 61 c.p.c. onde valutare la possibilità della divisione e formare il lotto (Tarzia, Espropriazione di beni indivisi, cit.).

La giurisprudenza valuta l'esistenza sia dell'istanza sia dell'obiettiva possibilità, escludendo la possibilità di procedere alla separazione sia se il creditore pignorante e i comproprietari non ne fanno richiesta sia quanto non è possibile stante la natura e le caratteristiche del bene (in questo senso, Trib. Verona in Riv. esecuz. forzata, 2008, Trib. Napoli 2010).

La separazione viene attuata con provvedimento del Giudice dell'esecuzione che assume la forma dell'ordinanza, con la quale si assegna al debitore una porzione materiale del bene corrispondente al valore della quota pignorata.

Secondo la giurisprudenza il provvedimento di assegnazione può essere equiparato al provvedimento di attribuzione delle quote tra i condividenti di cui all'art. 2648 c.c. (Cass. n. 3634/1969).

Contro il provvedimento di separazione emesso dal Giudice dell'esecuzione, il contitolare non debitore può proporre opposizione ex art. 619 c.p.c. se il provvedimento viola il suo diritto sul bene indiviso.

Sciolta la comunione con questa modalità, l'esecuzione prosegue sul bene separato secondo le norme ordinarie, per cui può essere disposta la vendita dello stesso o l'assegnazione e se del caso l'amministrazione straordinari.

Sul cespite attribuito per l'intero al debitore si concentrano automaticamente il pignoramento e anche tutte le ipoteche ex art. 2825 c.c. (Cass. n. 2615/1967; Cass. n. 24833/2022).

Vendita della quota indivisa

La vendita della quota consente l'immediata trasformazione in denaro della quota pignorata, senza la fase intermedia della divisione, parziale o totale.

La vendita della quota indivisa comporta la cessione della qualità di contitolare, di conseguenza l'acquirente subentra a titolo derivativo nella posizione del debitore nella comunione che rimane integra.

L'art. 600, comma 2, c.p.c. dispone che il giudice deve procedere alla divisione, a meno che appaia probabile che la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al suo valore, determinato ai sensi dell'art. 568 c.p.c.

Stante il richiamo a quest'ultima disposizione, nell'espropriazione di un immobile in comunione il giudice potrà provvedere alla vendita della quota solo a seguito del deposito della relazione di stima del valore del bene pignorato.

Per il valore della quota deve intendersi la percentuale corrispondente alla quota pignorata del valore dell'intero bene e non, al contrario, il valore di mercato della quota in senso stretto (Cardino, La comunione di beni e espropriazione, cit.).

Invero, secondo la normativa vigente il Giudice è chiamato a un giudizio prognostico compiuto ex ante, inteso come «probabilità statistica»: la vendita viene disposta se uno dei comunisti o un terzo manifesta l'intenzione di acquistare al prezzo di stima (Bruschetta, La riforma del processo civile, 2005).

La norma, di fatto, recepisce la prassi virtuosa di alcuni tribunali, che già nel vigore della precedente formulazione dell'art. 600 c.p.c. optavano per la vendita della quota indivisa soltanto se all'udienza ex art. 569 c.p.c. un comproprietario o un terzo manifestassero la volontà di acquistare al prezzo di stima.

La ratio del mutamento legislativo è stata individuata nella circostanza che la quota indivisa non è di regola appetibile né adeguatamente valorizzata in un normale regime di mercato, poiché l'unico interessato all'acquisto può essere o il comproprietario non esecutato che aspira a diventare proprietario esclusivo o lo speculatore che punta a farsi liquidare dal comproprietario il valore differenziale tra il prezzo di aggiudicazione e il reale prezzo di mercato. Di conseguenza e a ben vedere, nessuno di loro ha convenienza ad acquistare al prezzo di mercato, sicché la quota finiva di regola per essere venduta a prezzo vile e all'esito di numerosi esperimenti di vendita infruttuosi (così come argutamente osservato nell'immediatezza della riforma).

All'udienza ex art. 600 c.p.c. sentiti gli interessati ed esclusa la possibilità della separazione, il giudice può soltanto accertare l'esistenza di un soggetto che si dichiari interessato all'acquisto della quota e, al massimo, richiedere una cauzione.

Al riguardo, il gruppo di lavoro del CSM nelle c.d. buone prassi nel settore delle esecuzioni - Aggiornamento Linee guida (delibera 6 dicembre 2021 parla di «un'offerta cauzionata e congrua, che cioè non tenga conto di abbattimenti e riduzioni per opere di adeguamento».

In giurisprudenza si è ritenuta non di per sé invalida l'offerta formulata antecedentemente all'emissione dell'ordinanza di vendita (Cass. n. 13619/1999).

Nell'ordinanza con cui dispone la vendita il Giudice dell'esecuzione dovrà dare atto delle ragioni per cui ritiene sussistente una prognosi favorevole della vendita (in questo senso, Briguglio, Capponi, Commentario alle riforme del processo civile (d.l. n. 35/2005, conv. con modif. nella l. n. 80/2005, l. n. 263/2005, l. n. 52/2006 e l. n. 54/2006), 2006).

Se scelta la vendita della quota del debitore, il Giudice, avvedutosi che questa non è fruttuosa per l'esecuzione intrapresa, può revocare l'ordinanza che dispone la vendita e disporre l'apertura del giudizio di divisione (in questo senso, Cardino, La comunione di beni e espropriazione, cit.).

Il provvedimento che opta per la vendita della quota, infatti, si concreta in un'ordinanza revocabile, modificabile ed opponibile secondo le regole generali in tema di provvedimenti esecutivi ma non è ricorribile in Cassazione ex art. 111 c.p.c. (Cass. n. 2624/2003; Cass. n. 682/2000).

Ci si è domandati se la vendita della quota indivisa debba avvenire secondo il modello procedimentale tipico.

La tesi preferibile è quella affermativa, tenuto conto in particolare della circostanza che l'art. 600 c.p.c. non pone alcuna deroga alle disposizioni che regolano la fase liquidatoria delle singole procedure espropriative, per cui in caso di immobili si debba procedere alla vendita senza incanto (in questo senso, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Si reputa che sia possibile anche l'assegnazione della quota ad un creditore che ne faccia istanza ex art. 588 c.p.c. sempre in applicazione dei principi generali (in questo senso, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Invero, si è legittimamente osservato come la vera difficoltà nel caso di vendita della quota indivisa consiste nel coordinare la disposizione in esame con la disciplina dell'offerta minima di cui all'art. 571, comma 3, c.p.c. (secondo cui è valida l'offerta ad un prezzo inferiore fino al quarto rispetto a quanto stabilito nell'ordinanza di delega).

Al riguardo si è osservato che proprio l'espressa dizione dell'art. 600 c.p.c. costituisce una deroga al principio generale dell'ammissibilità e pertanto dell'efficacia dell'offerta minima, proprio perché la decisione del giudice di procedere alla vendita della quota deve basarsi sulla oggettiva probabilità che essa avvenga ad un valore pari a quanto stabilito dall'art. 568 c.p.c., oggettiva probabilità che può essere data appunto solo dalla sussistenza di un'offerta cauzionata pari a tale valore, per cui consentire un'offerta minima risulterebbe contraddittorio con la disposizione (così, Crivelli, La disciplina dell'offerta e dell'istanza di assegnazione nell'era telematica, in Inexecutivis.it, 29 agosto 2022).

Il gruppo di lavoro del CSM nelle c.d. buone prassi nel settore delle esecuzioni - Aggiornamento Linee guida (delibera 6 dicembre 2021) ha osservato che «la delega viene conferita per un solo esperimento d'asta, rispetto al quale l'importo offerto è determinato in una somma pari al prezzo base (di stima), ex art. 600, comma 2, c.p.c. Qualora all'esito dell'esperimento di vendita non vi siano offerte ulteriori, la quota viene senz'altro aggiudicata all'offerente (comproprietario)».

In conclusione, dunque, disposta la vendita della quota:

– il Giudice dell'esecuzione, in caso di vendita deserta, dovrà revocare il provvedimento di delega, provvedendo all'instaurazione del giudizio di divisione;

– non sarà possibile procedere all'aggiudicazione secondo l'offerta minima né procedere a un nuovo tentativo di vendita con ribasso.

Nella vendita della quota viene in rilievo l'ipotesi di prelazione in favore di coeredi di cui all'art. 732 c.c.

Sulla compatibilità dell'istituto alla vendita forzata, Cass. n. 1808/2013, che ha così disposto: «L'esercizio in concreto del diritto di prelazione va coordinato con la struttura e le finalità (ricavare il maggior utile possibile nell'interesse dei creditori concorsuali) delle vendite fallimentari, senza porsi ad ostacolo o ad intralcio nello svolgimento delle medesime, come si evince dalla elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che ha collocato l'esercizio del diritto di prelazione ‘nella fase in cui il prezzo sia divenuto definitivo, all'esito del subprocedimento di vendita, con l'aggiudicazione definitiva' (in termini, Cass. n. 11760/1999)». In altri termini, l'istituto non influisce sugli interessi dei creditori ma comporta l'onere della denuntiatio, che deve avvenire in un momento successivo sia all'individuazione dell'acquirente che alla definitiva determinazione del prezzo.

Divisione endoesecutiva

Qualora la separazione in natura non sia possibile e la vendita non sia conveniente, il giudice dispone che si provveda alla divisione a norma del codice civile. Il giudizio in commento, dunque, non ha caratteristiche difformi dal normale giudizio divisionale disciplinato dagli artt. 784-791 c.c.

La divisione è, dunque, la via ordinaria, indicata dalla legge, per attuare l'espropriazione dei beni indivisi, considerato, peraltro, che la possibilità di procedere alla vendita della quota indivisa (per sua natura scarsamente appetibile sul mercato) è normativamente relegata ad un ruolo “residuale” e di assoluta eccezione, essendo condizionata al verificarsi di una situazione di fatto di difficile realizzazione pratica (ossia al caso in cui la vendita della quota appaia, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, in grado di assicurare un prezzo almeno pari al valore della quota stessa, determinato ai sensi dell'art. 568 c.p.c.) (in questo senso, Cass. n. 20817/2018; Cass. n. 6072/2012).

Nell'ordinanza con cui dispone la divisione del bene comune è sufficiente che il giudice dia atto dell'impossibilità a procedere alla separazione in natura.

La finalità della divisione è quella di consentire di procedere esecutivamente su di un bene di proprietà esclusiva (in caso di assegnazione al debitore di un'identificata porzione del bene comune) ovvero su una somma di denaro (in caso di vendita del bene indiviso).

La divisione del bene sottoposto ad esecuzione costituisce una diversa modalità di liquidazione del bene pignorato (Cass. n. 6072/2012).

La divisione del bene è, infatti, strutturalmente funzionale all'espropriazione forzata della quota, per cui, sulla base del vigente testo dell'art. 600 c.p.c., deve ritenersi che la liquidazione della quota di comproprietà indivisa su di un bene avviene, di norma, proprio tramite lo scioglimento della comunione su quel bene.

In questa direzione, la divisione può essere disposta solo su richiesta del creditore pignorante o dei contitolari non obbligati, essendo difficilmente immaginabile una divisione disposta ex officio, e può proseguire solo in presenza dei creditori.

Il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all'attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e lo stesso interesse ad agire (cfr. Cass. n. 6072/2012).

Il giudizio divisionale endoesecutivo è un giudizio di cognizione, distinto soggettivamente ed oggettivamente dal procedimento di espropriazione, di cui non può essere considerato né una continuazione né una fase.

Il giudizio di divisione costituisce una parentesi di cognizione che si apre all'interno della procedura esecutiva, vale a dire un procedimento incidentale consistente in un vero e proprio giudizio di cognizione e «che ha luogo per lo scioglimento della contitolarità, tra il debitore ed altri soggetti estranei al rapporto di credito per il cui soddisfacimento il creditore ha aggredito il bene appartenente soltanto pro quota al suo debitore, dei diritti reali oggetto del pignoramento, al fine di poter procedere sulla parte del compendio staggito assegnata in natura in via esclusiva al debitore – con le forme ordinarie dell'espropriazione sul bene in proprietà esclusiva – o, in caso di non comoda divisibilità, sul suo equivalente in denaro all'esito della liquidazione» (Cass. n. 6072/2012).

Il giudizio di divisione resta autonomo rispetto al procedimento esecutivo, perché soggettivamente ed oggettivamente distinto da questo, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (per tutte: Cass. n. 2889/1982; Cass. n. 44/1968; Cass. n. 2096/1961) ma è, tuttavia, funzionalmente correlato allo stesso tanto che uno degli effetti è il mantenimento, in capo al creditore esecutante, della sua legittimazione ad agire in divisione fintanto che in capo a lui permanga la qualità di creditore (Cass. n. 20817/2018) e si trova in rapporto di “strumentalità necessaria” rispetto ad esso (Cass. S.U., n. 25021/2019).

Trattandosi di giudizio autonomo di cognizione, si ritiene che sia necessaria la formale costituzione delle parti, pena la dichiarazione di contumacia.

Proprio il suo collegamento funzionale con l'esecuzione rende necessaria la sospensione di quest'ultima (ex art. 601 c.p.c.) in attesa della specificazione dell'oggetto del pignoramento mediante la liquidazione della quota del debitore esecutato.

Per quanto attiene alle modalità procedurali, se gli interessati sono tutti presenti, il Giudice dell'esecuzione dispone l'istruzione della causa di divisione a norma degli artt. 175 ss. c.p.c. (art. 181, comma 1, disp. att. c.p.c.); altrimenti fissa, con l'ordinanza di cui all'art. 600, comma 2 c.p.c., l'udienza di comparizione dinanzi a sé e concede alle parti un termine fino a sessanta giorni per l'integrazione del contraddittorio mediante notifica dell'ordinanza (art. 181, comma 2, disp. att. c.p.c.).

Invero, il legislatore del 2005 ha innovato l'art. 600 c.p.c. e l'art. 181 c.p.c. disp. att. attribuendo la competenza per la causa di scioglimento della comunione al giudice dell'esecuzione (che diventa giudice della cognizione) e incidendo sulle modalità di apertura del giudizio di divisione.

È evidente la ratio acceleratoria della riforma. Al riguardo, basti solo pensare che la competenza funzionale del Giudice dell'esecuzione a conoscere del giudizio di divisione incidentale che egli stesso ha disposto permette una maggiore celerità del procedimento divisorio.

Vista la mancanza di esplicite previsioni normative, si sono riscontrate prassi profondamente disomogenee tra i vari Tribunali, alcuni orientati ad imporre la notifica di una vera e propria citazione contenente la domanda giudiziale di divisione, altri orientati alla notifica della sola ordinanza, nel cui testo vi era l'invito a costituirsi nei termini di cui all'art. 166 c.p.c. e l'avvertimento delle decadenze previste dall'art. 167 c.p.c.

In passato si riteneva che il pignoramento rappresentava, quale atto di impulso del creditore procedente, l'introduzione del giudizio di divisione (Cardino, Comunione dei beni ed espropriazione forzata).

Senonché è intervenuta la Cassazione, che con la sent. n. 20817/2018 ha chiarito che il giudizio di divisione va introdotto con l'ordinanza che dispone il giudizio divisionale davanti allo stesso giudice, sia pure nelle diverse vesti di giudice della cognizione, da notificarsi agli interessati non presenti all'udienza fissata ai sensi dell'art. 600 c.p.c. per la loro audizione, statuendo che «la divisione endoesecutiva, in quanto esito normale del processo di espropriazione di beni indivisi, è ritualmente introdotta con la pronuncia – se sono presenti tutti gli interessati – o con la notifica – in caso non siano presenti tutti gli interessati all'udienza di cui all'art. 600 c.p.c. – dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione che la dispone, siccome elemento conclusivo della fattispecie a formazione progressiva in cui quell'individuazione si risolve» ed aggiungendo che l'eventuale ordinanza del Giudice dell'esecuzione che, comunque, oneri una parte alla notifica (prima) e all'iscrizione a ruolo (poi) di separato atto di citazione, se non opposta con la dimostrazione di una conseguente lesione del proprio diritto di difesa, non determina una nullità e ad essa va prestata ottemperanza.

Va da sé che l'ordinanza deve contenere tutti gli elementi indispensabili per l'introduzione della domanda giudiziale, tra cui quelli identificativi dell'oggetto e, cioè, del bene o dei beni immobili da dividere, completi dei dati indispensabili per la trascrizione dell'ordinanza stessa.

In dottrina si è, inoltre, osservato che la specificazione all'interno dell'ordinanza dell'oggetto del giudizio e di tutti i dati indispensabili è necessaria in quanto costituisce atto introduttivo del giudizio, che se deve determinare delle decadenze deve anche contenere il relativo avvertimento (così, Crivelli, Il giudizio divisionale endoesecutivo: soluzioni giurisprudenziali e aspetti problematici, in Inexecutivis.it; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

L'ordinanza va notificata con il rispetto del termine libero di sessanta giorni (anziché i novanta previsti dall'art. 163-bis c.p.c.) ai comproprietari, incluso il debitore, agli aventi causa dai comproprietari e ai soggetti indicati dall'art. 1113 c.c. (in particolare ai creditori iscritti titolari di diritti reali di garanzia anche sulle quote dei comproprietari non esecutati).

Tale termine va conciliato con quello di comparizione/costituzione introdotto dalla riforma cd. Cartabia, di talché è stato previsto il suo correttivo nell'art. 281-undecies c.p.c.

In linea di principio, se con la domanda di divisione si chiede lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l'usufruttuario pro quota dell'immobile non è parte necessaria del giudizio e, dunque, non gli andrebbe notificato l'atto introduttivo (in questo senso Cass. n. 27412/2005).

La notificazione dell'ordinanza che dispone il giudizio di divisione ovvero la notificazione dell'atto di citazione, imposto da quell'ordinanza, è legittimamente eseguita al procuratore di uno dei litisconsorti del giudizio che si sia già costituito nel processo esecutivo, in quanto il relativo mandato, purché non lo abbia in concreto escluso in modo espresso ed univoco, deve reputarsi validamente conferito anche ai fini dell'espletamento della difesa del conferente nel giudizio di divisione che ne costituisce normale sviluppo (in questo senso Cass. n. 20817/2018).

La notifica dell'ordinanza rimane adempimento propulsivo dei creditori aventi titolo, con la conseguenza che l'omessa notifica comporta l'estinzione del processo esecutivo ex art. 630 c.p.c.

La domanda di divisione deve essere trascritta (ex art. 2646 c.c.). Al riguardo, è sufficiente segnalare che la trascrizione della domanda di divisione nei confronti di contitolari è necessaria in quanto ha lo scopo di rispettare il principio della continuità delle trascrizioni (in questo senso, Triola, Sulla trascrizione e Cass. n. 821/2000).

L'ordinanza è pur sempre un atto esecutivo, come tale soggetto all'opposizione ex art. 617 c.p.c., nonché al potere di revoca ex art. 487 c.p.c.

All'esito della vendita, il giudice della divisione emetterà il decreto di trasferimento in favore dell'aggiudicatario, ordinando la cancellazione delle formalità pregiudizievoli gravanti sul bene in applicazione dell'art. 586 c.p.c.

G. In passato si riteneva che il rinvio contenuto nell'art. 788 c.p.c. alle norme sulla vendita forzata avesse ad oggetto esclusivamente le modalità esecutive ad essa connesse cosicché la competenza ad ordinare le cancellazioni delle formalità pregiudizievoli fosse del Giudice dell'esecuzione (in questo senso, Cass. n. 1320/1987; Cass. n. 1062/1979).

La dottrina più recente ha invece affermato la competenza del Giudice istruttore in ordine alla cancellazione delle suddette formalità (Lenoci, La divisione, Torino).

La giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere applicabile ai decreti di trasferimento emessi nell'ambito dei giudizi di divisione (sfociati nella vendita dell'intero) la disposizione di cui all'art. 586 c.p.c., oltre che a ritenere parificata la suddetta vendita a quella esecutiva nella tutela del terzo aggiudicatario nell'acquisto del bene libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.

Al giudizio in commento non si applica la disciplina della mediazione obbligatoria per espressa previsione di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, come modificato dalla l. n. 98/2013, in relazione a tutte le parentesi cognitive del processo esecutivo.

La mancata instaurazione del giudizio di divisione è causa di estinzione della procedura esecutiva, che non può essere proseguita né rimanere indefinitamente sospesa, in attesa di un evento – quale l'inserimento e l'utile esperimento del giudizio cognitivo di divisione nell'ambito dell'esecuzione come mezzo indispensabile al fine del suo espletamento che non può più verificarsi (Cass. n. 44/1988).

Il provvedimento con il quale il giudice, per inattività delle parti, dichiara l'estinzione del giudizio di divisione del bene pignorato ha natura di sentenza, determinando la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale, con la conseguenza che esso è impugnabile con appello e non mediante reclamo dinnanzi al collegio (Cass. n. 20977/2018).

Si è discusso delle sorti del giudizio di divisione endoesecutivo in caso di pendenza di giudizio divisionale avente ad oggetto i beni oggetto di pignoramento della quota.

In dottrina si è osservato che la questione va risolta alla luce della disciplina dell'avviso, la cui notifica costituisce elemento idoneo a rendere opponibile ai comproprietari la sussistenza della procedura, proprio ai fini della facoltà della divisione. Se la notifica sia omessa o finché l'avviso non sia stato notificato, nessun ostacolo si può frapporre alla proposizione della divisione giudiziale o negoziale; dopo tale notifica invece la facoltà di promuovere il giudizio viene meno, così come quella di portare a compimento il negozio divisionale. Entro tali limiti i giudizi saranno opponibili al creditore, con l'unico limite del pignoramento, la cui trascrizione impedirà di disporre della quota, per cui il pignoramento stesso si trasferirà sul risultato della divisione (bene o denaro) e sempre che la domanda di divisione sia stata trascritta anteriormente così come dispone l'art. 2915, comma 2, c.c. Conseguentemente,

– il giudizio di divisione è iniziato prima della notifica, esso proseguirà con la facoltà di intervento dei creditori e potrà concludersi con l'individuazione di uno specifico bene attribuito al debitore; mentre la procedura esecutiva, che sarà stata nel frattempo sospesa, riprenderà dopo la riassunzione per la vendita del bene;

– se il bene sarà stato venduto, occorrerà effettuare una nuova esecuzione (questa volta mobiliare sulla somma);

– in caso di giudizio divisionale introdotto dopo la notifica dell'avviso, questo soccomberà di fronte a quello instaurato davanti al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 600 c.p.c., né sarà facoltà di quest'ultimo di rimettere le parti dinanzi a quell'altro giudizio e sospendere in attesa della sua definizione.

In questo senso, Crivelli, Il giudizio divisionale endoesecutivo: soluzioni giurisprudenziali e aspetti problematici, in Inexecutivis.it.

Esclude la possibilità di traslazione del pignoramento, Andrioli, Commento al codice di procedura civile.

In giurisprudenza, si segnala Cass. n. 7617/2019 che, in caso di litispendenza tra divisione endoesecutiva ed ordinaria sui medesimi beni, ha ritenuto applicabile il criterio della prevenzioneex art. 39 c.p.c. tra la notifica della domanda di divisione e la notifica dell'ordinanza del Giudice dell'esecuzione ex art. 181 disp. att. c.p.c.

Si ritiene che nel giudizio di divisione endoesecutiva il creditore più diligente debba provvedere al deposito della documentazione ipocatastale relativa a tutte le quote in titolarità dei comproprietari (esecutati e non), aggiornata alla data della trascrizione della domanda giudiziale.

Lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un immobile abusivo nell'ambito dell'espropriazione dei beni indivisi o della liquidazione giudiziale e delle altre procedure concorsuali è sottratto alla sanzione di nullità, prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto immobili abusivi, di cui all'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, della l. n. 47/1985. Tanto contrariamente a quanto accade nei giudizi di divisione ordinari.

In giurisprudenza si segnala Cass. S.U., n. 25021/2019 che ha statuito che:

– gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall'art. 46, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, della l. n. 47/1985, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti dai quali non risultano gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria;

– quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione, il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parte di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti;

– in forza delle disposizioni eccettuative previste dall'art. 46, comma 5, d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, commi 5 e 6, della l. n. 47/1985, lo scioglimento della comunione relativa ad un edificio in tutto o in parte abusivo che si renda necessario nell'ambito dell'espropriazione dei beni indivisi o nell'ambito del fallimento o delle altre procedure concorsuali, è sottratta alla comminatoria di nullità, prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici in tutto o in parte abusivi, dall'art. 46, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, della l. n. 47/1985.

Si ritiene che il divieto di partecipazione alla vendita non si applichi ai quotisti non debitori, così Cardino, La comunione legale e l'espropriazione cit. Viceversa, la strumentalità del giudizio divisionale rispetto a quello esecutivo (ancorché sospeso ex art. 623 c.p.c.) induce a ritenere senz'altro estendibile il divieto al contitolare obbligato.

Del pari, il comproprietario/debitore non potrebbe proporre istanza di attribuzione ex art. 720 c.c.

In questo senso, Tribunale Brindisi (pubblicata su ilcaso.it), che ha dichiarato inammissibile l'istanza in favore del comproprietario esecutato sul presupposto che «l'impossibilità di esercitare, da parte di quest'ultimo (id. est. comproprietario non esecutato), quella facoltà di assegnazione che è intrinseca nel contenuto del diritto di proprietà, costituisce limite «ontologico» alla concreta operatività di questa figura nella singola vicenda esecutiva. In tal senso, depongono una pluralità di ragioni logiche e sistematiche. In primis, l'anticipazione di una tutela rispetto ad un'altra sede processuale (ovvero il giudizio divisionale), peraltro, particolarmente, pregnante, come l'esercizio di una facoltà dominicale, non può comportare effetti «discriminatori» per le parti interessate. Invero, in sede divisoria, anche il comproprietario condebitore può chiedere l'assegnazione, non operando il predetto eccezionale divieto. Dunque, deve ritenersi che, quando il proprietario debitore manifestato la volontà di avvalersi in sede divisionale della predetta facoltà, deve devolversi alla suddetta sede l'esercizio della stessa, con correlata inibizione per questo Giudice di una pronuncia al riguardo, se non in termini di (eccezionale) inammissibilità della suddetta istanza. D'altronde, in assenza di una disciplina organica e compiuta di un istituto di regolamentazione pretoria, deve ritenersi che le regole che ne conformano il funzionamento debbano essere tratte dai principi generali del sistema, specie, se di rango costituzionale che svolgono una duplice funzione regolatoria, ma anche di «limite». Orbene la stessa dimensione costituzionale e sovranazionale della tutela del dominium impedisce di elaborare soluzioni esegetiche che si traducano, di fatto, in un sacrificio del predetto diritto, mediante la «paralisi» di una delle facoltà che ne sostanziano il contenuto».

La morte del debitore sopravvenuta prima della sua costituzione nel giudizio di divisione comporta l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 299 c.p.c. e gli eredi della parte defunta possono dolersi della mancata interruzione del processo, anche quando sono parti del giudizio di divisione come comproprietari non debitori (in questo senso in giurisprudenza Cass. n. 9370/1995).

Bibliografia

Acone, La separazione della quota in natura nella espropriazione dei beni indivisi, in Foro it., 1960; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 1957, III; Briguglio, Capponi, Commentario alle riforme del processo civile (d.l. 14 marzo 2005 n. 35, conv. con modif. nella l. 14 maggio 2005 n. 80, l. 28 dicembre 2005 n. 263, 24 febbraio 2006 n. 52 e 8 febbraio 2006n. 54), 2006; Bruschetta, La riforma del processo civile, 2005; Cardino, Comunione dei beni ed espropriazione forzata, 2011; Crivelli, Il giudizio divisionale endoesecutivo: soluzioni giurisprudenziali e aspetti problematici, in Inexecutivis.it, 29 agosto 2022; Ferro, Problemi e casi nelle vendite mobiliari ed immobiliari, in Dir. fall., 1999; Grasso, L'espropriazione della quota, Milano, 1957; Redenti, Sul pignoramento e sulla vendita forzata di beni indivisi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948; Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, 1965; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, 2016; Tarzia, Espropriazione di beni indivisi, in NN.D.I., VI, 1990; Triola, Sulla trascrizione, Torino, 2017.

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