Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 57 - Accordi di ristrutturazione dei debiti

Valentino Lenoci

Accordi di ristrutturazione dei debiti

1. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono conclusi dall'imprenditore, anche non commerciale e diverso dall'imprenditore minore, in stato di crisi o di insolvenza, con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti e sono soggetti ad omologazione ai sensi dell'articolo 48.1

2. Gli accordi devono contenere l'indicazione degli elementi del piano economico-finanziario che ne consentono l'esecuzione. Il piano deve essere redatto secondo le modalità indicate dall'articolo 56. Al piano debbono essere allegati i documenti di cui all'articolo 39, commi 1 e 3. Si applica l'articolo 1162 .

3. Gli accordi devono essere idonei ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei seguenti termini:

a) entro centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;

b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione.

4. Un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità [economica] [e giuridica] del piano. L'attestazione deve specificare l'idoneità dell'accordo e del piano ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini di cui al comma 33.

4-bis. Con la domanda di omologazione o anche successivamente il debitore può chiedere di essere autorizzato a contrarre finanziamenti, in qualsiasi forma, compresa la richiesta di emissione di garanzie, prededucibili. Si applicano gli articoli 99, 101 e 1024.

Inquadramento

La norma in commento disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

L'istituto, come è noto, era disciplinato dal previgente art. 182-bis l. fall., introdotto con l'art. 2 del d.l. n. 35/2005 (c.d. decreto competitività), convertito con modificazioni in l. n. 80/2005, a cui ha fatto seguito il d.lgs. n. 5/2006, di attuazione delle deleghe disposte dall'art. 1 della citata l. n. 80/2005.

Ulteriori modifiche ed integrazioni erano state apportate dall'art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 169/2007, c.d. decreto correttivo, al quale avevano fatto seguito ulteriori disposizioni legislative [in particolare, il c.d. «decreto sviluppo» (d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012)] che avevano contribuito a rendere più incisiva la disciplina dell'istituto in esame.

Il quadro normativo di riferimento si è andato, quindi, delineando in tappe successive, fino alla disciplina contenuta ora nel codice della crisi d'impresa.

L'introduzione dell'istituto degli accordi di ristrutturazione ha costituito una novità assoluta nell'àmbito del sistema concorsuale italiano e testimonia il favor espresso dal legislatore per la regolazione della crisi dell'impresa mediante accordi stragiudiziali. È stato previsto quindi un istituto che, pur caratterizzandosi nella sostanza come accordo privatistico, condivide, tuttavia, la natura pubblicistica degli altri procedimenti concorsuali, in quanto per la sua efficacia deve essere sottoposto al vaglio dell'autorità giudiziaria, la quale, accertati i requisiti di legge, ne decreta l'omologazione. L'istituto in esame si completa infatti attraverso lo svolgimento di due fasi: ad una prima totalmente stragiudiziale nella quale si forma l'accordo, ne segue una giudiziale che sfocia nell'omologazione e che è diretta a conferire efficacia e stabilità all'accordo stesso anche mediante l'esenzione da azioni.

Orientamenti sulla natura giuridica

Proprio la scomposizione in due fasi, di cui una marcatamente privatistica, è alla base del dibattito circa la natura, concorsuale o meno, dell'istituto in esame. Questione che non si esaurisce in una disputa puramente teorica, ma che ha delle rilevanti conseguenze pratiche in caso di successiva liquidazione giudiziale: si pensi, ad es., alla possibilità che i debiti sorti successivamente all'omologa dell'accordo godano della prededuzione nella successiva procedura liquidatoria, ovvero alla possibile retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell'espletamento dell'azione revocatoria.

Sul punto, sotto la previgente disciplina vi era, fino ad un certo punto, un generalizzato orientamento tendente a ricondurre gli accordi di ristrutturazione nell'ambito privatistico, arrivando a definirli un normale contratto di diritto privato, che consente, soddisfatti i requisiti richiesti, di godere di una speciale tutela (Maffei Alberti, 1231; Di Marzio 2011, 130; Inzitari, 3223).

In giurisprudenza si è tuttavia affermato un orientamento, basato su riscontri normativi di inquadramento generale, che mette in luce il possibile inserimento dell'istituto in esame nell'ambito dei procedimenti concorsuali (affermando la piena autonomia dell'istituto, ammette l'applicazione analogica e non diretta delle norme che disciplinano il concordato preventivo in quanto compatibili Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Brescia 22 febbraio2006; Trib. Roma 16 agosto 2006).

Rispetto a questo orientamento, la tesi che afferma il carattere privatistico dell'istituto si contrappone adducendo considerazioni che stanno, peraltro, a significare come sia fondata la piena autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo e non, invece, la pretesa carente natura concorsuale del medesimo. I rilievi si riferiscono, infatti, innanzitutto alla spiccata negozialità dell'istituto, alla estrema snellezza della procedura, alla mancanza di una organizzazione del voto in adunanza per il raggiungimento di una maggioranza qualificante, nonché alla mancata previsione di organi della procedura, come il commissario giudiziale. In Giurisprudenza, altro orientamento, prevedeva che gli accordi non sarebbero produttivi di efficacia se non per i soggetti che vi prendono parte, conformemente ai principi privatistici; che non è previsto il rispetto della par condicio, potendo l'imprenditore negoziare liberamente con i singoli creditori; che manca inoltre un controllo nella fase esecutiva dell'accordo; infine, almeno fino al d.lgs. n. 169/2007, si faceva notare come mancasse una protezione del patrimonio del debitore rispetto ad azioni individuali promosse dai creditori (Trib. Roma 16 ottobre 2006; Trib. Brescia22 febbraio 2006).

Secondo l'opposto orientamento (Pezzano, 674) gli accordi di cui all'art. 182-bis, anche se avrebbero dovuto in concreto essere ricompresi nel settore privatistico stricto sensu, nel sistema generale finivano per confluire in un procedimento che presenta le caratteristiche proprie delle procedure concorsuali.

Quindi il discrimen andrebbe individuato non solo e non tanto nel fatto che si intende rimuovere l'insolvenza e, attraverso il consenso dei creditori, liberare il debitore, quanto piuttosto nel fatto che il nuovo istituto è caratterizzato da finalità pubblicistiche (Trib. Bari 21 novembre 2005). Il fondamento di tale assunto è comprovato da due diversi ordini di ragioni: la necessità che gli accordi siano conclusi nel rispetto del principio di concorsualità e che siano sottoposti al vaglio dell'autorità giudiziaria che ne decreta l'omologazione a condizione che risultino corrispondenti alla norma di legge.

La Corte di cassazione, con una serie di decisioni pubblicate nei primi mesi del 2018, è intervenuta in merito alla natura degli accordi di ristrutturazione, affermando esplicitamente che gli accordi di ristrutturazione costituiscono «istituti di diritto concorsuale» ovvero, direttamente, «procedure concorsuali».

In particolare, le prime due decisioni (Cass. n.1182/2018; Cass. n.1896/2018) affrontano il problema per verificare se i crediti dei professionisti che avevano assistito l'impresa nel procedimento conclusosi con l'omologazione dell'accordo dovessero essere considerati in prededuzione nel fallimento successivo; la terza (Cass. n. 9087/2018) afferma la natura concorsuale del procedimento per applicare analogicamente l'art. 162 l. fall., in punto di concessione dei termini per integrare la documentazione eventualmente carente, nel procedimento di omologazione di un accordo di ristrutturazione; la quarta (Cass. n. 12965/2018) richiama l'appartenenza dell'istituto al sistema del diritto concorsuale per escludere la necessità di verificare, nel giudizio di omologazione, la fondatezza della contestazione del credito di un terzo non aderente. Una quinta sentenza, poi, coeva alle prime due (Cass. n. 1895/2018), contrappone il piano di risanamento attestato, disciplinato dall'art. 67 l. fall. all'accordo regolato dall'art 182-bis, espressamente per sottolineare la natura esclusivamente negoziale e stragiudiziale del primo rispetto alla natura di procedura concorsuale del secondo.

Le ragioni della presa di posizione del S.C. sono già chiare, anche se non particolarmente sviluppate, nella motivazione delle prime sentenze di questo nuovo corso (Cass. n. 1182/2018; Cass. n. 1896/2018). In entrambe le decisioni si evidenzia come la disciplina alla quale l'accordo regolato dall'art. 182-bis è stato progressivamente assoggettato «in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione, da un lato, e meccanismi di protezione temporanea, esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione, dall'altro» garantisce «forme di controllo e pubblicità sulla composizione negoziata, ed effetti protettivi, coerenti con le caratteristiche dei procedimenti concorsuali».

Più articolata è invece la motivazione di Cass. n. 9087/2018, in cui si chiarisce che la qualificazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti come procedura concorsuale appare «più lineare e coerente di quanto il dibattito dottrinario che lo ha preceduto e accompagnato farebbe ritenere (forse per una tralatizia adesione allo spirito, più che al testo, della prima riforma del 2005), ed anzi risulta ormai difficilmente confutabile se solo si considerano – anche al di là del dato formale (pur eclatante) della collocazione topografica degli accordi di ristrutturazione fra le maglie della disciplina del concordato preventivo, nonché del dato normativo (pur inequivocabile) che fa riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti come vere e proprie «procedure concorsuali» (cfr. art. 111 l. fall. e, ancor più esplicitamente, d.l. n. 98/2011, art. 23, comma 43, convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011, che consente agli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza l'accesso «alle procedure di cui agli artt. 182-bis e 182-ter» l. fall.) – due aspetti basilari: per un verso, l'evoluzione normativa dell'istituto, sempre più strettamente intrecciato a quello del concordato preventivo grazie ad una lunga serie di rinvii normativi che hanno finito per delinearli come strumenti di regolazione della crisi di impresa non solo alternativi ma anche (specie dal 2012) biunivocamente interscambiabili in itinere (cfr. art. 161, comma 6 e art. 182-bis, comma 8, l. fall.), tanto da suggerire in dottrina l'icastica descrizione del fenomeno in termini di «passerella»; per altro verso, le tendenze evolutive del diritto dell'Unione Europea, che ormai inscrivono a tutti gli effetti gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra le procedure concorsuali: basti leggere l'art. 1 del Regolamento (UE) 2015/848 sull'insolvenza transfrontaliera, che individua le «procedure concorsuali pubbliche» disciplinate dalle norme in materia di insolvenza con rinvio a quelle elencate come «procedure d'insolvenza» nell'allegato A, ove per l'Italia figurano anche gli «Accordi di ristrutturazione» (accanto a «Fallimento, Concordato preventivo, Liquidazione coatta amministrativa, Amministrazione straordinaria, Accordi di ristrutturazione, Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore accordo o piano – e Liquidazione dei beni»); ma si veda anche l'art. 2 del Reg., che al n. 1) definisce «procedura concorsuale, una procedura che comprende tutti o una parte significativa dei creditori di un debitore a condizione che, nel secondo caso, la procedura non pregiudichi i crediti dei creditori non interessati dalla procedura» (sulla natura di procedura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti, v. altresì Cass. n. 12064/2019, in Fall. 2019, 1327).

Persistono, tuttavia, nella giurisprudenza di merito, opinioni contrarie: secondo Trib. Milano 20 dicembre 2018 (in Fall., 2019, 1333), gli accordi di ristrutturazione dei debiti non hanno natura di procedura concorsuale, non presentando caratteristiche che contraddistinguono tale procedure. In particolare, difetta un provvedimento di apertura della procedura, non sono previsti organi, non si realizza l'apertura del concorso dei creditori (in quanto gli accordi vincolano unicamente gli aderenti), il debitore non subisce alcuno spossessamento, i crediti non sono discriminati a seconda siano anteriori o posteriori, e non è rispettato il principio della par condicio creditorum (in senso analogo Trib. Roma, ord. 27 febbraio 2019, ibid., 1330).

La natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione

Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza non prende esplicitamente posizione sulla natura concorsuale o negoziale degli accordi di ristrutturazione, dato che, come è ben noto, tra le definizioni di cui all'art. 2 manca proprio quella relativa alle procedure concorsuali.

Occorre dunque verificare se nella disciplina dettata nel c.c.i.i. possano riscontrarsi gli elementi tipici della concorsualità.

A questa domanda deve darsi risposta positiva, dato che il procedimento dettato dal c.c.i.i. per l'omologazione ricalca pressoché integralmente la disciplina previgente, compresa la possibilità della domanda c.d. prenotativa, disciplinata dall'art. 44 c.c.i.i. in modo analogo all'art. 161 l. fall. (Nardecchia 2019, 44).

In realtà, nell'istituto in esame la concorsualità si evidenzia in quanto gli accordi finiscono per confluire in un procedimento diretto a tutelare, mediante l'intervento dell'autorità giudiziaria, oltre che gli interessi dei creditori, anche gli interessi più generali.

I momenti attuativi del principio del concorso si manifestano, tra l'altro, con la possibilità di ottenere misure protettive, con il divieto di esercizio di azioni cautelari o esecutive individuali da parte dei creditori anteriori all'accordo sul patrimonio del debitore. Tale divieto può essere esteso alla fase delle trattative nella quale, con l'inibitoria, il tribunale può esercitare, su richiesta del debitore, anche poteri autorizzativi riguardanti l'attività gestionale dell'impresa finalizzata alla continuità aziendale e, in questa ottica, destinata a favorire la positiva conclusione dell'accordo: momenti attuativi che si realizzano con la possibilità data a tutti i creditori mediante un sistema di pubblicità dell'accordo di partecipare od opporsi all'accordo stesso, con la previsione di una percentuale di creditori aderenti che rappresenti il 60% dei crediti, ma nel contempo con la previsione dell'integrale pagamento dei creditori rimasti estranei all'accordo (art. 54, comma 3, c.c.i.i.).

La natura concorsuale si evince, altresì, dall'esenzione, in caso di successiva liquidazione giudiziale, dalla revocatoria per le somme erogate dal debitore in esecuzione dell'accordo, esattamente come è previsto per il concordato preventivo. In entrambi i procedimenti concorsuali l'esenzione risponde infatti alla medesima ratio, che si basa sulla presunzione che gli atti da considerare esenti non si qualifichino come in frode ai creditori. Ed ancora, secondo l'indirizzo favorevole alla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione, la affermata autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo nulla toglie tuttavia alla riconosciuta eadem ratio, atteso che entrambi gli istituti tendono alla rimozione della crisi d'impresa nel rispetto del principio della concorsualità, anche se non necessariamente della par condicio, che è considerato, del resto, solo uno dei modi d'attuazione della concorsualità stessa (sul punto, Pajardi, Paluchowski, 908, secondo il quale gli accordi condividono la natura contrattuale e giurisdizionale del concordato preventivo pur differenziandosene per la bifasicità). Su queste basi, affermata la natura concorsuale dell'istituto in esame si è effettuato il passaggio logico successivo, quello cioè di considerare inapplicabili in via diretta le norme che disciplinano il concordato preventivo, ma di ammettere la legittimità di un'applicazione analogica delle norme medesime esclusivamente in quanto compatibili, in tutte quelle ipotesi in cui la disciplina degli accordi di ristrutturazione presenti lacune o altri elementi di criticità, senza con ciò che si dubiti dell'autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo (Maffei Alberti, 1283).

Gli accordi di ristrutturazione e il rapporto con il concordato preventivo

In dottrina non è mancato chi considera gli accordi di ristrutturazione dei debiti come una peculiare sottospecie semplificata o accelerata di concordato preventivo, nella quale, da un lato, viene deprocedimentalizzata la fase di contatto con i creditori, esigendo la preventiva acquisizione del consenso di una determinata maggioranza di essi, e dall'altro, mediante il vaglio dell'autorità giudiziaria, deve essere assicurato l'integrale pagamento dei creditori che vi rimangono estranei (Valensise 2006, 1088).

La dottrina prevalente, tuttavia, è orientata a considerare l'istituto in esame come assolutamente autonomo e distinto rispetto al concordato preventivo, soprattutto in considerazione del fatto che, rispetto a quest'ultimo, manca negli accordi di ristrutturazione un effetto modificativo nei confronti dei creditori non aderenti, nonché del fatto che, mentre nell'art. 182-bis l. fall. (e nell'attuale art. 57 c.c.i.i.) l'accordo con i creditori precede l'intervento del tribunale, e ne costituisce anzi il necessario presupposto, nel concordato preventivo il piano proposto dal debitore rimane un'attività interna allo stesso debitore, e viene «presentato» ai creditori solo successivamente all'ammissione alla procedura (Trentini 2016, 119; Ambrosini 2008, 163; v. inoltre, nel senso dell'autonomia dell'istituto, Canale 2005, 218).

Sotto altro profilo, sia la legge fallimentare che il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sembrano considerare gli accordi di ristrutturazione dei debiti come qualcosa di diverso rispetto al concordato preventivo, tanto è vero che i due istituti vengono indicati separatamente nell'art. 166, comma 3, lett. e) c.c.i.i. [e nel precedente art. 67, comma 3, lett. e), l. fall.], ai fini dell'esenzione della revocatoria dei pagamenti effettuati in esecuzione, per l'appunto, del concordato preventivo «nonché» degli accordi di ristrutturazione. Tale differente presa in considerazione è ora confermata dall'art. 166, comma 3, lett. e), c.c.i.i.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti può assumere – dal punto di vista negoziale – un contenuto assai vario, potendo tradursi in un pactum de non petendo, in una remissione parziale del debito (o anche totale, ad esempio da parte dei fornitori cc.dd. strategici, a fronte dell'impegno a stipulare nuovi contratti di fornitura (Balestra, 292), in postergazioni, in una costituzione di garanzia, in una concessione di nuova finanza, in una conversione di credito in capitale della società debitrice, nella costituzione di trust ovvero in altri negozi la cui caratteristica può dirsi risiedere nella finalità di superamento della crisi dell'impresa attraverso la «ristrutturazione» dei debiti (Abete, 1009).

Quanto al riferimento espresso all'imprenditore «in stato di crisi o di insolvenza», esso consente di ritenere che l'accordo di ristrutturazione non possa essere proposto da un imprenditore in condizioni di solidità economica (in tal modo risulta ancora più intenso il legame tra questa disciplina e quella dell'esonero da revocatoria).

La ristrutturazione dei debiti si presenta – almeno nelle intenzioni del legislatore – come uno strumento di soluzione «concordata» della debitoria dell'impresa, differenziandosi dal (nuovo) concordato preventivo che, pur aprendo all'autonomia privata, sia per quanto riguarda la proposta sia per la riduzione dei poteri di intervento e di valutazione del Tribunale, continua a caratterizzarsi per le sue connotazioni procedimentali-giudiziali.

La peculiarità dell'accordo si evidenzia anche nel necessario presupposto adesivo del sessanta per cento dei crediti, che si caratterizza proprio per l'idoneità nel coinvolgere, in via preliminare, a prescindere da qualsiasi valutazione del tribunale in sede di omologazione, la «maggioranza» dei crediti, ritenuto requisito imprescindibile per consentire il superamento della crisi dell'impresa: la percentuale, pacificamente, va calcolata sul totale dei crediti, indipendentemente dal loro rango, ma non computandosi i crediti (seriamente) contestati (Trib. Vicenza 17 maggio 2013); nel caso in cui gli accordi siano proposti da società incorporante, nell'ambito di un procedimento di fusione, non si calcolano i crediti dell'incorporanda (Trib. Milano 31 luglio 2014). Questo spiegherebbe la particolare configurazione che una parte della giurisprudenza ha assegnato alla summenzionata percentuale di «adesioni», ritenendo che la stessa potesse essere raggiunta anche al momento dell'omologazione dell'accordo in tal modo, qualificandola non già come un requisito dell'accordo, inteso come «atto negoziale», ma dell'omologazione (Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Milano 11 gennaio 2007). La conclusione raggiunta non contrasta con la possibilità – peraltro coerente con la caratterizzazione «privatistica» dell'istituto – che l'accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere frutto anche di adesioni successive, ovvero intervenute dopo la pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese, ipotesi con tutta probabilità ricorrente proprio quando nel giudizio di omologazione intervengano perplessità sull'attuabilità e sulla idoneità dell'accordo stesso, le quali potrebbero essere superate da adesioni o pattuizioni con creditori originariamente estranei, i quali consentano dilazioni di pagamento o accettino riduzioni delle pretese creditorie.

Come già espresso in precedenza, il sessanta per cento dei crediti deve sussistere sin dal deposito del «ricorso»; tuttavia, la norma non fa alcuna distinzione tra crediti chirografari e crediti privilegiati, al fine della individuazione della «maggioranza» del sessanta per cento, né pone limiti al trattamento che il debitore potrà proporre ai creditori (e questi, di conseguenza, potranno accettare). Ne deriva che non costituisce «vizio» intrinseco dell'accordo né valida ragione di opposizione all'omologazione, la differenza del trattamento riservato ai singoli creditori partecipanti all'accordo stesso, anche quando questa dovesse tradursi in una differenza di trattamento priva di evidenti giustificazioni e, al limite, addirittura discriminatoria, purché essa risulti trasparente e, naturalmente, accettata dai creditori stessi (e ciò misura la sostanziale differenza di questa procedura rispetto al concordato preventivo) (in ordine alle finalità dell'accordo, indirizzato anche al recupero della «impresa», Pajardi, Paluchowski, 916).

I presupposti soggettivi ed oggettivi

La finalità degli accordi di ristrutturazione, al pari degli altri strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, è quella di consentire «il risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sua attività e passività o del capitale, oppure alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi» [così, ora, l'art. 2, comma 1, lett. m-bis), c.c.i.i., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 136/2024]

In merito al presupposto soggettivo, per poter accedere agli accordi, la formulazione dell'art. 57 c.c.i.i. fa riferimento «all'imprenditore, anche non commerciale e diverso dall'imprenditore minore».

Ne consegue, pertanto, che all'istituto può accedere anche chi non sia imprenditore commerciale assoggettabile a liquidazione giudiziale, quali, ad es., l'imprenditore agricolo o le cc.dd. start-up innovative, con l'esclusione, in ogni caso, dell'imprenditore «minore», al quale sono destinate le sole procedure di sovraindebitamento.

Gli accordi di ristrutturazione sono quindi rivolti ad una platea più vasta rispetto agli imprenditori soggetti alla liquidazione giudiziale, il che evidenzia la completa trasformazione dell'istituto, che alla sua nascita aveva quale effetto più rilevante proprio l'esenzione da revocatoria per gli atti posti in essere in esecuzione dell'accordo.

Si ritiene, inoltre, che ulteriore requisito soggettivo sia quello della iscrizione nel registro delle imprese, posto che è previsto l'iscrizione in esso degli accordi, per fini di pubblicità e di eventuale opposizione da parte dei creditori all'omologazione (art. 48, comma 4, c.c.i.i.) L'istituto, peraltro, è appannaggio esclusivamente degli imprenditori regolarmente iscritti (Nardecchia 2020, 1047).

Non si ritiene requisito essenziale l'iscrizione dell'imprenditore nel registro delle imprese, sia perché non è espressamente richiesto, sia soprattutto perché si creerebbero ingiustificate disparità rispetto al presupposto soggettivo del concordato preventivo, che non richiede tale requisito per cui è ammesso l'accesso anche alle società di fatto.

Quanto al presupposto oggettivo, come è noto, nella prima fase successiva all'introduzione del precedente art. 182-bis l. fall., all'orientamento giurisprudenziale che sosteneva una visione della crisi, quale fattispecie distinta e separata dalla insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., caratterizzata dalla irreversibilità (Trib. Alessandria 7 giugno 2005) per una distinzione in generale del concetto di insolvenza da quello di crisi (Trib. Brescia 22 luglio 2006; Trib. Treviso 15 luglio2005), si contrapponeva quello che riteneva le due figure non geneticamente diverse, ma che anzi tra le stesse vi fosse un rapporto di genus a species, risultando cioè l'insolvenza ricompresa nel più vasto concetto di crisi (Trib. Sulmona 6 giugno 2005, in Fall., 2005, 793). Dopo l'intervento del legislatore con il d.l. n. 273/2005, che ha aggiunto un nuovo comma all'art. 160, nel quale si stabilisce che «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza», si era superato ogni dubbio al riguardo, per cui si reputava che fosse accessibile all'imprenditore anche insolvente la procedura di cui all'art. 182-bis.

Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, come è noto, nella parte definitoria distingue la crisi dall'insolvenza vera e propria [art. 2, comma 1, lett. a) e b)], prevedendo tuttavia l'accesso agli accordi per entrambi i presupposti. Pertanto, dal punto vista oggettivo, il riferimento allo «stato di crisi o di insolvenza», conferma la possibilità di delineare strumenti anche diversificati per la gestione della crisi, con caratteristiche e modalità che non hanno nulla da condividere con la mera liquidazione dell'impresa insolvente, sia nella fase concorsuale vera e propria che nella stessa fase concordataria, laddove quest'ultima si limiti ad un concordato preventivo con contenuto liquidatorio.

Forma e contenuto dell'accordo. Il piano.

La fase della formazione dell'accordo è demandata pienamente all'autonomia privata, per cui si svolge in via totalmente stragiudiziale.

Per quanto concerne il contenuto dell'accordo di ristrutturazione la norma in esame nulla dispone, per cui si reputa che questo possa variare a seconda delle situazioni e degli interessi fatti valere.

La formula «ristrutturazione dei debiti» sembra richiamare il c.d. pactum de non petendo, ma in realtà può trattarsi di accordi che vanno dalla mera dilazione di pagamento (che, non modificando il termine di esigibilità del credito, non incide sul decorso degli interessi né sul diritto ad esigere l'adempimento), alla vera e propria modifica dei termini di scadenza, che impedisce il decorso degli interessi ex art. 1282 c.c., e preclude al creditore di chiedere l'adempimento della prestazione in quanto il credito non è più esigibile (D'ambrosio 2009, 1808).

Tale impostazione è seguita anche dalla giurisprudenza: «gli accordi di ristrutturazione dei debiti non devono necessariamente essere connotati da un contenuto tipico, essendo al contrario rimessi alla libertà negoziale in quanto contratti di diritto privato non riconducibili alle procedure concorsuali. L'efficacia dell'accordo resta comunque condizionata all'omologazione giudiziale, il cui scrutinio ha ad oggetto la correttezza delle argomentazioni svolte dal professionista nell'attestazione di fattibilità giuridica della proposta, l'eventuale impossibilità giuridica di esecuzione, nonché l'inidoneità alla soddisfazione dei creditori, mentre il giudizio sulla fattibilità economica è riservato ai creditori» (App. Torino 3 agosto2015). Si è anche affermata una sostanziale assimilazione degli accordi ad un pactum de non petendo, come si evince da alcune pronunce giurisprudenziali (Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Roma 16 ottobre 2006; Trib. Bari 21 novembre 2005). Più puntualmente si è peraltro chiarito che il pactum de non petendo costituisce nella prassi la più comune modalità di accordo, ma con questo non si deve ritenere che tale modalità sia la sola possibile per la realizzazione dell'accordo stesso; invero, il patto può costituire il contenuto dell'accordo, ma anche solo una clausola di un più complesso accordo la cui efficacia estintiva delle obbligazioni del debitore deriva rispetto ai creditori aderenti dalla conclusione dell'accordo, poi, omologato (Trib. Milano 4 maggio 2009 e Trib. Milano 13 maggio 2009).

La convenzione, peraltro, può non limitarsi alla mera dilazione di pagamento, ma può anche comprendere una parziale rimessione del debito, nel qual caso di ci trova di fronte al c.d. pactum de minus petendo o pactum ut minus solvatur.

Nella materia societaria, peraltro, potrà configurarsi la conversione di crediti in capitale, ad esempio mediante aumenti di capitale sottoscritti con il meccanismo della compensazione, ovvero l'erogazione di nuova finanza, emissione di nuovi titoli di debito, ecc.

La ristrutturazione potrà riguardare anche i debiti fiscali, stante quanto previsto ora dall'art. 63 c.c.i.i., che estende l'ammissibilità di tale transazione anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Gli accordi di ristrutturazione potranno prevedere anche l'assunzione di vincoli per l'imprenditore, quali, ad es., dismissione di assets, programmi aziendali di rilancio ovvero di riduzione del personale, inserzione di rappresentati dei creditori negli organi amministrativi (D'ambrosio 2009, 1809).

Si ritiene, inoltre, che il contenuto dell'accordo possa essere anche di natura meramente liquidatoria, non facendosi riferimento alla necessaria continuazione dell'impresa. Ciò è confermato indirettamente dall'art. 61, comma 2, lett. b), c.c.i.i., che include, tra i requisiti degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, il carattere non liquidatorio dell'accordo (Nardecchia 2020, 1047).

Il nuovo codice della crisi prevede che gli accordi debbano contenere l'indicazione degli elementi del piano economico-finanziario che ne consentono l'esecuzione.

Già nella vigenza della legge fallimentare, che non conteneva la necessità dell'indicazione di un piano di risanamento, si riteneva che gli accordi in questione dovessero inserirsi in un piano, ed essere coerenti con lo stesso. Tali considerazioni erano confortate dalla previsione dell'art. 161, comma 2, lett. e), l. fall. [introdotta dall'art. 33, comma 1, lett. b), n. 1), del d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012], richiamato dall'art. 182-bis, comma 1, l. fall., che prevedeva proprio la necessità dell'allegazione di un piano «contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta» alla richiesta di omologazione dell'accordo (Trentini 2016, 125: Mandrioli 2010, 613).

La nuova disciplina ha quindi accolto tale impostazione. Non è infatti pensabile che gli accordi possano prescindere da un piano per la soluzione della crisi, per cui le pattuizioni dell'accordo, come pure le previsioni contenute in ogni altro strumento di regolazione della crisi, debbono trovare necessariamente corrispondenza e giustificazione con le indicazioni contenute nel piano economico-finanziario che si accompagnano all'accordo (Inzitari 2025, 1459). Il piano deve essere redatto secondo le modalità previste dall'art. 56 per i piani di risanamento, cui la norma in esame fa completo rinvio, e quindi, tra le altre cose, deve avere data certa ed un contenuto non più affidato alla discrezionalità dell'imprenditore, ma integrante il contenuto ivi previsto.

Anche i creditori privilegiati, nell'aderire all'accordo, possono acconsentire ad una decurtazione delle proprie pretese, in quanto anch'essi, alla pari dei chirografari, dispongono volontariamente del proprio diritto di credito; un unico vincolo deve ritenersi sussistente nella determinazione dell'accordo e questo concerne la previsione dell'integrale pagamento dei creditori rimasti estranei, a cui l'accordo deve risultare idoneo (Maffei Alberti, 1238).

Quanto alla struttura dell'accordo, mancando uno schema legislativamente prefissato, gli accordi si strutturano come contratti atipici. La dottrina maggioritaria sostiene che la ricostruzione più corretta sia quella che li considera quali un unico atto a struttura plurilaterale, con causa unitaria, richiamando schema e disciplina del contratto plurilaterale con comunione di scopo, comportando l'accordo una cooperazione tra i vari soggetti, tesa alla realizzazione dello stesso (Proto, 2006, 293 ss.). In particolare si è affermato che, qualora intervenga l'omologazione di un accordo composto da tanti contratti conclusi in via separata ed autonoma, ciascuno con una propria causa, si può ipotizzare che, per il fatto di essere valutati nel loro insieme come idonei a rimuovere lo stato di crisi e ad assicurare il soddisfacimento regolare dei creditori rimasti estranei, tali contratti si possano inquadrare unitariamente e possano assumere la valenza di un contratto unitario definibile plurilaterale con comunione di scopo, in quanto tutti insieme realizzano l'eliminazione dello stato di crisi. La tesi della natura autonoma dell'accordo di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo resta quella prevalente (Abete, 1014; Trib. Brescia (decr.), 22 febbraio2006).

In ogni caso, l'accordo o gli accordi debbono essere redatti in forma scritta, in considerazione della successiva pubblicazione nel registro delle imprese.

La relazione del professionista

Per quanto riguarda la relazione del professionista che deve esprimersi sulla fattibilità del piano, questa deve avere ad oggetto, in primo luogo, la veridicità dei dati aziendali, e, quindi, la concreta attuabilità dell'accordo. Inoltre, la relazione deve attestare l'idoneità del piano ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo, nei termini previsti dal terzo comma della norma in commento (entro 120 giorni dall'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; entro 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione).

In merito al contenuto, il d.lgs. n. 147/2020 ha eliminato il riferimento alla fattibilità giuridica, mentre il d.lgs. n. 83/2022 ha eliminato anche il riferimento alla fattibilità economica, lasciando il termine «fattibilità» senza ulteriori aggettivazioni. Il riferimento dovrebbe quindi ora alla nozione unitaria di fattibilità, quale si evince dall'art. 112 c.c.i.i., sia pure nelle differenti declinazione per le ipotesi della continuità aziendale (sussistenza di ragionevoli prospettive di impedire o superare l'insolvenza) ovvero per ogni altra ipotesi diversa dalla continuità (non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati).

La relazione può quindi essere predisposta da un da un professionista avente i requisiti di indipendenza previsti dall'art. 2, comma 1, lett. o), c.c.i.i. (iscrizione all'albo dei gestori della crisi; possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 c.c.; non essere legato all'impresa da rapporti di natura professionale o personale, e non avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell'impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa). La mancanza dei requisiti professionali richiesti in capo al professionista incaricato determinerà il rigetto della domanda di omologazione.

In linea generale, deve ritenersi che il contenuto della relazione del professionista negli accordi di ristrutturazione dei debiti non si discosti di molto rispetto al contenuto della relazione del professionista nel concordato preventivo.

Invero, già sotto la vigenza dell'art. 182-bis l. fall. si riteneva che la verifica circa la veridicità dei dati aziendali fosse implicita nel controllo circa l'attuabilità dell'accordo, giacché questa attività presuppone necessariamente il possesso di informazioni vere e complete sulla situazione dell'impresa (in tal senso Ambrosini, 2008, 172).

Esattamente come nel concordato preventivo, dunque, il professionista incaricato, lungi dal limitarsi ad attestare la conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili, deve controllare che si tratti di dati reali: il suo compito consiste quindi nel verificare sia l'esistenza delle attività dell'impresa (beni mobili, immobili, crediti, ecc.) ed il loro effettivo valore, sia l'entità dell'esposizione debitoria e le sue caratteristiche (debiti scaduti, contestati, ecc.).

Va osservato, peraltro, che, facendo l'accordo riferimento, in ogni caso ad un «piano» (che ne costituisce il contenuto), è chiaro che l'attestazione dovrà riferirsi, essenzialmente, allo stesso piano, più che all'accordo in sé (Di Marzio 2011, 132).

Il professionista incaricato, inoltre, dovrà valutare le disponibilità finanziarie e patrimoniali del debitore, le liquidità acquisibili per effetto dell'alienazione di beni non indispensabili all'impresa, l'ammontare e le scadenze dei crediti, i costi ed i ricavi prevedibili per il periodo in cui devono essere eseguiti i pagamenti dei debiti ristrutturati e non, i nuovi costi delle forniture e dei servizi per effetto dei contratti eventualmente rinegoziati, e, ovviamente, tutto quanto sarà necessario, secondo l'esperienza, in relazione alla particolarità del caso concreto (Lenoci, 905).

Per «fattibilità economica» (la parola «economica» dal comma e dell'art. 57, è stata soppressa dall'art. 15, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 83/2022), inoltre, deve intendersi la previsione del regolare pagamento dei debiti, così come ristrutturati, scaduti e da scadere nei termini previsti dall'accordo.

Problematica è, invece, l'estensione del giudizio del professionista alla convenienza dell'accordo. In linea generale, per gli accordi di ristrutturazione ex art. 57 c.c.i.i., la valutazione di convenienza è rimessa esclusivamente ai creditori, al momento della decisione di aderire o non aderire alla proposta di accordo; e ciò, a differenza di quanto avviene per gli accordi di ristrutturazione con efficacia estesa ex art. 61 c.c.i.i., per i quali si richiede che il professionista verifichi che «i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell'accordo possano risultare soddisfatti in base all'accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale».

Va osservato, tuttavia, che in base all'art. 63, comma 4, c.c.i.i., il tribunale deve comunque omologare gli accordi di ristrutturazione, anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 57, comma 1 e 60, comma 1, c.c.i.i. e quando, tra le altre condizioni ivi previste, anche sulla base della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria. Da ciò deriva che comunque il professionista attestatore deve effettuare, quanto meno con riferimento ai crediti tributari e degli enti previdenziali, una valutazione di convenienza dell'accordo rispetto alla eventuale liquidazione giudiziale, ed il tribunale dovrà comunque verificare sia l'esistenza di tale valutazione, che la sua attendibilità.

L'attività del professionista si conclude, di norma (e cioè salve successive integrazioni o delucidazioni, anche eventualmente richieste dal tribunale in sede di omologa) con la consegna del suo elaborato, non essendo previsto un successivo controllo, da parte dello stesso professionista, in merito alla corretta esecuzione dell'accordo (Nardecchia 2020, 1052).

La responsabilità del professionista è presidiata, sul piano penale, anche in questo caso dal nuovo art. 342 c.c.i.i., concernente il delitto di falso in attestazioni e relazioni, punito con una pena detentiva, unita ad una rilevante pena pecuniaria; quanto alla responsabilità civile, si distingue d'ordinario tra la responsabilità verso il debitore che si ritiene pacificamente di natura contrattuale, e quella verso i creditori ed i terzi in genere che viene ritenuta da taluni extracontrattuale e da altri contrattuale, valorizzandosi le tesi della responsabilità da «contatto sociale» (Frascaroli Santi, 497).

La pubblicazione nel registro delle imprese

Il legislatore del codice della crisi e dell'insolvenza conferma la necessità che l'accordo sia pubblicato nel Registro delle imprese (art. 40, comma 4, c.c.i.i.).

Dal giorno della pubblicazione inizia a decorrere il termine per la presentazione delle opposizioni; è stata eliminata, tuttavia, la specificazione che sempre dalla pubblicazione l'accordo acquista efficacia, trattandosi di indicazione oggettivamente equivoca, essendo necessaria, affinché gli accordi siano produttivi di effetti, l'omologazione del tribunale.

Quanto all'oggetto della pubblicazione, sembra in definitiva ritenersi in via maggioritaria che l'accordo e la relazione dell'esperto debbano essere considerati unitariamente (Trib. Roma 16 ottobre 2006), ed ancora che la pubblicazione dell'accordo si concreta nel deposito dello stesso e della relazione dell'esperto nel registro delle imprese (Trib. Enna 27 settembre 2006). Quanto alla formazione dell'accordo è stato sostenuto che l'importanza degli effetti che alla pubblicazione si ricollegano e il fatto che la stessa lettera della legge deporrebbe in tal senso, prevedendo il deposito di un accordo «stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti». Sono invece ritenute ammissibili eventuali adesioni successive ulteriori rispetto alla soglia del 60%, purché queste non risultino incompatibili con quanto previsto nell'accordo (Trib. Brescia 22 febbraio 2006).

Circa il momento dell'iscrizione, alcuni autori ritengono che l'accordo vada trascritto prima della presentazione del ricorso al tribunale (Michelotti 2005, 22-23), mentre altri propendono per la pubblicazione successiva a detto deposito (Proto 2006, 136; Tedeschi 2006, 581).

Appare preferibile la prima soluzione, in quanto, altrimenti, si potrebbe creare una situazione di possibile «stallo» della procedura, tenuto conto del fatto che il termine per proporre eventuali opposizione decorre proprio dalla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese, e detto adempimento è rimesso alla libera determinazione del debitore, il quale potrebbe tardare ad effettuarlo, determinando una situazione di inammissibile inerzia del procedimento (in tal senso Frascaroli Santi 2009, 138; Lenoci, 906).

In ogni caso, se l'accordo viene depositato in tribunale, ma non presso il registro delle imprese, esso non sarà efficace ai fini della decorrenza del termine per proporre opposizione, e quindi, verosimilmente, il tribunale dovrà invitare il debitore ad effettuare l'adempimento, decidendo sull'omologazione successivamente al decorso del termine di 30 giorni previsto dall'art. 48, comma 4, c.c.i.i. Se, invece, alla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese non segue il deposito presso il tribunale, si potranno, al più, produrre gli effetti protettivi per il debitore (blocco delle azioni, ecc.) e decorrerà il termine per proporre opposizione, fermo restando che, in assenza del deposito del ricorso per l'omologazione, tali effetti verranno meno, e l'accordo rimarrà non omologato (Lenoci, 906).

Il giudizio di omologazione (rinvio)

L'introduzione del procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza ha separato la disciplina sostanziale degli accordi di omologazione dei debiti dalla disciplina processuale, relativamente al procedimento di omologazione degli accordi e di concessione delle misure protettive, anche nella fase delle trattative.

Si rinvia, pertanto, per la relativa analisi, alle norme sul procedimento unitario e sulle misure cautelari e protettive.

Gli effetti dell'accordo omologato

Intervenuta l'omologa, questa svolge una funzione stabilizzatrice dell'accordo e degli effetti prodottisi antecedentemente al provvedimento.

Si realizza, pertanto, l'effetto modificativo-costitutivo-estintivo proprio di qualunque operazione di ristrutturazione, incidendo sui rapporti giuridici pregressi.

All'accordo omologato si collega l'effetto peculiare previsto dall'art. 166, comma 3 lett. e), c.c.i.i., che stabilisce per gli atti, i pagamenti e le garanzie compiuti in esecuzione del medesimo l'esenzione da revocatoria nell'eventuale successiva liquidazione giudiziale. Qualora invece il tribunale si pronunci negativamente, e l'accordo non venga omologato, secondo la dottrina maggioritaria questo produce gli effetti previsti dalla applicazione della disciplina generale dei contratti, salvo che le parti l'abbiano risolutivamente condizionato all'ottenimento dell'omologazione (Maffei Alberti, 1256).

L'esenzione dalla revocatoria riguarda, tuttavia, soltanto i pagamenti nei confronti dei creditori aderenti, e non anche i pagamenti effettuati in favore di quelli non aderenti. Infatti, «se (...) il riferimento all'integralità del pagamento dei creditori estranei va rapportata non già al credito così come rimodulato per il tramite dell'accordo di ristrutturazione, ma al debito in origine contratto dall'imprenditore, ciò non può non condurre a considerare gli atti nei confronti dei non aderenti come pagamenti eseguiti in forza di titoli costitutivi dei relativi crediti, giammai in ragione dell'accordo omologato» (Appio 2012, 169).

Tali pagamenti, pertanto, non potendo dirsi in esecuzione dell'accordo, dovranno ritenersi esclusi dalla causa di esenzione di cui all'art. 166, comma 3, lett. e), c.c.i.i., anche perché l'adesione all'accordo sarebbe comunque poco «appetibile» per i creditori.

Al pari del concordato preventivo, l'accordo di ristrutturazione riguarda i creditori anteriori al deposito dell'accordo. L'esenzione, comunque, è estesa agli atti, ai pagamenti e alle garanzie poste in essere dopo il deposito della domanda di accesso alla procedura, e l'esclusione opera anche per l'azione revocatoria ordinaria.

Non è chiara la sorte relativa ai crediti contestati: la mancanza di un'adunanza dei creditori e di una valutazione giudiziale scarica il bisogno di tutela al provvedimento finale. Pertanto, le contestazioni sembrerebbero doversi convertire in motivi di opposizione (Ferro 2014, 2541), da riferirsi, se del caso, alla mancata considerazione del credito o dei crediti contestati, anche ai fini della determinazione della percentuale del 60%.

Peraltro, è possibile che i crediti contestati vengano fatti rientrare in una elencazione a parte, ed esclusi dal calcolo della percentuale per l'omologazione. L'accertamento in appositi giudizi, a cognizione piena, di tali crediti, determinerebbe per essi il trattamento come i creditori estranei pretermessi.

All'omologazione dell'accordo consegue anche l'esclusione dalle imputazioni di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 324 c.c.i.i.

In forza del comma 4-bis della norma in esame, introdotto dal d.lgs. n. 136/2024, il debitore può chiedere, con la domanda di omologazione o anche successivamente, a contrarre finanziamenti prededucibili, applicandosi, in questi casi, gli articoli 99,101 e 102 c.c.i.i., che attengono, per l'appunto, ai finanziamenti autorizzati prima dell'omologazione dell'accordo (art. 99 c.c.i.i.), ovvero in esecuzione dell'accordo (art. 101 c.c.i.i.), ovvero finanziamenti prededucibili dei soci (art. 102 c.c.i.i.).

L'inadempimento dell'accordo

Diverso, invece, il caso in cui l'accordo omologato sia rimasto inadempiuto e ad esso sia seguita la apertura di un concordato preventivo o di una liquidazione giudiziale. In tal caso si dovrebbero ritenere salvi, nei rispettivi procedimenti aperti successivamente, gli effetti che l'accordo ha prodotto a seguito dell'omologazione, e quindi in particolare, in caso di liquidazione giudiziale, l'esenzione dalla revocatoria.

Ciò premesso, per quanto riguarda le conseguenze dell'inadempimento dell'accordo, sia esso omologato o meno, in difetto di qualunque indicazione normativa debbono ritenersi applicabili le ordinarie azioni di risoluzione o di annullamento da proporsi in base alle normali regole sulla competenza e nell'ambito del giudizio ordinario di cognizione (Fauceglia-Rocco Di Torrepadula, 357).

Si ritiene che, in caso di accordo di ristrutturazione omologato, del principio più volte affermato in tema di concordato preventivo, in virtù del quale una volta esauritasi la procedura di concordato preventivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto diritti pretesi da singoli creditori o dal debitore o che attengono all'esecuzione del concordato, danno luogo a controversie sottratte al potere decisionale del giudice delegato, inerendo a materia di ordinario giudizio di cognizione (Cass. ord. n. 16187/2012).

Questa soluzione, però, è stata ritenuta dalla dottrina non proprio conforme per le differenti ipotesi di inadempimento degli accordi, potendo solo evocarsi nell'ipotesi in cui l'accordo non sia stato omologato, in tal senso ritenendo affidata al solo profilo della tutela dell'adempimento di un patto tra debitore e creditore che non abbia, però, superato il vaglio dell'autorità giudiziale, e come tale si presenti alla stregua di qualsiasi rapporto negoziale. Difatti, ben diversa, pare essere la fattispecie di un accordo omologato, laddove, a fronte dell'intervenuto decreto del tribunale e di successivi inadempimenti, viene proposto il ricorso al rito camerale, con una sostanziale uniformità rispetto alla procedura omologatoria (Lo Cascio, 1062). Secondo altri autori, non parrebbe preclusa anche al singolo creditore aderente un'azione di cognizione ordinaria finalizzata alla dichiarazione di risoluzione del contratto ovvero all'accertamento dell'evento risolutivo in presenza di termini essenziali o di condizioni risolutive (Sciuto, 358). Per meglio dire, distinguendo tra creditori aderenti all'accordo e creditori estranei, per i primi resterebbe aperta o, secondo una certa prospettiva, la possibilità di ricorrere in sede camerale per la revoca dell'omologazione essendo sopravvenuti fatti impeditivi ovvero ostativi alla realizzazione degli effetti propri dell'accordo omologato, ovvero, in alternativa, ad un ordinario giudizio di cognizione volto a far dichiarare o accertare l'inadempimento e la conseguente risoluzione dell'accordo (in entrambe le ipotesi deve trattarsi di inadempimento «di non scarsa importanza» nella prospettiva dell'accordo raggiunto).

Per i creditori estranei, invece, si aprirebbe la strada di un ordinario giudizio di cognizione al fine di accertare, con ogni conseguenza, l'inadempimento dell'accordo per quanto riguarda il regolare adempimento delle obbligazioni ovvero di poter procedere immediatamente alla conseguente dichiarazione di fallimento senza necessità di chiedere la previa risoluzione degli accordi, cui i creditori non aderenti sono, del resto, estranei, per definizione (Trib. S. Maria Capua Vetere 9 ottobre 2013).

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