Natura retributiva dei compensi degli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni e la non imponibilità all'Irap"
06 Giugno 2025
Massima Gli importi dovuti agli avvocati dipendenti degli enti locali hanno natura retributiva e spettano al netto dell’Irap, che grava sulla pubblica amministrazione datrice di lavoro, che non può operare alcuna ritenuta a tale titolo sui compensi dovuti. I diritti relativi a tali compensi trovano fondamento nella contrattazione collettiva e nella regolamentazione interna dell’amministrazione pubblica di appartenenza, senza subire limitazioni conseguenti agli obblighi derivanti dalle norme di contabilità pubblica. Tali compensi sono soggetti, comunque, ad un ammontare massimo, determinato a priori da disposizioni di legge. Il caso Un dipendente della Provincia di Grosseto, svolgente funzioni di avvocato all’interno dell’ufficio legale dell’Ente, agiva in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, Sezione Lavoro, convenendo l’ente pubblico proprio datore di lavoro, contestandogli di aver operato un’indebita trattenuta a titolo di Irap sui propri compensi, a partire dal 2011, chiedendo che dette somme gli fossero restituite. Emergeva che, senza alcun preavviso, a decorrere da tale anno, l’Ente avesse iniziato a trattenere l’Irap sui compensi professionali dovuti all’avvocato, senza neppure farlo risultare in busta paga, avendo considerato il fondo da utilizzare per tali emolumenti come comprensivo dell’Irap, trattenendo ed accantonando le somme necessarie per tale imposta e corrispondendo il residuo. Il Tribunale di Grosseto accoglieva il ricorso; la sentenza favorevole di primo grado veniva appellata dalla Provincia di Grosseto innanzi alla Corte di Appello di Firenze, che accoglieva l’appello proposto. Avverso tale pronuncia, l’avvocato dipendente della Provincia di Grosseto proponeva ricorso per Cassazione. La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassando la decisione impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, chiamata a pronunciarsi in applicazione dei principi di diritto enunciati dai Giudici di legittimità all’esito del giudizio. La questione La questione giuridica sottesa alla vicenda in esame ed analizzata attentamente dalla Corte è quella se, in base all'art. 1, comma 208, legge n. 266/2005, occorra ricomprendere tra i cosiddetti “oneri riflessi”, relativi ai compensi dovuti agli avvocati interni alla pubblica amministrazione, oltre agli oneri previdenziali ed assistenziali, anche gli oneri fiscali IRAP e su chi debba gravare tale imposta. Per affrontare tale questione giuridica, la Corte ha voluto inquadrare la fattispecie sottoposta al suo esame da una più ampia prospettiva, analizzando e considerando la natura dei compensi professionali dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni e i criteri di determinazione degli stessi. Le soluzioni giuridiche All’esito di un lungo e accurato excursus normativo e giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha, con la pronuncia in commento, ribadito un suo consolidato orientamento, riaffermando precisi principi che hanno portato alla decisione finale. La Corte ha stabilito che le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali, comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali, sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, mentre l’IRAP, essendo un'imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro. Ciò comporta che non sono ammesse condotte della stessa P.A. che, in via diretta o indiretta, determinino la traslazione dell'imposta in esame da essa all'avvocato dipendente. La Corte, nel ribadire tale tesi, ha altresì riaffermato il principio che l’ente pubblico datore di lavoro, oltre a non poter addebitare l’Irap all’avvocato proprio dipendente direttamente, con una ritenuta alla fonte, non può farlo neanche indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione di bilanci. Tale normativa non può incidere, limitandoli, sui compensi dovuti, all’avvocato dipendente, sulla base della previsione di legge, del contratto collettivo o regolamento interno, fonti del suo diritto di credito. Ne consegue – e questa è un ulteriore affermazione di principio che la pronuncia della Corte in commento ci offre – che le somme corrisposte a questa categoria di avvocati, a fronte dell’attività esercitata in favore dell’ente di appartenenza, abbiano natura retributiva, con il corollario che l’azione giudiziaria tesa ad ottenerne il pagamento sia un’azione di adempimento, con l’ordinario riparto dell’onere della prova. Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, le parti non mettevano in discussione il principio per il quale l'IRAP sui compensi professionali dovuti all'avvocatura interna della P.A. grava sulla stessa pubblica amministrazione datrice di lavoro. Però, la Provincia di Grosseto, in questo ottenendo sostegno dalla Corte d'Appello di Firenze, ha sostenuto che, nel caso di specie, l'IRAP non sarebbe stata posta a carico dell'avvocato dipendente, ma, più semplicemente, essendo essa obbligata, per pagare l'imposta in esame, ad accantonare somme presenti nel fondo utilizzato per le retribuzioni dei suoi avvocati, alla fine parte di tali somme avrebbe potuto andare esclusivamente all'Erario piuttosto che all’avvocato-dipendente. Questi ha affermato che, in questo modo, si sarebbe avuta una traslazione, vietata dalla legge dell’Irap dal datore di lavoro al dipendente. Tesi accolta dalla Corte di cassazione. Osservazioni La pronuncia in commento rappresenta una lunga ed approfondita trattazione della fattispecie esaminata, non limitandosi all’analisi della sola questione giuridica rilevante ai fini della decisione finale, ma allargandola ad ogni elemento che connoti la vicenda dei compensi dovuti agli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Il tema non è solo analizzato in questa così ampia prospettazione, ma è anche posto al centro di un lungo e puntuale excursus sulla disciplina -legale e contrattuale- applicabile, che evidentemente è stato ritenuto necessario giacché piuttosto articolata e complessa, teso a collocare la materia nella giusta cornice giuridica, nonché è sottoposto al vaglio particolareggiato di tutta la giurisprudenza di riferimento susseguitasi nel tempo, sia ordinaria che amministrativa e contabile. Il provvedimento, dunque, si contraddistingue per essere una sorta di summa completa sulla materia, un utile compendio per orientarsi concretamente nella fattispecie, peraltro dotato di chiarezza espositiva, seppur con qualche passaggio ripetitivo, ma con argomentazioni e motivazioni poste all’insegna di un preciso ordine sistematico, dotato di coerenza logica e giuridica. La Corte di cassazione, grazie a questo lungo percorso espositivo, riesce ad affermare più principi di rilievo per la materia in esame, posti sullo sfondo ma, comunque, a sostegno della decisione finale. A tal riguardo, la Corte ha espressamente individuato quattro regole generali che disciplinano la materia, attraverso cui è giunta alla decisione della controversia:
Da questa disciplina, la Corte ha tratto ulteriori principi valevoli per la fattispecie in esame, ovvero che la pretesa degli avvocati-dipendenti al pagamento degli importi in questione, avanzata nei confronti della P.A. datrice di lavoro, ha natura retributiva; il giudizio introdotto per ottenere detto pagamento ha ad oggetto un'azione di adempimento e vi troveranno applicazione i principi espressi da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione. Più in particolare, a tal fine, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile all'eventualità in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in questo caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche qualora sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative del beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. L'avvocato dipendente, quindi, agirà indicando la fonte, legale, contrattuale o regolamentare del suo diritto, dimostrerà di avere eseguito, con riguardo all'annualità di riferimento, la prestazione alla quale siffatta fonte ricollega la nascita del suo credito retributivo e allegherà l'inadempimento della P.A. Quest'ultima, a sua volta, per provocare il rigetto del ricorso, oltre a provare il suo adempimento (o l'impossibilità assoluta e oggettiva dello stesso), potrà contestare la sussistenza in sé del credito, sostenendo che, in base all'interpretazione della legge, della contrattazione collettiva o del regolamento interno esso non è sorto, in assoluto o nei termini prospettati. In aggiunta, potrà prospettare la presenza di limiti all'erogazione di somme in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile. Ciò perché, a prescindere dalle previsioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può sorgere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongono vincoli alla capacità di spesa della P.A. I menzionati limiti possono o essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o essere stabiliti dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni. Nel primo caso, il giudice potrà accertare d'ufficio la presenza del vincolo, in base al principio iura novit curia, e tenerne conto; nel secondo, la sussistenza del citato atto organizzativo interno va allegata e, soprattutto, dimostrata dall'ente che ne eccepisca la concreta vigenza. Dopo aver tracciato l’iter da seguire in un eventuale giudizio avente ad oggetto la fattispecie in esame, testè riportato testualmente, la Corte è giunta al passaggio finale, dato dall’enunciazione del principio decisivo per la decisione in commento, posto a base della pronuncia. Citando ancora il testo della stessa, avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme in questione sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'IRAP, che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci. Alla fine, rimangono scolpiti quattro principi che operano in materia, affidati in maniera chiara ai pratici del diritto:
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