Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 61 - Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa

Valentino Lenoci

Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa

1. Le disposizioni di cui alla presente sezione si applicano, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, al caso in cui gli effetti dell'accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, individuata tenuto conto dell'omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici.

2. Ai fini di cui al comma 1 occorre che:

a) tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti 1;

b) l'accordo abbia carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta ai sensi dell'articolo 84 [, comma 2, e che i creditori vengano soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale] 2;

c) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria;

d) i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell'accordo possano risultare soddisfatti in base all'accordo stesso in misura non inferiore rispetto a quanto riceverebbero in caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data di deposito della domanda di omologazione 3;

e) il debitore abbia notificato l'accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo.

3. I creditori della medesima categoria non aderenti ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell'accordo possono proporre opposizione ai sensi dell'articolo 48, comma 4. Per essi, il termine per proporre opposizione decorre dalla data della notificazione. Su istanza del debitore il tribunale può autorizzare, ai sensi dell'articolo 151 del codice di procedura civile, le forme di notificazione opportune per garantire la celerità del procedimento 4.

4. In nessun caso, per effetto dell'accordo di ristrutturazione, ai creditori ai quali è stato esteso l'accordo possono essere imposti l'esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati.

5. Quando un'impresa ha debiti verso banche, intermediari finanziari e cessionari dei loro crediti in misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo, l'accordo di ristrutturazione dei debiti può individuare una o più categorie tra tali tipologie di creditori che abbiano fra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei. In tal caso il debitore, con il ricorso di cui all'articolo 40, può chiedere, anche se non ricorre la condizione prevista dal comma 2, lettera b), che gli effetti dell'accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria. Restano fermi i diritti dei creditori diversi da banche, intermediari finanziari e cessionari dei loro crediti 5.

[2] Lettera modificata dall'articolo 9, comma 2, del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147. Per la decorrenza vedi l'articolo 42, comma 1, del D.Lgs. 147/2020 medesimo.

Inquadramento

Il d.l. n. 83/2015, convertito dalla l. n. 132/2015, ha introdotto nella l. fall. l'art. 182-septies, che disciplinava la tipologia particolare dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, nel caso in cui l'imprenditore avesse «debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo», e la convenzione di moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari.

La figura venne introdotto sulla falsariga di istituti presenti in altri ordinamenti (la Sauvegarde financière accélerèe e lo Scheme of arrangement), al fine anche di recepire le sollecitazioni provenienti dalla Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014, ed in particolare del par. 20 di quest'ultima (secondo il quale «per rendere più efficace l'adozione del piano di ristrutturazione, gli Stati membri dovrebbero inoltre garantire che possano adottarlo soltanto determinati creditori o determinati tipi o classi di creditori, a condizione che gli altri creditori non siano coinvolti» (Rolfi 2020, 12; Ranalli 2017, 316; Valensise 2016, 290).

Trattavasi di accordi riguardanti specifiche categorie di creditori (banche ed intermediari finanziari, appunto), che, a determinate condizioni, erano validi ed efficaci anche nei confronti dei creditori non aderenti.

Proprio questo aspetto rappresentava l'elemento maggiormente «dirompente», rispetto ai tradizionali principi della contrattualistica, in quanto era previsto espressamente che tali accordi fossero operativi, «in deroga agli artt. 1372 e 1411 del c.c.», anche verso le banche e gli intermediari che non vi avessero aderito. In questo modo si agevolava il superamento di condotte ostruzionistiche che spesso tali tipologie di creditori ponevano in essere, avvalendosi del carattere decisivo della propria adesione al fine del raggiungimento della percentuale del 60%, al fine di conseguire invece il pagamento integrale del credito, spesso dalle altre banche partecipanti all'accordo.

Naturalmente, tale estensione degli effetti presupponeva comunque l'esistenza di una maggioranza significativa di aderenti all'accordo delle categorie creditorie in questione, che era indicata nel 75% dei crediti della relativa classe. In ogni caso, l'affermazione, quale regola generale, del principio di estensione di efficacia dell'accordo (purché ricorrano determinate condizioni) segna una significativa evoluzione nelle modalità di soluzione dei conflitti tra debitore e creditori, sostituendosi – nelle situazioni in cui le modalità puramente negoziali non consentono il superamento del conflitto – al criterio negoziale il metodo maggioritario, con una «eterodeterminazione» della volontà contrattuale sui creditori estranei all'accordo, ai quali si estende l'efficacia dell'accordo stesso (Inzitari 2025, 1486).

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e lo schema del contratto a favore di terzi

L'istituto degli accordi di ristrutturazione con banche ed intermediari finanziari è stato completamente ridisegnato in forza del nuovo c.c.i.i., in virtù di quanto previsto dalla legge delega n. 155/2017, al cui art. 5, comma 1, lett. a), si prevede l'estensione della procedura di cui all'art. 182-septies l. fall. all'accordo di ristrutturazione o alla convenzione di moratoria conclusi «con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75% dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee».

La figura degli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 182-septies l. fall., peraltro, già prima dell'entrata in vigore complessiva del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in forza dell'art. 20, comma 1, lett. a), del d.l. n. 118/2011, conv. in l. n. 147/2021, era stata ampliata e riferita a qualsiasi tipologia di creditori, purché raggruppati in «categorie» omogenee dal punto di vista giuridico ed economico, rimanendo l'ipotesi di accordi con banche ed intermediari finanziari un mero sotto-tipo degli accordi generali ad efficacia estesa, riguardante gli accordi di tipo liquidatorio.

Il nuovo istituto viene quindi denominato «accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa», laddove l'estensione riguarda l'efficacia di quanto stabilito tra il debitore e i creditori ai terzi non aderenti «in deroga agli artt. 1372 e 1411 del c.c.», ossia alle norme generali che segnano i limiti di efficacia soggettiva del contratto.

Come è noto, l'istituto degli accordi di ristrutturazione applica norme di fonte legale ad un contratto di diritto privato e dunque a norme di fonte convenzionale: gli effetti nei confronti dei creditori terzi (su tutti l'inesigibilità per centoventi giorni del pagamento) derivano dalle previsioni di legge e non dal negozio. Di talché rimane certamente salvo il principio per cui il contratto ha effetto solo tra le parti e tanto meno si potrebbe in tal caso configurare un contratto a favore di terzi, dato che, come detto, i terzi subiscono effetti legali e non negoziali.

Negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, invece, si prevede a favore del debitore la facoltà di chiedere l'estensione dell'efficacia ai creditori non aderenti – e dunque terzi – di quanto stabilito nell'accordo: qui dunque gli effetti verso i creditori terzi che si produrranno in seguito all'omologa giudiziale hanno certamente fonte convenzionale. È di tutta evidenza come, in questo caso, si realizzi la produzione di effetti che si riverberano nella sfera giuridica di creditori che non hanno partecipato al contratto, integrando uno di quei casi previsti dalla legge che il legislatore, all'art. 1372, comma 2, c.c. pone come eccezione al principio alteri stipulari nemo potest. Invero, lo stesso art. 1372 c.c., al comma 2, stabilisce che «nei casi previsti dalla legge» il contratto possa produrre effetti rispetto ai terzi. Nell'accordo ex art. 61 c.c.i.i. può essere ravvisabile un contratto a favore di terzi là dove il promittente, ossia il soggetto dal quale il terzo acquista il diritto, è l'imprenditore in crisi, e lo stipulante è il creditore aderente. È evidente che nella fattispecie il creditore aderente abbia un indubbio interesse a che il creditore non aderente sia destinatario degli effetti contrattuali: non tanto perché intende far acquisire al terzo la prestazione dovutagli dall'impresa in esecuzione dell'accordo di ristrutturazione, ma in quanto dal buon esito dell'operazione di ristrutturazione il creditore aderente stesso potrà ottenere l'adempimento della propria prestazione. Nella figura di cui all'art. 61 c.c.i.i. (e, precedentemente, dell'art. 182-septies l. fall.) l'interesse dello stipulante deve ritenersi quindi realizzato dallo scambio del consenso direttamente attributivo del diritto al terzo.

Va comunque precisato che gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa non sono una nuova e distinta categoria di accordi di ristrutturazione, bensì un genus degli accordi di ristrutturazione ex art. 57 c.c.i.i. (Inzitari 2015, 3). Ciò lo si ricava sia per interpretazione sistematica sia per interpretazione letterale, e segnatamente dalla previsione (contenuta nel comma 1 dell'art. 61 c.c.i.i.) secondo cui agli accordi in questione si applicano «le disposizioni di cui alla presente sezione».

Il superamento del modello consensualistico, e del principio di non vincolatività degli accordi nei confronti dei creditori aderenti, opera una decisa contaminazione degli accordi di ristrutturazione con il modello concordatario, che potrebbe anche avere incidenza sull'eventuale applicazione analogica delle norme sul concordato preventivo, in relazione a questioni non disciplinate dall'art. 61 c.c.i.i.

La ratio dell'istituto, comunque, appare abbastanza chiara, e va ricercata nella volontà di far sì che vengano superate le resistenze di quei creditori (spesso minori) che, approfittando del fatto di poter condizionare la realizzazione degli accordi presi dagli altri, costringono il debitore (e talora gli stessi altri creditori) all'adempimento integrale (Bombardelli 2015, 305).

Il rifiuto del creditore ad aderire e la valutazione del giudice dell'abuso del diritto al rifiuto

Nella figura di cui all'art. 61 l. fall. la volontà del creditore, a cui in seguito all'omologa saranno estesi gli effetti dell'accordo, non è certo trascurata. Il creditore terzo, infatti, deve necessariamente essere reso partecipe del complesso congegno negoziale in suo favore, prefigurandosi espressamente un diritto di partecipazione informata alle trattative alla cui salvaguardia è poi improntato il controllo omologatorio del tribunale. Infatti, al fine della propagazione degli effetti ai creditori non aderenti è espressamente richiesto [comma 2, lett. a), come modificato dal d.lgs. n. 136/2024] che «i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti».

La «buona fede» richiamata dalla norma sembra rievocare la buona fede oggettiva di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., e viene generalmente declinata riferendosi all'obbligo dell'imprenditore di porre tutti i creditori nella condizione di potere effettivamente interloquire nel corso delle trattative (Valensise, 306). Si ritiene, a tal proposito, che non sia comunque necessaria la convocazione di una adunanza (semplificata e senza controllo giurisdizionale) dei creditori appartenenti alla categoria interessata, ma che sia garantita comunque una effettiva interlocuzione a tutti i creditori (Fabiani 2016, 917; Trentini 2016, 475). La possibilità di una pluralità di categorie, peraltro, rende necessaria, sempre nell'ottica del rispetto della buona fede, che i creditori siano messi a conoscenza del trattamento di ogni singola categoria, apparendo opportuno, inoltre, che ci si avvalga di una efficace e sistematica corrispondenza, effettuando altresì una verbalizzazione delle principali riunioni (Valensise, 307).

Negli accordi con efficacia estesa non è quindi riscontrabile una posizione di soggezione, in quanto i creditori terzi subiranno gli effetti di quanto stipulato dalle parti del contratto – fatta salva l'imposizione di nuove prestazioni ai sensi dell'art. 61, comma 4, c.c.i.i. ‒ solo se, dopo essere stati adeguatamente informati e coinvolti nelle trattative, decideranno di non accettare un trattamento sebbene questo rappresenti comunque un'ipotesi di soddisfazione non deteriore rispetto alle alternative liquidatorie. Il principio di buona fede, tuttavia, opera anche nei confronti del creditore, e quindi il terzo può sempre rifiutare, non aderendo all'accordo, ma il suo rifiuto è sottoposto ad uno scrutinio da parte del giudice volto ad appurarne il carattere abusivo o meno. Per meglio dire, il rifiuto del creditore sfocia in abuso qualora non risponda a criteri di ragionevolezza, valutabili alla luce della richiesta omogeneità di posizione giuridica e interesse economico con gli altri creditori della stessa categoria e dell'assenza di concrete alternative poziori.

Presupposti e contenuto. Le categorie creditorie

Il presupposto oggettivo per l'applicazione dell'art. 61 c.c.i.i. risiede, come per gli accordi «standard», nello stato di crisi o di insolvenza. Analogamente, il presupposto soggettivo consiste nella qualità di imprenditore, «anche non commerciale e diverso dall'imprenditore minore».

L'estensione degli effetti ai creditori non aderenti presuppone l'individuazione di «categorie» omogenee dal punto di vista giuridico ed economico.

L'utilizzo del termine «categorie» si ritiene sostanzialmente assimilabile al termine «classi», ferma restando l'autonomia funzionale delle due figure, in quanto scopo delle «categorie» è quello di ottenere l'estensione ad alcuni creditori dissenzienti del trattamento convenuto con gli aderenti, senza determinare disparità di trattamento rispetto ai creditori aderenti (Inzitari 2015, 823), nel mentre il ruolo delle classi nel concordato è più ampio, e collegato alla tutela della par condicio ed alla formazione delle necessarie maggioranze (Appio 2015, 13; Ranalli, 320).

In presenza, quindi, di tali condizioni, il debitore, con il ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione 61 c.c.i.i. può chiedere che l'efficacia dell'accordo sia estesa anche ai creditori non aderenti, secondo il seguente meccanismo: i) individuazione di una o più categorie di creditori, con posizione giuridica e interessi economici omogenei; ii) i creditori estranei all'accordo che appartengono alla medesima categoria siano stati informati dell'avvio delle trattative e siano stati posti in condizione di parteciparvi «in buona fede»; iii) i creditori aderenti rappresentino almeno il 75% dei crediti della categoria.

Con riferimento all'omogeneità di posizione giuridica, può farsi riferimento al rango del credito (privilegiato o chirografario), ovvero al titolo (crediti accertati da un provvedimento giurisdizionale definitivo, crediti portati da un titolo esecutivo, crediti illiquidi, ecc.). Per quel che riguarda, invece, l'omogeneità di interessi economici, potrebbe farsi riferimento all'esistenza di meno di aspettativa di soddisfazione in forza di garanzie di terzi, ovvero alla prospettiva di prosecuzione dei rapporti, ovvero all'entità dei crediti (Trentini 2016, 477). In ogni caso, non può tenersi conto, ai fini della qualificazione del credito, delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese art. 182-septies, comma 3, l. fall., che richiamata l'art. 168, comma 3, in tema di concordato preventivo).

L'assenza del consenso, pertanto, deve essere sopperita da una adeguata informazione circa l'avvio delle trattative e le condizioni dell'accordo, con un atteggiamento da parte del debitore che richiama la correttezza precontrattuale, nel senso, cioè, dell'obbligo di fornire tutte le informazioni necessarie per la libera formazione del consenso, e di non tacere circostanze rilevati ai fini della conclusione dell'accordo o della sua esecuzione (Trentini 2016, 476; Bombardelli, 2015, 306).

Ulteriore requisito fondamentale per l'operatività degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa è quello relative alla continuità aziendale: ai sensi del comma 2, lett. b), infatti, l'estensione opera soltanto quando nel piano è prevista la continuità aziendale, nelle forme diretta o indiretta di cui all'art. 84 c.c.i.i. La ratio della previsione è evidente, volendosi, in tal modo, favorire ed agevolare la permanenza sul mercato di aziende in crisi ma ancora potenzialmente «vitali».

L'individuazione di una o più categorie di creditori ai quali estendere il trattamento previsto per gli aderenti all'accordo pone poi alcuni profili problematici, a cominciare dalla necessità o meno per il debitore di formare più classi e non una sola, e dalla possibilità di operare un trattamento differenziato all'interno della medesima categoria.

Sul primo profilo, poiché la formazione delle categorie (o classi) è, in questo caso, funzionale all'estensione degli effetti nei confronti dei non aderenti appartenente a ciascuna classe, dovrebbe essere possibile prevedere anche una sola classe a tali fini, laddove per tutti gli altri creditori (e cioè quelli non appartenenti a quella categoria) non aderenti si applicherà la previsione dell'art. 57, comma 3, c.c.i.i.

Con riferimento, invece, alla possibilità di un trattamento differenziato all'interno di ciascuna categoria per la quale opera l'estensione, deve osservarsi che – pur non operando, per gli accordi di ristrutturazione, il principio della par condicio creditorum – il meccanismo di estensione degli effetti (sia nel precedente art. 182-septies l. fall. che nell'attuale art. 61 c.c.i.i.) sembra presupporre che vi sia un unico trattamento da estendere a tutti gli appartenenti alla categoria, e non già che venga esteso uno dei possibili trattamenti, anche perché non vi alcuna indicazione in tal senso, ai fini dell'individuazione di quale trattamento estendere. Deve poi aggiungersi l'estrema difficoltà di dimostrare un adeguato coinvolgimento «secondo buona fede» dei creditori non aderenti nella fase delle trattative, quando queste abbiano generato una pluralità di accordi. Inoltre, l'omogeneità delle categorie sembra presuppore anche l'omogeneità del trattamento, dal momento che la diversificazione dei trattamenti determina anche una diversificazione degli interessi dei singoli creditori, generando, anzi, il rischio che l'inclusione di singoli non aderenti entro una singola categoria persegua soltanto il fine di un «annegamento» del non aderente ai fini dell'estensione nei suoi confronti di un trattamento forse migliore dell'alternativa liquidatoria, ma comunque non favorevole (Rolfi 2020, 20; Benazzo, 764).

Si ritiene, inoltre, che non vi sia la necessità di inserire l'accordo con i creditori aderenti appartenenti ad una categoria in un documento unitario, essendo sufficiente che ciascun singolo accordo riproduca le condizioni con i creditori appartenenti alla medesima classe (Rolfi 2020, 20).

In giurisprudenza è stato evidenziato che non è possibile valutare le scelte di merito e di convenienza attraverso le quali il proponente abbia inteso perseguire il risanamento – con particolare riferimento nel caso di specie alla scelta di procedere a una vendita del compendio immobiliare inizialmente a valori di mercato, nell'auspicio di un'inversione di tendenza dell'attuale andamento economico – a meno che queste scelte incidano sulla idoneità del piano ad assicurare il pagamento dei creditori estranei e, più in generale, a superare la situazione di crisi e di insolvenza, condizione che nel caso di specie non ricorre (Trib. Bologna 17 novembre 2011). Ed ancora, in altro precedente, il Trib. Forlì 5 maggio 2016, ha evidenziato che l'art. 182-septies l. fall. nel prevedere un controllo dei criteri di formazione delle categorie, richiede che le stesse siano omogenee per posizione giuridica e interesse economico, dovendosi intendere per posizione giuridica la tipologia dell'operazione creditizia da cui il debito trae origine e per interesse economico la tipologia della garanzia di soddisfazione per il creditore, con la conseguente necessità di tenere conto di eventuali garanzie collaterali detenute da alcuni creditori facenti parte della categoria. Quindi, benché l'art. 182-septies comma 2 l. fall. preveda la mera possibilità la formazione di categorie («l'accordo può individuare una o più categorie fra i creditori.»), è evidente che una simile ripartizione è imprescindibile nel caso in cui si chieda l'estensione ai dissenzienti, stante l'obbligo di accertamento delle condizioni previste alla lettera a) del successivo quarto comma del medesimo art. 182-septies l. fall. Pertanto, l'imprenditore che solleciti l'omologa dell'accordo di ristrutturazione raggiunto con i propri creditori finanziari con estensione ai soggetti non aderenti, deve suddividere i propri creditori finanziari in categorie omogenee per posizione giuridica e interessi economici e raggiungere un unico accordo con tutti i componenti della categoria, rimanendo preclusa la possibilità di regolare diversamente i singoli rapporti, come invece può avvenire con i creditori non finanziari convenzionati. Inoltre, a parere del Tribunale di Forlì, deve ritenersi erroneamente formata la categoria dei creditori bancari chirografari non assistiti da garanzia considerando le sole garanzie ipotecarie e trascurando le garanzie fideiussorie prestate. Detto errore però non preclude l'omologa dell'accordo, dal momento che il Tribunale deve effettuare la verifica prevista dall'art. 182-septies comma 4 lett. a), l. fall. ponendo attenzione alla reale consistenza dell'indebitamento dell'impresa ed eventualmente operando una riclassificazione delle categorie malamente formate.

Ai fini della formazione delle categorie, l'art. 182-septies l. fall. precisava, al terzo comma, che, nel caso in cui il debitore avesse richiesto che gli effetti dell'accordo fossero estesi anche ai creditori non aderenti, «non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese».

Orbene, poiché negli accordi di ristrutturazione dei debiti non assumevano alcuna rilevanza le cause di prelazione o i privilegi, né l'anteriorità o meno del credito rispetto alla presentazione dell'accordo (a differenza del concordato preventivo in cui infatti l'art. 168, comma 3, l. fall. stabilisce l'inefficacia delle ipoteche rispetto ai creditori anteriori al concordato), la norma doveva interpretarsi nel senso dell'irrilevanza di tali garanzie ai fini della formazione delle categorie. Pertanto, il creditore che avesse iscritto ipoteca giudiziale nei novanta giorni che precedono la pubblicazione del ricorso poteva essere inserito in una categoria di creditori chirografari e, qualora aderissero all'accordo creditori in rappresentanza del settantacinque per cento dei crediti della categoria, egli avrebbe sopportato lo stesso trattamento previsto dall'accordo per le banche chirografarie, a prescindere dalla garanzia della ipoteca giudiziale. L'art. 61 c.c.i.i. non ha tuttavia confermato tale previsione di inefficacia delle iscrizioni ipotecarie, dal che deriva che, ai fini della predisposizione delle categorie, le ipoteche giudiziali iscritte prima della pubblicazione del ricorso per l'omologazione nel registro delle imprese siano pienamente valide ed efficaci.

Infine, con riguardo specifico al contenuto degli accordi, ai sensi del comma 4 della norma in commento ai creditori ai quali è stato esteso l'accordo non possono essere imposti l'esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti (art. 61, comma 4, c.c.i.i.). In sostanza, quindi l'estensione degli effetti non potrà comunque «aggravare» la posizione contrattuale del terzo non aderente, imponendogli nuovi obblighi o modificando in peius quelli già esistenti.

Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati.

L'attestazione

Per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa valgono, in linea generale, le stesse regole previste per l'attestazione del professionista negli accordi di ristrutturazione «standard» ex art. 57 c.c.i.i.

Ci si chiede, tuttavia, se il professionista debba procedere ad attestare anche l'omogeneità delle categorie.

Il problema si era posto sotto la vigenza del precedente art. 182-septies l. fall., in quanto, mentre per gli accordi di ristrutturazione con banche ed intermediari finanziari tale attestazione non era prevista, essa era invece contemplata per le convenzioni di moratori ex art. 182-septies, comma 5, l. fall.

Nel nuovo art. 62 c.c.i.i., tuttavia, relativo alle convenzioni di moratoria, l'attestazione del professionista circa l'omogeneità delle categorie non compare più, e ciò dovrebbe portare ad escludere la necessità di siffatta attestazione anche per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, anche perché la valutazione circa l'omogeneità della classe sembra esulare dai profili di fattibilità economica, la cui sola prognosi è rimessa all'attestatore, riguardando, invece, prevalentemente profili di ammissibilità giuridica dell'accordo, la cui valutazione spetta esclusivamente al tribunale (Rolfi 2020, 21).

Spetterà invece al professionista attestare che i creditori non aderenti, nei cui confronti viene richiesta l'estensione dell'accordo, possano essere soddisfatti in misura non inferiore rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, trattandosi di attestazione che attiene al profilo della concreta realizzabilità del piano dal punto di vista economico, e quindi di valutazione prognostica rientrante tra i compiti dell'attestatore.

L'opposizione

Con il rimedio dell'opposizione, da proporsi entro trenta giorni dalla notificazione del ricorso per l'omologazione, il creditore non aderente potrà chiedere che la convenzione di moratoria non produca effetti nei suoi confronti, dimostrando che non sussiste il presupposto di omogeneità di posizione giuridica e interessi economici, di non aver ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti, di non essere stato messo in condizione di partecipare alle trattative, e di non potere essere soddisfatti in misura non deteriore rispetto alle concrete alternative. L'opposizione confluirà nel procedimento unitario per la regolazione della crisi, ai sensi dell'art. 48, comma 4, c.c.i.i.

Mediante l'opposizione, i creditori non aderenti possono contestare sia l'omogeneità della propria posizione giuridica e dei propri interessi, sia la mancanza di adeguata informazione preventiva, sia il raggiungimento della soglia del settantacinque per cento. In questo contesto, il vaglio richiesto al tribunale volto a verificare se i creditori non aderenti «possano risultare soddisfatti in base all'accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale» è volto a saggiare la vantaggiosità degli effetti mediati, ossia di quelli ritraibili dall'accordo di ristrutturazione, alla produzione dei quali quelli interinali prodotti dalla convenzione di moratoria sono funzionali.

In ogni caso, per quel che riguarda il giudizio del tribunale, indipendentemente dalla presenza di opposizioni, oltre alle normali valutazioni richieste nei casi di omologazione di accordo di ristrutturazione «standard», al fine di riconoscere l'estensione degli effetti esso deve comunque verificare che le trattative si siano svolte in buona fede, che le classi creditorie sia omogenee dal punto di vista giuridico ed economico, che ai creditori non aderenti siano stati regolarmente notificati il ricorso e la documentazione allegata, e che i creditori non aderenti saranno comunque soddisfatti in misura maggiore rispetto all'alternativa liquidatoria, con la specificazione (introdotta dal «correttivo-ter» d.lgs. n. 136/2024) che tale valutazione deve essere effettuata tenendo conto di quanto i creditori non aderenti riceverebbero in caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data di deposito della domanda di omologazione.

Ci si è chiesti se il tribunale possa «frammentare» l'estensione degli effetti, autorizzandola per alcune categorie ed escludendola per altre, e se la mancata omologazione con estensione determini il rigetto integrale della domanda di omologazione, o possa comunque portare ad una omologazione di un accordo standard ex art. 57 c.c.i.i.

Con riferimento al primo quesito, non sembra possa ritenersi ammissibile un'estensione «parziale» all'interno di ciascuna categoria, con esclusione, quindi, di una parte di creditori rientranti nella stessa categoria, in quanto ciò sarebbe in contrasto proprio con la funzione delle classi e la funzionalità delle stesse.

Più problematica è invece la questione relativa alla possibilità di omologare l'accordo estendendo gli effetti solo per alcune categorie e non per altre, ovvero di omologare l'accordo senza estensione alcuna, considerandolo come accordo di ristrutturazione semplice.

In questi casi, occorre tenere conto del fatto che la domanda proposta riguarderà normalmente l'omologazione di un accordo di ristrutturazione con estensione degli effetti, per cui, quanto meno in assenza di domanda subordinata (e della relativa attestazione), appare molto difficile ipotizzare l'ammissibilità di una omologazione con estensione limitata ad alcune categorie, ovvero con esclusione integrale dell'estensione. Peraltro, un simile esito appare scarsamente compatibile con il piano proposto – che presuppone, ovviamente, l'estensione degli effetti – e con la stessa causa negoziale dell'accordo, che riguarda il risanamento dell'impresa ed il superamento dello stato di crisi, che ha tra i propri elementi essenziali proprio l'estensione degli effetti (Valensise, 314; contra, tuttavia, Fabiani, 2016, 926, che ammette la possibilità di un'omologa dell'accordo senza effetti estensivi, in presenza di apposita domanda subordinata e previa verifica dei presupposti di attuabilità).

La complessità delle valutazioni che il tribunale deve effettuare può rendere necessaria la nomina di un ausiliario, che era prevista esplicitamente dall'art. 182-septies, comma 4, l. fall. L'accertamento delle condizioni per l'estensione dell'efficacia degli accordi deve, comunque, essere operata d'ufficio dal tribunale, trattandosi di verifica delle condizioni di legge per l'operatività dell'estensione.

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa con banche ed intermediari finanziari

L'ultimo comma della disposizione in esame contiene una disciplina specifica (che riprende, sostanzialmente, il precedente art. 182-septies l. fall.) per le ipotesi in cui l'imprenditore abbia debiti verso banche, intermediari finanziari o cessionari dei loro crediti, in misura non inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo.

In questi casi, l'accordo di ristrutturazione dei debiti può individuare una o più categorie tra tali tipologie di creditori che abbiano fra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei. In tal caso il debitore, con il ricorso di cui all'art. 40, può chiedere che venga disposta l'estensione degli effetti, anche se non ricorre la condizione prevista dal comma 2, lettera b), dell'art. 61, e quindi prevedendo che l'accordo si fondi su un piano meramente liquidatorio.

Si tratta, quindi, di un sotto-tipo di accordo, applicabile nelle sole ipotesi in cui il debitore voglia procedere ad una ristrutturazione mediante liquidazione del proprio patrimonio, mentre, nel caso di continuità aziendale, si applicherà comunque l'accordo «generale» di cui ai commi da 1 a 4, che dovrà applicarsi anche nelle ipotesi in cui l'indebitamento verso il ceto bancario sia comunque inferiore alla metà dell'indebitamento complessivo.

Bibliografia

V. sub art. 57.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario