Legittima la scelta di trasferimento del dipendente che lamenta l’esistenza di un ambiente lavorativo stressogeno

Teresa Zappia
18 Aprile 2025

Se il lavoratore ha lamentato l’esistenza di un ambiente di lavoro stressogeno, il datore può decidere di trasferirlo in un’altra sede, non distante da quella precedente, qualora tale scelta consenta anche di salvaguardare l’organizzazione aziendale, o il trasferimento è da considerare discriminatorio?

La scelta aziendale di disporne l'assegnazione del lavoratore presso un'altra sede può trovare fondamento negli obblighi gravanti sul datore e aventi fonte nell'art. 2087 c.c. Nello specifico, nel caso in cui il dipendente lamenti l'esistenza di un ambiente lavorativo teso e stressogeno, potenzialmente pregiudizievole per le proprie condizioni di salute, il datore può disporre, in via prudenziale, il trasferimento per incompatibilità ambientale. Tale scelta, infatti, potrebbe costituire la declinazione in concreto dell'obbligo datoriale di attivarsi per preservare la salute psico-fisica del dipendente, considerato che l'art. 2087 c.c. impone al datore di adottare tutte le misure necessarie per garantire e tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Di conseguenza, al fine evitare di incorrere in possibili responsabilità nei confronti del lavoratore, la società può adottare diverse misure organizzative, tra le quali non può escludersi quella dell'assegnazione ad un'altra sede produttiva. In particolare, tale determinazione datoriale potrebbe risultare essere quella che, in un contesto di incompatibilità ambientale, maggiormente consente di bilanciare gli interessi coinvolti (i.e le ragioni del dipendente e quelle organizzative dell'impresa), in particolare ove consenta di minimizzare l'impatto sull'azienda, oltre che tutelare la salute del lavoratore. Ulteriore elemento da valutare, al fine sempre di accertare le conseguenze concrete prodotte sull'azienda e sul dipendente interessato, è il pregiudizio arrecato a quest'ultimo, il quale può considerarsi minimo ove sia conservata l'area di operatività e la collocazione geografica risulti essere prossima a quella precedente. L'esame di questi elementi può consentire di escludere la natura discriminatoria della scelta datoriale. (Cfr.: Trib. Milano, sez. lav., 10 febbraio 2025, n. 581).

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