Non sempre il patto parasociale vincola la società

24 Gennaio 2025

Il Tribunale di Roma si pronuncia in tema di patti parasociali, concentrandosi in particolare sull'efficacia nei confronti dei terzi, in caso di mancata contemplatio dominii da parte del socio-amministratore sottoscrittore.

Massima

Di norma la spendita del nome nei confronti del rappresentato deve essere espressa, non potendo essere desunta, implicitamente, da elementi presuntivi.

La mancanza di espressa contemplatio domini è equiparata alla rappresentanza del falsus procurator e comporta l'inefficacia del negozio giuridico nei confronti del rappresentato, salvo successiva rettifica da parte di quest'ultimo. Ne consegue che anche i patti parasociali sono inefficaci nei confronti della società opponente, soggetto terzo rispetto all'accordo negoziale, in assenza di una espressa contemplatio domini da parte del rappresentante sottoscrittore.

Il caso

Nel caso in commento era stato emesso nei confronti di una s.r.l. un decreto ingiuntivo di pagamento in favore di un socio che, in base ad un patto parasociale sottoscritto con l'altro socio, legale rappresentante della società, avrebbe vantato un credito nei confronti della predetta persona giuridica.

La s.r.l. aveva proposto opposizione avverso il provvedimento monitorio, allegando la nullità delle pattuizioni contenute nel patto parasociale, le quali avrebbero avuto l'effetto di escludere il socio dalle perdite: ciò integrerebbe, quindi, un patto leonino, vietato dall'art. 2265 c.c..

In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, parte opponente sosteneva l'invalidità dei patti, contenenti la clausola de qua, in quanto aventi, anche indirettamente, efficacia esterna (verso terzi), in violazione del principio generale secondo cui i patti parasociali hanno efficacia esclusivamente interna (ossia tra i partecipanti all'accordo).

La società, in quanto persona giuridica, infatti, non era in alcun modo vincolata al rispetto dei patti parasociali, che erano stati sottoscritti solamente dai soci e, quindi, rispetto alla cui sottoscrizione sarebbe risultata terza.

Per ciò che di interesse, in ordine al tale eccezione di nullità sollevata da parte opponente, nell'atto introduttivo del presente giudizio, il socio opposto sosteneva che la società avrebbe sottoscritto i patti parasociali, per il tramite del suo rappresentante legale e che, pertanto, gli stessi non sarebbero stati invalidi, restandone circoscritti i relativi effetti giuridici tra i contraenti e non ponendosi il problema dell'efficacia degli stessi verso terzi.

Istruita la causa tra le parti, le quali insistevano nei rispettivi atti defensionali, il Tribunale tratteneva la causa in decisione.

Riteneva il Tribunale che la proposta opposizione dovesse trovare accoglimento, perché fondata.

Difatti, evidenziando che la sottoscrizione del patto da parte del legale rappresentante della società non aveva determinato la nascita di alcun vincolo obbligatorio in capo alla s.r.l., il Tribunale di Roma riteneva inefficaci nei confronti della società opponente i patti parasociali in esame, non essendo la s.r.l. parte dei patti ma terza rispetto agli stessi, in assenza di una espressa spendita del nome del rappresentato.

La questione giuridica

La questione giuridica sottesa nel caso in esame verte nello stabilire se in assenza di una espressa contemplatio domini da parte del rappresentante sottoscrittore, i patti parasociali siano o meno inefficaci nei confronti della società, soggetto terzo rispetto all'accordo negoziale.

Osservazioni

Gli articoli 2341-bis e 2341-ter c.c. contengono la definizione, la durata e le condizioni di pubblicità dei patti parasociali.

I patti parasociali sono accordi contrattuali tra due o più soci (persone fisiche o giuridiche) di una società (ad esempio, una s.r.l. oppure una s.p.a.) per una migliore e più stabile gestione della società e possono regolare sia i rapporti tra i soci, sia quelli con gli amministratori o con i terzi.

Le finalità dei patti sono molteplici; si stipulano patti parasociali per determinare l'assetto e le condizioni di operatività di una joint venture, per tutelare i soci o gli investitori di una start-up, per determinare il finanziamento iniziale e i conferimenti da parte dei soci di una s.r.l., per concordare il voto e gli indirizzi della società su determinate questioni, per stabilizzare la governance, per vincolare la scelta degli amministratori, per limitare l'uscita di un socio dalla società, per determinare i limiti o le condizioni di trasferimento della partecipazione.

A differenza delle disposizioni dello statuto che sono vincolanti per tutti i soci presenti e futuri, i patti parasociali vincolano solo i soci chi li sottoscrivono, potendo essere sottoscritti anche solo da una parte dei soci ed hanno efficacia meramente obbligatoria, vincolando solo i sottoscrittori e non sono opponibili né ai soci non sottoscrittori, né alla società (a meno che questa non vi partecipi espressamente), né ai terzi che non li abbiano sottoscritti.

Il patto parasociale vincola, dunque, esclusivamente le parti contraenti, non potendo inficiare in alcun modo i rapporti dei soci con la società, sostanziandosi, quindi, nella semplice formalizzazione di un accordo sulle modalità con cui gestire il rapporto societario, accordo che trova la sua ragione di esistere nella volontà di regolamentare le dinamiche societarie secondo schemi predefiniti.

Per ciò che attiene alla forma, a differenza degli statuti che sono redatti per atto pubblico, i patti parasociali – salvo che per le società quotate e per le s.p.a. che fanno ricorso al capitale di rischio – non devono essere resi pubblici.

A titolo esemplificativo i soci possono utilizzare i patti parasociali per accordarsi su questioni che devono rimanere riservate e che, in genere, non compaiono negli statuti, quali, ad esempio, gli obblighi di finanziamento della società dopo la costituzione, o degli specifici impegni di un socio a favore della società.

A differenza delle violazioni statutarie, le violazioni di un patto parasociale non sono in genere sanzionabili dalla società ma in certi casi la società può pretendere il rispetto del patto ex art. 1411 c.c. (v. Cass. n. 9846/2014).

Pertanto, il tipico rimedio nel caso di violazione di un patto parasociale è il risarcimento dei danni e il socio inadempiente può essere tenuto a corrispondere agli altri soci una somma a titolo di penale, determinata nel patto stesso.

I patti parasociali nelle s.p.a. hanno durata massima di cinque anni.

Possono essere comunque rinnovati alla scadenza.

Se non vi è un termine, il socio ha anche il diritto di recedere con un preavviso di 180 giorni. Il termine dei 5 anni non vale per i patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni e servizi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo (joint venture).

Nelle altre società, tra cui le s.r.l., non c'è un limite di durata, ma se non è previsto un termine, ogni socio ha diritto di recedere con un preavviso di 180 giorni.

In merio alle tipologie di patti è possibile elencare le seguenti fattispecie:

1) Patto parasociale per sindacato di voto: tipico patto stipulato per esprimere un voto comune in assemblea, ad esempio, mediante delega di un rappresentante comune o secondo altre modalità concordate. Risulta invalido il patto che vincoli i soci a non votare l'azione di responsabilità contro gli amministratori che abbiano causato un danno alla società;

2) Patto parasociale per sindacato di blocco: tale patto serve a mantenere lo stesso assetto proprietario della società e ad evitare che possano entrarvi terzi  estranei (ad esempio, un concorrente di uno dei soci). Esso, dunque, limita il trasferimento di azioni o quote all'interno della stessa compagne societaria, impedendo ai soci di uscire dalla società;

3) Patto parasociale relativo al finanziamento della società (in senso ampio): in tale fattispecie i soci si vincolano ad offrire un prestito alla società predeterminandone le condizioni, ovvero ad effettuare determinati conferimenti di beni materiali o immateriali, o si vincolano a un fare per la società ( ad. esempio, se si tratta di soci di start-up);

4) Patto parasociale di garanzia degli utili: con tale patto si garantisce un utile minimo ad uno o più soci al momento della distribuzione, senza escludere uno o più soci dagli utili e dalle perdite, patto che sarebbe nullo ai sensi dell'art. 2265 c.c. Pertanto è nullo il patto che prevede l'assegnazione di una quota di utili ad un socio, escludendolo dalla partecipazione alle perdite;

5) Patto parasociale per indirizzare la gestione; rientrano in questa categoria i patti finalizzati a determinare più in dettaglio come devono essere designati gli amministratori tra i soci o che attribuiscono determinati diritti di veto agli amministratori che sono l'espressione del socio di minoranza, ovvero quegli accordi che mirano a stabilire il modo di gestire situazioni di stallo, fino alla cessione delle partecipazioni, se lo stallo di gestione non è superabile;

6) Patto parasociale sul trasferimento di quote; rientrano in questa categoria i patti che disciplinano diritti di opzione di vendita o di acquisto delle partecipazioni dei soci o che consentono al socio di maggioranza di far acquistare al terzo anche le quote del socio di minoranza (drag along), ovvero che danno al socio di minoranza il diritto di vendere le sue quote al terzo che intende acquistare le quote del socio di maggioranza (tag along).

Tornando al caso che ci occupa, uno dei sottoscrittori del patto rivestiva, al momento della firma, la carica di legale rappresentante della società, circostanza in base alla quale il socio che aveva agito in via monitoria nei confronti della s.r.l. affermava la vincolatività del patto anche nei confronti della società e l'esistenza di un obbligo di pagamento in capo a quest'ultima.

Conclusioni

A detta del Tribunale di Roma la sottoscrizione del patto da parte del legale rappresentante della società non ha determinato la nascita di alcun vincolo obbligatorio in capo alla s.r.l., in ragione del fatto che non ricorre nella scrittura alcuna contemplatio domini nei riguardi della società.

Secondo la giurisprudenza, infatti, affinché il contratto concluso dal rappresentante produca effetti nella sfera giuridica del rappresentato è necessaria l'esternazione dei poteri del rappresentante, ovvero della circostanza che questi sta concludendo l'affare in nome e per conto del soggetto rappresentato: la spendita del nome nei confronti del rappresentato deve essere espressa, non potendo essere desunta da elementi presuntivi (v. Cass. n. 25104/2013).

Deve, quindi, essere negata l'efficacia, nei confronti della società, del contratto firmato dall'amministratore della stessa senza la spendita del nome dell'ente: in assenza di un'espressa contemplatio domini si verifica una situazione equiparabile alla rappresentanza del falsus procurator, con la conseguente inefficacia del negozio giuridico nei confronti del falso rappresentato, salvo successiva ratifica da parte di quest'ultimo.

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