Responsabilità dell'amministratore formale e bancarotta fraudolenta: una lettura sostanzialistica
29 Aprile 2025
Massima In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, la responsabilità dell'amministratore di diritto, anche se "testa di legno", non può prescindere dall'accertamento dell'effettiva consapevolezza del disegno criminoso dell'amministratore di fatto. La mera intestazione formale della carica non è sufficiente a fondare la responsabilità penale, se non accompagnata da elementi concreti da cui inferire la partecipazione, anche solo per omissione, alle condotte illecite. La Corte ribadisce che la consapevole accettazione del ruolo di prestanome non implica, di per sé, il dolo richiesto per l'integrazione delle fattispecie di bancarotta. Il caso Il caso, conseguente al fallimento della società dichiarato nel 2016, interessa le posizioni di due imputati tratti a giudizio e condannati nei gradi di merito nelle rispettive qualità di amministratore di fatto, il primo, e di amministratore di diritto, mero prestanome, il secondo, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva per aver destinato alcuni beni strumentali a interessi diversi da quelli aziendali e bancarotta fraudolenta per operazioni dolose per aver omesso il versamento di imposte e contributi per un ammontare pari a circa 5 milioni di euro, causando così dolosamente il dissesto della società. La Corte d'appello aveva rigettato le doglianze difensive, ritenendo sussistente il concorso dell'amministratrice di diritto nei reati contestati, sulla base della sua posizione formale, dei legami familiari e della conoscenza, almeno generica, del contesto aziendale. La questione La questione posta all'esame della Corte di legittimità concerne l'accertamento dell'elemento soggettivo nelle ipotesi di bancarotta fraudolenta poste in essere in un contesto di amministrazione di fatto, quando vi sia un soggetto formalmente investito della carica di amministratore che dichiari di aver agito solo come "testa di legno". In tale ipotesi, infatti, occorre chiarire se la sola accettazione della carica formale sia sufficiente a integrare il dolo richiesto per la responsabilità penale, oppure se sia necessario dimostrare una consapevole partecipazione, attiva o omissiva, all'attività illecita dell'amministratore di fatto. Le soluzioni giuridiche La Corte accoglie il ricorso dell'amministratrice formale, annullando la sentenza impugnata con rinvio. Essa evidenzia come la sentenza della Corte d'appello non abbia adeguatamente motivato circa l'effettiva consapevolezza della ricorrente rispetto ai reati contestati, ritenendo non sufficienti, a tal fine, il dato formale della carica, i legami familiari e la generica conoscenza del contesto societario. In particolare, la Corte distingue correttamente tra il piano oggettivo e quello soggettivo della responsabilità penale. Se è vero che l'amministratore di diritto è titolare di obblighi di controllo e di attivazione (art. 2392 c.c.), e può rispondere per omissione ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., ciò non esime il giudice dall'onere di accertare, in concreto, la consapevolezza e volontà dell'agente, anche nei casi in cui l'ingerenza sia avvenuta per il tramite di un amministratore di fatto. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata fosse incentrata su elementi indiziari non univoci, e comunque non sufficientemente argomentati, e ha ribadito l'esigenza di un accertamento effettivo del dolo, da condurre sulla base di elementi specifici e non presuntivi. Osservazioni La pronuncia in esame si colloca nel solco di un orientamento giurisprudenziale che esige un accertamento puntuale dell'elemento soggettivo anche nei confronti di quegli amministratori di diritto che risultino privi di effettivi poteri gestori. Invero, la struttura argomentativa della decisione risulta coerente con il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la responsabilità penale dell'amministratore “di comodo” non può fondarsi esclusivamente sulla titolarità formale della carica. In chiave sistematica, merita di essere richiamato quanto enunciato da Cass. pen., Sez. V, 6 agosto 2019, n. 35093, secondo cui, nel rispetto del principio di colpevolezza sancito dall'art. 27 Cost., deve escludersi la responsabilità penale dell'amministratore legale quando emerga che la gestione concreta della società da parte dell'amministratore di fatto sia tale da ridurre il primo a un mero soggetto di facciata. In tali circostanze, non è configurabile una “responsabilità di posizione”, fondata cioè sulla sola assunzione della carica formale. Come infatti pure affermato, l'elemento soggettivo del dolo nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale – sia esso in forma diretta o anche solo eventuale – a carico dell'amministratore formale richiede quantomeno una consapevolezza generica, ancorché non riferita alle singole operazioni, circa le attività illecite poste in essere dalla società per il tramite dell'amministratore di fatto (cfr. Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2020 n. 32413). Secondo tale orientamento giurisprudenziale consolidato e condiviso anche dal Collegio giudicante, la consapevole accettazione del ruolo di prestanome non implica, di per sé, la conoscenza dei disegni criminosi dell'amministratore di fatto. Conclusioni In definitiva, la sentenza in commento, pur rimanendo saldamente ancorata al caso concreto sottoposto al suo esame, costituisce un rilevante contributo in direzione di un approccio sostanzialistico alla ricostruzione del ruolo dell'amministratore formale. La Corte di cassazione riafferma, con chiarezza, l'impossibilità di fondare la responsabilità penale sulla sola titolarità della carica, richiedendo invece un accertamento puntuale e concreto dell'elemento soggettivo, coerente con il principio di colpevolezza sancito dall'art. 27 Cost. e richiama l'interprete a evitare automatismi interpretativi e presunzioni indebite di responsabilità, riaffermando la centralità del principio di personalità e colpevolezza nell'accertamento penale. In questa prospettiva sostanzialistica, è valorizzata la necessità di verificare, caso per caso, la consapevolezza dell'amministratore formale rispetto all'attività illecita posta in essere dall'amministratore di fatto. Anche in presenza di un'eventuale abdicazione alle funzioni gestorie, non può prescindersi dalla dimostrazione della rappresentazione del rischio connesso alla violazione degli obblighi propri della carica, e dell'inerzia consapevole rispetto a tale rischio. |