Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 329 - Fatti di bancarotta fraudolentaFatti di bancarotta fraudolenta 1. Si applicano le pene stabilite nell'articolo 322 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. 2. Si applica alle persone suddette la pena prevista dall'articolo 322, comma 1, se: a) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621,2622,2626,2627,2628,2629,2632,2633 e 2634 del codice civile. b) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società. 3. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell'articolo 322, comma 4. InquadramentoLa disposizione in esame estende i fatti di bancarotta fraudolenta (documentale, patrimoniale e preferenziale) agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di Società in liquidazione giudiziale (cd. «bancarotta fraudolenta impropria») ovvero rende penalmente rilevante la causazione del dissesto dalla Società per effetto del compimento di uno dei reati societari espressamente previsti (bancarotta fraudolenta cd. «da reato societario») ovvero per effetto del comportamento doloso o per effetto di operazioni dolose. Soggetti attiviIn tema di bancarotta è configurabile il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall'amministratore della Società anche a titolo di omesso controllo sull'operato di quest'ultimo o di omessa attivazione dei poteri loro riconosciuti dalla legge (cfr. Cass. pen. V, n. 31163/2011, nonché Cass. V, n. 14045/2016). Sul tema, è tornata di recente la Suprema Corte, affermando che il sindaco non è chiamato a rispondere del delitto di bancarotta fraudolenta – derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata dal comune – per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell'ente pubblico. Ciò in quanto, sempre che non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la responsabilità del sindaco sarà configurabile solo in qualità di extraneus, concorrente nel reato, previa dimostrazione dello specifico contributo fornito al legale rappresentante della società (Cass. V, n. 7723/2023). Sussiste la responsabilità, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, del presidente del collegio sindacale qualora sussistano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l'omissione del potere di controllo – e, pertanto l'inadempimento dei poteri-doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli amministratori – esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l'omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori. Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto elementi significativi le circostanze che l'imputato fosse, 1) espressione del gruppo di controllo della Società, 2) avesse rilevante competenza professionale, e 3) avesse omesso, malgrado la situazione critica della Società, ogni minimo controllo (cfr. Cass. pen. IV, n. 26399/2014). In tema di reati fallimentari, la responsabilità del liquidatore deriva non solo dall'art. 329 c.c.i.i., prima 223 l. fall. ma anche dall'art. 2489 c.c., che rinvia alle norme in tema di responsabilità degli amministratori e, quindi, anche all'art. 2392, il quale fissa un principio di ordine generale – per il quale l'amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose – di guisa che sussiste anche per i liquidatori una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato, con conseguente ineludibile responsabilità, ex art. 40 cpv. c.p., ove i detti obblighi siano disattesi; inoltre i liquidatori hanno l'obbligo di ricevere in consegna i libri sociali (art. 2487-bis, comma 3 c.c.) che si estende al liquidatore nominato successivamente in sostituzione del precedente; pertanto non può ritenersi esente da responsabilità il liquidatore che non riceve i libri contabili e che omette ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta (cfr. Cass. pen. V, n. 36435/2011). Non a caso la nomina dei liquidatori produce effetti dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese; di conseguenza gli amministratori della società, a parte l'ipotesi in cui abbiano presentato le dimissioni in precedenza, rispondono penalmente delle condotte poste in essere fino a tale momento (Cass. V, n. 48114/2023). La nozione di amministratore di fatto, ai sensi dell'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Tuttavia, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Nella specie, relativa ad una ipotesi di bancarotta fraudolenta, i giudici di merito avevano correttamente valutato il fatto che il curatore aveva riferito che fin dal suo primo incontro con gli amministratori della Società, l'imputato, gestore di fatto, si era mostrato direttamente interessato e compiutamente informato nella gestione della Società, tanto da rispondere a tutte le domande del curatore, dimostrando così di avere una profonda conoscenza delle vicende della Società fallita, soprattutto in merito ai rapporti con i clienti ed alle cause del fallimento (cfr. Cass. pen. V, n. 8864/2014). Più di recente, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, i giudici della Cassazione hanno chiarito come sia necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della Società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Cass. pen. V, n. 45134/2019). Ancora, sempre a proposito della ricostruzione del profilo di amministratore di fatto, essa deve essere effettuata sulla scorta delle concrete attività dispiegate in riferimento alla Società oggetto di analisi, riconducibili, secondo validate massime di esperienza, ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l'intervento nella declinazione delle strategie di impresa e nelle fasi nevralgiche dell'ente economico (cfr. Cass. V, n. 2714/2019). Al contempo, da tempo è stato affermato che l'accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non possa costituire di per sé fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l'amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall'amministratore di fatto. Affinché si possa affermare una responsabilità dell'amministratore di diritto per concorso, ex art. 40 c.p., è necessaria la consapevolezza che altri pongano in essere le condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice, senza che consapevolezza e va essere necessariamente ricondotta ai singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (cfr. Cass. V, n. 9856/2018). Inoltre, in caso di concorso – ex art 40, comma 2 c.p. – da parte dell'amministratore di diritto nel reato di bancarotta fraudolenta commesso dall'amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo, sia come dolo diretto, sia come dolo eventuale, salva anche la prova della volontà del mancato impedimento dell'evento (cfr. Cass. V, n. 38918/2015). La riforma della disciplina delle società (d.lgs. n. 6/2003) ha alleggerito gli oneri degli amministratori privi di deleghe e comportato una obbiettiva restrizione della loro responsabilità; invero, l'amministratore non esecutivo risponde di omesso impedimento di un reato doloso posto in essere dagli amministratori delegati purché si sia rappresentato l'evento, nella sua portata illecita, e abbia consapevolmente omesso di impedirlo. Non può dunque esservi equiparazione tra «conoscenza» e «conoscibilità» dell'evento che si deve impedire, attenendo la prima all'area della fattispecie volontaria e la seconda, quale violazione ai doveri di diligenza, all'area della colpa. La responsabilità penale dell'amministratore non esecutivo postula la dimostrazione di un effettivo ed efficace ragguaglio circa l'evento oggetto del doveroso impedimento (cfr. Cass. V, n. 23838/2007). Bancarotta fraudolenta cd. «impropria»In caso di avvicendamento nella gestione di una Società, l'amministratore cessato rimane responsabile per l'effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell'eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, fermo restando l'autonomo obbligo di quest'ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l'erroneità, lacunosità o falsità. Quello di bancarotta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell'amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell'amministrazione della Società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore. Il ruolo di amministratore di fatto va attribuito a chi svolge con continuità atti di gestione della Società, ma può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo e tale può essere anche la decisione, cui l'amministratore formale si sottometta, di interrompere l'attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile (cfr. Cass. V, n. 15988/2019). Non è necessario che l'amministratore di fatto eserciti tutti i poteri societari tipici di tale ruolo, affinché ne venga ritenuta la qualità (Cass. V, n. 2514/2023). Ancora in ordine alla qualità di amministratore di fatto, va evidenziato il recente intervento della giurisprudenza di legittimità, in cui è stato sottolineato quanto segue: «In tema di bancarotta fraudolenta, la qualifica di amministratore di fatto di una società non può trarsi solo dal conferimento di una procura generale ad negotia, ma richiede l'individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività imprenditoriale, anche a mezzo dell'attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa»; fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ricondotto all'imputato la qualifica di amministratore di fatto in quanto titolare di una procura generale e della gestione di alcuni conti correnti della società che non risultava avesse generato passività (cfr. Cass. pen. V, n. 4865/2022). Va poi evidenziato come – in caso di bancarotta fraudolenta documentale – con l'avvicendamento nella gestione di una società, il nuovo amministratore deve verificare l'effettiva e corretta tenuta delle scritture contabili da parte del precedente nonché di ricostruire la documentazione eventualmente mancante o inidonea. Egli, poi, deve ripristinare i libri e le scritture contabili mancanti e regolarizzare le scritture erronee, lacunose o false (Cass. V, n. 39160/2024). In tema di reati fallimentari, l'amministratore che si ripaghi di propri crediti verso la Società fallita risponde di bancarotta preferenziale – non di bancarotta fraudolenta patrimoniale – specificamente connotata dall'alterazione della par condicio creditorum, essendo, invece irrilevante, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, la specifica qualità di amministratore della Società, se del caso censurabile in sede di commisurazione della sanzione (cfr. Cass. V, n. 5186/2014; contra, nel senso della configurabilità della bancarotta fraudolenta per distrazione, Cass. V, n. 27132/2020, secondo cui l'amministratore che si ripaghi dei suoi crediti nei confronti della Società risponde di bancarotta per distrazione poiché non può scindersi la qualità di amministratore da quella di creditore). Il delitto di ricettazione prefallimentare (art. 338 c.c.i.i., comma 3, b), prima art. 232, comma 3, n. 2 l. fall.), si configura solo in mancanza di un accordo con l'imprenditore dichiarato fallito. Pertanto, il fatto del terzo non fallito che distragga beni prima del fallimento, in accordo con l'imprenditore, è punibile a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, exartt. 322 e 329 c.c.i.i. (già artt. 216, comma 1 e 223, comma 1 l. fall.), e non a norma del predetto art. 338 c.c.i.i. (Cass. V, n. 16062/2012). La condotta dell'amministratore di una Società a responsabilità limitata che ceda i diritti d'autore ad altra Società di cui sia pure amministratore integra il delitto di bancarotta patrimoniale per distrazione (art. 223, comma 1 c.c.i.i. in relazione all'art. 216, comma 1, n. 1 l. fall.) e non già il delitto di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.), con cui è in rapporto di specialità reciproca, perché è possibile un'attività distrattiva che non integri l'infedeltà patrimoniale per mancanza di conflitto di interessi e una condotta di infedeltà patrimoniale che non integri distrazione trattandosi di reati preordinati alla tutela di interessi diversi, l'uno (art. 216 l. fall.) i creditori sociali, l'altro (art. 2634 c.c.) il patrimonio sociale. Non è pertanto in tal caso necessario per l'integrazione della bancarotta fraudolenta che la condotta cagioni il dissesto ex art. 223, comma 2, n. 1, in riferimento all'art. 2634 c.c. (cfr. Cass. V, n. 6140/2007). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, costituisce un'ipotesi di bancarotta fraudolenta la condotta dell'amministratore della società fallita che preleva dalle casse sociali somme destinate al pagamento del trattamento di fine rapporto di un lavoratore, ovvero al pagamento, a seguito della cessione del credito in favore della società, delle rate di un finanziamento erogato a un dipendente; ciò in quanto trattasi di somme facenti parte del patrimonio della società fallita (Cass. pen. V, n. 33063/2024). La presentazione per lo sconto presso diversi istituti bancari delle medesime fatture concreta quelle operazioni dolose che inevitabilmente, aumentando il passivo (ottenendo più anticipazioni a fronte del medesimo ed unico credito), conducono all'aggravamento dello stato di dissesto e, quindi, al fallimento. Una simile condotta integra gli elementi costitutivi della bancarotta impropria e non configura la diversa ipotesi del ricorso abusivo al credito, posto che tale fattispecie si concreta nel caso in cui si ottengano finanziamenti dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza, in assenza, quindi, degli ulteriori elementi che caratterizzano il delitto di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, seconda ipotesi, e cioè il cagionare il fallimento attraverso operazioni dolose (cfr. Cass. V, n. 50081/2017). In tema di bancarotta, il potere di amministrazione disgiunta, spettante, di regola, nelle società di persone, a ciascun socio, non esclude il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale del socio che, pur non essendo autore di condotte pregiudizievoli per la società e per i creditori, abbia colpevolmente omesso di esercitare il potere-dovere di vigilare sulla complessiva gestione della società, salvo che adduca specifiche e documentate ragioni idonee a dar conto dell'inesigibilità dell'esercizio di vigilanza (cfr. Cass. pen. V, n. 17902/2022,). In tema di fallimento di una società di persone, la condotta del socio che recede che, nell'esercizio del diritto a vedersi liquidata la sua quota, prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti al credito vantato nei confronti della società senza alcuna indicazione di elementi oggettivi che consentano un'adeguata valutazione delle modalità di determinazione della congruità della somma, costituisce atto di disposizione patrimoniale intrinsecamente arbitrario che, in quanto idoneo a esporre a pericolo le ragioni dei creditori, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione (cfr. Cass. pen. V, n. 17902/2022). In tema di divieto di bis in idem, il precedente giudizio per il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti non preclude quello successivo per bancarotta fraudolenta impropria, non sussistendo tra le due fattispecie criminose l'idem factum; In motivazione, la Corte ha precisato che, mentre il primo è un reato di mera condotta e a dolo preterintenzionale, il secondo è un reato di danno – caratterizzato dall'aver cagionato o contribuito a cagionare il fallimento della società – e dolo specifico (cfr. Cass. pen. V, n. 15630/2022). Bancarotta fraudolenta cd. «da reato societario»Si configura il reato di bancarotta fraudolenta da reato societario laddove gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di Società abbiano cagionato – o concorso a cagionare – il dissesto della Società commettendo alcuni dei reati societari espressamente previsti. Si tratta di un reato di evento in quanto è richiesto il nesso eziologico tra la commissione di uno dei reati societari ed il dissesto. Le figure di reato sono richiamate con la tecnica del rinvio recettizio e pertanto in caso di modifiche delle singole fattispecie criminose contemplate nel c.c. occorre prendere in considerazione il precetto vigente al momento del fatto. Il rinvio attiene a tutti i segmenti descrittivi del reato e quindi la condotta, l'oggetto materiale, il nesso causale, l'evento. Sono escluse, invece, le condizioni di procedibilità. Ad esempio, in materia di false comunicazioni sociali, la giurisprudenza ha ritenuto rilevanti le soglie di punibilità (cfr. Cass. V, n. 26343/2006, secondo cui: «In tema di false comunicazioni sociali, quando a seguito della nuova formulazione del reato, introdotta dall'art. 1 d.lgs. n. 61/2002, sia avanzata al giudice della esecuzione istanza di revoca della sentenza per abolitio criminis in relazione alla dedotta insussistenza del requisito delle soglie di punibilità, il giudice, nelle fattispecie nelle quali le soglie percentualistiche risultano improponibili per la impossibilità del raffronto di dati rilevanti con un risultato di esercizio (ad es. voci rendicontate in seno ai «conti di ordine», informazioni afferenti la situazione finanziaria, relazioni, comunicazioni aventi ad oggetto un unico dato), deve attenersi soltanto al criterio della «alterazione sensibile»». In motivazione la Corte di cassazione ha chiarito come l'accertamento in questione fosse dovuto anche laddove nel capo di imputazione sia riportata soltanto la cifra oggetto della condotta falsificatrice senza l'accenno formale alla «sensibilità» del mendacio. La Suprema Corte ha altresì affermato che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione «la scissione di una Società, successivamente dichiarata fallita, a favore di altra Società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la Società al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e ss. c.c. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie» (Cass. V, n. 27930/2020). La bancarotta impropria di reato societario è reato perseguibile di ufficio anche quando il reato presupposto (nel caso di specie, le false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori di cui al nuovo art. 2622 c.c.) sia punibile a querela di parte. Il reato fallimentare è, infatti, autonomo rispetto al reato societario che lo compone e, poiché per esso non è prevista la procedibilità a querela, che ha carattere eccezionale, vige il principio generale della procedibilità d'ufficio, salvo che non sia diversamente previsto (cfr. Cass. V, n. 2862/2002). Quanto al nesso eziologico, qualsiasi situazione astrattamente collegabile al dissesto può considerarsi causa dello stesso e il significato delle espressioni «cagionare» ed «aggravare», ancorché diverso si fa più sfumato nei casi in cui il fatto illecito sopravvenga ad una situazione di crisi irreversibile (cfr. Cass. V, n. 48523/2011). Di recente, la Suprema Corte ha statuito che determina il concorso nel delitto di bancarotta impropria da aumento fittizio del capitale sociale, la condotta del soggetto terzo – esperto estimatore – che viene investito della valutazione di un bene conferito dall'amministratore unico in dissesto e lo sovrastimi falsamente e in misura rilevante; ciò sempre che tale fatto avvenga nella consapevolezza dell'altrui progetto delittuoso nonché della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del conseguente squilibrio economico (Cass. V, n. 21854/2024). Ancora, è stato statuito che determina l'insorgenza della bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolosela condotta di affitto dell'unico ramo di azienda a fronte di un canone incongruo o riscosso solo in parte; ciò nella misura in cui la società poteva regolarmente svolgere le proprie attività al momento della conclusione del contratto e produrre un reddito che poteva confluire nell'asse dei beni che costituivano garanzia per i creditori, utilizzando da sé i beni ceduti (Cass. V, n. 14405/2024). Il falso in bilancio dell'amministratore può integrare la fattispecie di bancarotta impropria laddove si proceda con una rivalutazione dei beni giustificata da “casi eccezionali” – di cui all'art. 2423, comma 5 c.c. – che, però, non hanno inciso effettivamente sul valore al rialzo di quei beni. Ciò in quanto, così facendo, non si manifesta la necessità di ricapitalizzare o di porre in liquidazione la società crisi, determinandosi l'ulteriore aggravamento della situazione economica della stessa. (Cass. V, n. 10160/2024). Sotto un profilo soggettivo, l'eventuale errore sul precetto normativo non esclude la responsabilità in quanto la norma extra-penale è integrativa della fattispecie e si qualifica come errore sul precetto. È necessario, invece, il dolo generico inteso come rappresentazione e volontà sia del fatto illecito sia del dissesto, inteso non come intenzione di cagionare l'insolvenza ma come consapevole rappresentazione ed accettazione della diminuzione della garanzia dei creditori (cfr. Cass. V, n. 23091/2012, secondo cui: «In tema di bancarotta impropria da reato societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico». Trattavasi di ipotesi afferente alla ritenuta configurabilità del reato in relazione a false comunicazioni dirette ad un istituto di credito, al fine di ottenere una maggiore erogazione finanziaria, sebbene, nella specie, l'azione fosse sorretta dalla convinzione della probabile restituzione). Pur dopo le modifiche apportate dalla l. n. 69/2015 al reato di false comunicazioni sociali, il falso valutativo mantiene il suo rilievo penale. Precisamente sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (cfr. Cass. pen. S.U., n. 22474/2016). La Suprema Corte ha statuito che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria da reato societario, ex art. 2634 c.c., è necessario che gli atti di frode ai creditori siano espressione del potere di amministrazione, sia pure esercitato in una situazione di conflitto con l'interesse della Società e con le finalità descritte dalla norma; laddove, invece, deve ritenersi sussistente il diverso reato di cui all'art. 223, comma 1, l. fall. quando siano realizzati atti di disposizione dei beni societari caratterizzati, secondo una valutazione «ex ante», da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la Società amministrata (cfr. Cass. V, n. 33306/2016). Inoltre, circa la configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale, di cui l'art. 2634 c.c., il consesso nomofilattico ha chiarito che assume rilievo anche l'inerzia dell'amministratore, quando sia tale da determinare la compromissione dell'integrità del patrimonio sociale. Nella fattispecie de qua, l'amministratore della fallita aveva omesso per ben sei anni di far valere un credito vantato dalla Società (cfr. Cass. V, n. 37932/2017). Giova precisare che, in tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, la formulazione dell'art. 223, comma 2, n. 1 l. fall. (introdotta dall'art. 4 del d.lgs. n. 61/2002), e oggi nell'art. in commento, non ha riprodotto – tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario – l'art. 2623 c.c. che, al numero 3), prevedeva il fatto degli amministratori che impediscono il controllo della gestione sociale da parte del collegio sindacale. La tutela del regolare esercizio dell'attività di controllo è ora affidata ad una nuova disposizione, quella contenuta nell'art. 2625 c.c., che ha depenalizzato, in parte, l'illecito previsto dal vecchio art. 2623 c.c. (nel caso in cui non vi siano stati danni per i soci), prevedendo, in ipotesi contraria, una fattispecie delittuosa punibile a querela della persona offesa. Nel caso di specie, la Suprema Corte, nel riqualificare l'originario addebito, formulato ai sensi degli artt. 223 l. fall. in relazione all'art. 2623 c.c., ora abrogato, ha ritenuto che, sussistendo il danno per i soci, residuasse la fattispecie di cui al comma secondo dell'art. 2625 c.c., relativamente alla quale, però, non risultando proposta la querela nel termine di legge – sia pure con la decorrenza stabilita dall'art. 5 del d.lgs. n. 61/2002, e cioè dalla data di entrata in vigore della stessa normativa – ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, con la formula corrispondente (Cass. V, n. 25510/2003). La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all'art. 326, comma 1 c.c.i.i. (già 219, comma 1 l. fall.) è applicabile, con interpretazione estensiva, anche ai fatti di bancarotta «impropria», considerata l'integralità del richiamo contenuto nell'art. 223 l. fall. alla fattispecie di cui all'art. 216 l. fall., da intendersi implicitamente riferito anche all'elemento accidentale della circostanza aggravante della rilevanza del danno, introdotto in detta fattispecie dal rinvio operato dall'art. 219, comma 1 l. fall. In motivazione la Corte ha precisato che la sostanziale equiparazione normativa tra le ipotesi di bancarotta propria e impropria rende irragionevole la limitazione alle prime dell'operatività in parola (cfr. Cass. V, n. 2903/2013). Si veda, sul punto, il commento all'art. 326 c.c.i.i. Le differenze strutturali tra la bancarotta propria e quella impropria sono minime e non attengono al dato oggettivo della condotta. L'art. 223 della legge fallimentare, sulla bancarotta impropria, rinvia all'art. 216, sulla bancarotta propria, per la determinazione della pena. Il rinvio deve considerarsi integrale, anche per l'applicazione delle aggravanti ex art. 219, vista l'identità oggettiva delle condotte (cfr. Cass. V, n. 10180/2013). Causazione dissesto con dolo o per effetto di operazioni doloseLa Corte di Cassazione ha ritenuto che la questione di legittimità costituzionale, relativa alla indeterminatezza della disposizione in esame fosse manifestamente infondata, «in quanto la norma incriminatrice configura un reato causale a forma libera, la cui condotta è sufficientemente definita da una serie di parametri che rendono conoscibile il precetto» (cfr. Cass. pen. sez. fer., n. 39192/2015). Si configura la prima ipotesi laddove il comportamento tenuto dal soggetto agente è proiettato finalisticamente verso il dissesto della Società; ciò comporta che l'agire del reo sia preordinatamente diretto non già alla salvaguardia degli affari sociali, quanto al perseguimento di interessi terzi. Perché venga perfezionata, ad ogni modo, deve esservi un nesso di causalità fra condotte dannose e verificarsi del fallimento. Le operazioni dolose sono il risultato delle infedeltà delle funzioni ovvero la violazione dei doveri che discendono dal rapporto con la Società (cfr. Cass. pen. V, n. 29586/2014; Cass. pen. V, n. 9843/2018). Il discrimen tra le due fattispecie risiede sostanzialmente nell'elemento soggettivo. L'art. 329, comma 2, b) (prima art. 223, comma 2, n. 2 l. fall.) comprende due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l'effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio dello stesso, pertanto la prima fattispecie è a dolo specifico mentre la seconda è a dolo generico (cfr. Cass. pen. V, n. 52433/2017). In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose, diverse da quelle integranti una condotta distrattiva, possono consistere anche nell'aver omesso, in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto della soglia di minimo legale, di convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo, o la trasformazione della Società secondo quanto imposto dall'art. 2447 c.c. La condotta dell'amministratore che non osserva i doveri imposti dalla legge e che abbia cagionato (o contribuito a cagionare) il fallimento ricade nella fattispecie della bancarotta fraudolenta per operazioni dolose. Al contrario è applicabile il più mite trattamento sanzionatorio di cui all'art. 224, n. 2 qualora l'inosservanza dell'amministratore sia di natura colposa (cfr. Cass. pen. V, n. 49506/2018). In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della Società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (cfr. Cass. pen. V, n. 24752/2018). In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose possono consistere anche nella compensazione dell'ingente esposizione debitoria della Società nei confronti del fisco con crediti inesistenti, in quanto siffatta operazione, comportando l'azzeramento meramente formale dei debiti, consente alla Società di operare e contribuisce, in modo prevedibile, ad aggravare il dissesto della stessa determinando il maturarsi di ulteriori debiti con il fisco (cfr. Cass. pen. V, n. 22488/2019). Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l'onere probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell'astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell'evento fallimentare (cfr. Cass. pen. V, n. 4010/2018). In tema di bancarotta fraudolenta impropria, integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, il meccanismo di frode fiscale realizzato attraverso la formazione e l'utilizzazione, mediante annotazione nella contabilità, di fatture per operazioni inesistenti, quando le sanzioni conseguenti all'accertamento ed alla contestazione dell'illecito fiscale abbiano determinato la situazione di dissesto della Società (cfr. Cass. pen. V, n. 11956/2017). Pene accessorie e rapporti con altri reatiCon l'ultimo comma, il legislatore riporta – come nella precedente formulazione della l. fall. – il richiamo alle pene accessorie di cui all'ultimo comma dell'art. 322 c.c.i.i.; dunque, la condanna per i fatti di bancarotta impropria comporta la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Ciò – come già visto in sede di esame della fattispecie richiamata – fermo quanto previso dal c.p., in materia di sanzioni accessorie. Per quanto attiene ai rapporti con le ipotesi di bancarotta propria, è stato chiarito quanto segue. I reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e quello di bancarotta impropria di cui all'art. 329, comma 2, lett. b) c.c.i.i. operano in ambiti diversi: «il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto»; di contro, il secondo attiene ad condotte dolose non configurabili come distrazione o dissipazione di attività, non dando luogo a un pregiudizio per le verifiche relative al patrimonio sociale che vengono effettuate grazie alle scritture contabili, «ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento». Di conseguenza, in relazione ai delitti in questione, deve escludersi il concorso formale è, invece, «possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 l. fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico finanziario della Società – siano stati causa del fallimento» (Cass. pen. V, n. 19460/2016). Infine, non appare superfluo evidenziare l'importante intervento della giurisprudenza di legittimità sul concorso nel reato da parte del sindaco supplente: «In tema di bancarotta fraudolenta impropria, è configurabile in capo ai sindaci supplenti il concorso omissivo per violazione dei doveri di vigilanza e dei poteri ispettivi che competono ai componenti del collegio sindacale, solo in caso di morte, rinunzia o decadenza dei sindaci titolari e solo nella misura in cui l'omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori» (cfr. Cass. pen., n. 19540/2022). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, Leggi Complementari, II, Milano, 2018; Bricchetti, Bancarotta impropria: a rischio i fatti del passato, in Guida dir., 2002; Bricchetti, Le fattispecie di non punibilità conseguenti alle restituzioni od al risarcimento del danno, in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di Giarda, Seminara, Padova, 2002; Centoze, La Suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario. Nota a Cassazione Penale 4 maggio 2007 n. 23838 Sez. 5, in Cass. pen., fasc. 1, 2008; Foti, Fallimento della Società cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose: l'elemento soggettivo è il discrimine. Nota a Cassazione Penale 10 agosto 2017 n. 52433 Sez. Fer., in Dir. e giust., 184, 2017; Gambardella, L'abolizione del delitto di bancarotta impropria commesso nell'ambito di Società in amministrazione controllata (art. 236 cpv., n. 1 l. fall.), in Riv. it. dir. proc. pen., 2010; Mangano, Il gruppo di imprese ovvero del conflitto di interessi in seno alla bancarotta patrimoniale, in Rivista Trimestrale del diritto penale dell'economia, 2000; Mangione, La bancarotta fraudolenta impropria, in Aa.Vv., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di Giarda-Seminara, Padova, 2002; Mezzetti, Il problema del rinvio nella bancarotta impropria commessa per mezzo dei reati societari, in Giust. pen., II, 1990; Punzo, La bancarotta impropria e gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, Padova, 1957. |