Guida in stato di ebbrezza e accettazione del rischio da parte del trasportato: a quali condizioni sussiste il concorso?
03 Febbraio 2025
Massima «L'art. 1227, comma 1, c.c., interpretato in senso coerente con la Direttiva 2009/103, non consente di ritenere, in via generale ed astratta, che sia sempre e necessariamente in colpa la persona la quale, dopo aver accettato di essere trasportata a bordo d'un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza, rimanga coinvolta in un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità del conducente. Spetterà dunque al giudice di merito valutare in concreto, secondo tutte le circostanze del caso (le condizioni della vittima e quelle del conducente; l'entità del tasso alcolemico; le circostanze di tempo e di luogo; la prevedibilità del rischio), se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell'assicuratore del vettore». Il caso Il ricorrente aveva richiesto all'assicuratore del vettore il risarcimento dei danni patiti in qualità di trasportato in conseguenza di un sinistro causato in via esclusiva dal conducente del veicolo su cui viaggiava. Tuttavia, nel liquidare il risarcimento, il Tribunale aveva riconosciuto in capo alla vittima un concorso di colpa del 50% per aver accettato di essere trasportato da persona in evidente stato di ebbrezza. Tale decisione veniva poi confermata in secondo grado. Il ricorrente adiva, dunque, la Corte di cassazione, lamentando la violazione degli artt. 1227 c.c. e 115 c.p.c. nella parte in cui la Corte di appello aveva riconosciuto il concorso di colpa senza che vi fosse la prova:
Ebbene, la Corte di legittimità ha dichiarato il ricorso improcedibile, non avendo il ricorrente depositato la relazione di notifica della sentenza d'appello così come richiesto dall'art. 369 c.p.c.; nondimeno, ha comunque ritenuto di pronunciarsi nell'interesse della legge ex art. 363, comma 3 c.p.c. La questione Nell'ordinanza in commento la Corte affronta una questione alquanto delicata e cioè a quali condizioni l'accettazione del rischio di essere trasportato da conducente in stato di ebbrezza possa configurare un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, comma 1 c.c. Nondimeno, per meglio comprendere la rilevanza della questione e delle conclusioni rassegnate dalla Corte, occorre procedere con un breve esame della giurisprudenza di legittimità pronunciatasi sul tema e ciò a maggior ragione ove si consideri come, solo di recente, la Cassazione abbia manifestato un'apertura in favore della tesi secondo cui l'accettazione del rischio può rilevare quale concausa del danno e, dunque, legittimare una decurtazione del risarcimento. Ma procediamo con ordine. Le soluzioni giuridiche 1) I precedenti della Corte (Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010 e Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2017, n. 1295) Secondo un primo orientamento, l'accettazione del rischio di essere trasportato da conducente in stato di ebbrezza non può configurare un concorso di colpa e ciò sulla base di una lettura alquanto restrittiva dell'art. 1227 comma 1 c.c. secondo cui tale norma può essere invocata «solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante» (Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010): in altri termini, per affermare il concorso di colpa del trasportato è necessario che la sua azione o omissione (si pensi al mancato utilizzo delle cinture di sicurezza) abbia direttamente contribuito alla causazione del danno. A ben diverse conclusioni è giunta, invece, la successiva Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698. In quel precedente, invero, la Corte era stata chiamata a pronunciarsi su di una fattispecie differente, ma comunque caratterizzata da un rischio particolarmente significativo e cioè dal fatto che il veicolo avrebbe partecipato ad una gara clandestina. Ad ogni modo, Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698 censurò fermamente la tesi propugnata da Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010, evidenziando come tale ultima sentenza «identificasse l'evento dannoso subito dal danneggiato nel sinistro stradale stesso, con la conseguenza che la responsabilità dell'incidente non potesse essere addebitata che al solo conducente dell'auto (o eventualmente ad altri soggetti esterni all'auto che avevano dato causa al verificarsi dell'incidente) e non al trasportato che nell'occorso non si ingeriva in alcun modo nella conduzione dell'auto e rivestiva un ruolo puramente passivo». Al contrario, la Corte tenne ad evidenziare che «l'evento dannoso per il danneggiato non si esaurisce e non si identifica con il segmento causale attinente al momento cinematico dei fatti ovvero all'incidente, la cui responsabilità è addebitabile esclusivamente al conducente, ma occorre prendere in considerazione come segmento terminale e quindi di perfezionamento del fatto storico la “lesione del bene giudico tutelato” e quindi nel caso del trasportato la lesione della sua integrità fisica (da cui poi deriva il danno consequenziale risarcibile)». Ebbene, conclude la Corte, «tale lesione (evento dannoso) non si sarebbe verificata se non si fossero realizzati diversi antecedenti causali: se il conducente avesse guidato l'auto rispettando le regole del codice della strada e le regole generali di prudenza (evitando nel caso in esame di impegnarla in una corsa clandestina), e se, a monte, il trasportato si fosse astenuto dal salire in macchina, ben sapendo in che attività sarebbe stata da lì a breve impegnata la vettura, secondo una regola prudenziale». In definitiva, secondo Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698 l'accettazione (a monte) del rischio costituisce esso stesso un antecedente causale dell'evento dannoso complessivamente inteso e, pertanto, nulla osta all'applicazione, anche in una simile fattispecie, dell'art. 1227 comma 1 c.c. Tale secondo orientamento, tuttavia, venne a sua volta contestato da Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2017, n. 1295 in quanto «scambierebbe l'evento dannoso con il danno. Se si intende considerare esclusivamente dal punto di vista materiale la serie causale è evidente che ogni trasportato che acconsente di farsi trasportare si pone sempre, attraverso la sua scelta, in connessione causale con l'incidente. Ma ciò non può in toto coincidere con la serie causale giuridicamente rilevante. Per questa, come detta l'articolo 1227, comma 1 c.c., non solo deve sussistere un "fatto colposo" – cioè una condotta, attiva o omissiva, imprudente anche al massimo grado - ma occorre altresì che tale fatto colposo abbia "concorso a cagionare il danno"». 2) Il revirement della Corte (Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386) Almeno a prima vista, l'orientamento restrittivo espresso da tale ultima sentenza - e prima ancora Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010 - parrebbe del tutto conforme alla lettera dell'art. 1227, comma 1 c.c. («se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate»). D'altro canto, una troppo rigida applicazione di tale regola mal si concilia con la ratio sottesa al sistema dell'assicurazione obbligatoria RCA in cui (per citare le parole della Consulta) «l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi» (così Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235). In altri termini: in un sistema che garantisce un risarcimento certo a tutti gli utenti (ivi compresi i trasportati) non pare irragionevole attendersi - da parte di questi ultimi - comportamenti improntati al massimo rigore. Con la conseguenza che la scelta di esporsi deliberatamente ad un rischio (quale, ad esempio, quello di essere trasportato da un conducente in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti) non può restare privo di conseguenze per il sol fatto che tale scelta non abbia contribuito – in termini di stretta causalità - alla produzione del danno. Ed è proprio muovendo da tali premesse che Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386, andando oltre l'ortodossia causalistica predicata da Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010 e Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2017, n. 1295, è giunta ad affermare il seguente principio: «la consapevolezza della persona trasportata che il conducente sia sotto l'effetto di alcol o di altre sostanze eccitanti costituendo una esposizione volontaria ad un rischio, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, ponendosi come antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.». Tale scelta ermeneutica, tenne a chiarire la Corte, «risponde al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all'ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti», così richiamando quasi pedissequamente le parole espresse dalla Consulta (supra). Oltretutto, l'orientamento della Corte non solo è coerente con la ratio sottesa al sistema dell'assicurazione obbligatoria ma risulta altresì compatibile con la normativa comunitaria e, in particolare, con l'art. 13 Direttiva 2009/103/CE nella parte in cui stabilisce che «gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché qualsiasi disposizione di legge o clausola contrattuale contenuta in una polizza di assicurazione che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell'alcol o di altre sostanze eccitanti al momento del sinistro sia considerata senza effetto per quanto riguarda l'azione di tale passeggero». Tale dubbio era stato posto incidentalmente da Cass. civ., sez. VI, 27 agosto 2020, n. 17893, ma è stato appunto risolto da Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386 sulla base del seguente rilievo e cioè che la richiamata disposizione comunitaria «non esonera tout court il trasportato da ogni responsabilità della sua condotta, bensì gli garantisce comunque che gli effetti della sua responsabilità non pervengano all'assoluta esclusione dalla tutela assicurativa, che soltanto viene coordinata e calibrata con la sussistenza degli effetti di tale responsabilità se questa ricorre». 3) Prova del rischio e della sua prevedibilità (Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2024, n. 24920) L'ordinanza in commento si pone dunque nel solco tracciato da Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386, confermando che l'applicazione dell'art. 1227, comma 1 c.c. (nell'ipotesi in cui il danneggiato abbia accettato di essere trasportato da conducente in stato di ebbrezza) non contrasta con la normativa comunitaria e al contempo chiarendo che, per valutare la sussistenza del concorso colposo del trasportato, il giudice del merito deve «vagliare, caso per caso, le condizioni della vittima e quelle del conducente; l'entità del tasso alcolemico; le circostanze di tempo e di luogo; la prevedibilità del rischio». Ebbene, proprio il richiamo alla prevedibilità costituisce il tassello mancante al ragionamento svolto da Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386, dal momento che un rischio può dirsi accettato (e conseguentemente integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227 c.c.) solo a condizione che lo stesso possa essere previsto dal trasportato. In tal prospettiva, diremmo dunque che l'ordinanza in commento ridimensiona (e di molto) la posizione espressa da Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2017, n. 1295 (supra 1), poiché - se il rischio è prevedibile – a quel punto la sua accettazione non può essere derubricata a mero antecedente materiale, ma assurge a vero e proprio «fatto colposo che concorre a cagionare il danno» così come disposto dall'art. 1227 c.c. Il problema, al limite, è costituito dalla prova di tale fatto colposo, dal momento che il responsabile ed il suo assicuratore sono chiamati a dimostrare ex post che il trasportato fosse a conoscenza dello stato di alterazione del conducente e ciò potrebbe risultare non particolarmente agevole. Ma sul punto, alcune significative indicazioni potevano essere rinvenute nella già richiamata Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386. In quel precedente, infatti, il Giudice del merito aveva desunto la prova della consapevolezza del rischio dal risultato degli esami ematochimici svolti sia sul conducente che sul trasportato: «essendo risultato che entrambi i giovani avevano assunto stupefacenti poco prima del verificarsi dell'evento in dosi elevate … è verosimile che ciascuno fosse consapevole dello stato dell'altro». Pertanto, già solo alla luce di tale passaggio, ben potrebbe giungersi ad una prima conclusione e cioè che la prova del rischio e della sua conoscenza/prevedibilità da parte del trasportato è prevalentemente presuntiva. Diremmo, anzi, che nel caso esaminato da Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2023, n. 1386 il procedimento deduttivo seguito dal giudice del merito rispetta appieno tutte le condizioni richieste dall'art. 2729 c.c. per ricorrere a tale prova («le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti gravi precisi e concordanti»): ed infatti, se l'elevata positività consentiva di presumere che il conducente versasse certamente in stato di alterazione, il fatto che anche il trasportato fosse risultato positivo ed in misura significativa alle medesime sostanze consentiva di presumere che le avesse consumate insieme al conducente prima dell'evento e, dunque, fosse consapevole dello stato di alterazione di quest'ultimo. D'altro canto, non vorremmo declinare l'ovvio ma è bene evidenziare come l'alterazione psicofisica possa essere determinata anche solo da un consumo ridotto di alcol o di stupefacenti: pertanto, occorre rifuggire da eventuali automatismi che guardino all'elevata positività quale unico elemento da cui possa desumersi (ex post) la prova del rischio e della sua prevedibilità da parte del trasportato. Tant'è che l'ordinanza in commento utilizza una sorta di clausola generale («vagliare, caso per caso, le condizioni della vittima e quelle del conducente; l'entità del tasso alcolemico; le circostanze di tempo e di luogo; la prevedibilità del rischio»), rimettendo al giudice del merito l'apprezzamento di tutte le circostanze acquisite al processo (e, dunque, non solo del tasso alcolemico del conducente e/o del trasportato). Osservazioni L'ordinanza in commento (anche perché resa nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363 c.p.c.) parrebbe aver definitivamente sdoganato la tesi secondo cui l'accettazione del rischio può certamente configurare un concorso colposo del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 comma 1 c.c. e, proprio in tale prospettiva, ha l'indubbio pregio di chiarire un aspetto rimasto sottotraccia nelle precedenti sentenze che si erano espresse in tale direzione (e cioè che il rischio, per poter essere colpevolmente accettato, dev'essere noto o quantomeno prevedibile). Oltretutto, il principio espresso dalla Corte ben potrebbe essere speso anche con riguardo ad altre fattispecie di rischio (si pensi al trasportato che accetti consapevolmente di essere condotto da persona sprovvista di idonea abilitazione di guida) e ciò a maggior ragione in un sistema (quello della RC Auto) che garantisce ai terzi danneggiati un ristoro certo e, dunque, richiede a tutti i possibili beneficiari comportamenti consapevoli e responsabili. |