Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 20 - Sospensione di obblighi e di cause di scioglimento di cui agli articoli 2446, 2447, 2482-bis , 2482-ter , 2484 e 2545-duodecies del codice civile 1

Guido Romano

Sospensione di obblighi e di cause di scioglimento di cui agli articoli 2446,2447,2482-bis, 2482-ter, 2484 e 2545-duodecies del codice civile 1

1. Con l'istanza di nomina dell'esperto, o con dichiarazione successivamente presentata con le modalità di cui all'articolo 17, comma 1, l'imprenditore può dichiarare che, sino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, non si applicano nei suoi confronti gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non si verifica la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile. A tal fine, l'istanza o la dichiarazione sono pubblicate nel registro delle imprese e gli effetti di cui al primo periodo decorrono dalla pubblicazione.

2. Se l'imprenditore ha chiesto anche l'applicazione di misure protettive del patrimonio ai sensi degli articoli 18 e 19, la sospensione degli obblighi e delle cause di scioglimento prevista nel comma 1 cessa a partire dalla pubblicazione nel registro delle imprese del provvedimento con il quale il tribunale dichiara l'inefficacia delle misure richieste, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, o ne dispone la revoca.  

Inquadramento

L'art. 20 del Codice (analogamente al previgente art. 8 del d.l. n. 118/2021) dispone che con l'istanza di nomina dell'esperto o con dichiarazione successivamente presentata, il debitore possa ottenere la sospensione delle disposizioni sulla ricapitalizzazione in caso di perdite di esercizio (artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter c.c.) e di quelle sulla causa di scioglimento di cui agli artt. 2484, commi 1, n. 4) e 2545-duodecies c.c.

La previsione normativa testé richiamata mira ad incentivare il ricorso alla composizione negoziata attraverso la prospettiva di ottenere una sospensiva degli obblighi previsti a salvaguardia del capitale sociale in un contesto in cui il loro adempimento risulta arduo alla luce della situazione di crisi in cui versa l'impresa collettiva.

La sospensione, nelle sue diverse articolazioni, è volta a garantire che nel corso delle negoziazioni l'imprenditore non venga assoggettato agli obblighi di ricapitalizzazione o di scioglimento a fonte di perdite superiori al terzo del capitale sociale; è infatti verosimile che le condizioni patrimoniali di chi si approssima al percorso compositivo, e forse in una rilevante quantità dei casi, risultino marcatamente compromesse e che dunque si stia per generare, se non si è già generata, la causa di scioglimento con i connessi obblighi ricostitutivi.

La norma consente in questo modo di poter integrare i provvedimenti sul capitale nell'ambito dei piani di risanamento, cosi da poterli attuare nella loro fase esecutiva; con l'ulteriore effetto che le risorse per la ricostituzione potrebbero anche autogenerarsi sottoforma, ad esempio, di conversione di debiti in capitale oppure mediante rilascio di specifici appropriati strumenti finanziari partecipativi ovvero mediante la generazione di utili, da imputarsi a capitale, rivenienti da sopravvenienze attive originate dalla riduzione concordata di debiti.

Tale «beneficio» va letto unitamente agli ulteriori incentivi al ricorso alla composizione negoziata che si trovano disseminati nel Codice: oltre alle misure premiali di cui all'art. 25-bis, v'è la previsione circa la conservazione degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale in caso di esito infausto della composizione negoziata e l'esenzione da revocatoria fallimentare degli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo all'accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché «coerenti» con le trattative e le prospettive di risanamento (art. 24); la possibilità di conferire all'eventuale accordo di ristrutturazione sottoscritto anche dall'esperto gli effetti di cui all'art. 166, comma 3, lett. d) e 324 senza necessità dell'attestazione (art. 23); la possibilità di presentare il concordato semplificato di liquidazione se l'esperto nella relazione finale dichiari che le trattative non hanno avuto esito positivo.

In dottrina (Guidotti) è stato osservato che l'esistenza della previsione contenuta nell'art. 20 costituisce l'ulteriore indiretta conferma che al percorso della composizione negoziata può accedere anche l'imprenditore già insolvente. Se è ovvio infatti che tra l'applicazione delle norme sulla riduzione obbligatoria del capitale e la nozione di insolvenza non v'è coincidenza tecnica è altrettanto vero che nella realtà dei fatti la necessità di ricorrere alla sospensione normalmente riguarda situazioni di difficoltà avanzata (la perdita del capitale è la principale «spia» dei problemi patrimoniali; in questo senso depongono anche gli indici elaborati ex art. 13, commi 2, dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti in relazione all'allerta).

Portata applicativa della deroga alla regola del c.d. ricapitalizza o liquida

Come già detto l'art. 20 rimette alla decisione dell'imprenditore il dichiarare, o meno, con l'istanza di nomina dell'esperto, o con comunicazione successiva presentata con le modalità di cui all'art. 17, di volersi avvalere della disapplicazione delle regole sulla ricapitalizzazione in caso di perdite di esercizio (exartt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter c.c.) e di quelle sulla causa di scioglimento di cui agli artt. 2484, comma 1, n. 4) e 2545-duodecies c.c. Si tratta, dunque, di una vera e propria autodisattivazione degli obblighi di integrità del capitale e dell'automatico scioglimento dell'ente sociale conseguiti mediante una semplice espressione di volontà, che si manifesterà formulando una dichiarazione che potrà essere resa sia con l'istanza di nomina dell'esperto sia in un qualsiasi momento successivo, e la condizione permarrà inalterata fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione

La scelta del legislatore sotto il profilo sistematico è di particolare rilievo perché attribuisce al debitore il potere, senza alcun controllo da parte dell'autorità giudiziaria, di disattivare i meccanismi posti a presidio del capitale (e dunque a tutela anche dei creditori sociali).

Sotto questo profilo la previsione normativa presenta delle analogie e delle differenze rispetto a quanto disposto dall'art. 6 del d.l. n. 23/2020 (c.d. «Decreto Liquidità»), che ha previsto in favore delle società che si trovino in situazioni di deficit patrimoniale a causa di perdite straordinarie ed imprevedibili generate dalla pandemia da Covid-19 la sospensione delle norme sulla ricapitalizzazione per perdite. Anche in questo caso la sospensione non richiede l'intervento giudiziale ma, a differenza di quella prevista dall'art. 20 del Codice (che è rimessa alla volontà dell'imprenditore) opera ex lege e per il periodo da questa indicato.

In base all'art. 20 si apre quindi la possibilità per la società, che ha chiesto di accedere alla composizione negoziata della crisi, di continuare ad operare nonostante il patrimonio netto negativo; tanto è nel disegno del legislatore bilanciato però dal fatto che gli amministratori non vengono sottratti al sistema delle regole sulla loro responsabilità, integrato dalle disposizioni speciali del Codice, che impone loro, tra le altre cose, di non recare danno ai creditori in caso di insolvenza (art. 21, comma 1); danno che ovviamente ha maggiore probabilità di verificarsi quando si operi, appunto, con il patrimonio netto negativo.

È ragionevole attendersi un frequente ricorso all'istituto da parte dell'imprenditore in crisi, atteso l'evidente beneficio che lo stesso ritrae dalla sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione.

Al riguardo viene da chiedersi quale potrebbe essere l'interesse dell'imprenditore di non avvalersi della facoltà concessagli dalla legge. Sembra corretto ipotizzare (così Guidotti) che l'unico motivo possa essere quello in cui la fattispecie concreta sia molto lontana da una ipotesi di applicazione delle norme sul capitale e quindi, forse anche per ragioni di natura reputazionale, l'imprenditore non voglia dichiarare di volersi avvalere del beneficio della sospensione.

Va in ogni caso ricordato che l'agevolazione non esenta l'impresa dagli obblighi informativi che completano la portata del precetto di cui all'art. 2446; la sospensione non riguarda infatti il primo comma dell'art. 2446 c.c. né i primi tre commi dell'art. 2482-bis, i quali (in parallelo, pur riferiti a diverse tipologie societarie) prevedono, quando il capitale sociale sia diminuito di oltre un terzo per perdite, l'onere gravante sugli amministratori di immediata convocazione dell'assemblea alla quale sottoporre una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale (o del comitato di controllo della gestione). Tali obblighi andranno dunque regolarmente assolti (Tavella, 128).

Devesi altresì osservare come non sia precluso in ogni caso all'assemblea, se lo ritiene, di porre in essere operazioni sul capitale sia per il tramite di una ricapitalizzazione, sia di una riduzione per perdite (Di Iulio, 298; Platania, 13)

Non è neppure impedita la possibilità di mettere la società in liquidazione, perché non pare che lo stato di liquidazione sia in ogni caso preclusivo alla prosecuzione delle trattative; ovvio che la liquidazione volontaria comporterebbe il mutamento del contesto di base relativo alle regole di comportamento da adottare anche per l'organo gestorio (Di Iulio, 298, che però sottolinea come l'apertura volontaria della liquidazione sarebbe quantomeno di ostacolo ad una soluzione di continuità aziendale, comportando l'applicazione delle ordinarie regole previste dal codice civile per la gestione di tale fase).

Si è, poi, evidenziato, sul piano dei doveri degli amministratori, che, nel corso della procedura di composizione negoziata della crisi, se da un lato non opera, in virtù dell'art. in commento, la causa di scioglimento e risulta sterilizzata la portata applicativa dell'art. 2486 c.c., non sono comunque sospese le disposizioni che regolano i doveri di comportamento degli amministratori e la loro responsabilità in caso di violazione (Tavella, 128). Tali regole vengono poi integrate dalle previsioni di cui all'art. 21.

Aspetti procedimentali

Sotto il profilo strettamente procedimentale è da evidenziare che l'istanza di nomina dell'esperto, con la dichiarazione di volersi avvalere del beneficio della sospensione, o la dichiarazione successiva contenente solo quest'ultima dichiarazione, sono «pubblicate nel registro delle imprese» e i loro effetti decorrono dalla data di pubblicazione in detto registro. Ovviamente, la pubblicazione nel registro delle imprese potrebbe avere effetti relazionali negativi, in quanto, con essa, viene meno la riservatezza del procedimento: d'altra parte, è altrettanto inevitabile che di tale perdita di garanzia vengano resi edotti coloro che accordano credito sul presupposto della sua legale esistenza e persistenza.

Secondo l'orientamento prevalente (sul punto, Spadaro, 119), non è soggetta a conferma la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e delle cause di scioglimento di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter, 2484 e 2545-duodeciesc.c. di cui si sia avvalso il debitore, operando anche questa ex lege (Trib. Trento 23 settembre 2022, in DeJure.; Trib. Padova 20 luglio 2022, in Onelegale.). Altri giudici hanno, però, espressamente confermato e disposto la sospensione di tali obblighi (Trib. Roma 6 luglio 2022, in www.osservatorio-oci.org).

Dalla lettura della disposizione si ricava che la sospensione viene meno solo a seguito dell'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata o della conclusione delle trattative.

Sarà poi ovviamente necessaria anche la pubblicazione nel registro delle imprese dell'avvenimento (chiusura del percorso) che fa venir meno gli effetti (così Guidotti); è ipotizzabile che l'imprenditore sia onerato anche di far pubblicare una contro-dichiarazione nella quale dà atto espressamente del venir meno degli effetti della dichiarazione di sospensione. Il venir meno degli effetti non è però legato, correttamente, alla pubblicizzazione nel registro delle imprese, ma a fatti storici antecedenti ad essa; con una evidente differenza di metodo tra la modalità, da un lato, con la quale la dichiarazione permette al debitore di beneficiare degli effetti che ne conseguono, ovvero la pubblicazione nel registro delle imprese, e, dall'altro, relativa al momento finale del beneficio.

Secondo la dottrina (Tavella, 129), dal momento in cui cessano gli effetti di cui all'art. 20, gli amministratori – se non è stata ripristinata una situazione di regolarità in relazione al patrimonio della società, anche per effetto delle sopravvenienze attive rinvenienti dalla stipula degli accordi di cui all'art. 23 – devono assumere le iniziative previste dalla normativa secondaria e, ricorrendone i presupposti, dovranno operare nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 2486 c.c. Ciò non pregiudicherà la possibilità per gli amministratori medesimi di fare ricorso ad altri strumenti di composizione della crisi e dell'insolvenza approntati dal Codice, tra cui gli accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero il concordato preventivo. In tal caso, troveranno applicazione gli artt. 64 e 89.

Nel caso specifico in cui l'imprenditore abbia richiesto l'applicazione di misure protettive del patrimonio ex artt. 18 e 19, il legislatore fa decorrere espressamente la cessazione di efficacia del beneficio dalla pubblicazione nel registro delle imprese del provvedimento con cui viene dichiarata l'inefficacia o disposta la revoca delle misure protettive e non dall'adozione dello stesso provvedimento.

Rapporti tra art. 20 e direttiva Insolvency

Tra gli interpreti vi è stato chi (Liccardo) ha sottolineato l'inopportunità – senza spingersi, a dire il vero, ad affermare il contrasto con la direttiva UE n. 2019/1023 (c.d. direttiva Insolvency) – del mutamento di approccio sul tema della regola del c.d. ricapitalizza o liquida rispetto a quello di cui era espressione la formulazione originaria dell'art. 20 del Codice della Crisi (prima delle modifiche apportate dall'ultimo intervento riformatore), nel quale la sospensione della regola è inquadrata come vera e propria misura protettiva nella composizione assistita, e proprio per questo, non è nella libera disponibilità del debitore, ma deve essere autorizzata dal tribunale.

In senso parzialmente contrario è stato osservato (Guidotti) che il Considerando n. 96 della direttiva UE 2019/1023 (secondo cui «l'efficacia del processo di adozione e attuazione del piano di ristrutturazione non dovrebbe essere compromessa dalle norme del diritto societario») e l'art. 32 della medesima direttiva (il quale ammette deroghe alla disciplina in materia societaria dettata dalla direttiva 2017/1132 «nella misura e per il periodo in cui tali deroghe sono necessarie per l'istituzione dei quadri di ristrutturazione preventiva») varrebbero a giustificare – sul piano delle fonti – la sospensione rimessa alla volontà del debitore e senza intervento del giudice dell'obbligo ricapitalizza o liquida, tanto di quello previsto dalla normativa nazionale quanto di quello recato dall'art. 58 della direttiva n. 2017/1132 (a tenore del quale «In caso di perdita grave del capitale sottoscritto, l'assemblea deve essere convocata nel termine previsto dalla legislazione degli Stati membri, per esaminare se sia necessario sciogliere la società o prendere altri provvedimenti»).

Bibliografia

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