Il socio non può impugnare provvedimenti di sequestro emessi contro la società

Ciro Santoriello
23 Maggio 2025

La Cassazione ha affermato che il ricorso del socio di una società di capitali, contro il sequestro cautelare della s.r.l., non è ammissibile, in quanto manca l'interesse concreto a impugnare, non vantando il socio un diritto alla restituzione del “bene”.

Massima

È inammissibile, per mancanza del necessario requisito dell'interesse ad impugnare richiesto dall'art. 568 comma 4, c.p.p., il ricorso in sede di riesame proposto dal socio di una società di capitali contro il sequestro cautelare della società e del relativo compendio aziendale, essendo l'interesse tutelato dall'ordinamento, in materia di impugnazioni reali, volto alla reintegrazione patrimoniale di chi abbia subito l'imposizione del vincolo mentre anche in caso di accoglimento delle prospettazioni difensive il compendio aziendale andrebbe restituito alla società e non già al ricorrente.

Il caso

In sede cautelare, dopo che era stato disposto il sequestro preventivo di una società e del relativo compendio aziendale poiché ritenuta azienda attraverso la quale soggetti indagati avrebbero commesso il reato di cui all'art. 416-bis c.p., anche attraverso il ricorso alla fittizia intestazione della società, un socio, titolare del 16% delle quote sociali, avanzava istanza di riesame. Il tribunale del riesame rigettava il ricorso avverso il quale la difesa ricorreva in Cassazione.

Le questioni giuridiche

Come è noto, per essere legittimati ad agire avverso un provvedimento di sequestro occorre in primo luogo, ai sensi dell'art. 322 c.p.p., la legittimazione astratta alla proposizione del riesame reale, che è attribuita all'imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione e dall'altro l'interesse all'impugnazione, come desumibile dall'art. 568, comma 4, c.p.p., che prevede un requisito necessario per tutte le impugnazioni, anche quelle cautelari (TURCO, Legittimazione ed interesse ad impugnare in tema di sequestro preventivo: dualismo teorico, in Cass. Pen., 2003, 2368, secondo cui «la sussistenza, per l'indagato, ... dell'interesse a coltivare il gravame avverso i provvedimenti emessi in tema di sequestro preventivo riposa su una duplice individuazione: l'idoneità degli stessi a produrre una lesione della sua sfera giuridica e, nel contempo, un risultato pratico favorevole, connotato dai requisiti di "concretezza" ed "attualità" quale effetto del gravame proposto»).

Per lungo periodo la giurisprudenza ha sostenuto, valorizzando la lettera dell'art. 322 c.p.p. e il principio generale espresso dall'art. 568, comma 3, dello stesso codice, la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo è legittimata a richiedere il riesame di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprietà di terzi, sia perché presupposto del sequestro preventivo è che la persona sottoposta alle indagini abbia un qualche potere di disposizione sulla cosa, sia perché i provvedimenti cautelari influenzano comunque il corso del procedimento penale (Cass., sez. II, 16 giugno 2011, n. 32977; Cass., sez. IV, 20 aprile 2005, n. 21724).

Successivamente, però, si è affermato il principio secondo il quale l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell'art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Cass., sez. III, 11 gennaio 2021, n. 16352; Cass., sez. III, 16 gennaio 2019, n. 3602). Analogamente a quanto si riteneva nella vigenza dell'art. 343-bis c.p.p. del 1930, la formula legislativa allorché menziona «la persona ... che avrebbe diritto alla ... restituzione» non indica un'altra categoria di soggetto avente legittimazione ad impugnare il provvedimento di sequestro, ma costituisce una espressione sintetica riferibile a tutti i soggetti legittimati alla restituzione, sicché l'imputato e l'indagato, in quanto tali, non possono chiedere il riesame in base ad un loro preteso interesse, ma solo in quanto provino di aver diritto alla restituzione del bene della vita che sia stato oggetto del vincolo imposto a seguito dell'emanazione di un provvedimento cautelare reale.

In sintesi, secondo una ormai consolidata impostazione, affinché possa proporre l'impugnazione, anche l'indagato o l'imputato deve rappresentare una relazione con la cosa che giustifichi la sua pretesa alla cessazione del vincolo cautelare, in quanto il gravame deve essere funzionale a un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell'impugnante (Cass., sez. III, 8 aprile 2016, n. 30008).

Va detto che tale conclusione appare in linea con il principio affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 27 settembre 1995, n. 10372) secondo cui la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. Ne consegue che in tema di legittimazione al riesame reale, vengono in rilievo sia le norme generali in materia di impugnazione (in particolare gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), c.p.p.) che quelle specifiche in materia di impugnazioni delle misure cautelari reali, che, indicando tre categorie di "legittimati" («l'imputato..., la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione...»), individuano il genus di persone che avrebbero astratto interesse alla proposizione del riesame o dell'appello; accanto a tale legittimazione astratta, occorre però che sussista un fondamento di legittimazione in concreto ovvero la necessità di un concreto interesse all'impugnazione, in assenza del quale l'impugnazione va dichiarata inammissibile.

In altri termini, l'art. 322 c.p.p individua le categorie astrattamente legittimate all'impugnazione "reale", mentre gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), c.p.p impongono un vaglio di ammissibilità fondato sulla verifica della concreta legittimazione in ragione della sussistenza di un interesse concreto e attuale, posto che l'impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non è legittimato o, pur essendolo, non ha interesse. Con riferimento all'impugnazione del sequestro preventivo, la morfologia delle misure cautelari reali - che impongono un vincolo giuridico sul bene – rende dunque indispensabile l'effetto di restituzione quale connotato essenziale e imprescindibile dell'interesse ad impugnare (Cass., sez. III, 11 gennaio 2021, n. 16352).

Quanto all'interesse ad impugnare, lo stesso deve essere ravvisato in concreto, non essendo sufficiente un interesse meramente virtuale alla esattezza giudica della decisione. La condizione richiesta dall'art. 568, comma 4, dev'essere correlata agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di quel provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante. La dottrina ha attribuito al concetto di interesse un significato utilitaristico, mirato, cioè, al concreto vantaggio per il ricorrente, tanto da stravolgere gli «schemi propri della gerarchia delle formule assolutorie», sì da ritenerlo sussistente anche quando il gravame sia diretto ad eliminare un pregiudizio di carattere esclusivamente morale, sociale, politico, disciplinare o civile. Si impone, in altri termini, una valutazione all'esito della quale si possa concludere che il relativo giudizio possa produrre un vantaggio per la parte che l'ha introdotto (APRILE, I procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Milano, 1999; Id., Le Sezioni Unite definiscono i contorni del regime di impugnabilità oggettiva dei provvedimenti in materia di sequestro preventivo, in Cass. Pen., 2006, 168; NUZZO, Interesse a impugnare la sentenza di assoluzione con formula piena fondata su prova dubbia, in Dir. Pen. Proc., 2003, 320; DELL'AGLI, Notazioni (minime) in tema di interesse a impugnare sentenza assolutoria piena motivata sul rilievo di prova contraddittoria. Una decisione tesa all'attuazione innovativa di una logica accusatoria, in Arch. N. Proc. Pen., 2004, 438).

Osservazioni

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per mancanza di interesse da parte del ricorrente.

Alla luce delle ormai acquisite conclusioni della giurisprudenza, la decisione in commento sottolinea come la sussistenza dell'interesse a impugnare non può presumersi dalla legittimazione ad impugnare: è, infatti, onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell'interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), c.p.p.

In particolare, nei procedimenti cautelari reali la sussistenza dell'interesse non può non essere strettamente collegata alla richiesta di restituzione del bene, sicché è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, oltre all'avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, relazione che consentirebbe la restituzione del bene a chi impugna.

Nel caso di specie, il ricorrente non era il legale rappresentante dell'azienda in sequestro e quindi a suo favore non poteva in alcun caso essere disposta la restituzione in suo favore, ricoprendo il ricorrente il mero ruolo di socio titolare del 16% delle quote sociali della società ed avendo agito in detta qualità. Da un lato, l'insieme dei beni aziendali di una società di capitali, qual è la società a responsabilità limitata, appartiene alla società che è soggetto munito di autonomia giuridica distinta dalle persone fisiche e/o giuridiche dei soci che compongono la compagine sociale; dall'altro, nelle società di capitali, la legale rappresentanza spetta all'amministratore che la esercita in modo conforme alla legge e allo statuto (art. 2745-bis c.c.) mentre il singolo socio non ha poteri di rilevanza esterna e può unicamente sollecitare gli organi sociali ad agire nell'interesse di quest'ultima, salva la possibilità di agire, nel caso di inerzia, nei confronti degli amministratori stessi e di chiedere la liquidazione della quota sociale (art. 2289 c.c.)

L'insieme dei beni aziendali di una società di capitali, qual è la società a responsabilità limitata, appartiene alla società che è soggetto munito di autonomia giuridica distinta dalle persone fisiche e/o giuridiche dei soci che compongono la compagine sociale. Dunque, non il socio, ma la società, rappresentata dal suo organo amministrativo, è titolare del patrimonio sociale e dei beni che ne fanno parte. Con riferimento alla posizione del singolo socio è stato affermato che lo stesso non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società, attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non vantando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro (Cass., sez. II, 4 aprile 2019, n. 29663, secondo cui, nel caso in cui il legale rappresentante sia rimasto inerte e la società possa subire un danno dal mancato dissequestro, il socio ha il potere di sollecitare gli organi sociali ad agire nell'interesse di quest'ultima; nello stesso senso; Cass., sez. VI, 19 marzo 2019, n. 16860). Da ultimo, Cass., sez. III, 15 maggio 2024, n. 34996 ha affermato che, anche nel caso delle società di persone, l'autonomia patrimoniale di dette società esclude che il socio possa, in quanto tale, agire in giudizio per la restituzione dei beni che appartengono alla società della quale non abbia la legale rappresentanza.

La decisione, quindi, conclude nel senso che il ricorrente, avendo agito in proprio quale socio e non essendo comunque l'attuale legale rappresentante della società interessata dal provvedimento di sequestro è carente di interesse in ordine all'annullamento del decreto di sequestro preventivo nei confronti della persona giuridica, essendo l'interesse tutelato dall'ordinamento, in materia di impugnazioni reali, volto alla reintegrazione patrimoniale di chi abbia subito l'imposizione del vincolo: anche in caso di accoglimento delle prospettazioni difensive, infatti, il compendio aziendale andrebbe restituito alla società e non già al ricorrente, con la conseguenza che manca l'interesse al gravame (Cass., sez. III, 11 gennaio 2021, n. 16352;  Cass., sez. III, 16 gennaio 2019, n. 3602).

Conclusioni

La sentenza della Cassazione ribadisce l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, pur non potendosi disconoscere la generica legittimazione dell'indagato o dell'imputato alla proposizione della richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo, anche se concernenti beni formalmente appartenenti a terze persone, deve, tuttavia, pur sempre individuarsi, in capo a lui, un concreto interesse alla proposizione dell'impugnazione, enucleabile soltanto in base alla fattispecie considerata e alle prospettazioni dell'interessato. Per questa ragione, deve ritenersi che l'ambito di legittimazione a proporre richiesta di riesame, individuato dall'art. 322, è più ristretto di quello concernente il sequestro conservativo ex art. 318 c.p.p. che si riferisce «a chiunque vi abbia interesse» vale a dire «non solo all'imputato, al responsabile civile e a chiunque possa vantare un diritto reale sulla cosa in sequestro, ma anche a tutti coloro (compresi i creditori) che possono ricevere pregiudizio dal mantenimento della misura cautelare» (Cass.,, sez. V, 9 gennaio 1996, n. 37, che ha ritenuto legittimata alla proposizione della richiesta di riesame, quale "soggetto interessato", la società controllante, detentrice del pacchetto azionario della società controllata, sottoposto alla misura cautelare reale; ciò perché il pregiudizio derivante dal mantenimento della misura cautelare si riflette, per il tramite del valore delle azioni detenute, direttamente sul suo patrimonio).

Il soggetto diverso da quello cui le cose sequestrate dovrebbero essere restituite è, quindi, legittimato ad impugnare purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, derivante dalla menomazione di una qualunque situazione giuridica soggettiva sulla cosa, apportata con il vincolo impresso dal sequestro (Cass., sez. V, 21 ottobre 2008, n. 44036; Cass., sez. V, 20 dicembre 2004, n. 6151, fattispecie in cui la richiesta era stata avanzata da colui che risultava essere semplicemente l'autista dell'auto sequestrata, che era di proprietà di una società finanziaria e concessa in locazione ad un terzo soggetto).

Si ricorda che secondo le sezioni unite (Cass., sez. un., 26 settembre 2019, n. 45936), il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale

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