L'attribuzione di un fatto illecito diverso da quello per cui si indaga lede la reputazione
05 Maggio 2025
Massima In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l'attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisce ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva affermato la responsabilità delle testate giornalistiche che avevano erroneamente addebitato ad una persona il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo di quello, effettivamente contestato, di intestazione fittizia di beni con l'aggravante della finalità di agevolare l'associazione mafiosa). Il caso In un giudizio risarcitorio per diffamazione, le testate giornalistiche, gli editori ed i giornalisti proponevano ricorso in cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che li aveva condannati al risarcimento dei danni. In particolare, i ricorrenti invocavano la scriminante putativa nell'esercizio del diritto di cronaca, giacché l'attribuzione al soggetto diffamato di un reato diverso da quello contestato costituiva un errore impercettibile per i lettori. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso sul rilievo - quanto all'oggetto della notizia propalata – della non equiparabilità della posizione di chi commette un reato comune aggravato dall'art. 7, d.l. n. 152/1991 (reato contestato) e di chi concorre – benché dall'esterno – nell'associazione mafiosa (reato oggetto di pubblicazione giornalistica), tenuto conto della differenza tra le due figure di reato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo. In particolare, i giudici di legittimità evidenziano che «è precipuo compito di un "giornalista avveduto", officiato di raccogliere notizie di cronaca giudiziaria, non appiattirsi su una comune errata percezione dei contorni del reato attribuito alla destinataria dell'atto giudiziario, confuso invece nel caso concreto con quello - ben più grave - del concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo dello specifico reato comune attribuito alla professionista (fittizia intestazione di beni, seppur con l'aggravante della finalità di agevolare un'attività esterna dell'associazione mafiosa), riportando pertanto nel giusto contesto la descrizione dei fatti attribuiti alla professionista, per quanto gravi». La questione La questione in esame è la seguente: l’errata attribuzione di un fatto illecito ad un soggetto, rispetto a quello presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, integra gli estremi della diffamazione? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in commento mutua il principio enunciato dalla giurisprudenza penale della Corte di cassazione, secondo cui: in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l'attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (Cass. pen., sez. V, 29 gennaio 2020, n. 13782). Si è così precisato che integra diffamazione a mezzo stampa, per l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l'attribuzione ad un soggetto nell'ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato, anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p., non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest'ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell'azione penale e risponde allo scopo di consentire all'indagato l'esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini (Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2018, n. 12370). Deve, comunque, precisarsi che quando un giornalista, nel narrare un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, riferisca una circostanza inesatta, tale fatto non è, di per sé, produttivo di danno, occorrendo stabilire, caso per caso, con giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente e logicamente motivato, se la discrasia tra la realtà oggettiva ed i fatti così come esposti nell'articolo abbia effettivamente la capacità di offendere l'altrui reputazione, senza che assuma rilievo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale, atteso che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell'articolo. Altrettanto è a dirsi, affatto ragionevolmente, ove si imputi al giornalista l'utilizzo di termini imprecisi. Da tale premessa consegue, quale corollario, che nella fattispecie oggetto di odierno scrutinio non può essere considerata come un'inesattezza marginale l'attribuzione di un reato radicalmente diverso sotto il profilo soggettivo e oggettivo rispetto a quello effettivamente contestato, dovendosi pretendere da un giornalista un utilizzo tecnicamente dei corretti termini penalistici. Deve altresì precisarsi che la Corte di cassazione opera una valutazione attenuata del requisito della veridicità quanto al c.d. "giornalismo d'inchiesta". È ben vero, come di recente chiarito (Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2021, n. 4036), che nel giornalismo d'inchiesta occorre valutare non tanto l'attendibilità e la veridicità della notizia quanto, piuttosto, il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che la maggiore accuratezza possibile posta dal giornalista nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità (Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2010, n. 16236), e ciò a tutela del principio costituzionale del diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l'interesse pubblico all'oggetto dell'indagine giornalistica ed il diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca, ma anche sui temi sociali di particolare rilievo riguardanti la libertà, sicurezza, salute e ad altri diritti di interesse generale. Con la conseguenza che, in questa prospettiva, è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti e mediante il ricorso, attraverso una ricerca attiva, a fonti di notizia attendibili. Osservazioni In tema di giudizi di diffamazione a mezzo stampa, costituiscono consolidati principi della giurisprudenza di legittimità quelli secondo cui:
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