Le Sezioni Unite sull’estensione del diritto dell’imputato alloglotto alla traduzione degli atti

24 Marzo 2025

Nel processo a carico di un imputato straniero che non comprenda la lingua italiana, quali sono le conseguenze della mancata traduzione della sentenza e del decreto di citazione a giudizio in appello?

Questione controversa

Le questioni controverse attengono ai vizi ravvisabili in relazione alla omessa traduzione di alcuni atti processuali in favore dell'imputato alloglotto: in particolare, essa comporta una mera irregolarità del decreto di citazione a giudizio in appello, o è causa di una nullità a regime intermedio? Ed ancora, l'omessa traduzione della sentenza causa il solo slittamento del termine per impugnarla, o è causa di una nullità generale a regime intermedio?

Possibili soluzioni - Prima questione
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento, l'obbligo di traduzione degli atti, previsto dall'art. 143 c.p.p., non è diretto solo ad informare l'imputato dell'accusa a suo carico, ma è anche, e soprattutto, funzionale a garantire l'effettività della sua partecipazione al procedimento e l'esplicazione della difesa in forma diretta e personale: dunque, l'omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio in appello integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, anche nel caso in cui l'alloglotto abbia eletto domicilio presso il proprio difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di tradurli.

Si evidenzia, in proposito, che il decreto di citazione a giudizio in appello, è atto di impulso processuale indispensabile per garantire la consapevole partecipazione dell'imputato al procedimento, e che non appare rilevante che esso non contenga un preciso riferimento all'accusa, dal momento che l'art. 143 c.p.p. prescrive che siano tradotti atti che non contengono la formulazione dell'accusa (ad esempio, l'informazione di garanzia e le informazioni sul diritto di difesa) ed atti che sono emessi quando l'imputato è già stato informato dell'accusa (ad esempio, le sentenze), sicché l'obbligo di traduzione deve ritenersi funzionale non tanto ad informare l'imputato dell'imputazione elevata contro di lui, quanto a garantirgli la consapevole partecipazione al processo (1).

Secondo l'opposto orientamento, il decreto in questione non deve essere obbligatoriamente tradotto nella lingua dell'alloglotto, trattandosi di atto che contiene solo i requisiti funzionali all'individuazione dell'imputato, del procedimento e della data di trattazione del giudizio di appello, senza alcuna indicazione relativa all'accusa, che è peraltro già ben nota all'imputato.

Si osserva, inoltre, che il diritto dell'imputato di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze è già esaurientemente garantito dall'assistenza dell'interprete.

Non può, dunque, rilevarsi una violazione del diritto di difesa nella mancata traduzione di un atto che non contiene informazioni decisive ai fini del consapevole esercizio del diritto di difesa (2).

(1Cass. pen., sez. VI, 30 novembre 2023, dep. 2024, n. 3993; Cass. pen., sez. V, 1° marzo 2023, n. 20035; Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 44421.

        

(2Cass. pen., sez. II, 7 aprile 2022, n. 20394; Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2021, n. 46967; Cass. pen., sez. V, 26 gennaio 2015, n. 32251.

Possibili soluzioni - Seconda questione
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento, l'omessa traduzione della sentenza in favore dell'imputato alloglotto integra una nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., in quanto viola il diritto di difesa funzionale all'esercizio consapevole dell'impugnazione, il cui termine di decorrenza rimane conseguentemente sospeso fino alla notifica all'interessato della sentenza tradotta in lingua a lui nota.

Si è sottolineato che l'obbligo di traduzione sussiste ogniqualvolta emerga la mancata conoscenza in capo all'imputato della lingua italiana, anche in assenza di una sua richiesta in tal senso, e che l'affermazione secondo cui la mancata traduzione non integra un'ipotesi di nullità della sentenza, ma comporta un mero slittamento dei termini per impugnare, non è più sostenibile dopo la pronuncia delle Sezioni Unite Niecko (n. 15069 del 26 ottobre 2023, dep. 2024), che, sebbene riferita all'ordinanza cautelare, ha individuato il fondamento della garanzia della traduzione in favore dell'alloglotto nel diritto di difesa di cui agli artt. 24 Cost. e 6, par. 3, lett. a), CEDU e la correlativa sanzione, pur in mancanza di una espressa previsione nella disposizione di cui all'art. 143 c.p.p., in quella della nullità a regime intermedio.

In conseguenza della sua qualificazione come nullità a regime intermedio, il vizio è deducibile solo nel corso del procedimento di cognizione, ed è sottoposto al regime di deducibilità e decadenza che emerge dal combinato disposto degli artt. 180 e 182 c.p.p. (1).

Secondo altro orientamento, la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotto non integra un'ipotesi di nullità; se, tuttavia, vi è stata specifica richiesta della traduzione, i termini per impugnare la sentenza decorrono, per l'imputato, dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota, sicché, nel caso in cui la traduzione, pur se disposta dal giudice, non sia stata effettuata, i termini per l'impugnazione proponibile dall'imputato non iniziano a decorrere, senza alcun onere a carico di quest'ultimo di assumere iniziative finalizzate a far cessare l'inerzia dell'amministrazione.

In conseguenza della sua qualificazione come violazione di legge che genera unicamente lo slittamento, eventualmente sine die, del termine per impugnare, il vizio - incidendo sulla perfezione del titolo esecutivo - può essere eccepito con l'incidente di esecuzione (2).

(1) All'indomani della richiamata sentenza Niecko delle Sezioni Unite, Cass. pen., sez. VI, 2 maggio 2024, n. 20679.

        

(2) All'indomani della richiamata sentenza Niecko delle Sezioni Unite, Cass. pen., sez. I, 4 giugno 2024, n. 29253, e Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 2024, n. 24730.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2025, n. 9900

  • La Corte, chiamata a valutare il ricorso con il quale l'imputato alloglotto aveva dedotto tanto la nullità della sentenza di primo grado, che non era stata tradotta nella lingua a lui nota, quanto la violazione del suo diritto di partecipare consapevolmente al secondo grado di giudizio, poiché non gli era stato tradotto neppure il decreto di citazione a giudizio in appello, ha preso atto del contrasto insorto in merito ad entrambe le questioni.
  • Illustrati i divergenti orientamenti sostenuti dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte ha rilevato, quanto alla prima questione controversa che «la riforma c.d. "Cartabia" ha arricchito il contenuto del decreto di citazione a giudizio in appello. Questo deve ora somministrare anche gli avvisi in ordine alla possibilità di accesso alla giustizia riparativa (art. 601, comma 3, c.p.p., che richiama l'art. 429, comma d-bis), c.p.p.): non può non rilevarsi, rispetto a tale novità, che, ove la possibilità di accesso alla giustizia riparativa non sia segnalata all'imputato nella lingua da lui compresa, si profila una ulteriore (ed inedita, prima della riforma) limitazione delle sue prerogative processuali».
  • Quanto alla seconda questione controversa, la Corte ha ricordato che le Sezioni Unite Niecko hanno «ampiamente valorizzato la matrice costituzionale e convenzionale del diritto alla traduzione, richiamando la sentenza n. 10 del 1993 della Corte costituzionale secondo cui l'obbligo di traduzione trova il suo fondamento sistematico nell'art. 24, comma 2, Cost., che assicura la difesa come “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, prefigurando un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile dall'imputato o dall'indagato alloglotto», ma ha al contempo sottolineato che, secondo l'impostazione del massimo consesso nomofilattico, l'imputato alloglotto che si dolga dell'omessa traduzione della sentenza ha l'onere, in coerenza con la natura generale a regime intermedio della nullità, di indicare l'esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale, mentre, secondo la differente impostazione seguita da altre pronunce di legittimità, l'imputato che non ha ancora preso cognizione del contenuto del provvedimento non è in grado di rappresentare correttamente al difensore le ragioni del pregiudizio eventualmente subito, né il difensore potrebbe sostituirlo in tale valutazione, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegarne compiutamente i motivi, sicché non è necessario che l'imputato eccepisca l'esistenza di un concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative, poiché esso in realtà è già presente e permane fino all'adempimento dell'obbligo di traduzione.
  • Ha segnalato, altresì, un altro fronte del contrasto ermeneutico: ed invero, alcune pronunce hanno ritenuto che, per riconoscere la violazione di legge che genera lo slittamento del termine per impugnare, è necessaria la specifica richiesta di traduzione da parte dell'imputato alloglotto; tale richiesta, invece, non è ritenuta necessaria - in quanto l'obbligo di traduzione incombe sul giudice, che deve disporla ex officio - dall'indirizzo che ritiene che la sua omissione generi una nullità: «si tratta - annota la Corte - di una incongruenza interpretativa di rilievo, in quanto incide sulla definizione degli oneri della parte e del giudice in materia di tutela del diritto fondamentale dell'alloglotto alla partecipazione consapevole al processo».
  • La Corte ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione dei quesiti che sono stati così formulati:

«Se il decreto di citazione per il giudizio di appello debba essere tradotto in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana».

«Se la mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana integri una nullità generale a regime intermedio ovvero determini il solo differimento per l'imputato della decorrenza del termine per l'impugnazione».

Le Sezioni Unite tratteranno il ricorso nell'udienza del 29 maggio 2025.

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