Licenziamento per abuso dei permessi ex l. 104/1992 e controlli investigativi
04 Aprile 2025
Massima È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore che usa i permessi exl. 104/1992, in maniera sistematica, per svolgere attività di carattere personale-ricreativo. Altresì legittimo è il controllo esercitato da parte del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa privata, in quanto avente ad oggetto non l'adempimento della prestazione lavorativa ma l'accertamento di atti illeciti quali l'abuso dei permessi retribuiti. Il caso Un dipendente richiede di poter usufruire dei permessi previsti dall'art. 33, l. 104/1992 per assistere alla madre con disabilità. La datrice di lavoro, a seguito di controllo a mezzo di agenzia investigativa, licenzia il dipendente per giusta causa in quanto, dalle risultanze investigative, si ravvisa che il lavoratore, che aveva richiesto di utilizzare i suddetti permessi retribuiti dalle ore 13.00 alle ore 15.00, giunto a casa alle ore 13.00, attorno alle 14.00 usciva in abbigliamento sportivo e, inforcata la bicicletta, si allontanava per rientrare in casa alle ore 17.00. Tale condotta veniva reiterata per ben sei giornate. Il dipendente impugna il licenziamento: sia il Tribunale sia la Corte d'appello confermano la legittimità del recesso per giusta causa, in quanto, considerando la sistematicità e la reiterazione del comportamento contestato, sarebbe evidente il peculiare disvalore della condotta del lavoratore, preordinata a perseguire attività di natura esclusivamente personale. Il lavoratore ricorre per Cassazione sulla base dei seguenti motivi:
La società resiste con controricorso. La Corte di cassazione rigetta il ricorso. La questione
Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione respinge integralmente il ricorso richiamando giurisprudenza ormai consolidata. Per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, la Corte conferma la legittimità della condotta datoriale in quanto rammenta che il richiamo all'art. 4 St. lav. è, nel caso concreto, inconferente in quanto tale norma riguarda l'ipotesi del controllo dell'attività del lavoratore a mezzo di strumenti tecnologici. La pronuncia della Corte d'appello risulta, invece, coerente con la giurisprudenza secondo la quale i controlli investigativi e i controlli effettuati da guardie giurate, posto che non possono mai avere ad oggetto l'adempimento (o l'inadempimento) della prestazione lavorativa, possono tuttavia essere volti ad accertare il compimento di atti illeciti realizzati dal lavoratore, proprio come nell'ipotesi di abuso dei permessi concessi ai sensi della l. 104/1992 che integra, pacificamente, una truffa ai danni dello Stato nonché un violazione del vincolo di fiducia datore-lavoratore. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Cassazione ribadisce che l'art. 33 l. 104/1992 non consente di impiegare il permesso, riservato all'espresso scopo di prestare assistenza al familiare invalido, per finalità differenti di carattere personale. Il riconoscimento del diritto di fruire dei permessi retribuiti ex l. 104/1992, si risolve, difatti, in nome di esigenze sociali meritevoli di tutela, in un sacrificio sia organizzativo per il datore di lavoro, sia economico da parte del sistema assistenziale previdenziale: l'uso improprio dei permessi indica, quantomeno, una violazione dei principi di buona fede e correttezza. Secondo giurisprudenza consolidata, deve sussistere un nesso causale diretto e rigoroso fra l'assenza dal lavoro del lavoratore che usufruisce dei permessi di cui alla l. 104/1992 e l'assistenza al familiare con disabilità: non è necessario, chiarisce la Corte, che si valuti con rigidità la coincidenza fra il segmento temporale coperto da permesso e l'attività di assistenza, né che, in quel lasso temporale, il lavoratore sacrifichi completamente le proprie esigenze personali e familiari. Ciò che è imprescindibile è che, alla luce di una valutazione del caso concreto operata dal giudice di merito, sia soddisfatta la finalità assistenziale di cui al permesso stesso: ciò significa che il tempo che il lavoratore, grazie ai permessi, non dedica al lavoro, deve essere preordinato alla preminente soddisfazione dei bisogni del familiare che necessita cura e assistenza. Nel caso che ci occupa, viceversa, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta del lavoratore, che per ben sei giornate ha utilizzato la metà dei permessi richiesti per esercitare attività sportiva (e dunque per soddisfare bisogni esclusivamente personali) integra un vero e proprio abuso dei permessi ex l. 104/1992, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa intimato. Osservazioni La pronuncia in commento, condivisibile, pare ben inserirsi in quel filone giurisprudenziale ormai prevalente con il quale si intende incentivare l'adozione di una posizione moderatamente garantista nei confronti dei lavoratori che utilizzano i permessi in questione. Difatti, al netto del caso concreto ove non è possibile non ravvisare un preordinato intento truffaldino del dipendente che, ripetutamente, ha impiegato la metà del permesso per compiere attività di mero svago, la Corte richiama la sentenza n. 7306/2023 che chiarisce come l'esistenza di un nesso causale “diretto e rigoroso” fra fruizione del permesso e assistenza del familiare con disabilità non debba essere interpretato in maniera tanto rigida da comportare per il lavoratore una totale compressione delle proprie necessità personali e familiari, né come un nesso temporale fra godimento del permesso e orario di lavoro quanto, piuttosto, come un nesso funzionale tra il tempo “liberato” dal lavoro e la preminente soddisfazione delle esigenze del soggetto in favore del quale i permessi stessi vengono concessi. Ferma, dunque, la principale funzione di soddisfacimento delle esigenze del soggetto con invalidità, la sentenza in commento conferma il generale orientamento che riconosce ai permessi ex l. 104/1992, in via seppur residuale, funzione anche compensativa delle energie fisiche e mentali indirizzate dal dipendente verso la cura del familiare. Del resto, come rammenta altra recentissima pronuncia (Cass. civ., sez. lav., ord. 17 gennaio 2025, n. 1227) il cd. abuso del diritto si configura esclusivamente quando l'assistenza viene a mancare del tutto, ovvero è prestata per tempi tanto irrisori o con modalità talmente insignificanti da vanificare la ratio della l. 104/1992. |