Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 330 - Fatti di bancarotta sempliceFatti di bancarotta semplice 1. Si applicano le pene stabilite nell'articolo 323 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, i quali: a) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo; b) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge. InquadramentoLa norma in esame estende i fatti di bancarotta semplice agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di Società in liquidazione giudiziale (cd. bancarotta semplice «impropria») ovvero rende penalmente rilevante la inosservanza, da parte di costoro, degli obblighi imposti dalla legge che abbia concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della Società. L'individuazione dei soggetti attivi rende tale fattispecie «propria», sotto il profilo autoriale. Il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria. In motivazione, si è precisato che tale principio è valido sia nel caso in cui la sentenza di fallimento venga qualificata elemento costitutivo improprio della fattispecie penale, come la Corte ha affermato incidentalmente, sia qualora la si ritenga condizione obiettiva di punibilità (cfr. Cass. pen. V, n. 45288/2017). Elemento oggettivoL'amministratore di una Società in accomandita semplice non può ritenersi responsabile ex art. 323, lett. b) (già 224, n. 2, l. fall.) del reato di bancarotta semplice per aver concorso a cagionare il dissesto della Società non essendosi attivato, in presenza di una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. (riduzione del capitale minimo leale), per convocare l'assemblea per le delibere del caso (art. 2482-ter c.c.) e per richiedere il fallimento. Tali disposizioni, infatti, proprie della disciplina delle Società di capitali, non trovano applicazione nel caso in cui la fallita sia una Società semplice (cfr. Cass. pen. V, n. 42310/2016). Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, non è ostativa la condotta dell'amministratore che presenta un'istanza di rateizzazione del debito erariale, strumento previsto dall'ordinamento per far fronte alla crisi dell'impresa, se essa avviene in una situazione di conclamata ed irrimediabile insolvenza della Società, in assenza di qualsivoglia iniziativa volta a risollevarne le sorti (cfr. Cass. pen. V, n. 57757/2017). In tema di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto punito dagli artt. 323, comma 1, lett. d) e 330 c.c.i.i. (già artt. 217, comma 1, n. 4 e 224 l. fall.) deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l'aumento di alcune poste passive. Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l'attenzione sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione (cfr. Cass. pen. V, n. 27634/2019). La fattispecie di bancarotta fallimentare semplice per spese personali eccessive, prevista dall'art. 323, comma 1, lett. a) (prima 217, comma 1, n. 1 l. fall.), non può essere integrata dall'amministratore di Società di capitali, atteso che questi non è legittimato a compiere spese personali, neppure se non eccessive, e può, invece, essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre ipotesi di cui all'art. 323, comma 1, lett. d) ed e) (già 217, comma 1, n. 4 e 5 l. fall.; cfr. Cass. pen. V, n. 2799/2014). In tema di bancarotta, rientra tra gli «obblighi imposti dalla legge», la cui inosservanza, se causa o concausa di dissesto societario ovvero di aggravamento dello stesso dissesto, può dar luogo a responsabilità penale degli amministratori, ai sensi dell'art. 224, n. 2 l. fall. (r.d. n. 267/1942), anche la convocazione dell'assemblea dei soci, richiesta dall'art. 2447 c.c., in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale (cfr. Cass. pen. V, n. 154/2005). In tema di bancarotta, la convocazione dell'assemblea dei soci ex art. 2447 c.c. in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale rientra tra gli «obblighi imposti dalla legge» la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell'amministratore ai sensi dell'art. 224, comma 1, numero 2 l. fall. laddove costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento (cfr. Cass. pen. V, n. 8863/2014). Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. in commento (prima contenuto nel 224, n. 2, della l. fall., id est r.d. n. 267/1942), rientra tra gli «obblighi imposti dalla legge» la cui inosservanza, se causa o concausa di dissesto societario ovvero di aggravamento dello stesso dissesto, può dar luogo a responsabilità penale degli amministratori, anche l'esecuzione di delibere assembleari che non siano semplicemente «gestionali», ma che attengano alla vita dell'ente sociale, come quelle che decidono lo scioglimento anticipato o la trasformazione della Società (art. 2365 c.c.) oppure la presentazione della proposta di concordato fallimentare o della domanda di concordato preventivo (art. 152, comma 2, e 161, comma 4 l. fall.). Nel caso di specie, riguardante l'inosservanza di una delibera assembleare relativa alla domanda di ammissione al concordato preventivo da parte dell'amministratore unico di una Società a responsabilità limitata, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata con rinvio affinché fosse accertato il nesso causale tra l'anzidetta inadempienza e l'aggravamento del dissesto societario (cfr. Cass. pen. V, n. 40581/2002). Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta semplice, l'inerzia del singolo amministratore, quand'anche da sola insufficiente ad impedire l'evento pregiudizievole, nell'unirsi all'identico atteggiamento omissivo – sia esso colposo o doloso – degli altri componenti dell'organo amministrativo, acquista efficacia causale rispetto al dissesto, o all'aggravamento del dissesto, in quanto l'idoneità dell'opposizione del singolo a impedire l'evento deve essere considerata non isolatamente, ma nella sua attitudine a rompere il silenzio e a sollecitare, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri amministratori (cfr. Cass. pen. V, n. 32352/2014). Non integra il reato di bancarotta semplice documentale il mero ritardo, da parte dell'amministratore di diritto, nella trasmissione dei documenti contabili al commercialista, che può essere considerato solo un sintomo della irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili (cfr. Cass. pen. V, n. 36613/2010). Il combinato disposto degli artt. 330 e 323 c.c.i.i. (precedentemente in artt. 224 e 217 l. fall.) prevede il reato di bancarotta semplice, o impropria, in cui l'attività criminosa degli amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di Società fallite ha per oggetto il patrimonio sociale di cui i soggetti suindicati hanno la gestione ed il controllo, non assumendo il patrimonio personale dei soggetti medesimi alcuna rilevanza ai fini del reato in questione. Orbene, se è pur vero che il rinvio previsto dall'art. 330 c.c.i.i. non può estendersi a tutte le ipotesi contemplate dall'art. 323 c.c.i.i. che sono state definite per il fallimento delle imprese individuali – rimanendovi dunque escluse le ipotesi non compatibili con la struttura societaria – non può ritenersi tuttavia che il rinvio operato dall'art. 330 c.c.i.i. non sia applicabile alle ipotesi di cui all'art. 323 c.c.i.i., comma 1, lett. b). La circostanza che il testo di quest'ultima norma usi il possessivo «suo» – riferendosi al patrimonio che l'imprenditore individuale abbia consumato in notevole parte in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti – non è di per sé sufficiente per ritenere la norma non applicabile alla Società, essendo evidente che il legislatore, mediante il rinvio dell'art. 330, ha inteso far riferimento al patrimonio della Società e non certo ai patrimoni personali degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, che non hanno rilevanza alcuna nelle ipotesi di bancarotta. Ne consegue che ben può ritenersi ipotizzabile in astratto il reato di bancarotta semplice impropria nel caso in cui l'amministratore, ed i soggetti ad esso assimilati dall'art. 330, abbiano consumato una notevole parte del patrimonio sociale in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (Cass. pen. V, n. 894/1996). Di recente, il principio sopra illustrato è stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la bancarotta semplice impropria per operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti può essere contestata, per effetto del rinvio operato dall'art. 224, comma 1, n. 1 l. fall., all'art. 217, comma 2, n 2 l. fall. agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di una società dichiarata fallita che abbiano consumato con operazioni di tal genere il patrimonio sociale (cfr. Cass. pen. V, n. 7417/2023). Il reato configurato dall'art. 330 in relazione all'art. 323, comma 2 c.c.i.i., prevede la punibilità anche degli amministratori che siano cessati dalla carica anteriormente alla dichiarazione di fallimento, se tale cessazione e l'omessa o irregolare tenuta dei libri contabili si siano verificate nel triennio anteriore alla dichiarazione stessa (cfr. Cass. pen. V, 29 novembre 1993). Recente giurisprudenza di Cassazione ha affermato che, allo scopo di attribuire ai sindaci la penale responsabilità per fatti di bancarotta (ivi ricompresa quella semplice), debbano ricorrere due presupposti: prima di tutto, occorre verificare la conoscibilità in capo ai medesimi della reale situazione della Società – ovverosia della situazione di squilibrio economico-finanziario – sulla base di univoci e oggettivi segnali di allarme; inoltre, formulando un giudizio controfattuale, dovrebbe altresì accertarsi che l'evento del reato si sarebbe comunque verificato qualora i predetti si fossero attivati esercitando le proprie prerogative (cfr. Cass. pen. V, n. 28848/2020). Elemento soggettivoLa bancarotta semplice impropria (ossia la bancarotta semplice commessa dagli amministratori, dai direttori generali, dai sindaci e dai liquidatori) è sorretta da dolo o dalla colpa. Il reato di cui all'art. 323 c.c.i.i., richiamato dall'art. 330, per i fatti di bancarotta semplice commessi dagli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di Società dichiarate fallite, è un reato di pericolo presunto, punibile anche a titolo di colpa, e come tale prescinde dall'accertamento del danno. Ne deriva che l'omessa tenuta della contabilità, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, è penalmente sanzionata per la mera possibilità di lesione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice, di talché è del tutto irrilevante il fatto della mancanza di un effettivo pregiudizio economico per i creditori in conseguenza dell'omissione suddetta (cfr. Cass. pen. V, n. 6470/1999). La violazione degli obblighi imposti dalla legge da parte dei soggetti suddetti idonea a cagionare od aggravare il dissesto della Società è sorretta dal dolo generico che, dovendo coprire tutti gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa, consiste nella rappresentazione e volontà non soltanto della violazione stessa ma anche del dissesto come conseguenza della violazione. L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta semplice di cui all'art. 323, comma 1, lett. d) c.c.i.i. è costituito dalla colpa grave, la quale deve essere oggetto di autonomo apprezzamento e non può ritenersi presunta a seguito del mero ritardo nella presentazione della richiesta del proprio fallimento. Nel differenziare quella in commento dalla fattispecie dell'art. 329, comma 2, lett. a), la giurisprudenza ha rilevato che, ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta impropria sia necessario che il reato societario abbia cagionato od aggravato il dissesto della Società fallita e che si sia perfezionato anche nel suo elemento soggettivo. 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