La non corretta classificazione ed appostazione in bilancio di attività finanziarie integra il falso in bilancio

Ciro Santoriello
08 Maggio 2025

La Cassazione Penale si pronuncia in merito alle conseguenze di una non corretta classificazione di attività finanziarie (nella specie: un BTP) con riferimento al reato di false comunicazioni sociali.

Massima

Integra il reato di false comunicazioni sociali l'appostazione in bilancio di attività finanziarie classificate, sulla base di princìpi contabili internazionali, come "investimenti posseduti fino alla scadenza" (HTM), mentre, in realtà, si trattava di titoli classificati all'acquisto come "attività finanziarie disponibili per la vendita" (AFS), in assenza di espressa riclassificazione e conseguente, necessaria iscrizione di una riserva negativa collegata alla perdita di valore subìta medio tempore dai titoli.

Il caso

In sede di merito, gli amministratori di un istituto di credito erano condannati per i reati di false comunicazioni sociali ed ostacolo alle autorità di vigilanza. In particolare, per quanto di rilievo in questa sede, gli imputati avrebbero esposto la presenza di attività finanziarie detenute fino a scadenza (HTM), riportate per un valore di circa 126 milioni di euro, costituite da un unico titolo di Stato italiano acquisito nel 2015 e con scadenza a lungo termine, mentre in realtà si trattava di BTP 2046 acquistati per un valore nominale complessivo di 100 milioni di euro come attività finanziarie disponibili per la vendita (AFS) originariamente regolarmente classificati in tale categoria e poi riclassificati nella categoria HTM mediante parziale modifica postuma di vari verbali del consiglio di amministrazione, del comitato direzione e del comitato rischi ed inoltre omettevano di iscrivere come riserva negativa AFS da dedurre al patrimonio netto l'importo di circa 22 milioni di euro derivato dalle perdite subìte dal titolo dal momento dell'acquisto a quello della riclassificazione.

Secondo le sentenze di merito, al fine di sostenere la debole redditività aziendale, nel primo semestre del 2015 l'allora direttore generale della banca interessata indirizzava l'attività di investimento del portafoglio "disponibile per la vendita" ed aveva acquistato BTP 2046 per un valore nominale complessivo di 100 milioni di euro (eccedente i limiti di asset allocation stabiliti dal C.d'A. nella delibera del 19/02/2015). A seguito dell'andamento sfavorevole dei corsi si era determinato, nei mesi di aprile e maggio 2015, il superamento delle soglie di risk capacity, non derogabili dalla direzione generale, per alcuni indicatori fondamentali (capitale libero al netto della riserva di conservazione del capitale, requisiti patrimoniali I e II pilastro), con conseguente «emersione di una significativa minusvalenza sui titoli, riflessa dalla riserva patrimoniale negativa sul portafoglio AFS» pari a 18,2 milioni di euro sul BTP 2046 e una rilevante esposizione al rischio tasso; per far fronte a tale criticità, gli imputati provvedevano a far risultare l'iscrizione al comparto Held to maturity in via retroattiva, mediante lo storno degli ordini originari a valere del portafoglio "Disponibili per la vendita" e la loro «reimputazione» alla stessa data di acquisto nel portafoglio "detenuto fino a scadenza", in modo da non far emergere la predetta perdita nella riserva negativa AFS, da dedurre dal patrimonio. Allo scopo di occultare, questa condotta si provvedeva poi alla modifica, a partire dal giugno del 2015, dei verbali delle riunioni del C.d'A., nonché del Comitato di Direzione e del Comitato Rischi, affinché «il relativo contenuto risultasse coerente con la retrodatazione della classificazione riguardante il BTP SET2046».

In sede di ricorso per cassazione, veniva contestata in primo luogo la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. La sentenza impugnata, infatti, avrebbe riconosciuto idoneità decettiva alla condotta contestata all'istituto di credito, valorizzando la difformità contenuta in interna corporis contabili e ritenendo che l'appostazione in bilancio del titolo BTP 2046 come HTM fosse in contrasto con i princìpi contabili internazionali, laddove difformità in comunicazioni contabili diverse da quelle richiamate dall'art. 2622 cod. civ. non rilevano ai fini della configurabilità del reato, posto che la variazione dell'imputazione dell'acquisto del titolo dalla categoria AFS a quella HTM prima che esso fosse iscritto per la prima volta in bilancio era del tutto priva di utilità informativa, non integrando un dato materiale oggetto di comunicazione al pubblico. In sostanza, secondo la difesa, fino a quando la classificazione di uno strumento finanziario resta confinata, come nel caso di specie, tra gli interna corporis contabili, non è suscettibile di acquisire rilevanza penalistica sub specie di false comunicazioni sociali.

Peraltro, era anche contestato il riferimento dei giudici di merito ai princìpi contabili e in particolare agli IAS. Pur condividendo la prospettazione difensiva circa la difficoltà di lettura dei princìpi contabili internazionali - la cui osservanza è obbligatoria a norma del d.lgs. 29 febbraio 2005, n. 38, di recepimento del Regolamento CE n. 1606/2002, con riguardo alla classificazione del titolo -, la sentenza impugnata aveva ritenuto elemento fondante l'illiceità della condotta dei vertici della banca nello scostamento dalla prassi, che per sua stessa natura integra un "parametro" elastico, non definitivo e incerto, tanto più che si tratta, appunto, di princìpi e non di regole, contenenti mere enunciazioni di scopi da raggiungere con margini di discrezionalità, offrendo criteri elastici, la cui applicazione comporta una inevitabile componente personale. Tant'è vero, che i consulenti di parte avevano evidenziato come ricossero elementi secondo cui il trasferimento del titolo dal comparto AFS al comparto HTM non integra una riclassificazione e comunque esso non deve essere svolto al c.d. fair value, ma al costo di acquisto o costo storico, svolgendosi tale attività all'interno del medesimo esercizio, sicché difetta nel caso di specie la disponibilità del parametro di riconoscimento del falso nella rappresentazione della posta valutativa richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.

Quanto al richiamo allo IAS 39, che fa riferimento alle classificazioni di un'attività finanziaria nelle categorie "disponibili per la vendita" (AFS) e "posseduti fino alla scadenza" (HTM), lo stesso, secondo le difese, non prevede un obbligo al momento della rilevazione iniziale, potendo la designazione avvenire anche in momento successivo, ossia con l'iscrizione a bilancio dello strumento finanziario, in quanto solo per gli strumenti finanziari per i quali è esercitata la fair value option la scelta di classificazione deve essere esercitata al momento della rilevazione iniziale, sicché la classificazione non è contestuale alla rilevazione iniziale e si rende necessaria successivamente al momento dell'iscrizione e della rappresentazione in bilancio, laddove al momento della rilevazione iniziale lo stato patrimoniale non esiste, essendo funzionale a individuare l'esercizio di competenza in cui deve avvenire la rilevazione.

Veniva inoltre contestata la circostanza secondo cui subìta dal titolo dal momento dell'acquisto a quello della classificazione come HTM dovesse essere iscritta in bilancio, posto che il riferimento al valore contabile (e non al valore corrente) di fair value alla data del cambiamento di classificazione rendeva irrilevante la questione del momento in cui procedere alla classificazione iniziale, non mutando il parametro di riferimento che era sempre il valore contabile alla data del cambiamento, essendo irrilevante il valore di mercato dello strumento finanziario al momento del cambiamento di classificazione. L'accusa non avrebbe tenuto conto, dunque, del fatto che il fair value contabilizzato alla data della riclassificazione, non potendo esserci state, nel frattempo, altre contabilizzazioni, è proprio il costo storico (e non il valore corrente), al quale è necessario far riferimento.

In conclusione, le difese contestavano il presupposto sul quale si basava l'ipotesi accusatoria, ossia l'obbligatorietà della classificazione del BTP 2046 al momento del suo acquisto e, di conseguenza, che, in rapporto alla diversa classificazione con la quale detti strumenti sono stati appostati nei bilanci successivi fosse al 2015 intervenuta una vera e propria riclassificazione

Infine, veniva contestata l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, rispetto al quale la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata carente con particolare riguardo alla consapevole intenzione di indurre altri in errore, fondando l'(inesistente) intenzione dolosa sul fraintendimento della condotta degli organi di vertice della banca, non dandosi atto dell'esistenza e della conformazione della consapevolezza di indurre i destinatari della comunicazione in errore, ma dando conto la motivazione al più del solo dolo generico, come confermato dal riferimento alla mancata indicazione nella nota integrativa dell'intervenuta qualificazione del titolo, in quanto non era stata ancora esposta in un bilancio pubblico l'originaria qualificazione del BTP quale AFS.

La questione

Come detto, l'accusa di falso in bilancio si fondava sul presupposto dell'obbligatorietà della classificazione del BTP 2046 al momento del suo acquisto e, di conseguenza, che, in rapporto alla diversa classificazione con la quale detti strumenti erano stati appostati nel bilancio fosse intervenuta una vera e propria riclassificazione. Le doglianze non sono fondate.

In proposito, i «principi contabili internazionali» ed in particolare gli International Accounting Standands (IAS) – al cui rispetto le società quotate sono tenute ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 38 del 2005 – indicano al par. 9 dello IAS 39 quattro categorie di strumenti finanziari, a) quelli al fair value rilevato a conto economico, b) gli investimenti posseduti fino alla scadenza (HTM), c) i finanziamenti e crediti costituenti attività finanziarie non derivate con pagamenti fissi o determinati e d) le attività finanziarie disponibili per la vendita (AFS) (nel caso di specie, si era in presenza di una modifica della categoria sub d a quella sub b). Il successivo par. 14 stabilisce che la società deve rilevare nel proprio prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria un'attività o una passività finanziaria quando, e solo quando, l'entità diviene parte nelle clausole contrattuali dello strumento, il che significa che quando la banca acquisisce un'attività finanziaria, deve annotarla nel prospetto della situazione patrimoniale/finanziaria.

In forza del successivo par. 43, quando un'attività o passività finanziaria è inizialmente rilevata, occorre misurarla al suo fair value (valore equo) più i costi di transazione che sono direttamente attribuibili all'acquisizione o all'emissione di attività o passività finanziarie. Quando poi occorra operare una valutazione successiva di tali attività finanziarie, gli investimenti posseduti fino alla scadenza devono essere valutati al costo ammortizzato, mentre le attività finanziarie disponibili per la vendita vanno valutate al fair value, senza alcuna deduzione per i costi di transazione che possono essere sostenuti nella vendita o altra dismissione, eccezion fatta per alcune attività finanziarie.

In tema di riclassificazioni, infine, il par. 54 dello IAS 39 stabilisce, tra l'altro, che, se, in seguito ad un cambiamento di volontà o capacità di detenere l'attività sino alla scadenza, diviene appropriato iscrivere un'attività finanziaria o una passività finanziaria al costo o al costo ammortizzato piuttosto che al fair value, mentre il valore al fair value dell'attività o passività finanziaria contabilizzato alla data della riclassificazione diviene il suo nuovo costo o costo ammortizzato, come applicabile. In sostanza,

In conclusione, in base di princìpi contabili internazionali, in caso di acquisto di uno strumento finanziario il titolo deve essere classificato in una delle categorie, mentre ogni successiva variazione è soggetta a limiti e comporta conseguenze sul piano patrimoniale, non solo con impatto solo a conto economico, ma anche sul patrimonio netto, ove deve emergere per intero l'eventuale perdita nel frattempo maturata per effetto della riclassificazione, con apposite riserve. In sostanza, è possibile riclassificare un'attività, dal portafoglio AFS al portafoglio HTM se, in seguito ad un cambiamento di volontà o di capacità di detenere l'attività fino alla scadenza, era appropriato iscrivere l'attività finanziaria (o la passività) al costo o al costo ammortizzato piuttosto che al fair value, così che il valore al fair value dell'attività diviene il nuovo costo o costo ammortizzato, mentre qualsiasi precedente perdita o utile sull'attività in questione, rilevata tra le voci del prospetto e delle altre componenti del conto economico complessivo, nel caso di attività finanziaria con scadenza fissa deve essere ammortizzato al prospetto di conto economico complessivo, lungo il corso della vita residua dell'investimento posseduto fino alla scadenza, utilizzando il criterio dell'interesse effettivo.

Osservazioni

Il ricorso, con riferimento ai motivi inerenti all'insussistenza del delitto, è stato dichiarato infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, molteplici elementi deponevano nel senso che il "passaggio" dal comparto AFS (attività finanziarie disponibili per la vendita) al comparto HTM (investimenti posseduti fino alla scadenza) avesse preso le mosse da una vera e propria classificazione al momento dell'acquisto. Una tale conclusione viene fatta derivare in primo luogo dal par. 14 dello IAS 39 in forza del quale la banca deve rilevare nel proprio prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria lo strumento finanziario quando diviene parte nelle clausole contrattuali dello strumento e, dunque, al momento dell'acquisizione al patrimonio dell'ente e d'altronde non si vede come si possa concepire una rilevazione di un'attività finanziaria senza la designazione del comparto in cui inserirla, dal momento che, quando è rilevata, l'attività finanziaria deve essere anche contabilizzata, alla data della negoziazione o alla data del regolamento, con metodo applicato coerentemente per tutti gli acquisti appartenenti alla medesima categoria. Ne consegue l'infondatezza della tesi secondo cui - come affermato dalle difese - la classificazione dello strumento finanziario fino alla data di approvazione del bilancio,                                  laddove i princìpi IAS disciplinano la valutazione stessa al momento della rilevazione, all'evidenza non coincidente con l'approvazione del bilancio.

Alla luce di ciò si conclude nel senso che nel caso di specie si era in presenza di una riclassificazione dei BTP 2046 dalla categoria AFS a quella HTM, riclassificazione la cui rilevanza non era esclusa dalla gestione dei titoli da parte dell'azienda e dalla loro mancata cessione fino all'approvazione del bilancio, così come la successiva cessione che non poteva dirsi neutralizzare gli effetti distorsivi dell'informazione societaria determinati dell'operazione ascritta agli imputati. Infatti, il valore degli strumenti finanziari contabilizzati alla data della riclassificazione deve ritenersi essere considerata come il loro nuovo costo (o il loro costo ammortizzato), sicché la banca - esclusa, alla luce della normativa indicata, la "retroattività" dell'appostazione nel nuovo comparto HTM - avrebbe dovuto far riferimento al valore (significativamente scemato) dei titoli al momento della riclassificazione stessa, laddove la banca iscrisse i titoli al loro costo storico invece che al valore (molto inferiore) che avevano alla data della riclassificazione.

Quanto alla replica all'obiezione della difesa secondo cui la rilevazione iniziale del prodotto finanziario – rilevazione poi modificata – andava considerata quale interna corporis, in quanto tale priva di effetti sul piano informativo e gestionale, secondo la Cassazione, la tesi in parola sarebbe insostenibile in quanto la classificazione iniziale determina le modalità di gestione dell'attività finanziaria (diversificate a seconda del comparto in cui sono inserite) e, nel caso di specie, anche la titolarità dei poteri di gestione, facenti capo al C.d'A. per i titoli qualificati come HTM e al direttore generale per quelli classificati come AFS.

Il profilo più interessante della decisione riguarda la dedotta, dalle difese, mancanza di effetti decettivi conseguenti all'operazione realizzata. Per replicare, giudicandola infondata, la Cassazione ricostruisce il contenuto degli IAS con riferimento alle perdite su un'attività finanziaria disponibile per la vendita.

Ai sensi del par. 55, lett. b), dello IAS 39 tale perdita deve essere rilevata tra le voci del prospetto delle altre componenti del conto economico complessivo, fino a quando l'attività stessa non è eliminata. Questa previsione va letta unitamente alla previsione di cui al precedente par. 54, secondo cui qualora diventi appropriato iscrivere un'attività finanziaria (o una passività finanziaria) al costo o al costo ammortizzato  piuttosto che al fair value, il valore al fair value dell'attività (o passività) finanziaria contabilizzato a quella data diviene il suo nuovo costo o costo ammortizzato, come applicabile, mentre qualsiasi precedente utile o perdita su tale attività che è stato rilevato nel prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo in conformità alle disposizioni del già richiamato par. 55, lett. b), va iscritto secondo specifiche modalità. Inoltre, in forza del par. 67, la riduzione di fair value di un'attività finanziaria disponibile per la vendita va rilevata nel prospetto delle altre componenti del conto economico complessivo e deve essere riclassificata dal patrimonio netto all'utile d'esercizio come rettifica da riclassificazione anche se l'attività finanziaria non è stata eliminata.

In ragione di tali disposizioni, quando un'attività finanziaria disponibile per la vendita subisce una variazione di fair value, essa è attribuita a una "riserva di valutazione" (''riserva AFS") e viene riportata nel conto economico complessivo.

Trattasi di una conclusione conforme a quanto previsto dal Manuale operativo elaborato dall'Associazione Bancaria Italiana, che, a proposito del trasferimento di un'attività iscritta nel comparto AFS nel portafoglio HTM, ha indicato la necessità che il trasferimento avvenga successivamente all'adeguamento del suo valore al fair value con l'imputazione delle variazioni a patrimonio netto. Dunque, anche per l'ABI l'adeguamento di valore del titolo - con pedissequa iscrizione in contabilità - deve avvenire prima del trasferimento nella diversa categoria.

Alla luce di tali rilievi, secondo la Cassazione è indiscussa la valenza decettiva della condotta degli imputati, posto che la riclassificazione "retroattiva" nel comparto HTM ha consentito di non far emergere la rilevante minusvalenza di circa 18 milioni di euro per i BTP 2046, sicché il bilancio presentava una sovrastima del patrimonio netto derivante dal rapido decremento del valore dei titoli. Non è in discussione la possibilità per l'istituto di credito di procedere, in presenza del decremento di valore, alla riclassificazione dei BTP 2046, ma avrebbe dovuto farlo iscrivendoli ai termini sottostimati e non al costo originario. Quanto all'obiezione difensiva secondo cui nel bilancio era comunque presente una riserva negativa imputabile ai BTP 2046, si evidenzia che la riserva negativa AFS doveva essere comunque iscritta per intero nel prospetto di redditività complessiva, mentre ciò non è avvenuto, sicché l'elemento materiale del reato di cui all'art. 2622 cod. civ. deve ritenersi perfezionato, avendo senz'altro valore rilevante, una perdita di 18 milioni di euro su un solo titolo, tanto più che nella nota integrativa al bilancio fu espressamente escluso che fossero intervenute riclassificazioni, il che integra un altro aspetto della falsità del bilancio.

Quanto all'elemento psicologico del reato di false comunicazioni sociali, gli accertamenti condotti in sede investigativi e confermati nei giudizi di merito - come il contenuto di mail fra gli imputati, le modifiche dei verbali del C.d'A. per renderli coerenti con la nuova classificazione del BTP 2046, il coinvolgimento nei fatti del collegio sindacale – consentirebbero secondo la Cassazione di concludere nel senso che i membri del C.d'A. e quelli del Collegio sindacale erano perfettamente consapevoli del fatto che il titolo BTP 2046 era stato acquistato per esigenze di redditività e inserito nella categoria degli AFS, nonché del fatto che questa era la classificazione effettuata; che tutti sapevano del deprezzamento del titolo e che ciò avrebbe dovuto comportare l'iscrizione di una riserva negativa di patrimonio; che tutti i soggetti menzionati parteciparono alle riunioni su come rimediare al problema causato dal deprezzamento del titolo e che, per mutarne la classificazione, era indispensabile alterare i verbali delle sedute precedenti.

In particolare, la Corte di legittimità evidenzia come cui la consapevolezza che, per operare la riclassificazione retroattiva, fu necessario alterare i verbali del C.d.A. e dei comitati interni dà conto della coscienza e volontà del falso in bilancio, in quanto si tratta di una rilevantissima circostanza che avrebbe potuto mettere (ed in effetti mise) i componenti del C.d.A. e del Collegio sindacale nella condizione di comprendere esattamente l'illiceità dell'operazione, a cui era collegata, inscindibilmente, l'indicazione in bilancio di mezzi propri superiori al reale, quale effetto dell'occultamento della riserva negativa nel frattempo maturata. Di conseguenze, è assolutamente logico concludere che gli imputati avevano scientemente e volontariamente applicato in modo non corretto lo IAS 39, derogato alla prassi seguita dalle imprese bancarie italiane, disattendendo anche le istruzioni dell'ASI e violando le prescrizioni della Banca d'Italia, senza farne alcun cenno in bilancio: l'attestazione, contraria al vero, di non aver operato alcuna riclassificazione dà corpo al dolo richiesto dall'art. 2622 cod. civ. qualificato dal fine, nell'interesse della banca e della sua governance, di dare una rappresentazione più favorevole della condizione patrimoniale dell'impresa (proiettata verso le acquisizioni di altre banche di cui si è detto), il che integra l'ingiusto profitto richiesto dalla norma incriminatrice.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione può essere riguardata sotto una duplice ottica. In primo luogo, viene all'attenzione del lettore il profilo attinente alla definizione dell'elemento materiale del delitto di false comunicazioni sociali, con riferimento all'ipotesi in cui si discuta dell'iscrizione in bilancio – previa adeguata classificazione – di attività finanziarie. Di ciò, e delle problematiche conseguenti alla modifica della classificazione di tale asset, si è già detto ampiamente e non è il caso di soffermarsi ulteriormente.

Di maggior interesse è il profilo – che a nostro avviso alla decisione sviluppa ma se sa alla dovuta chiarezza - inerente al requisito della necessaria portata decettiva ed ingannatoria della condotta di falso, su cui peraltro le difese avevano avanzato diverse obiezioni.

Come è noto, questo requisito della condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. è preteso dalle due disposizioni laddove viene richiesto che le condotte tipiche dell'esposizione di fatti non veri e dell'omissione di fatti materiali risultino “concretamente idonee ad indurre altri in errore” sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Questa locuzione è intesa a garantire l'esigenza di mantenere al di fuori dell'ambito di rilevanza penale quelle difformità sostanzialmente irrilevanti, in quanto inidonee a generare nel destinatario della comunicazione un inganno in ordine alla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società. Come detto in dottrina “l'inciso in questione – con o senza l'avverbio “concretamente” – svolge il ruolo di ribadire il rispetto del principio di offensività, nel senso di limitare la punibilità alle sole condotte che siano “concretamente offensive” del bene giuridico tutelato, riconducendo l'ipotesi criminosa nell'alveo del pericolo concreto” (GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: fra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. Pen., 2015, n. 218.3).

Nel caso di specie, il problema era rappresentato dalla circostanza che – fermo restando la non corretta operazione di riclassificazione del prodotto finanziario gestito dall'istituto di credito – la classificazione (in ipotesi erronea ed in quanto tale contestata alla banca) del prodotto finanziario risultava chiaramente in bilancio e quindi appariva, prime facie, priva di qualsiasi contenuto ingannatorio posto che qualsiasi lettore del documento contabile poteva avvedersi della scelta di classificazione operata dai vertici aziendali. In sostanza, nel caso portato all'esame della Cassazione il bilancio considerato poteva essere considerato come civilisticamente censurabile - in quanto un prodotto finanziario non risultava appostato correttamente - ma non penalmente falso, in quanto il profilo attinente alla classificazione dell'asset finanziario risultava chiaramente dalla lettura del documento contabile e quindi mancava qualsiasi profilo di fraudolenza.

Per superare questa obiezione, ci pare che la Cassazione - la cui argomentazione sul punto tuttavia non è adeguatamente sviluppata - affermi che la fraudolenza, la portata ingannatoria di una iscrizione in bilancio non debba necessariamente risiedere nel modo in cui l'iscrizione è operata (si pensi, ad esempio, all'iscrizione al valore nominale di un credito vantato nei confronti di una società fallita, circostanza quest'ultima taciuta in bilancio onde evitare di dover procedere alla svalutazione del relativo importo), ma può anche sussistere nell'ipotesi in cui gli amministratori della società nascondino al lettore del bilancio le riflessioni, i lavori preparatori, le discussioni che hanno preceduto l'approvazione del bilancio stesso. In sostanza, secondo la decisione in parola, la fraudolenza di un bilancio può essere dimostrata anche prendendo in considerazione documenti ed atti diversi di quello rientranti nel bilancio - stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa.

E' in questo senso, a nostro parere, che vanno lette le diverse pagine che la Cassazione dedica alla circostanza che il medesimo prodotto finanziario in origine era classificato come HTM per poi passare nella categoria AFS. Secondo i giudici di legittimità,  infatti, l'esame del documenti, del verbali di C.d'A., dei colloqui con il collegio sindacale dimostrerebbe come la riqualificazione del prodotto finanziario, lungi dall'essere stata dettata della necessità di redigere un prodotto corretto, era stata determinata dalla (non confessabile) esigenza di evitare il “crollo” economico dell'impresa, poste le perdite che si sarebbero registrate ove fosse stata mantenuta l'originaria qualificazione. Orbene, secondo i giudici del la Corte Suprema, aver taciuto questa circostanza - ovvero, aver mentito sulle ragioni per cui il prodotto passava dalla categoria HTM a quello ATS - rappresenta un elemento di fraudolenza che rende il bilancio in cui compare una posta non corretta, a che un bilancio falso perché ingannatorio.

In conclusione, il bilancio, per non essere penalmente rilevante, non deve mentire sulle ragioni per cui gli amministratori hanno scelto una modalità di redazione delle singole poste contabili, soprattutto evitando di fare scelte funzionali ad un merito abbellimento dei conti.

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