Abusiva concessione di credito per la banca che continua a finanziare l’imprenditore in crisi

14 Febbraio 2025

La Cassazione torna ad occuparsi dei presupposti dell'azione risarcitoria nei confronti degli istituti di credito per abusiva concessione del credito ad un soggetto che versi in stato di crisi o insolvenza.

Massima

Va qualificata come “concessione abusiva di credito” la condotta illecita del soggetto finanziatore che, in simmetria con il ricorso abusivo al credito, tale credito accordi, o continui a concedere, incautamente, con colpa grave o dolo, credito in favore dell'imprenditore che versi in stato d'insolvenza o di crisi conclamata, in violazione dell'obbligo di valutare ex ante con prudenza la concessione del credito ai soggetti finanziati e così permettendo all'impresa decotta la prosecuzione dell'attività d'impresa in perdita, con il conseguente aumento del dissesto. Il curatore, ai sensi dell'art. 146 l.fall., è legittimato ad agire in giudizio nei confronti anche dell'istituto di credito che abbia erogato il credito assumendo un rischio irragionevole nel concedere il finanziamento senza prospettive di superamento della crisi, ma affinché si possa affermare la responsabilità del soggetto finanziatore per le condotte enunciate, il curatore ha l'onere di dedurre e provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito: la condotta violativa delle regole che disciplinano l'attività bancaria, caratterizzata da dolo o da colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell'art. 43 c.p., il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa in perdita e il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta.

Il caso

Il Fallimento di una società ricorreva in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Perugia di rigetto dell'azione di responsabilità intentata dal Curatore avverso l'ex amministratore della Società nonché dell'azione risarcitoria promossa verso le Banche ritenendo abusiva la concessione del credito accordata alla fallita.

La Corte perugina ha ritenuto non provati né le condotte illecite asserite dal Fallimento attore né il nesso di causa fra queste e il danno lamentato affermando che la prosecuzione dell'attività d'impresa, la mancata ricapitalizzazione e la percezione da parte dell'amministratore di compensi non deliberati costituivano scelte gestionali non sindacabili e ha confermato la sentenza di primo grado che accoglieva in minima parte la domanda verso l'ex amministratore della società solo per un singolo illecito, con esclusione della applicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali e non ritenendo che la sentenza di patteggiamento, medio tempore pronunciata nei confronti dell'amministratore, avessi una qualche efficacia nel giudizio civile. Anche il rigetto dell'azione intentata contro gli Istituti di credito veniva confermato in secondo grado: difettava, secondo la Corte perugina la prova di circostanze idonee ad affermare la responsabilità delle banche e la loro consapevolezza della situazione di decozione della società, fermo che l'erogazione di credito ad una società in difficoltà non costituisce ex se alcun illecito

Avverso la decisione pronunciata in fase di gravame ricorreva in Cassazione la Curatela che, articolando cinque motivi di ricorso, impugnava tutti i capi della sentenza di secondo grado.

Le questioni

Il provvedimento in commento si occupa sia di alcune questioni che attengono alla responsabilità gestoria dell'amministratore nel caso di stato di crisi della società sia, soprattutto, dell'analisi dei presupposti dell'azione risarcitoria avverso gli istituti di credito per concessione abusiva del credito. Quest'ultimo viene ad essere il tema centrale dell'arresto in parola, trattato anche in ottica processual-fallimentare e origina dalla censura del Fallimento, secondo il quale la corte del merito non avrebbe tenuto conto degli indizi fattuali decisivi per provare che gli istituti di credito, quali operatori qualificati e in grado di rilevare i sintomi della crisi, benché a conoscenza della situazione di decozione della società, avrebbero continuato a finanziare la fallita, aggravandone il dissesto.

Osservazioni

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso e confermare la decisione d'Appello (anche) in ordine al capo di sentenza che riguarda la asserita responsabilità delle banche, anzitutto inquadra la fattispecie che si configura quale condotta dell'istituto di credito che accorda il credito, in via simmetrica alla condotta di chi gestendo la società a tale credito ricorra. Il Curatore, ai sensi dell'(allora vigente) art. 146 L.Fall. e dell'art. 2393 c.c., quale successore nei rapporti spettanti alla fallita, è legittimato ad agire verso l'Istituto di credito responsabile in solido con gli organi sociali del danno subito dalla soggetto finanziato per il pregiudizio cagionato al patrimonio di quest'ultimo.

Alla base della configurabilità di una siffatta responsabilità vi è il dovere per l'istituto bancario quale operatore qualificato del mercato, di usare prudenza nella concessione del credito, valutando accuratamente gli eventuali indici di percepibilità della crisi dell'imprenditore che chieda – o continui a chiedere – credito: la condotta incauta della banca che tiene artificiosamente “in vita” l'impresa decotta viola i parametri di diligenza di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2082 c.c., nonché quelli di settore dettati dal TUB (come ha ricordato la Cassazione, con la sentenza n. 18610/2021, in questo portale, con nota di Selvini, Responsabilità della banca da abusiva concessione del credito: solidale con la responsabilità degli amministratori o autonoma?).

La Suprema Corte ripercorre gli elementi fondanti una siffatta responsabilità, che viene esclusa nel caso di specie. La fattispecie ha un'origine “positiva” – che la Cassazione ricorda – nel reato previsto dall'art. 218 L.Fall. che sanziona la condotta degli amministratori, dei direttori generali, dei liquidatori e in genere degli imprenditori esercenti un'attività commerciale che, anche al di fuori dei casi di bancarotta, "ricorrono o continuano a ricorrere al credito... dissimulando il dissesto o lo stato d'insolvenza" e che costituisce anche illecito civile.

Passando all'analisi degli elementi costituivi dell'illecito, è, anzitutto necessario, che l'erogazione del credito abusiva avvenga con dolo o con colpa in relazione ad una “situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi”: in sostanza è necessarie l'assunzione di un rischio irragionevole rispetto alle condizioni attuali e alle prospettive della società finanziata e quindi, quanto meno, l'imprudenza, la negligenza o la violazione di leggi e regolamenti da parte della banca. Accanto all'elemento soggettivo, la pronuncia in commento si sofferma anche sulla necessità del danno-evento e del danno-conseguenza. In sostanza, affinché ricorra l'illecito de quo l'attività della società finanziata deve essere effettivamente proseguita in perdita con la conseguenza dell'aumento del dissesto eziologicamente da ricondursi alla maggiore esposizione debitoria di cui al finanziamento consesso dalla banca.

La Suprema Corte, per ancora meglio delineare la fattispecie, ne dà una descrizione in negativo, specificando i limiti esterni della concessione abusiva di credito, che non ricorre per il solo fatto che la banca conceda credito al di fuori di una procedura di risoluzione della crisi, potendo l'istituto bancario anche in quel caso valutare ex ante le prospettive di superamento della crisi e di permanenza sul mercato dell'impresa sulla base di documenti, dati e notizie. Insomma, resta il rischio insito nell'attività bancaria, purché sia ragionevole sulla base della attività istruttoria che la banca è tenuta ad espletare.

Se questo è lo statuto della fattispecie di abusiva concessione del credito e se questa integra un illecito aquiliano, il regime probatorio imporrà a chi un siffatto illecito afferma, un curatore fallimentare appunto, di allegare e provare gli elementi idonei a supportare la domanda: una condotta, dolosa o colposa, violativa delle regola che disciplinano l'attività bancaria e il legame causale tra l'aumento del dissesto e la prosecuzione dell'attività d'impresa che sia stata consentita dal credito concesso. Nel caso in esame, il fatto che i bilanci della fallita fossero sistematicamente redatti in violazione delle regole e con il ricorso a vari artifizi, ad esempio con appostazione di crediti inesistenti non è stata ritenuta una prova sufficiente della commissione da parte delle banche citate di alcun illecito. Infatti, dal deficit di allegazione da parte della curatela attrice è derivato il rigetto del ricorso.

Conclusioni

La pronuncia in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale che può dirsi consolidato e che sanziona la concessione del credito da parte degli istituti bancari laddove questa provochi un ritardo nell'emersione del dissesto e un aggravamento, poi in sede concorsuale, dello stesso (Cass. 1 giugno 2010 n. 123413; Cass. 20 aprile 2017 n. 9983; Cass. 30 giugno 2021, n. 18610).

La fattispecie mantiene rilevanza anche nell'attuale Codice della Crisi e dell'insolvenza in cui la base giuridica è prevista, dal punto di vista penale, all'art. 325 CCII (che ricalca l'art. 218 l.fall.) e nel quale, nel sistema della legittimazione del Curatore alle azioni di responsabilità, può dirsi ricompresa tra le iniziative che la Legge attribuisce alla curatela ex art. 255 CCII.

Nel contesto della nuova legislazione, inoltre, vi è un incentivo al ricorso al credito nel contesto delle procedure di risoluzione della crisi “controllato” e quindi sottoposto al vaglio giurisdizionale della funzionalità rispetto allo strumento prescelto (vedasi gli artt. 22,99 e 101 CCII), per cui sembra che ancora di più sia attuale il tema della valutazione del rischio di finanziamento fuori dai contesti di risoluzione della crisi. Del resto, ad essere in gioco è anche la tutela della par condicio creditorum, che il legislatore tutela sin dalla fase pre-concorsuale e non si può negare che ove ad essere contratto fosse un finanziamento garantito da ipoteca o dal Fondo di Garanzia, la par condicio creditorum verrebbe sovvertita dalla natura ipotecaria del credito o per effetto dell'insinuazione di un credito privilegiato negli stati passivi dei debitori abusivamente finanziati. Non si può, allora, negare che sarà interessante capire l'evoluzione giurisprudenziale della fattispecie nel contesto del nuovo codice della crisi.

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