Cessione di partecipazioni sociali, consistenza del patrimonio della società e tutela dell’acquirente
11 Febbraio 2025
Massima La cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo pattuito solo se il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali a tale riguardo, oppure quando la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto incida sulla solidità economica e sulla produttività della società e, quindi, sul valore stesso delle azioni o delle quote. Il caso Dopo avere concluso con i soci di una società che gestiva una palestra un preliminare di cessione delle loro quote, il promissario acquirente agiva in giudizio per ottenere la risoluzione per inadempimento o, in subordine, l'annullamento del contratto, nonché il risarcimento dei danni, avendo appreso che, da un lato, la normativa regionale sulla cui base erano stati concessi finanziamenti agevolati prevedeva la decadenza dai benefici e l'obbligo di restituzione immediata di quanto percepito in caso di cessione di quote della società beneficiaria a soggetti privi di determinate caratteristiche soggettive e, dall'altro lato, che l'immobile di proprietà della società all'interno del quale veniva svolta l'attività era gravato da vincoli di destinazione. Il Tribunale di Cagliari rigettava le domande, con sentenza riformata all'esito del giudizio di appello: per i giudici di seconde cure, infatti, le quote delle società di capitali vanno considerate come beni di secondo grado, non totalmente distinti e separati da quelli ricompresi nel patrimonio sociale, sicché può farsi applicazione dell'art. 1497 c.c. anche quando i vizi riguardino i beni sociali e non direttamente la quota e il divario di valore sia tale da riflettersi sulla stessa solidità economica e sulla produttività dell'impresa. I soci proponevano, quindi, ricorso per cassazione. Le questioni giuridiche e le soluzioni Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che: 1) le azioni e le quote di società di capitali attribuiscono al socio non solo diritti patrimoniali parametrati al valore del patrimonio della società, ma anche diritti amministrativi che consentono di partecipare alla vita della società; 2) le azioni e le quote sono, dunque, l'oggetto immediato della cessione, mentre la frazione del patrimonio sociale che rappresentano costituisce oggetto mediato del negozio; 3) le carenze o i vizi inerenti alle caratteristiche e al valore dei beni compresi nel patrimonio sociale giustificano la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo solo se il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali; 4) tuttavia, in applicazione del principio generale di buona fede, l'acquirente può avvalersi delle azioni a tutela dell'effettivo valore della partecipazione anche quando la differenza tra l'effettiva consistenza del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto incida sulla solidità economica e sulla produttività della società e, quindi, sul valore stesso delle azioni o delle quote. Osservazioni La Corte di cassazione, nell'ambito di una vertenza in cui veniva in rilievo la condotta dei soci che, impegnandosi a cedere le proprie partecipazioni a un terzo, avevano sottaciuto circostanze attinenti, da un lato, alla stessa trasferibilità delle quote e, dall'altro lato, all'immobile in cui era esercitata l'attività sociale, ha delineato le tutele delle quali può avvalersi l'acquirente. Può darsi per pacifico che la cessione di azioni o quote di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale (essendo assimilabile a una vendita mobiliare, che riguarda direttamente il fascio di diritti e di obblighi scaturenti dal contratto di società incorporato nella partecipazione) e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che essa rappresenta, che appartiene pur sempre a un soggetto giuridico – la società – distinto dai soci che la compongono: le partecipazioni sociali, infatti, attribuiscono al titolare un complesso di posizioni giuridiche comprendenti diritti non solo patrimoniali, ma pure di carattere amministrativo (per esempio, di voto e di controllo), che consentono al socio di partecipare alla vita della società. In quest'ottica, i rimedi che la legge accorda all'acquirente in presenza di vizi e difetti della cosa venduta possono essere attivati quando la mancanza di qualità attenga alla partecipazione ceduta – per esempio, perché sussiste una divaricazione tra i poteri e gli obblighi che vi ineriscono e quelli che sarebbero spettati in base a una corretta esecuzione del contratto di acquisizione, ovvero un'alterazione dei diritti e delle facoltà connesse alla partecipazione trasferita – e non ai beni che compongono il patrimonio sociale. È frequente, tuttavia, che il negozio di cessione di partecipazioni sociali costituisca il mezzo giuridico impiegato per consentire all'acquirente di entrare nella disponibilità economica di uno specifico bene compreso nel patrimonio sociale (un immobile, un brevetto, l'azienda, il know-how): secondo l'orientamento che è andato consolidandosi, affinché l'acquirente di una partecipazione sociale possa invocare tutela sebbene la situazione viziante non riguardi direttamente l'oggetto (diretto) del contratto di cessione, ma i beni che costituiscono il patrimonio della società, occorre che il cedente abbia prestato specifiche e idonee garanzie al riguardo. In altre parole, l'oggetto immediato della vendita di azioni o quote è e rimane la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio della società solo per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale (in questi termini, per esempio, Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2019, n. 7183). In realtà, secondo una corrente di pensiero, questo principio va declinato a seconda dello scopo perseguito dalle parti attraverso il contratto di cessione e, in particolare, avendo riguardo all'obiettivo dell'acquirente: se l'acquisto della partecipazione è il modo o lo strumento (formale) per conseguire, piuttosto che il mero e generico status di socio, la cessione della totalità o di una parte considerevole del patrimonio sociale, anch'esso diviene oggetto giuridicamente rilevante del contratto, come tale tutelabile a prescindere da specifici impegni o apposite garanzie da parte del cedente, perlomeno quando le parti hanno voluto dare rilievo agli elementi patrimoniali della società, sì da doversi ravvisare una garanzia implicita in ordine alla consistenza patrimoniale della società medesima. Interpretando la volontà delle parti, se l'oggetto dell'alienazione è specificato anche in relazione ai beni che costituiscono il patrimonio della società, la mancanza o la non corrispondenza di tali beni viene a integrare inesattezza della prestazione traslativa e, così, a configurare inadempimento. È stato, dunque, affermato che il venditore assume un'obbligazione di garanzia sulla consistenza del patrimonio sociale anche in assenza di un'espressa previsione contrattuale in caso di acquisto di partecipazioni totalitarie o di controllo, soprattutto quando le parti abbiano inteso raggiungere uno scopo pratico (il trasferimento del patrimonio sociale) diverso da quello sotteso allo schema contrattuale concretamente utilizzato (la cessione delle partecipazioni sociali). In simili evenienze, è chiaro che i beni compresi nel patrimonio sociale non possono essere considerati estranei all'oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote, sia che le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia che l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede, sicché la differenza tra l'effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto incide sul valore delle azioni o delle quote e deve tenersi conto del valore dell'azienda o dei beni che la compongono o che avrebbero dovuto comporla anche in assenza di specifiche garanzie (così, per esempio, Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2004, n. 3370; Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2004, n. 18181; Cass. civ., sez. VI, 12 settembre 2019, n. 22790). Questa ricostruzione fa leva sul fatto che l'attributo della personalità giuridica – proprio delle società di capitali – non preclude l'applicazione delle norme della vendita alla cessione delle quote o delle azioni di società di capitali, che, costituendo centri di imputazione meramente strumentali e transitori di rapporti, si caratterizzano per l'istituzione di un diverso regime di utilizzazione dei beni conferiti, senza recidere ogni collegamento con i soggetti che hanno loro impresso questa destinazione, i quali, proprio in virtù di tale atto, diventano membri di una collettività organizzata e acquistano una posizione giuridica che li abilita a partecipare alla gestione collettiva dei beni in questione. Nell'ordinanza che si annota, i giudici di legittimità hanno evidenziato come le due posizioni siano solo apparentemente confliggenti, dal momento che, da punti di vista differenti, ovvero valorizzando elementi tra loro complementari, affermano un identico principio: l'acquirente di partecipazioni sociali può invocare la garanzia per vizi attinenti ai beni che compongono il patrimonio della società quando gli stessi sono stati direttamente coinvolti nell'operazione negoziale, vuoi perché il cedente si è assunto una specifica garanzia al riguardo, vuoi perché la loro reale ed effettiva consistenza incide sulla solidità patrimoniale della società e, quindi, sull'attitudine della partecipazione a soddisfare le esigenze che hanno indotto il cessionario ad acquistarla, riflettendosi, in questo modo, sul valore della quota oggetto di cessione. Nella fattispecie esaminata, peraltro, entrambi i profili dedotti dall'acquirente integravano circostanze idonee a influire significativamente sull'equilibrio sinallagmatico del negozio. In primo luogo, infatti, era stata contestata l'esistenza di vincoli alla cessione delle partecipazioni – sottaciuti dai soci che si erano impegnati al trasferimento – derivanti da finanziamenti pubblici accordati alla società che imponevano il possesso, in capo al titolare delle quote, di determinate caratteristiche soggettive che il promissario acquirente non possedeva, motivo per cui sarebbe insorto l'obbligo di immediata restituzione delle somme erogate. È evidente che tale circostanza, inerendo sì alla capacità finanziaria della società (inevitabilmente compromessa dalla decadenza dalle agevolazioni delle quali beneficiava), ma, prima ancora, alla libera disponibilità delle partecipazioni oggetto di cessione (in ordine alla quale, peraltro, i soci avevano assunto una specifica garanzia), non poteva non essere valorizzata al fine di accogliere le domande del promissario acquirente, proprio perché riguardava direttamente l'oggetto immediato del contratto (preliminare) di cessione. In secondo luogo, era stata contestata l'esistenza di vincoli di destinazione – non dichiarati – sull'unico immobile di cui era proprietaria la società e nel quale veniva svolta l'attività sociale, che, secondo gli accertamenti compiuti, erano in grado di determinare una significativa diminuzione del valore della partecipazione dedotto in contratto, visto che le parti, nel determinare il prezzo di cessione, avevano fatto esplicito riferimento alla situazione contabile di detto immobile. Anche in questo caso, dunque, sebbene la circostanza lamentata dal promissario acquirente inerisse a un bene appartenente al patrimonio della società, essa ridondava i propri effetti, anche per effetto delle pattuizioni intercorse tra le parti, in modo diretto sull'oggetto immediato della cessione, vale a dire sulle partecipazioni sociali, che vedevano fortemente compromesso il loro effettivo valore: se è vero, in linea generale, che il valore della quota non attiene all'oggetto del contratto di cessione (rappresentato dall'insieme dei diritti e degli obblighi in essa incorporati), ma alla sfera della valutazioni motivazionali delle parti, quando la consistenza economica e patrimoniale della società delle cui partecipazioni si tratta sia stata espressamente considerata, la solidità e la redditività economica dell'impresa viene inevitabilmente a integrare una qualità della cosa venduta, incidente sul suo migliore e più redditizio godimento, che legittima il ricorso alle tutele apprestate dagli artt. 1490 e 1497 c.c. Conclusioni L'ordinanza che si annota funge indubbiamente da monito per chi si accinga ad acquistare pacchetti azionari o partecipazioni societarie, eventualmente perché mosso dalla particolare solidità e struttura patrimoniale della società. La partecipazione sociale, infatti, attribuisce al titolare non solo diritti parametrati al valore del patrimonio della società (ci si riferisce precipuamente alla partecipazione agli utili), rispetto ai quali è senz'altro ravvisabile un interesse ad attribuire sempre e comunque rilevanza all'effettivo valore dei beni che lo costituiscono, ma pure diritti che consentono al socio di partecipare alla vita della società, esercitando tutte le facoltà concesse dalla legge e dallo statuto, sicché i diritti patrimoniali – rispetto ai quali possono assumere valore le vicende che riguardano i beni e le situazioni giuridiche soggettive che appartengono alla società – sono solo una parte delle utilità che l'acquirente della partecipazione riceve per effetto del suo acquisto. Se è vero, dunque, che l'acquirente può fare leva sulla clausola generale di buona fede per tutelarsi a fronte di eventi o circostanze impattanti sui beni che compongono il patrimonio sociale, è buona regola fare in modo che il contratto fornisca apposita evidenza della considerazione che tali beni hanno avuto nella determinazione dell'assetto di interessi convenuto dalle parti, specialmente per quanto concerne il corrispettivo della cessione; meglio ancora se il cedente, proprio in ragione di ciò, assuma – attraverso quelle clausole che nella prassi sono note come representations e business warranties, consistenti in dichiarazioni di scienza con funzione descrittivo-ricognitiva della consistenza patrimoniale e organizzativa della società e in promesse di fatti futuri inerenti al patrimonio o alla redditività della società con carattere lato sensu assicurativo o di copertura del rischio – una specifica garanzia in ordine alla corrispondenza tra la situazione rappresentata all'acquirente e quella in cui effettivamente versano tali beni, impegnandosi a tenere indenne la controparte qualora eventi sopravvenuti dovessero influire negativamente sulla loro consistenza o sul loro valore. Con l'ulteriore vantaggio per l'acquirente – se si aderisce a quella ricostruzione che qualifica tali patti non alla stregua di clausole di garanzia della qualità del bene venduto, ma quali garanzie autonome – di fruire, anziché del ristretto termine di prescrizione previsto dalle norme in tema di garanzia per vizi nella compravendita, di quello ordinario decennale, configurando la mancanza dei requisiti previsti inadempimento della prestazione traslativa principale. Presupposto fondamentale per la concreta operatività delle garanzie patrimoniali, sotto questo profilo, è che sia stata redatta una situazione patrimoniale il più prossima possibile alla stipulazione del contratto, attraverso la quale il venditore garantisce, da un lato, l'effettiva esistenza delle poste attive e l'inesistenza di poste passive ulteriori rispetto a quelle indicate e, dall'altro lato, la corretta valutazione delle poste, sulla base di principi contabili generalmente accettati. |