Nuovo stop alla conciliazione in “sede aziendale”. Ma nelle motivazioni, qualcosa non torna
04 Giugno 2025
Massima Seppure alla presenza di un rappresentante sindacale, la sottoscrizione del verbale di conciliazione presso la sede della società datrice di lavoro, non soddisfa, in termini di modalità, i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base agli artt. 411, comma 3 c.p.c. e art. 2113, comma 4 c.c., dato che la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all'assistenza del funzionario del sindacato, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti. Il caso A meno di un anno di distanza dal discusso precedente del 15 aprile 2024, n. 10065, con ordinanza dell’8 aprile 2025, n. 9286, la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla -tutt’altro che infrequente - ipotesi della conciliazione conclusa, giuridicamente, in c.d. “sede sindacale” ex art. 411 c.p.c., ma stipulata e sottoscritta, materialmente, in “sede aziendale”. Invero, nell’occasione da ultimo affrontata, il vaglio del Collegio di legittimità riguardava l’impugnativa di un licenziamento per “giusta causa”, rinunciato lo stesso giorno dell’intimazione, alla presenza e con l’ausilio di funzionario del sindacato a cui il prestatore di lavoro non era iscritto oltreché, giustappunto, con apposizione delle firme avvenuta presso i locali della società ex datrice di lavoro. Per ciò che concerne la fase del merito, di particolare rilievo il fatto che, in entrambi i gradi di giudizio, le domande del lavoratore, volte all’annullamento dell’atto dispositivo, venivano rigettate, dovendo ritenersi «provata l'effettività dell'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, e che la sottoscrizione presso la sede della società di per sé non determinasse l'inidoneità dell'assistenza del rappresentante sindacale». La questione Il caso riguarda la conformità alla legge nella definizione degli accordi di conciliazione in ambito lavorativo e l'importanza della "effettiva assistenza" considerando l'appartenenza del dipendente all'organizzazione del conciliatore e il luogo di accordo. Le soluzioni giuridiche Di conseguenza, concentrandosi il primo motivo di ricorso sulla violazione o falsa applicazione della legge, in particolare ritenendo rilevante, al fine di inverare la condizione della “effettiva assistenza”, tanto l'affiliazione del dipendente all'organizzazione di appartenenza del conciliatore stipulante, quanto la sede fisica di definizione dell'accordo, la Corte di Cassazione era chiamata, ancora una volta, a fornire le coordinate interpretative della disposizione contenuta all'art. 411, comma 3 c.p.c., la quale come noto, testualmente si limita (anche nella versione previgente all'art. 31 l. 183/2010) a escludere dalla procedura istaurata presso le commissioni istituite in seno all'I.T.L. di cui all'art. 410 c.p.c., il tentativo di conciliazione «svolto in sede sindacale». Assenza di espressi requisiti al processo di verbalizzazione delle intese che, unitamente agli effetti immediatamente estintivi/modificativi delle stesse (v. art. 2113, comma 4), da una parte, per la definizione stragiudiziale delle controversie, ha favorito nel tempo un ampio ricorso all'istituto e una prassi applicativa per nulla attenta alle formalità, peraltro sovente realizzata con l'estemporaneo coinvolgimento di un “purchessia” rappresentante sindacale, dall'altra e di riflesso, ha reso più assidua l'eventualità d'impugnazione degli accordi così conclusi, con l'obbiettivo di ripristinare i diritti inderogabili di legge o di contratto oggetto, da parte del lavoratore, di precedente rinuncia o transazione. Invero, il perno dei ricorsi giudiziali era spesso rappresentato dal mancato rispetto delle formalità previste dalla contrattazione collettiva (luogo di stipula, collegialità dell'organo conciliativo, appartenenza del rappresentante sindacale all'O.S. a cui aderisce il dipendente etc.), che se, in un primo momento, venivano, in effetti, considerati dalla giurisprudenza di legittimità come imprescindibili (Cfr. Cass. 17 gennaio 1984, n. 391), successivamente, negli approdi del Supremo Collegio degradavano d'importanza, a favore di una verifica, nel concreto, della c.d. “effettività dell'assistenza sindacale” ossia una partecipazione del sindacato alla composizione della lite, tale da garantire «il superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro» (Cass. 26 luglio 2002, n. 11107). Una posizione, quest'ultima, a livello nomofilattico consolidata e mai realmente posta in discussione (Ex multisCass. 9 giugno 2021, n. 16154), ma tenuta in scacco, più che altro a livello dottrinale, da una pronuncia del Tribunale di Roma, la n. 4354 del 8 maggio 2019, che recuperando, nella sostanza, l'orientamento più risalente e facendo leva sulla nuova formulazione dell'art. 412-ter c.p.c., aveva, in quella circostanza, concluso per ammettere il regime d'inoppugnabilità previsto dall'ultimo comma dell'art. 2113 c.c. alle «sole conciliazioni sindacali che avvengono presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Dubbio interpretativo, in ogni evenienza, abbondantemente ridimensionato da due più recenti arresti di legittimità, Cass. 5 settembre 2023, n. 25796 e Cass. 18 gennaio 2024, n. 1975, che giustappunto in riferimento all'art. 412-ter e a casi di sottoscrizione dei verbali avvenuta in sedi non propriamente sindacali (es. Prefettura), confermavano la centralità del requisito di “effettiva assistenza”, desumibile, in ipotesi, anche solo dalle «esaurienti spiegazioni date dal conciliatore sindacale incaricato», di modo che, secondo la Cassazione, una sede “fisica” differente, poteva al più rilevare sul piano probatorio, gravando a quel punto sul datore di lavoro la dimostrazione «che, nonostante la sede non “protetta”, il lavoratore, grazie all'effettiva assistenza sindacale, ha comunque avuto piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte». E tuttavia a rimescolare le carte, ancorché giustificando la disarmonia di orientamento con l'evidenza del diverso presupposto normativo, in specie l'art. 411 c.p.c., da ultimo, in Cass. 15 aprile 2024, n. 10065, il luogo di sottoscrizione riassumeva un ruolo dirimente la controversia, negando la Corte, nell'occasione, agibilità agli effetti di cui all'art. 2113, comma 4 c.c., in ipotesi di avvenuta formalizzazione dell'atto dispositivo presso i locali dell'azienda. In particolare, ad avviso dei giudici di legittimità, «la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere», di modo che, ritenendo come tassativa l'elencazione degli “spazi” normativamente ammessi a tal fine, terminavano stabilendo che «la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore». Un esito condiviso, con rinvio della sentenza impugnata in Corte d'Appello, anche dalla pronuncia in commento, la quale tuttavia, prima di giungere all'affermazione di voler «dare continuità ai principi affermati da questa Corte (Cass. n. 10065/2024)» (v. “Considerato che” sub 9., 10. e 11), nel corpo della motivazione richiama pure, a mo' di premessa, i punti salienti delle precedenti Cass. 5 settembre 2023 cit. e Cass. 18 gennaio 2024 cit., come già detto sopra, non solo formate su fattispecie normativa differente, ma anche espliciti nel riconoscere alla sede “fisica” di stipulazione dell'accordo, non un requisito normativamente essenziale, bensì accidentalmente concorrente a realizzare il decisivo - questo sì - requisito di effettività dell'assistenza offerta al lavoratore dal funzionario sindacale incaricato della conciliazione. Osservazioni Ragion per cui, a prescindere dall'osservazione che nei contesti attuali e futuri, caratterizzati da sempre crescente pervasività tecnologica, anche per la fattispecie delle “conciliazioni sindacali”, il tema del luogo di stipulazione degli accordi, se inteso in senso topografico, sia inevitabilmente destinato a perdere di rilevanza, come peraltro già palesato dalla giurisprudenza (v. Trib. Milano 28 marzo 2024 dove, richiamando pure Cass. 18 gennaio 2024 cit., non risolutivo era ritenuto lo svolgimento da remoto della riunione all'esito della quale veniva sottoscritta la contestata “rinuncia”) e dal legislatore (Cfr. art. 20 l. 203/2024), stranisce e non poco un dispositivo sorretto in motivazione, da pronunce espressamente (Cfr. Cass. 15 aprile 2024 cit., “Considerato che” sub 18.) e nella sostanza, fra loro in realtà tutt'altro che conciliabili. Certo, è vero che nella pratica, la - di per sé sostenibile - presa di posiziona della Suprema Corte, ben potrebbe essere agevolmente disinnescata, solo prestando maggior cura – lato datore di lavoro - alla selezione del luogo di sottoscrizione degli accordi, ma è altrettanto innegabile sul piano giuridico, che una tale modo di argomentare, di sicuro non contribuisce a chiarire gli effettivi requisiti dell'ermetica disposizione di cui all'art. 411, comma 3, contribuendo anzi, in antitesi con la finalità deflattiva propria dell'istituto, a far sì che divenga essa stessa foriera e generatrice di ulteriore contenzioso. Riferimenti Avanzi, La conciliazione in “sede sindacale” e le previsioni della contrattazione collettiva ex art. 412-ter c.p.c. L’enigma è risolto?, in www.rivistalabor.it, 16/04/2024; Carbone, L’effettività dell’assistenza quale requisito per l’inoppugnabilità delle rinunce e transazioni ai sensi dell’art. 2113 comma 4 cc. Lineamenti giurisprudenziali, in www.questionegiustizia.it, 10/07/2019; Craca, Le conciliazioni sindacali: riflessioni sulla giurisprudenza prevalente e le novità in tema di whistleblowing, in LG, n. 8-9/2024; Palla, Sulla nullità della conciliazione fuori sede (sindacale): il formalismo supera anche l’effettività dell’assistenza, in www.rivistalabor.it, 11/05/2024; Persiani, I limiti previsti dalla legge per la valida stipulazione delle conciliazioni sindacali, in Giur. It., n. 7-2019; Speziale, Gino Giugni e la conciliazione in sede sindacale, in WP D’Antona, n. 415-2020; Voza, La conciliazione sindacale e la negoziazione assistita in materia di lavoro: false amiche o false nemiche?, in WP D’Antona, n. 469-2023; Zampieri, Conciliazione sindacale e contratto in frode alla legge, in Labor, n. 6-2023. |