Codice Penale art. 415 bis - Rivolta all'interno di un istituto penitenziario 1

Sergio Beltrani

Rivolta all'interno di un istituto penitenziario1

[I]. Chiunque, all'interno di un istituto penitenziario, partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all'esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, commessi da tre o più  persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Ai fini del periodo precedente, costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscono il compimento degli atti dell'ufficio o del servizio necessari alla gestione dell'ordine e della sicurezza.

[II]. Coloro che promuovono, organizzano o dirigono la rivolta sono puniti con la reclusione da due a otto anni.

[III]. Se il fatto è commesso con l'uso di armi, la pena e' della reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal primo comma e da tre a dieci anni nei casi previsti dal secondo comma.

[IV]. Se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale grave o gravissima, la pena è della reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a dodici anni nei casi previsti dal secondo comma; se, quale conseguenza non voluta, ne deriva la morte, la pena è della reclusione da sette a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dieci a diciotto anni nei casi previsti dal secondo comma.

 

[V]. Nel caso di lesioni gravi o gravissime o morte di più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni venti.

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim. 1°, 2°, 3° comma; 4° comma 1a ipotesi); Trib. collegiale (4° comma 2a, 3a, 4a ipotesi; 5° comma in relaz. al 1° comma, al 3° comma 1a ipotesi e al 4° comma 1a ipotesi); Corte d’assise (5° comma in relaz. al 2° comma, al 3° comma 2a ipotesi e al 4° comma 2a,. 3a, e 4a ipotesi)  

arresto: facoltativo; obbligatorio (5° comma in relaz. al 2° comma, al 3° comma 2a ipotesi e al 4° comma 2a, 3a e 4a ipotesi)

fermo: non consentito (1° comma; 3° comma 1a ipotesi; 4° comma 1a ipotesi); consentito (2° comma; 3° comma 2a ipotesi; 4° comma 2a, 3a, 4a ipotesi; 5° comma)

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d’ufficio

Inquadramento

Il d.l. n. 48 del 2025, convertito senza modifiche in l. n. 80 del 2025, ha introdotto questo nuovo reato al fine di sanzionare più gravemente condotte di massima già penalmente rilevanti, ma punite con pene meno severe (violenza privata, minaccia, resistenza a p.u.); la portata innovativa della nuova incriminazione riguarda, a ben vedere, le sole condotte di resistenza passiva, tradizionalmente ritenute dalla giurisprudenza insufficienti ad integrare il reato di cui all'art. 337 c.p. (cfr., ad es., Cass. VI, n. 6069/2015 e Cass. I, n. 29614/2022). La modifica, all'evidenza sfavorevole, si applicherà alle condotte poste in essere a far data dal 12/04/2025, data di vigenza del d.l.

Bene giuridico

La collocazione sistematica della disposizione evidenzia che il Legislatore ha, attraverso essa, inteso rafforzare la tutela dell'ordine pubblico, che si reputa evidentemente compromesso da rivolte scaturenti in ambito carcerario; il reato può, peraltro, assumere carattere plurioffensivo, quando commesso attraverso condotte che ledano o mettano in pericolol'incolumità personale o la libertà morale di persone fisiche terze (rispettivamente, le vittime di violenze o minacce).

La dottrina (Palazzo 2025) ha osservato che il nuovo reato introdotto dal d.l. sicurezza “viene ad assumere il significato di una tutela speciale dell'ordine e sicurezza carceraria che si pone come un bene prevalente rispetto all'ordinario buon andamento ed efficacia dell'azione amministrativa”, chiedendosi (retoricamente) “quali possano essere le ragioni sostanziali che stanno al fondo di questa esigenza di tutela privilegiata dell'ordine e sicurezza in carcere”, che verosimilmente tradiscono “un atteggiamento ideologico nutrito dal legislatore nei confronti dell'universo carcerario”.

Soggetti

 

Soggetti attivi

Soggetti attivi del reato sono:

- “chiunque”, all'interno di un istituto penitenziario, partecipi ad una rivolta ponendo in essere le condotte incriminate: trattasi di reato proprio, potendo essere di necessità commesso unicamente da soggetti che si trovino “all'interno di un istituto penitenziario” (in quanto tali, deve ritenersi necessariamente capaci ed imputabili);

- coloro che  promuovono, organizzano o dirigono la rivolta (puniti con pena più alta di quella base, ovvero con la reclusione da due a otto anni). La previsione ripropone quella di cui all'art. 112, comma 1, n. 2, c.p., inasprendone le conseguenze (non più l'aumento di pena comune in misura pari, al massimo, al terzo, ma il raddoppio della pena minima, e l'aumento in misura pari a poco meno di due terzi, della pena massima), ma non ne conserva la natura giuridica di circostanza aggravante,  atteso che tali soggetti possono ben essere, diversamente dai partecipi, soggetti che non si trovano “all'interno di un istituto penitenziario”. Per tale ragione, riteniamo che la fattispecie integri un reato (comune) autonomo, e non una mera circostanza aggravante ad effetto speciale del reato proprio di cui al primo comma (come al contrario ritiene la Relazione del Massimario sul d.l. sicurezza): lo conferma testualmente il rilievo che condotte di cui al comma 2 non presuppongono necessariamente la partecipazione materiale agli atti di violenza et c. di cui al comma 1.  

Trattasi di reato necessariamente plurisoggettivo, richiedendo, per la sua integrazione, che le condotte tipiche (ovvero gli atti di violenza o minaccia o di resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza) siano poste in essere da parte di almeno tre persone; l'espressa formulazione della disposizione non consente di computare, ai fini del raggiungimento del predetto numero minimo, iconcorrenti che non abbiano posto in essere la condotta tipica.

 

Materialità

La materialità del nuovo reato di cui all'art. 415-bis si incentra sulla partecipazione ad una rivolta che abbia luogo all'interno di un istituto penitenziario; per espressa previsione di legge, partecipare ad una siffatta rivolta si concretizza nel compiere atti di violenza o minaccia o di resistenza all'esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza.

Non rientrano all'evidenza nell'ambito degli istituti penitenziari  i Centri di accoglienza per i migranti: per le “rivolte” all'interno di tali ultimi siti, è stato contestualmente introdotto, dal medesimo d.l. n. 48 del 2025, un nuovo reato ad hoc, disciplinato dal nuovo comma 7.1 dell'art. 14 d. lgs. n. 286 del 1998 (TU immigrazione), punito in maniera leggermente meno severa (quanto all'ipotesi-base, stessa pena minima e pena massima pari ad anni quattro di reclusione; pene generalmente meno severe per tutte le ipotesi aggravate).

Per le nozioni di atti di violenza o minaccia o di resistenza, si rinvia, rispettivamente, agli articoli 610,612,337 c.p.; gli atti di resistenza integrano il reato di cui all'art. 415-bis soltanto se essa venga opposta all'esecuzione di ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza.

Il numero minimo dei rivoltosi è fissato in tre, ed essi devo agire “riuniti”: ciò comporta la necessità della simultanea presenza di non meno di tre persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza, della minaccia o della resistenza (a somiglianza di quanto tradizionalmente la giurisprudenza richiede per la configurazione dell'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 1, c.p.: cfr. Cass. S.U., n. 21837/2012); se i rivoltosi sono due, oppure sono di più, ma agiscono, non riuniti, in gruppi di una/due persone, il reato non è integrato.

Per espressa previsione di legge, costituiscono “atti di resistenza” anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscano il compimento degli atti dell'ufficio o del servizio necessari alla gestione dell'ordine e della sicurezza. L'incriminazione degli atti di “resistenza passiva” costituisce un novum, atteso che, come anticipato sub § 1, tradizionalmente la giurisprudenza escludeva che essi, concetizzantisi in una mera opposizione passiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, integrassero il reato di resistenza a pubblico ufficiale (così, da ultimo, Cass. I, n. 29614/2022).

Proprio la necessità dell'anzidetta finalizzazione ad impedire il compimento degli atti dell'ufficio o del servizio necessari alla gestione dell'ordine e della sicurezza, evidenza che la disposizione non può essere integrata da generiche condotte di protesta non riguardanti atti dell'ufficio o del servizio necessari alla gestione dell'ordine e della sicurezza, quali, ad esempio, uno sciopero della fame (certamente idoneo soltanto ad arrecare pregiudizio alla salute del detenuto, ma non anche ad impedire il compimento dei predetti atti).

Come precisato dalla Relazione illustrativa al d.d.l. di conversione, la descrizione delle modalità delle condotte incriminate riprende la disciplina di cui all'art. 41 ord. pen. (a norma del quale «Non è consentito l'impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva, all'esecuzione degli ordini impartiti…»); parte della dottrina (Passione, 2025, 17) evidenzia, in proposito, che una cosa è consentire una reazione, anche comportante l'impiego della forza fisica, ex art. 41 ord. pen., altra cosa è “introdurre una fattispecie penale alla base della stessa, le cui conseguenze (oltre che sanzionatorie) non potranno che costituire (…) una micidiale arma di criminalizzazione del dissenso, anche a fronte di condotte criticabili (e perfino illecite) tenute intra moenia dal personale di polizia o da altri operatori penitenziari”.

Il reato, nelle tre sue possibili forme di manifestazione, costituisce reato di pericolo (con possibile evento aggravante di danno: v. infra sub § 7.1); la fattispecie posta in essere mediante resistenza c.d. passiva ha natura giuridica di reato di pura condotta, realizzabile in forma omissiva e riconducibile al novero dei reati di pericolo astratto.

Ha fatto immediatamente discutere, in dottrina, il fatto che la norma in esame nulla dica in ordine alla necessaria legittimità degli «ordini impartiti per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza» che comporterebbe, secondo il parere reso dal C.S.M. sul “d.l. sicurezza”, “un'asimmetria, potenzialmente foriera di difficoltà interpretative ed applicative, con il disposto dell'art. 51 cod. pen., laddove esclude la punibilità di una condotta. tenuta nell'adempimento di un dovere imposto da «un ordine legittimo della pubblica Autorità»: trattasi, all'evidenza, di un falso problema, poiché l'incriminazione delle tipizzate condotte di “rivolta” presuppone di necessità la legittimità dei predetti ordini, di tal che nessuno potrà essere incriminato per essersi ribellato (non soltanto ad un ordine non impartito per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, ma anche) ad un ordine impartito per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, ma illegittimo.

Elemento soggettivo

Il dolo è generico, richiedendo unicamente la coscienza e volontà di tenere le condotte incriminate.

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma con il compimento degli atti di violenza o minaccia o di resistenza (anche passiva).

Il tentativo è ammissibile.

Circostanza

 

Circostanze aggravanti

La disposizione prevede due circostanze aggravanti speciali:

- se il fatto è commesso con l'uso di armi: trattasi di aggravante di natura oggettiva, evocante perlopiù l'utilizzo di armi improprie (cfr. art. 585, comma 2, c.p.), ma non può escludersi in assoluto l'utilizzo, pur in ambiente carceriario, di armi proprie;

- se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale grave o gravissima, o la morte di una o più persone: in ossequio a quanto già ritenuto dalla giurisprudenza in riferimento alla speculare fattispecie di cui all'art. 586 c.p., l'evento morte o lesioni non deve essere voluto neppure a titolo di dolo eventuale, ma, nel rispetto del principio di colpevolezza,  sarà imputabile alla responsabilità dei rivoltosi sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di rivolta) e risulti la prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (argomenta da Cass. S.U., n. 22676/2009).

 

Concorso di reati

Cfr. sub § 7.1 quanto alle conseguenze del verificarsi di eventi aggravanti.

Esecuzione

L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per il delitto in esame, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Profili processuali

Il reato è sempre procedibile di ufficio.

In considerazione dei previsti limiti edittali:

- sono applicabili la custodia cautelare in carcere e le altre misure cautelari coercitive (cfr. art. 280, commi 1 e 2, cpp);

- sono ammessi l'arresto facoltativo in flagranza sempre, e l'arresto obbligatorio ed il fermo nei soli casi in cui la pena minima non è inferiore a tre anni di reclusione, o quella massima non è inferiore a dieci anni di reclusione;

- la competenza è del Tribunale in composizione monocratica nei casi di cui ai primi tre commi, e del Tribunale in composizione collegiale nei casi di cui agli ultimi due commi, sempre previa celebrazione dell'udienza preliminare.

Il locus commissi delicti è quello in cui è situato l'istituto penitenziario nel quale avviene la rivolta.

Bibliografia

AA.VV., Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione sul d.l. 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80, 2025, in www.cortedicassazione.it; F. Palazzo, Decreto sicurezza e questione carceraria, 2025, in www.sistemapenale.it; C. Pasini, Il disegno di legge sicurezza e il nuovo reato di rivolta in carcere e in strutture di accoglienza e trattenimento per migranti, in Sist. pen., n. 5/2024; M. Passione, Ancora a proposito del decreto-sicurezza (d.l.11 aprile 2025, n. 48), 2025, in www.sistemapenale.it

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