La specificità delle mansioni e la protrazione della condotta incidono sulla configurabilità dell’abbandono del posto di lavoro.
14 Febbraio 2025
In linea con la giurisprudenza di legittimità, la distinzione tra abbandono del posto di lavoro e allontanamento da esso è ravvisabile nell’elemento temporale durante il quale la condotta è stata tenuta dal dipendente. Nello specifico, ricorrerebbe l’ipotesi di allontanamento solo quando l’assenza del lavoratore dal luogo in cui avrebbe dovuto assicurare la sua prestazione non sia tale da incidere sul regolare svolgimento dell’attività datoriale (i.e. non sia tale da potersi considerare “definitivo”). Tuttavia, la temporaneità o meno dell’assenza non può essere intesa in senso astratto, ma deve essere oggetto di una valutazione in concreto, avendo riguardo all’intensità dell’inadempimento oltre che alla durata nel tempo della condotta, dovendosi comunque escludere che la protrazione dell’abbandono richieda necessariamente la copertura dell’intero orario di lavoro/turno. Sotto il profilo soggettivo, invece, rileva la semplice coscienza e volontà della condotta, indipendentemente dalle finalità perseguite. Tenuto a mente quanto detto, la distanza tra il luogo di lavoro e quello presso il quale si è recato il lavoratore ben può costituire un elemento oggettivo per valutare, in termini di tempo, se la condotta sia sussumibile nella fattispecie di allontanamento o di abbandono, considerata, altresì, la specificità dele mansioni svolte dal dipendente (es. sorveglianza o custodia) e la conseguente incidenza della condotta sull’attività datoriale. Cfr.: Cass., sez. lav., 20 gennaio 2025, n. 1321. |