Condotta penalmente rilevante e incidenza sulla prestazione lavorativa dovuta
05 Giugno 2025
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che dall'integrazione dell'obbligo di fedeltà, di cui all'art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) deriva l'obbligo in capo al lavoratore di astenersi da qualsiasi condotta che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione datoriale, o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa, ovvero sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia sulla quale è fondato il rapporto di lavoro. È stato evidenziato, altresì, che anche la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore. Tuttavia, non esiste un automatismo tra una condotta (extralavorativa) avente rilevanza penale e l'integrazione della giusta causa di licenziamento, dovendo essere esaminate le implicazioni dei fatti addebitati sulla regolare esecuzione della prestazione del lavoratore. Dubbi sulla effettiva incidenza della condotta penalmente rilevante sulla fiducia nel futuro corretto adempimento dell'attività lavorativa possono sorgere laddove, come nel caso di specie, dopo i fatti commessi al di fuori del luogo di lavoro, il dipendente abbia ripreso le proprie mansioni, pur essendo il datore a conoscenza della vicenda penale, ove non si sia provveduto alla sospensione in via cautelare. (Cfr.: Cass., sez. lav., 24 marzo 2025, n. 7793; Cass., sez. lav., 07 ottobre 2024, n. 26181; Cass., sez. lav., 04 gennaio 2024, n. 267). |