Legittima l’attribuzione dei redditi della s.a.s. al socio accomandante

Giovambattista Palumbo
27 Giugno 2025

La Corte Costituzionale, con l'Ordinanza n. 50 del 2025, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'attribuzione dei redditi di una s.a.s. al socio accomandante.

Massima

La Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità che attribuisce i redditi della società in accomandita semplice ai soci accomandanti indipendentemente dalla percezione. L'imputazione reddituale per trasparenza delle società di persone, anche avuto riguardo al caso di soci non amministratori, e, in particolare, anche nel caso dell'accomandante, si riconnette alla disciplina civilistica che attribuisce ad essi puntuali poteri di controllo, laddove «il socio, anche accomandante, ha il potere e l'onere di controllare l'attività sociale.

Il caso

Nel caso di specie, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, comma 1, 53, comma 1, e 24, comma 2, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del Tuir nella parte in cui «attribuisce i redditi della società in accomandita semplice ai soci accomandanti "indipendentemente dalla percezione”».

Nel caso di specie, in particolare, la ricorrente aveva sostenuto di non avere percepito alcun reddito dalla società, avendo interrotto da molti anni ogni rapporto con il marito, socio accomandatario, e di essere rimasta del tutto estranea alla sua attività economica. L'Agenzia delle Entrate aveva invece opposto che il reddito delle società di persone viene comunque imputato a ciascun socio, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, “indipendentemente dalla percezione”.

La questione

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente evidenzia che la scelta del legislatore di imputare anche al socio accomandante il reddito prodotto dalla società indipendentemente dalla percezione non sembra trovare giustificazione alla luce dei principi di uguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.), di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.), nonché del diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.), essendo, tra le altre, per quanto qui di interesse, ravvisabile la violazione del principio di uguaglianza sia in una prospettiva interna, nel confronto tra la situazione giuridica sostanziale del socio accomandante con quella degli altri soci delle società di persone, e sia esterna, cioè nel confronto della medesima con quella del socio di una società a responsabilità limitata.

Con riferimento al primo profilo, infatti, da un lato, sono diversi i poteri di controllo dei soci della società semplice e in nome collettivo rispetto a quelli delle società in accomandita semplice, perché i primi, ai sensi dell'art. 2261 c.c., hanno diritto di avere notizia in qualsiasi momento dello svolgimento degli affari sociali, mentre i secondi, in forza dell'art. 2320 c.c., «hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società». Dall'altro, poi, solo al socio accomandante è vietato ingerirsi nell'amministrazione della società. 

Con riferimento invece al secondo profilo, il giudice a quo evidenziava che al socio, anche qualora sia amministratore di una società a responsabilità limitata, e persino quando questa sia a ristretta base sociale, non viene imposto per trasparenza il reddito della società (a meno che non abbia esercitato l'opzione di cui all'art. 116 TUIR), e tuttavia, i suoi poteri di controllo sono più invasivi di quelli attribuiti ai soci accomandanti della società in accomandita semplice.

Peraltro, rileva ancora il giudice rimettente, la giurisprudenza di legittimità avalla una presunzione semplice  di distribuzione ai soci, in proporzione alle quote di ciascuno, del reddito prodotto dalla società di capitali a ristretta base sociale, con onere della prova contraria a carico del socio, potendo quindi, attesa la analoga posizione del socio accomandante di una società in accomandita semplice con quella del socio di una società a responsabilità limitata a ristretta base sociale, essere possibile superare il limite della "non arbitrarietà” delle scelte del legislatore fiscale estendendo anche al socio accomandante della società in accomandita semplice la possibilità di fornire la prova contraria di non avere percepito alcun utile (cfr., Cass., 4 aprile 2022, n. 10679).

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Consulta la questione relativa alla violazione dell'art. 3, primo comma, Cost. per contrasto con il principio di uguaglianza è manifestamente infondata, laddove la sentenza della stessa Corte n. 201 del 2020, nello scrutinare il meccanismo di imputazione del reddito in base al principio di trasparenza, ha già tenuto presente la posizione del socio accomandante di una società in accomandita semplice, precisando che «[l]'imputazione reddituale "per trasparenza” delle società di persone, anche avuto riguardo al caso di soci non amministratori (e, in particolare, anche nel caso dell'accomandante), si riconnette quindi alla disciplina civilistica che attribuisce ad essi puntuali poteri di controllo» e che «il socio (anche accomandante) ha il potere e l'onere di controllare l'attività sociale (artt. 2261 e 2320 cod. civ.)».

Pertanto, non sussiste la paventata discriminazione interna, dal momento che i soci delle società di persone hanno «un onere e un potere di controllo (artt. 2261 e 2320 del codice civile) che, da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell'indicato incremento patrimoniale e, dall'altro, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori».

Nemmeno sussiste del resto la evocata discriminazione esterna, posta la diversità di struttura tra le società di persone (e, in particolare, le società in accomandita semplice in cui è previsto il socio accomandante) e le società di capitali, essendo inconferente il riferimento alla disciplina di cui all'art. 116 TUIR, che consente di applicare, a determinate condizioni, l'imputazione per trasparenza anche alle società di capitali e, in particolare, alle società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria.

Mentre infatti per le società di persone l'applicazione del regime di trasparenza fiscale è a monte stabilito dal legislatore e non costituisce una presunzione di distribuzione degli utili, bensì una «tipizzazione legale», quella di cui all'art. 116 TUIR è il frutto di una opzione di cui può avvalersi, a propria discrezione, la società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria;

Sempre in linea con la già citata sentenza n. 201/2020, la Consulta ritiene poi manifestamente infondate anche le questioni relative alla asserita violazione dell'art. 53 e 24 Cost.

Osservazioni

In tema di IRPEF, la presunzione legale posta dall'art. 5 del Tuir, in virtù della quale i redditi delle società di persone sono imputati "pro quota" a ciascun socio (anche accomandante) indipendentemente dall'effettiva percezione, opera anche in caso di accertamento a carico della stessa società di utili non iscritti in bilancio (cfr., Cass., 30/10/2024, n. 28081).

Non solo, infatti, il socio è in tal caso in grado di conoscere i rilievi e gli accertamenti fiscali condotti nei confronti della società, avendo diritto alla comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite ed alla consultazione dei libri e degli altri documenti della società, ma il reddito di partecipazione costituisce comunque un suo reddito personale, indipendentemente dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dai metodi adoperati dalla società per realizzarli, fermo restando il diritto di agire nei confronti della società, in sede civile ordinaria, per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonché l'esclusione della sua responsabilità per sanzioni, qualora sia dimostrata la sua buona fede (cfr., Cass., V, n. 23359/2006).

Tale previsione opera quindi senz'altro anche per il socio accomandante di una Sas (cfr., Cass., n. 15887/2024), non essendo ammissibile un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 secondo cui ritenere che la presunzione ivi stabilita trova giustificazione nei soli confronti delle società semplici e di quelle in nome collettivo, rispetto alle quali tutti i soci sono titolari del potere di gestione e rispondono illimitatamente delle obbligazioni sociali.

Conclusioni

La linea ormai costantemente seguita dalla Corte di Cassazione, e ora confermata anche dalla Corte Costituzionale, è contraria a tale indirizzo, dato che, come detto, la previsione del comma 1 dell'art. 5 TUIR, nello stabilire che l'imputazione dei redditi prodotti dalla società di persone avviene «indipendentemente dalla percezione», individua un meccanismo di attribuzione di ciò che è stato assunto dal legislatore come reddito prodotto, senza, invece, "presumere” la distribuzione dello stesso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.