Diffamazione del familiare deceduto e presunzione iuris tantum dell’esistenza del danno da sofferenza morale
20 Gennaio 2025
Massima La presunzione iuris tantum di esistenza del pregiudizio, risultante da una condotta di diffamazione, diretta contro un familiare deceduto, comporta che spetta al terzo danneggiante dimostrare che la vittima e il superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, con conseguente insussistenza in concreto del danno da sofferenza morale. Il caso Con ricorso in Cassazione affidato a 5 motivi, avverso la sentenza n. 698 del 2021, della Corte d'appello di Venezia, l'avv. AA (persona offesa) riferiva che nel corso di una trasmissione radiofonica sul canale RAI Radio 1, nel 2014, erano state diffuse notizie diffamatorie riguardo alla persona del di lui fratello, C.C., manager e politico italiano già deceduto, che aveva ricoperto ruoli pubblici di rilievo come dirigente della società ENI e Senatore della Repubblica eletto, nel 1968, tra le fila del partito Democrazia Cristiana. I partecipanti alla trasmissione avevano discusso il contenuto di una sentenza della Corte di Assise di Palermo che, nel 2011, aveva definito, con assoluzione per non aver commesso il fatto, il processo a carco di D.D. per l'uccisione del giornalista E.E., riferendo che sarebbe d'altra parte emersa la responsabilità di C.C. sia in relazione a quel sequestro e omicidio, sia in relazione alla morte del Presidente dell'ENI, F.F., sottolineando con rammarico la lentezza della giustizia italiana che, nel caso, non sarebbe arrivata in tempo a processarlo e condannarlo; C.C., in particolare, sarebbe stato il mandante del crimine commesso contro E.E. proprio per le scoperte fatte dallo stesso con riguardo alla tragica scomparsa del Presidente dell'ENI; Il deducente aveva quindi convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni la società RAI, B.B., quale direttore di Radio RAI al momento dei fatti, G.G., direttore di Radio 1 Giornale Radio, H.H., curatore della rubrica radiofonica interessata, I.I. ed altri conduttori della trasmissione, allegando che: la Corte di Assise di appello di Palermo, nel confermare l'assoluzione dell'imputato D.D., aveva chiarito come non vi fosse alcuna certezza in ordine alle ricostruzioni ipotizzate quanto alla persona di C.C., e tale decisione era stata confermata a sua volta dalla Corte di cassazione; di tali seguiti processuali non era stato dato alcun conto, in specie del primo, intervenuto precedentemente alla trasmissione; aveva chiesto la rettifica, per due volte rivelatasi insufficiente ed avvenuta, sebbene del tutto carente, solo all'esito del procedimento di mediazione ex art. 5, comma primo bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, in ragione di un accordo intervenuto solo dopo due anni e mezzo dalla puntata radiofonica. Il Tribunale, in primo grado, aveva accertato la natura diffamatoria dei fatti, ma disatteso la domanda perché con essi non si era attinto alla persona dell'attore; La Corte di appello di Venezia aveva confermato la sentenza di prime cure, confermando la reiezione della domanda, osservando, in particolare che, nella chiave della ragione più liquida, non vi era prova del danno conseguenza in termini di rapporto tra soggetto asseritamente diffamato e deducente, per mancata allegazione e dimostrazione di circostanze atte a qualificare la detta relazione tra i congiunti in modo da poter ipotizzare un effettivo pregiudizio, neppure dal punto di vista di danno morale da sofferenza, non potendo bastare, a tal fine, la mera qualità di erede universale del deceduto, privo di figli, e le iniziative legali intraprese, rimesse alla iniziativa discrezionale dell'attore medesimo, tenuto conto del fatto che tra i due vi erano quasi vent'anni di differenza tanto far presumere un'autonomia delle sfere di vita nelle loro diverse realtà geografiche risultate, a maggior ragione stanti i sei anni trascorsi dalla morte di I.I. sino ai fatti assunti come diffamatori. La questione Le questioni esaminate dalla Suprema Corte hanno avuto ad oggetto il diritto al risarcimento del danno da sofferenza morale e reputazionale derivato iure proprio ai componenti della famiglia, per una condotta diffamatoria diretta contro un familiare deceduto e il corretto riparto dell’onere della prova del danno conseguenza, tra danneggiante e danneggiato Le soluzioni giuridiche La Corte perviene a riformare la decisione della Corte d'appello di Venezia, censurando il fatto che la stessa aveva rigettato le istanze risarcitorie dell'istante, addebitandogli una mancata prova del danno in termini di rapporto tra soggetto diffamato (de cuius) e deducente, posto che vi era stata una mancata allegazione e dimostrazione di circostanze atte a qualificare la relazione tra congiunti, in modo tale da suffragare un effettivo pregiudizio dal punto di vista del danno morale da sofferenza. Secondo la Corte territoriale, non poteva bastare a tal fine, la mera qualità di fratello del defunto, tenuto conto, tra l'altro, che tra i due vi erano quasi vent'anni di differenza. Ciò doveva far presumere un'autonomia delle sfere di vita nelle loro diverse realtà geografiche, ancor più considerando che erano trascorsi sei anni dalla morte del congiunto, prima dei fatti assunti come diffamatori. La Suprema Corte cassa la decisione, richiamando la “contigua materia del danno da perdita del rapporto parentale”, e osservando come, anche di recente, (Cass. 4 marzo 2024, n. 5769) è stato chiarito che: «la presunzione iuris tantum di esistenza del pregiudizio – configurabile per i membri della famiglia nucleare successiva (mogli e figli) – si estende ai membri della famiglia originaria (genitori e fratelli) senza che assuma rilievo che la vittima e il superstite non convivessero o che fossero distanti; tale presunzione impone al terzo danneggiante l'onere di dimostrare che la vittima e il superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, con conseguente insussistenza in concreto dell'aspetto interiore del danno risarcibile, la c.d. sofferenza morale, derivante dalla perdita.». Il legame parentale giustifica, dunque, a parere della Corte, una presunzione iuris tantum di sussistenza della sofferenza interiore che comporta, per tale aspetto, l'applicazione del regime normativo delle presunzioni iuris tantum, portando perciò ad escludere ogni qualificazione in re ipsa del danno stresso. Tali presunzioni non operano invece per l'aspetto esteriore del danno da sofferenza, il c.d. danno dinamico-relazionale, sulla cui liquidazione, ricorda la Suprema Corte, con il richiamo alla propria citata decisione: «incide la dimostrazione, da parte del danneggiato, dell'effettività, della consistenza e dell'intensità della relazione affettiva, desunta dalla coabitazione o da altre allegazioni fornite di prova.». Per dirla in positivo, secondo la Suprema Corte la relazione parentale è stata ritenuta tale da integrare, nel regime legale delle presunzioni, un fatto dal quale evincere la sofferenza morale in assenza di elementi opposti che, quali fatti modificativi o anche impeditivi, non possono che ricadere, nell'area di onere probatorio della parte destinataria della pretesa risarcitoria. Circostanze quali la mancata convivenza o la lontananza geografica, non potranno dunque, per ciò solo, andare ad elidere il valore da attribuire alla relazione parentale, e potranno essere valorizzate, nel caso, sul complesso piano della liquidazione del danno. In definitiva, il legame parentale giustifica una presunzione iuris tantum di sussistenza della sofferenza nell'aspetto interiore, con conseguente onere a carico del danneggiante, di dimostrare il contrario, per l'aspetto esteriore della sofferenza, il c.d. danno dinamico relazionale, ai fini della sua liquidazione, incide invece la dimostrazione da parte del danneggiato, della sua effettività e consistenza. Di qui l'accoglimento del ricorso e il rinvio alla Corte d'appello di Venezia, che in diversa composizione, dovrà pronunciarsi sulla vicenda. Osservazioni La sentenza in esame è di sicuro interesse, in quanto non solo afferma la risarcibilità del danno subito iure proprio dal familiare per l'offesa alla reputazione di un parente già deceduto, ma applica il regime delle presunzioni iuris tantum di esistenza del pregiudizio/sofferenza interiore, mutuandolo dai principi che regolano la materia del danno da perdita del rapporto parentale. Così facendo, la Suprema Corte ha occasione di affermare che anche il danno/sofferenza in questione si estrinseca in un danno con una duplice consistenza, che si estrinseca in una componente costituita dalla sofferenza interiore, che il rapporto parentale fa presumere iuris tantum sino a prova contraria da porre a carico del responsabile, e in una componente esteriore, c.d. dinamico-relazionale che dovrà invece essere allegata e dimostrata, anche ai fini dell'entità della liquidazione, nella sua effettività, consistenza e intensità, da parte del danneggiato. Alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza in commento, pare dunque potersi concludere che il richiamo operato dalla Suprema Corte, ai criteri relativi all'accertamento e liquidazione del danno da sofferenza, elaborati nell'area del danno da perdita del rapporto parentale e la loro conseguente applicazione anche in questo diverso ambito, faccia assumere tali criteri il ruolo di principi cardine universalmente da osservare, nella liquidazione della componente morale/sofferenziale del danno non patrimoniale. |