La valutazione del danno non patrimoniale da privazione del rapporto genitoriale
31 Marzo 2025
Massima La privazione del rapporto genitoriale - la quale comporti in capo al figlio la lesione, oltre una soglia minima di tollerabilità, di diritti costituzionalmente rilevanti – è fonte di un danno non patrimoniale da illecito endofamiliare, da quantificare equitativamente attraverso il rinvio alle tabelle per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in uso nel distretto. Il caso Una giovane donna - affetta fin dalla nascita da notevoli problemi di salute, aggravatisi in età adulta a seguito dell'insorgere una nuova severa patologia - lamenta il completo disinteresse, sia di carattere affettivo che economico, mostrato dal padre nei suoi confronti: soprattutto a partire dal momento della separazione dei genitori, avvenuta quando la bambina aveva sette anni. Dalla documentazione presentata e dalle testimonianze emerge la totale trascuratezza, da parte dell'uomo, nel coltivare la relazione con la figlia, progressivamente peggiorata nel tempo e culminata al momento della diagnosi – per quest'ultima - di un tumore cerebrale. A fronte di una sostanziale assenza della figura paterna, la figlia subisce una profonda sofferenza per la privazione del rapporto genitoriale, tale da sfociare in una vera e propria patologia di carattere psichico; di qui la richiesta risarcitoria che la figlia rivolge al padre, al fine di ottenere il risarcimento dei pregiudizi provocati dalla violazione dei doveri genitoriali. La questione Il tribunale è chiamato a verificare, a fronte del comportamento tenuto dal padre verso la propria figlia, degli estremi di un torto extracontrattuale – sub specie di illecito endofamiliare - al fine di procedere al ristoro dei pregiudizi ad esso conseguenti: sia lungo il versante dei danni provocati dalla privazione della figura paterna, sia in relazione alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla lesione della salute psichica Le soluzioni giuridiche 1. L'illecito endofamiliare Il tribunale affronta prioritariamente la questione riguardante l'accertamento della ricorrenza degli estremi di un illecito extracontrattuale, a fronte della grave violazione dei doveri di genitore da parte del padre. Alquanto ricca è la mole di circostanze addotte dall'attrice a supporto di una simile conclusione, dalle quali emerge il completo disinteresse dimostrato nei confronti della figlia, sia dal punto di vista affettivo che economico. Il tribunale non esita a ricondurre tale comportamento nel perimetro dell'art. 2043 c.c., osservando che in tale alveo andrà radicata la «violazione degli obblighi familiari da parte dei (…) componenti del nucleo, purché determini la lesione di diritti costituzionalmente rilevanti e la compromissione degli stessi ecceda una soglia minima di tollerabilità». In particolare, nel caso di specie, si sottolinea che «con specifico riguardo al rapporto genitori-figli, il dovere dei genitori ed il corrispondente diritto dei figli di essere istruiti, educati e mantenuti trova un fondamento costituzionale diretto nell'art. 30 Cost, oltre che espressa previsione a livello di legge ordinaria dagli artt. 147-148 c.c.». La grave violazione di tale dovere viene considerata ampiamente dimostrata a fronte della documentazione fornita dall'attrice, delle molteplici testimonianze raccolte e della non giustificata contumacia del convenuto. Il giudice afferma, di conseguenza, la responsabilità del padre «per non aver adeguatamente adempiuto agli obblighi genitoriali nella misura in cui ha manifestato disinteresse e distacco nei confronti dell'attrice, sia da un punto di vista materiale che morale». Si rileva, in definitiva, che «l'assenza del padre e il rapporto "saltuario" con lo stesso non possono che ingenerare profonda sofferenza nella figlia (…) per la privazione di beni fondamentali quali la cura, l'affetto, l'amore genitoriale, da cui discende che debba ritenersi provato il lamentato danno non patrimoniale». 2. I danni non patrimoniali risarcibili. Per quanto concerne le voci non patrimoniali da risarcire in capo alla vittima, viene riconosciuta come conseguenza ricollegabile all'illecito comportamento del padre una condizione patologica di malessere emotivo, fonte di una lesione quantificata dalla consulenza tecnica in postumi permanenti del 4%. Il tribunale provvede, pertanto, a liquidare il corrispondente danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute nella misura standard prevista dalle tabelle milanesi (per una somma complessiva di 7.156 euro). Prima ancora di generare un'(eventuale) lesione alla salute (concretamente verificatasi nel caso di specie), il comportamento illecito del padre si pone quale fonte di un (distinto) danno non patrimoniale da illecito endofamiliare. Nel riconoscere la ricorrenza di un simile pregiudizio, il tribunale osserva come la determinazione dello stesso debba essere rimesso alla valutazione equitativa del giudice. 3. La valutazione del danno non patrimoniale da privazione del rapporto familiare Nel procedere alla liquidazione del pregiudizio conseguente alla privazione del rapporto paterno, il tribunale ritiene di aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui la valutazione equitativa dovrà essere effettuata «attraverso il rinvio, in via analogica e con l'integrazione dei necessari correttivi, alle tabelle per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in uso nel distretto». Il riferimento in questione, applicato avendo a riguardo il caso di morte del genitore, va applicato – secondo il giudice - tenuto conto che «la perdita del genitore è situazione ben diversa dell'assenza volontaria dello stesso, stante l'irreversibilità della prima a fronte della possibile modificabilità della seconda». Nel caso di specie, il tribunale tiene conto della volontà paterna di rompere qualsiasi rapporto con la figlia, al punto da definirsi morto per lei, per approdare a una liquidazione del danno nella misura di complessivi 100.000.000 euro. Osservazioni Con la pronuncia in commento il tribunale ambrosiano si colloca in seno all'oramai consolidato orientamento giurisprudenziale (le prime tracce del quale si rinvengono in Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713) volto a riconoscere che l'abbandono del figlio, da parte del genitore, è comportamento tale da non rimanere confinato entro l'area del diritto di famiglia, ma è suscettibile di assumere rilievo sul piano aquiliano, ponendosi quale fonte di un danno risarcibile. Problema particolarmente spinoso appare quello riguardante la definizione del limite superato il quale la violazione dei doveri di carattere familiare viene a integrare un illecito endofamiliare (essendo in tali termini descritta dagli interpreti la lesione del rapporto familiare imputabile a un membro della famiglia stessa). È interessante notare che – in questo ambito – peculiare appare il ruolo rappresentato dalla soglia della gravità della lesione. In effetti, si tratta di osservare che quella che – in termini generali - viene rappresentata (insieme alla serietà del danno) come strumento per l'esclusione dal perimetro risarcitorio dei c.d. danni bagatellari, in questo caso assume un ruolo differente, in quanto opera a livello di an della responsabilità. In buona sostanza, non ogni violazione dei doveri familiari può assumere rilevanza sul piano aquiliano, occorrendo che la stessa superi quella soglia di gravità sotto la quale gli effetti non appaiono irrilevanti sul piano giuridico, ma si prestano a essere affrontati esclusivamente con i rimedi previsti dal diritto di famiglia. Per quanto riguarda le conseguenze dell'illecito, il tribunale non cade nella tentazione – alla quale indulgono talvolta le corti - di attribuire al danno alla salute un ruolo assorbente rispetto agli altri pregiudizi non patrimoniali generati dall'illecito. Quest'ultimo assume, infatti, portata plurioffensiva e appare suscettibile di colpire non soltanto il rapporto familiare, ma anche l'integrità psico-fisica della vittima, provocando a carico di quest'ultima una vera e propria patologia di carattere psichico. Il pregiudizio da quest'ultima derivante rappresenta, pertanto, una voce distinta ed autonoma rispetto al danno non patrimoniale da privazione del rapporto familiare. È la liquidazione di quest'ultimo pregiudizio il punto di maggiore interesse nella sentenza in commento. Con riguardo ai parametri ai quali il giudice deve conformare la valutazione equitativa, va sottolineato che non appare una novità l'idea secondo cui quest'ultima andrà forgiata prendendo a riferimento, con opportuni adattamenti, le tabelle giurisprudenziali impiegate per la perdita del rapporto parentale (v., ad esempio, Trib. Milano 23 luglio 2014, Figura paterna assente: risarcibile il danno al figlio privato del rapporto genitoriale, in IUS Responsabilità civile (ius.giuffrefl.it): che ha determinato il risarcimento dovuto alla figlia abbandonata alla nascita dal padre in una somma pari a ¼ dell'importo minimo previsto dalla tabella milanese per la perdita del genitore). Si tratta di un'idea perorata da tempo dalla giurisprudenza di merito, che risulta altresì confermata dalla Cassazione (v., ad esempio, Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2014, n. 16657). Appare utile sottolineare come un confronto con tali tabelle risultava assai più semplice in passato, quando le stesse (quantomeno quelle milanesi) erano incardinate su un sistema a forbice, in cui era prevista l'individuazione di un range di oscillazione tra due importi. Più complesso risulta misurarsi con le tabelle attuali, modellate attraverso un sistema a punti, dal quale non emerge in maniera immediata la quantificazione del pregiudizio suscettibile di essere corrisposto a fronte della perdita del rapporto parentale: nella specie in caso di morte del genitore. Proprio i criteri presi a riferimento nella tabellazione a punti mettono, anzi, in evidenza la diversità che intercorre tra questa figura di danno e quello conseguente alla violazione dei doveri genitoriali sfociata nell'abbandono. Affinché la tabella possa incarnare un concreto termine di confronto sul quale modellare la valutazione equitativa, sarà dunque necessario procedere al calcolo dell'importo astrattamente spettante alla figlia in caso di morte del padre (spogliando ovviamente lo stesso da qualsiasi considerazione circa l'intensità del rapporto); solo una volta ottenuto tale riferimento monetario, il giudice potrà applicare allo stesso i necessari e motivati aggiustamenti attraverso i quali pervenire alla liquidazione del (differente) pregiudizio derivante dalla privazione del rapporto genitoriale. |