Estinzione della società e responsabilità dei soci per i debiti tributari
06 Marzo 2025
Massima La verifica del presupposto dell'avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento, da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 comma 5, d.p.r. n. 602/1973, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l'avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand'anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell'estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa. Il presupposto della responsabilità dei soci deve essere provato dal Fisco con la notificazione agli stessi di apposito avviso di accertamento. Il caso L'Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una s.r.l. un avviso di accertamento per l'anno 2006, con il quale, stante la mancata presentazione della dichiarazione, aveva rideterminato induttivamente il volume d'affari Iva e il reddito ai fini Ires ed Irap, recuperando le maggiori imposte dovute con relative sanzioni. La società impugnava l'avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale accoglieva in parte il ricorso ritenendo legittima la sola ripresa Iva. Successivamente alla sentenza di primo grado la società veniva cancellata dal Registro delle Imprese. L'Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la pronuncia, evocando in giudizio, vista la cancellazione della società, i soci ed affermandone la responsabilità per il debito della società exartt. 2495, comma 2, c.c. e 36 comma 3, d.p.r. n. 602/1973, allegando il fatto che, pur in presenza di un bilancio finale di liquidazione che, in quanto negativo, non aveva attribuito alcunchè ai soci, risultava comunque in bilancio l'appostazione di un credito della società verso il Fisco per annualità pregresse, come tale suscettibile di compensazione con la pretesa dedotta. Nel costituirsi in giudizio i soci eccepivano preliminarmente che, a seguito della cancellazione della società, il giudizio - inizialmente radicato esclusivamente nei confronti di quest'ultima - non poteva proseguire nei loro confronti e che, comunque, facevano difetto sia l'interesse ad agire in capo all'Agenzia delle Entrate (asseritamente basato su una compensazione nei confronti di un soggetto non più esistente) e sia la loro legittimazione passiva, in quanto non destinatari di somme o beni in sede di liquidazione ex art. 2495 c.c. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva l'appello dell'Amministrazione finanziaria, e, in riforma della prima decisione, affermava la legittimità in toto dell'avviso notificato alla società, osservando anche che l'Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli ex soci della società medio tempore cancellata, posto che, per effetto del fenomeno di tipo successorio ex art. 110 c.p.c. (cfr., Cass. S.U. n. 6070/2013), essi, anche se rimasti estranei al primo grado di giudizio, avevano acquisito la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, senza che ciò determinasse una lesione dei loro diritti di difesa. I contribuenti proponevano infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, che la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente omesso di dichiarare l'inammissibilità dell'appello proposto dall'Agenzia direttamente nei confronti degli ex soci, senza aver contestualmente dimostrato anche la loro personale responsabilità in relazione ai debiti erariali già facenti capo alla società estinta, per effetto e nei limiti della riscossione o assegnazione a loro favore delle somme o dei beni di cui agli artt. 2495, comma 2, c.c. e 36, comma 3, d.p.r. n. 602/1973 (ed anzi pur essendo stato in causa positivamente dimostrato il contrario). La questione La Sezione Tributaria rimetteva gli atti alla Prima Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite. Osservavano i giudici remittenti che la cancellazione della società dal registro delle imprese ha effetto costitutivo e ne comporta l'immediata estinzione, laddove, in base all'art. 2495 c.c., nelle società di capitali, la riscossione della quota in forza del bilancio finale di liquidazione non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la sua successione nel processo già instaurato contro la società. Il socio (diversamente dall'erede della persona fisica) non è infatti di per sé successore universale della società, ma lo diviene, ex lege, se ed in quanto vi sia stata tale riscossione, con la conseguenza che quest'ultimo evento deve essere allegato e dimostrato quale presupposto della condizione dell'azione. In base ai noti arresti del 2013 (Cass., S.U., nn. 6070-6071-6072), del resto, è stato chiarito che, a seguito della cancellazione ed estinzione della società in corso di causa, si determina un fenomeno di tipo successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono (cosa che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti in vita la società. I soci successori della società subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all'ente - la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell'art. 110 c.p.c. - in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali (Cass., S.U., 2013 cit.). Tanto premesso, si osservava ancora nell'ordinanza di rimessione che si erano poi sviluppate nella giurisprudenza linee interpretative non del tutto univoche, nel senso che: a) per un primo indirizzo (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904), il limite di responsabilità dei soci di cui all'art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma sull'interesse ad agire dei creditori sociali; interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si siano trasferiti ai soci (Cass., 4 gennaio 2022, n. 2); orientamento, questo, ribadito anche dalle Sezioni Unite, sebbene in sede di regolamento di giurisdizione (15 gennaio 2021 n. 619); b) in base ad un secondo orientamento, si afferma che è necessario comunque provare l'effettiva percezione delle somme da parte dell'ex socio a titolo di legittimazione passiva, e questo onere incombe ex art. 2697 c.c. sul creditore che agisce (Cass. 15 gennaio 2020, n. 521), il che deve valere anche per il Fisco; c) in base ad un terzo orientamento, si sostiene che nel caso di società di capitali l'accertamento della riscossione della quota di liquidazione si correla alla legittimazione ad causam del socio ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell'art. 110 c.p.c. (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904). Tra gli aspetti da chiarire, secondo la Corte, assumeva fondamentale rilevanza quello relativo alle caratteristiche formali ed amministrative dell'atto impositivo nei confronti del socio per le somme accertate nei confronti della società, e ciò sia che debba essere attivata la speciale procedura prevista dall'art. 36 d.p.r. n. 602/1976, sia che venga attivato il modulo di responsabilità ex art. 2495 c.c. (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672). Osservazioni Le Sezioni Unite rilevano che la cancellazione della società non comporta l'estinzione, in danno dei creditori, delle obbligazioni sociali, rispondendo gli ex soci (di un debito che non è nuovo, derivando esso non dalla liquidazione ma dal pregresso svolgimento dell'attività societaria in adempimento del contratto sociale) quali successori, seppure intra vires ex 2495 comma 2 c.c., ovvero illimitatamente, a seconda del regime di responsabilità attivo in pendenza del rapporto sociale. Sul piano processuale, la cancellazione emersa in corso di giudizio non comporta la chiusura anticipata del processo e la necessità di un nuovo giudizio nei confronti del socio, bensì una causa di interruzione del processo ex artt. 299 segg. c.p.c. A seguito dell'estinzione della società, il socio (ex-socio) è infatti successore per il solo fatto di essere tale e non perché abbia ricevuto quote di liquidazione; ed il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito. L'ipotesi di responsabilità prevista dall'art. 36 d.p.r. n. 602/1973 (comma 3) concerne del resto proprio i soci della società estinta, colpendo i soci che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali, ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e trova appunto un limite quantitativo nel valore dei beni loro assegnati. Nel caso però in cui al socio venga richiesto dal Fisco il pagamento delle imposte già gravanti sulla società cessata è comunque necessaria la notificazione, nei suoi confronti, di uno specifico avviso di accertamento. Un atto impositivo, distinto e successivo rispetto a quello emesso nei confronti della società estintasi, condizionatamente al fatto che la pretesa nei confronti della società si sia consolidata. Tanto premesso, rileva la Corte, nel giudizio già pendente nei confronti della società non può trovare ingresso la questione della avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, essendo questo un tema suscettibile di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito della notificazione ai soci di un autonomo e distinto atto impositivo ex art. 36 co. 5° cit. (la cui motivazione dovrà evidentemente farsi carico anche di questo aspetto), dovendo, in quella sede, il Fisco provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto percepito. Una diversa soluzione, oltre a porsi in contrasto con il chiaro dettato dell'art. 36 D.P.R. n. 602/73, verrebbe peraltro a collidere sia con la struttura impugnatoria del processo tributario e sia con il divieto di ampliarne il petitum e la causa petendi. La notificazione di un nuovo atto di imposizione all'ex socio non implica del resto un 'ripartire da zero', ben potendo l'Ufficio spendere il giudicato di effettiva sussistenza del debito tributario della società estinta, formatosi, nel contraddittorio con i soci, nel giudizio ad esso relativo. Non convince invece le Sezioni Unite l'orientamento (vedi Cass., n. 31904 del 5 novembre 2021), secondo cui, una volta resosi definitivo il titolo nei confronti della società (per mancata opposizione, estinzione del processo ovvero giudicato), il Fisco potrebbe senz'altro procedere direttamente all'iscrizione a ruolo dei tributi non versati a nome dei soci (pro quota, in relazione ai relativi titoli di partecipazione), non occorrendo procedere all'emissione di autonomo avviso di accertamento. È vero, afferma la Corte, che quello notificato all'ex socio è un accertamento che conterrebbe l'indicazione di un credito non più contestabile, ma l'esigenza che tale credito venga poi imputato ad un soggetto pur sempre diverso (appunto l'ex socio) rispetto al contribuente che ad esso ha dato origine (la società) non consente di ravvisare nella specie un accertamento surrogabile da una mera cartella. In conclusione la Suprema Corte stabilisce quindi che, nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell'avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione integra, oltre alla misura massima dell'esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell'azione attinente all'interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi; questo presupposto, se contestato, deve però conseguentemente essere provato dal Fisco con la notificazione ai soci, ex artt. 36 comma 5 d.p.r. n. 602/1973 e 60 d.p.r. 600/1973, di un apposito avviso di accertamento, che rilevi appunto la responsabilità in questione. La verifica del presupposto dell'avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, anche quando questo giudizio venga poi legittimamente proseguito, a causa dell'estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa, non può pertanto avere ingresso diretto nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l'avviso di accertamento ad essa originariamente notificato. Conclusioni In conclusione, si conferma in via definitiva l'orientamento secondo cui, laddove l'Agenzia delle Entrate, nell'esercizio del potere impositivo, esiga dal socio di società estinta il pagamento del credito vantato nei confronti della società, seppure accertato con sentenza passata in giudicato, la stessa deve comunque portare a conoscenza del socio, con apposito avviso di liquidazione, le ragioni per le quali egli è tenuto a versare l'imposta accertata in capo alla società, indicando gli elementi da cui si evinca che, in sede di liquidazione, ha incassato somme, od ha ricevuto l'attribuzione di beni della medesima società (cfr., Cass., n. 28401 del 14/12/2020). L'accertamento giudiziale del credito verso la società, pur opponibile ai soci, non consente al creditore di far valere il titolo esecutivo ottenuto direttamente nei loro confronti, attesa la necessità di agire nei loro confronti per l'accertamento dei rispettivi presupposti (Cass., n. 4699 del 27/02/2014), anche al fine di porre il contribuente in condizione di contestare la fondatezza della pretesa impositiva, come formulata nei suoi confronti. |