Abuso dell’immagine del minore e onere della prova per il risarcimento del danno non patrimoniale

28 Aprile 2025

Diffusione dell'immagine di un minore senza previo consenso di uno dei due genitori: quali sono le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale alla riservatezza subito dal bambino?

Massima

In tema di abuso di immagine di minore, il diritto al risarcimento del danno sorge quando vi sia un’illecita diffusione del ritratto di un minore per finalità pubblicitarie effettuata senza consenso di uno dei genitori esercente responsabilità genitoriale, laddove sia accertata una seria ed effettiva lesione alla riservatezza dell’immagine, come elemento essenziale dell’identità personale, che può subire una lesione a prescindere dal corredo delle immagini con le generalità del minore.

La tutela dell’immagine costituisce un interesse primario del fanciullo, senza che la mancanza di indicazioni relative al nome o alle generalità del minore o dei suoi genitori valgano ad escluderne il pregiudizio, poiché l'immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile.

Il caso

Lamentando che la pubblicazione di fotografie ritraenti il figlio minore in una campagna pubblicitaria di vestiti, era avvenuta senza il suo previo consenso, il padre del bambino agiva in giudizio al fine di ottenere, tra le altre: la rimozione immediata dal catalogo dell'azienda e dagli altri siti internet delle foto riproducenti il minore e la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni causati dalla illegittima diffusione delle immagini del fanciullo.

Il giudice di primo grado milanese, accertata l'illecita diffusione delle immagini del minore utilizzate per fini di pubblicità commerciale, stante l'assenza di consenso di entrambi i genitori esercenti la potestà genitoriale, ai quali ex art. 320 c.c. spetta la rappresentanza del minore per l'esercizio e la tutela dei diritti di natura personale e personalissima dei figli minori d'età, inibiva l'ulteriore utilizzazione delle fotografie ritraenti il figlio. Rigettava invece la domanda risarcitoria, in ragione del fatto che non vi era stata la contemporanea diffusione delle generalità del minore, circostanza che ne aveva impedito la riconducibilità ai genitori (due personaggi alquanto celebri nelle cronache mondane) preservandone in tal modo la riservatezza e l'anonimato, e che inoltre non era stato soddisfatto da parte dell'attore l'onere della prova riguardo la produzione di danni derivanti dalla lesione del diritto alla manifestazione del consenso del padre alla pubblicazione delle fotografie.

Successivamente la Corte d'Appello meneghina, per quanto d'interesse in questa sede, avendo pur confermato l'illegittima diffusione delle foto, respingeva la richiesta di risarcimento del danno, evidenziando che il pregiudizio non poteva ritenersi in re ipsa, per la sola violazione accertata.

Avverso tale pronuncia di appello, l'attore ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi: la Suprema Corte accoglieva il secondo, ritenendo superfluo l'esame degli altri, cassando la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione.

La questione

La questione centrale affrontata nei tre gradi giudizio riguarda la determinazione delle condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale in conseguenza all’abuso dell’immagine di un minore.

Le soluzioni giuridiche

In vista di analizzare il secondo motivo di ricorso presentato dal padre del minore, la Suprema Corte sviluppa un'argomentazione alquanto articolata che sarà oggetto di analisi nei sottoparagrafi che seguono.

In via di premessa, si ricorda che, in sostanza, il ricorrente obiettava che la Corte di seconde cure, pur in presenza di un danno certo o altamente verosimile e soltanto difficile da quantificare, anziché fare ricorso ad una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., avesse rigettato la domanda di risarcimento del danno da lesione dell'immagine del minore riscontrando una carenza nell'adempimento dell'onere probatorio.

1. La trama normativa.

Come primo tassello delle sue argomentazioni la Corte enumera la pluralità di fonti, sia nazionali che sovranazionali, in tema di protezione dell'immagine. Trattandosi di aspetti alquanto conosciuti, in questa sede sarà sufficiente qualche rapido cenno. Come primo riferimento è obbligata la menzione dell'art. 10 c.c. che appresta una specifica tutela rimediale al fine di consentire all'interessato di inibire l'utilizzo abusivo dell'immagine e di agire per il risarcimento danni derivanti dalla condotta abusiva.

Proseguendo con l'ambito domestico - in connessione con l'art. 10 c.c. - la salvaguardia del diritto all'immagine viene contemplata dagli artt. 96 e 97, l. n. 633/1941, sulla protezione del diritto d'autore. Più nel dettaglio, l'art. 96 richiede il consenso dell'interessato al fine di esporre, di riprodurre o di mettere in commercio il proprio «ritratto» (locuzione che, come evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione, è impiegato dal legislatore come sinonimo di immagine: da ciò deriva che il diritto ad inibire la diffusione del ritratto richiede, quale presupposto indefettibile, la riconoscibilità delle fattezze della persona effigiata: Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2021, n. 4477). La regola subisce un'eccezione allorquando la pubblicazione sia giustificata dalla notorietà della persona ritratta o quando sia collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico, secondo quanto stabilisce l'articolo successivo: l'esposizione o la messa in commercio deve avvenire comunque nei limiti del rispetto dell'onore, della reputazione ovvero del decoro del soggetto ritratto (art. 97, comma 2, l. n. 633/1941). Le eccezioni previste dall'art. 97, l. n. 633/1941 (di diffusione lecita delle immagini anche in assenza del consenso dell'effigiato) trovano la loro giustificazione nell'intento di soddisfare esigenze pubbliche e sociali. Pertanto, il sacrificio del diritto del singolo non deve estendersi oltre i limiti idonei a soddisfare gli interessi della collettività, di modo che l'uso non autorizzato dell'immagine di una persona sarà sempre illecito allorché sia impiegato solo per finalità commerciali (Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2016, n. 1748).

Nella dimensione europea, all'interno della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), all'art. 8, par. 1 è sancito l'obbligo del rispetto della vita privata e familiare di ogni individuo, e tale nozione è considerata in senso ampio dalla Corte, in modo che possano essere abbracciati da essa diversi aspetti dell'identità personale necessari per lo sviluppo personale. Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte EDU ha ritenuto avere posto tra gli elementi essenziali dell'identità personale il diritto all'immagine con il conseguente diritto alla sua tutela insieme al controllo sulla sua diffusione (Corte EDU, Grande Chambre, 7 febbraio 2012, n. 40660, Von Hannover c/ Germania).

Invece, in merito alla tutela dell'immagine del minore, la disciplina trova ulteriore specificazione a livello sovranazionale con la Convenzione ONU di New York del 1989 sui diritti dell'infanzia, ratificata dall'Italia con la l. n. 176/1991, dove all'art. 16 della Convenzione è riconosciuto il diritto del bambino di essere tutelato da illecite interferenze nella sua vita privata.

2. Il rango costituzionale del diritto all'immagine.

L'ulteriore passaggio del ragionamento della Corte consiste nel ricordare il riconoscimento da parte degli interpreti del diritto all'immagine come un'espressione del più ampio diritto alla riservatezza al quale, pur in assenza di un'esplicita menzione, la stessa Corte Costituzionale ha attribuito un ancoraggio costituzionale nella fattispecie aperta dell'art. 2 della nostra Carta fondamentale (Corte cost., 5 aprile 1973, n. 38). Da tale posizione, si evince come si tratti di una delle manifestazioni dell'identità personale, la cui lesione può far sorgere un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.

Prosegue la S.C. con l'individuazione di un duplice contenuto afferente al diritto alla riservatezza:

  1. Negativo: corrispondente al diritto di mantenere segreti gli aspetti legati alla propria sfera personale;
  2. Dinamico: corrispondente al potere di esercitare il proprio controllo sulla diffusione di informazioni personali e il diritto di inibire eventuali atti di turbativa concernenti i propri dati.

Con riferimento al concetto di vita privata, nell'elaborazione e determinazione del suo contenuto, nonché delle sue forme di tutela, sono intervenute la Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e la Corte di Giustizia Europea (CGUE). La giurisprudenza di entrambe ha evidenziato come l'immagine sia inequivocabilmente un elemento imprescindibile della personalità, conseguentemente il presupposto del pieno sviluppo dell'individuo e la sua realizzazione personale risiede nella garanzia che essa possa essere tutelata in qualità di caratteristica distintiva e unica di ciascuno, soprattutto quando si incorre in un illecito sfruttamento e divulgazione della stessa, da cui può derivarne un pregiudizio.

3. Il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del diritto all'immagine.

Passiamo ora a considerare il tema principale al quale è dedicata questo commento: ossia la questione del risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del diritto all'immagine. La Corte sviluppa il suo ragionamento rammentando anzitutto le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti inviolabili della persona.

Sul tema l'orientamento giurisprudenziale si è radicato nel corso del tempo mediante l'opera nomofilattica della Cassazione. Dunque, in questa sede basterà una sintetica elencazione delle circostanze alle quali la Suprema Corte condiziona la risarcibilità del danno di cui all'art. 2059 c.c. (ex multis, Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2023, n. 33276), ed esse sono:

  1. la rilevanza costituzionale dell'interesse leso;
  2. la gravità della lesione, declinata come superamento della soglia minima di tollerabilità derivante dal dovere di solidarietà sociale;
  3. la non futilità del danno;
  4. la specifica allegazione del pregiudizio subito, non potendosi assumersi un danno in re ipsa.

Nello specifico, dalla giurisprudenza in materia il principio è stato enunciato anche con riferimento alla violazione del diritto all'immagine (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2022, n. 11768), compresa quella del minore, come pure in caso di lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, ove la risarcibilità del danno non patrimoniale già prevista dall'art 15, codice privacy (d.lgs. n. 196/2003) e ad oggi regolata dall'art 82, Regolamento UE n. 679/2016.

In particolare, nel contesto del danno non patrimoniale in conseguenza ad un illecito trattamento dei dati personali, la Corte di legittimità ha evidenziato che la valutazione della sua portata, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e la serietà del danno, dovendo essere effettuato il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato (Cass. civ., sez. VI, 20 agosto 2020, n. 17383).

Quanto poi all'esclusione del principio del danno in re ipsa, la Corte ha di recente spiegato che la mera violazione delle prescrizioni formali in tema di trattamento del dato può non determinare il danno, ma il risarcimento deve ritenersi dovuto per quella violazione che, concretamente, offenda la portata effettiva del diritto alla riservatezza (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2023, n. 13073): per l'attore vi è dunque l'onere di allegare l'effettiva sussistenza del danno.

4. Le conclusioni della Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, la questione sulla quale la S.C. è chiamata a pronunciarsi attiene all'accertamento della effettività della lesione, conseguente alla diffusione non consentita dell'immagine di un minore, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale.

Al riguardo, la Corte precisa la diffusione del ritratto fotografico di una persona senza il suo consenso costituisce un illecito, il cui evento lesivo si verifica proprio allorquando viene resa pubblica l'immagine della persona interessata la quale, invece, voleva conservarne la riservatezza. In altri termini, diversamente da quanto accade in caso di danno all'onore o alla reputazione, ove il pregiudizio si configura come eventuale conseguenza della pubblicità dell'immagine, in questo caso il danno consiste proprio nella divulgazione dell'immagine che l'interessato intendeva mantenere riservata (di recente, sul tema Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 2021, n. 2968; Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2020, n. 4005; Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2019, n. 20885).

Va riconosciuto, dunque, che l'abuso dell'immagine altrui abbia provocato un danno, in ragione del fatto che, insieme all'immagine, anche se non sia stato pubblicato il nome o le altre generalità della persona interessata o dei suoi familiari, nelle circostanze di cui si discute, il bene protetto è la riservatezza dell'immagine stessa e non il nome o altra informazione personale dell'interessato. L'immagine della persona costituisce di fatto in sé un elemento altamente caratterizzante l'identità dell'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile, in relazione alla quale deve essere rispettata la volontà del titolare che la stessa immagine non sia esposta al pubblico, ma riservata alla sfera della vita privata.

Nel caso in cui sia coinvolto un minore la Corte precisa, inoltre, come per la Convenzione sui diritti del fanciullo la protezione della sua vita privata costituisce un fondamentale interesse del minore, che gli Stati contraenti, compreso il nostro Paese, si sono impegnati di realizzare.

La Corte di Cassazione accoglie il secondo motivo del ricorso cassando la sentenza di secondo grado e formulando il seguente principio di diritto, al quale la Corte di appello dovrà attenersi: «In tema di tutela contro l'abuso dell'immagine di un minore, l'accertamento della illiceità della diffusione del ritratto del bambino per fini di pubblicità commerciale, effettuata senza il consenso di uno dei genitori, comporta il diritto al risarcimento del danno a condizione che sia accertata l'effettività e la serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell'immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo, senza che la mancanza di indicazioni relative al nome o alle generalità del minore o dei suoi genitori valgano ad escluderne il pregiudizio, poiché l'immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile».

In altri termini, in relazione al danno patito dal minore, alla Corte d'Appello spetterà verificare la sua effettività e la sua serietà in concreto, in ragione delle condotte della madre accertate e tenute in violazione delle prescrizioni in materia di tutela dell'immagine del minore da suo illecito sfruttamento.

Osservazioni

La decisione della Corte di Cassazione in commento va senz'altro condivisa.

Essa evidenzia anzitutto come l'immagine quale elemento altamente caratterizzante l'identità dell'individuo sia tutelata in sé, sottolineando come la volontà del titolare di non esporre al pubblico la propria immagine deve essere rispettata.

Inoltre, i giudici della Suprema Corte mettono in luce come, laddove l'immagine riguardi un minore, tale volontà assuma tanto più rilievo: ciò in quanto l'interesse alla protezione della sfera privata rileva non solo nel momento della verifica della liceità della condotta, ma anche in quello dell'accertamento della sussistenza e gravità della lesione, tenuto conto che la protezione della vita privata costituisce un fondamentale interesse del minore.

Per cui una volta accertata la illecita pubblicazione delle foto, ai fini della verifica dell'esistenza del pregiudizio arrecato, il giudice di merito è chiamato a valutare l'effettività e la serietà della lesione, consistente, nella esposizione al pubblico delle foto, accertando come in concreto è stata realizzata la diffusione dell'immagine (per tempi, mezzi impiegati, ecc...) e tenendo conto del primario interesse del minore a vedere tutelata la sua vita privata.

Nel caso di specie, l'utilizzo delle fotografie del minore era avvenuto senza il necessario consenso del padre. La Corte d'appello aveva rigettato la richiesta risarcitoria dando rilievo alla mancata diffusione insieme alle foto del minore, inserite nel catalogo dei capi di abbigliamento e degli accessori offerti in vendita, del nome o delle generalità del bambino o dei suoi familiari. Come ha precisato opportunamente il Supremo Collegio, circostanze del genere non assumono invece alcuna incidenza ai fini dell'accertamento della produzione di un danno in conseguenza dell'abuso dell'immagine del minore, giacché l'immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile.

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