Cattiva installazione di una cucina e lesione della salute: su chi grava l’onere della prova? Riflessioni e (nuove?) prospettive tra obbligazioni di mezzi e risultato
15 Luglio 2025
Massima Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di appello con la quale, in relazione alla domanda di risarcimento del danno da lesioni conseguenti alla non corretta installazione di una cucina, si è ritenuto che il pur accertato inadempimento all'obbligo di corretta installazione della medesima cucina non solleva l'acquirente dall'onere di provare il collegamento tra il predetto inadempimento e le lesioni subite quale asserita conseguenza di questi. Il caso La signora A afferma di aver subito lesioni personali in conseguenza del ribaltamento della cucina acquistata presso la società Beta, che ha provveduto alla consegna e alla installazione. Si rivolge quindi al Tribunale lamentando la non corretta esecuzione dell'obbligazione di montaggio da parte della venditrice e chiedendo il risarcimento dei pregiudizi patiti. Ricondotta la fattispecie entro la cornice della responsabilità contrattuale, il Giudice rigetta la domanda. La pronuncia viene confermata anche in sede di gravame. La Corte d'Appello ritiene provato l'inadempimento della convenuta, ma non il nesso causale tra quest'ultimo e l'evento di danno: secondo il Collegio, la dinamica del fatto è rimasta completamente oscura, in ragione della evidente discordanza, lacunosità ed illogicità delle versioni fornite sia anteriormente che in corso di causa, essendo in ogni caso «inverosimile che la cucina, dal peso di 70 kg (…) posizionata per terra possa essersi ribaltata » da sola mentre l'attrice la puliva. La sig.ra A sottopone il caso all'esame della Cassazione criticando la sentenza sotto diversi profili. Tralasciate le censure di natura procedurale (dichiarate peraltro tutte inammissibili o infondate), l'attenzione verrà qui focalizzata sulla (asserita) violazione e falsa applicazione dell'art. 1218 cc.. Secondo la ricorrente, la decisione di merito sarebbe errata perché «era la debitrice a dover dare la prova di aver correttamente installato la cucina»: tale circostanza – a suo dire - non risultava dimostrata, essendo anzi evidente il contrario. Il Supremo Collegio respinge il motivo osservando che la «ragione del confermato rigetto della domanda risarcitoria non sta nel diniego del carattere inadempiente della prestazione resa dalla ditta fornitrice della cucina, bensì nel rilievo dalla mancanza di prova del nesso causale tra tale inesatto adempimento e l'evento dannoso quale dedotto in domanda e ciò, a monte, per la mancanza di prova specifica e attendibile in ordine all'esatta dinamica di tale evento. (..) La Corte di merito nel porre a carico dell'appellante il c.d. “rischio della causa ignota” non ha violato i criteri di riparto del relativo onere dettati in tema di responsabilità da inadempimento». Le questioni
Le soluzioni giuridiche La Cassazione ritiene di addossare l'onere della prova del nesso – e dunque il “rischio della causa ignota” - alla signora A, creditrice della prestazione; per giustificare questa soluzione il Collegio richiama, anzitutto, il principio che si è andato consolidando nella giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni secondo cui : «Nelle obbligazioni di dare o facere non professionale, qual è quella dedotta nella specie a fondamento della domanda, poiché la soddisfazione dell' interesse è in tutto direttamente affidata alla prestazione che forma oggetto dell'obbligazione, la lesione dell' interesse, in cui si concretizza il danno evento, è cagionata dall' inadempimento. In tal caso la causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall' inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall' inadempimento, perché quest'ultimo corrisponde alla lesione dell'interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento. In tal caso, gli oneri del contraente danneggiato si risolvono nella mera allegazione dell'inadempimento ed egli è invece esonerato dalla prova del nesso di causa tra condotta inadempiente e danno». In questo primo passaggio vengono, in sostanza, riproposte le coordinate definite dalle decisioni di “San Martino bis” (Cass. civ. 11.11.2019 nn. 28991-28992), che potremmo, in via di estrema sintesi, descrivere in questi termini: nelle obbligazioni comuni di dare o facere l'evento di danno coincide con la lesione dell'interesse tutelato dal contratto, ossia è implicito (è “assorbito”) nell'inadempimento, senza che ci sia bisogno di dimostrare il nesso (si immagini il seguente esempio: Tizio deve dare a Caio una cosa determinata, ma non tiene fede all'impegno assunto. La mancata consegna lede di per sé l'interesse tutelato dal contratto – vale a dire: avere la disponibilitá della res per trarne l'utilità sperata –. Il creditore puó quindi limitarsi ad allegare - secondo la consueta regola fissata da Cass. SS. UU. 13533/2001 – l'inadempimento, senza dover provare il nesso con l'evento di danno che è implicito, “assorbito” ). Diversamente, nelle obbligazioni professionali (riferite tipicamente al medico o all'avvocato), l'interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale rispetto al soddisfacimento di quello “primario” (esterno al rapporto) avuto di mira dal creditore. Cosí, per esempio, il sanitario è tenuto a “bene operare”, nel rispetto delle leges artis, e ció in funzione del perseguimento della guarigione o, comunque, del miglioramento delle condizioni del paziente (obiettivi, questi ultimi, che dipendono troppo poco dalla bravura del debitore per poter essere dedotti in obbligazione, dato che il loro conseguimento è legato anche all'intervento di fattori esterni, non governabili). In tali fattispecie, dunque, l'evento di danno (vulnus alla salute) consta della lesione di un interesse diverso da quello contrattualmente regolato e quindi non è “assorbito”, non è automaticamente insito nell'inadempimento. Il creditore dovrà pertanto provare il nesso materiale tra l'uno e l'altro (dimostrando che la non corretta esecuzione della prestazione ha determinato il danno alla integrità psico fisica). Questa, dunque, è la regola “generale” definita dalle decisioni di San Martino bis; l'ordinanza in commento, tuttavia, va oltre ed introduce una “precisazione” che segna le sorti del gravame. Osserva infatti la Cassazione: «Tale ragionamento però vale fin quando tema di controversia sia l'evento di danno rappresentato dalla lesione dell'interesse sotteso al contratto, la cui soddisfazione è, come detto, affidata alla prestazione dedotta ad oggetto della obbligazione assunta dalla controparte. Nel momento in cui invece ci si sposta a valutare la sussistenza di eventuali conseguenze ulteriori, compresa la lesione di interessi diversi rispetto a quelli tutelati dal contratto, si ricade nell'ambito della "causalità giuridica", vale a dire del nesso che deve intercorrere tra evento di danno (nel caso de quo la cattiva installazione della cucina, evento da ritenersi acquisito in quanto "assorbito" nel dedotto e non confutato inadempimento) e le conseguenze di questo, ad esso legate da un rapporto di conseguenzialità immediata e diretta (art. 1223 cod. civ.). Rispetto a tale ulteriore segmento della serie causale, non coperto dal descritto "assorbimento pratico", la causalità ri-acquista autonomia di valutazione e rivive per esso l'onere probatorio della parte attrice, ex art. 2697 cod. civ., tenuta a dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa». Secondo il Supremo Collegio, nel caso di specie l'interesse tutelato dal contratto è, semplicemente, la corretta installazione della cucina e non anche la tutela della salute, che si atteggia come “elemento esterno”, diverso cioè da quello al cui soddisfacimento è deputata la prestazione. In ragione di ciò, non può verificarsi “l'assorbimento pratico della causalità materiale nell'inadempimento”, ma è onere del creditore provare il nesso tra quest'ultimo e l'evento di danno. Parte creditrice deve allora dimostrare il collegamento causale tra errato montaggio e vulnus alla integrità psico fisica. I termini del problema Volendo partire dalla coda, il dato che emerge con una certa evidenza è questo: la Cassazione ha, di fatto, applicato al “montaggio della cucina” la stessa “regola” che le decisioni di “San Martino bis” hanno messo a punto per le obbligazioni professionali del medico o dell'avvocato: è il creditore che deve dare la prova del nesso tra l'inadempimento e l'evento di danno, rappresentato dalla lesione della salute. Tale “sovrapposizione” lascia, tuttavia, almeno prima facie, un poco perplessi perché i due tipi di prestazione non sembrano affatto omogenei (la prima riconducibile ad un facere “comune” di carattere manuale, le seconde all'attività di tipo intellettuale; perché dunque un'identica disciplina?). Inoltre, pare a chi scrive che, nel caso della sig.ra A, la tutela della integrità psico fisica non sia un interesse “esterno”, ma sia esso stesso tutelato dal contratto: invero, un ragionamento di buon senso porta a dire che la installazione di un mobile può ritenersi “corretta” solo se garantisce un adeguato ancoraggio alla parete, impedendo quindi il rischio tipico connesso ad un (eventuale) errore nella posa, ossia che il pensile si stacchi e rovini su chi lo utilizza. Provando ad esaminare il problema secondo le coordinate giuridiche, conviene partire dalle sentenze del cd. progetto sanità (Cass. civ. 11.11.2019 n. 28991- n. 28992). Dall'esame della motivazione emerge in modo vivido che la differenza tra le obbligazioni comuni di dare e facere e quelle “professionali” risiede nel fatto che in queste ultime <<la guarigione o l'impedimento della sopravvenienza dell'aggravamento o di nuove patologie dipendono troppo poco dalla volontà del medico o dalla collaborazione del malato». Da ciò discende che: << La distinzione fra interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione, ed interesse primario emerge nel campo delle obbligazioni di diligenza professionale. La prestazione oggetto dell'obbligazione non è la guarigione dalla malattia, o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore. Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l'interesse affidato all'adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute» (Cass. civ. n. 28991- 28992/2019). La distinzione tra l'interesse “strumentale” e quello “presupposto” a cui fa riferimento la Cassazione risale ad autorevole dottrina del secolo scorso (Mengoni, “Obbligazioni <<di risultato>> e obbligazioni <<di mezzi>> (studio critico)”, in Riv. Dir. Comm., 1954, pag. 189) secondo cui: «L'interesse presupposto dell'obbligazione è sempre orientato al mutamento o alla conservazione di una situazione di fatto iniziale. Ma non sempre l'oggetto della qualificazione giuridica, ossia il contenuto del rapporto obbligatorio, coincide con la realizzazione di questo interesse che potremmo chiamare primario. Talvolta la tutela giuridica che è la misura del “dover avere” del creditore è circoscritta ad un interesse strumentale, ad un interesse di secondo grado che ha come scopo immediato un'attività del debitore capace di promuovere l'attuazione dell'interesse primario. In tali ipotesi il fine tutelato, cioè appunto il risultato dovuto, non è che un mezzo nella serie teleologica che costituisce il contenuto dell'interesse primario del creditore». Lo stesso Autore ha evidenziato che «In qualunque obbligazione il bene dovuto è qualche cosa oltre l'atto del debitore. Senonché, nelle obbligazioni c.d. di mezzi (o di diligenza) l'oggetto del diritto di credito non è senz'altro una certa modificazione o la conservazione della situazione presupposto del rapporto, e quindi l'effettivo soddisfacimento dell'interesse primario del creditore, ma soltanto la produzione di una serie più o meno ampia di mutamenti intermedi ai quali è condizionata la possibilità di tale soddisfacimento. Ciò che si attende dal debitore, affinché l'obbligazione possa dirsi adempiuta, è un comportamento idoneo a dare principio a un processo di mutamento (o di conservazione), l'esito del quale dipende peraltro da condizioni ulteriori estranee alla sfera del vincolo»: E dunque: quando si tratti di prestazioni di facere professionale (tipicamente ricondotte entro il novero delle obbligazioni di “mezzi”) l'interesse cd. primario (guarigione/vittoria della causa) è esterno, non è dedotto nel contratto, e ciò a motivo del fatto che la sua realizzazione è connotata da aleatorietà: la corretta esecuzione della prestazione non garantisce, ex se, il raggiungimento del fine auspicato perché quest'ultimo dipende anche da fattori esterni, che possono sfuggire alla sfera di controllo del medico (o dell'avvocato). Diversamente, nelle “obbligazioni di risultato”, il vincolo assunto coincide proprio con il soddisfacimento dell'interesse primario del creditore (il conseguimento dell'obiettivo prefigurato). E in questa categoria – ecco l'aspetto significativo ai fini delle presenti note – rientra a pieno titolo, secondo la dottrina tradizionale, il contratto d'opera manuale (art. 2222 c.c.) in cui «il debitore si impegna a realizzare lo scopo finale avuto di mira dal creditore (l'opus perfectum), riuscendo la tecnica diligentemente applicata a dominare quasi sempre la materia» (G. Chiné – A. Zoppini, Manuale di Diritto civile, 2011, 1747). Da queste premesse si può ricavare quanto segue:
Se questo è vero, allora si potrebbe concludere che l'obbligazione di “corretta installazione” di una cucina è di risultato, non di mezzi, poiché l'impiego della tecnica dovrebbe garantire di per sé, senza soverchie difficoltà, il raggiungimento dell'utilità auspicata dal creditore. Ma qual è il “fine ultimo” a cui mira chi si accinge a comprare una cucina e ne chiede il montaggio nella propria abitazione? avere una bene funzionale? Si potrebbe rispondere: certamente; ma forse anche – se non soprattutto – disporre di un res che sia sicura, che cioè non si stacchi dalla parete rovinando su chi la usa. Sotto questa angolazione, la tutela della salute sembrerebbe allora davvero atteggiarsi come un “interesse primario” implicito, dedotto in obbligazione (non esterno), perché una installazione “a regola d'arte” fa sì che quel prodotto assolva lo scopo per cui è stato realizzato e possa in concreto rispondere all'esigenza (certamente fondamentale per l'acquirente, tanto da essere oggetto di una sua legittima pretesa) di non provocare danni a chi lo utilizza. Se è cosí, si dovrebbe allora applicare il principio enunciato dalle sentenze di “San Martino bis” secondo cui nelle obbligazioni di facere non professionale (come appunto quella in parola), la lesione dell'interesse tutelato dal contratto è insita nell'inadempimento (quindi il creditore non è tenuto a provare il nesso tra l'uno e l'altra). L'impressione, dunque, è che nella trama delle argomentazioni svolte dalla pronuncia in esame si nasconda una contraddizione: il ragionamento seguito dalla Cassazione avrebbe dovuto condurre all' esito opposto (non spettava alla sig.ra A dimostrare che il pensile le era caduto sulle mani). Ma un simile risultato – quello cioè di addossare alla società Alfa- debitrice l'onere di provare la mancanza del nesso con il vulnus alla salute - sarebbe stato in linea con le regole di sistema? Volendo anticipare quanto si dirá infra, sembra a chi scrive che l'approdo cui è giunta la decisione in commento sia comunque condivisibile, ma non tanto in forza del percorso argomentativo svolto (che, come si è accennato, non appare del tutto convincente), quanto piuttosto in ragione di altri spunti, messi a fuoco da una parte della dottrina. La regola di riparto dell'onere della prova fissata dalla decisione in commento: osservazioni Il punto centrale nella argomentazione dell'ordinanza in commento sembra ruotare intorno a questo ragionamento binario:
Questa indicazione operativa mostra tuttavia – almeno a parere di chi scrive – un aspetto davvero problematico: come si fa a capire se l'interesse leso era o no tutelato dal contratto? Nel ragionamento delle sentenze del “progetto sanità”, questa domanda trova una risposta nella (seppur implicita rievocazione della) dicotomia obbligazioni di mezzi / risultato: nelle prime, l'interesse avuto di mira dal creditore (salute) non può dirsi dedotto nel contratto perché il suo soddisfacimento è aleatorio, dipende da fattori non pienamente dominabili; nelle seconde, invece, l'obiettivo sperato costituisce l'oggetto dell'impegno assunto dal debitore e ciò perché l'impiego della diligenza consente, di norma, di raggiungerlo. La realtà dei rapporti, tuttavia, è molto variegata e il parametro indicato dalla Cassazione può rivelarsi fallace o comunque non risolutivo, tanto da richiedere “aggiustamenti” e “precisazioni”, come accaduto nella fattispecie in esame. E con esiti non sempre adamantini. Così, tornando alla installazione della cucina, a voler applicare il suddetto criterio si dovrebbe dire che la tutela della salute (id est impedire che il mobile rovini su chi lo usa) è, ancora una volta, un interesse interno, tutelato dal contratto perché si tratta di un obiettivo atteso dal creditore, e di “fine ultimo” che è certamente realizzabile se si rispettano le regole tecniche di montaggio. Il fatto è che la linea di discrimen tracciata dalle decisioni di “San Martino bis” è solo descrittiva e non sembra di agevole impiego in concreto (e non a caso, è noto il dibattito dottrinale che ha messo in luce la fragilità ed inconsistenza della dicotomia mezzi/risultato, tanto che la stessa Cass. civ. SS.UU. 11.01.2008 n. 577 aveva dichiarato di ritenerla ormai superata – e prima di essa Cass. civ., Sez. II, 28.02.2014 n. 4876). La decisione qui annotata costituisce riprova di tale difficoltà dato che è tutto da verificare se “la tutela della salute” sia o no dedotta nell'obbligazione di montaggio della cucina, apparendo – almeno a chi scrive - opinabile la risposta (negativa) data dalla Cassazione. Insomma, far dipendere il riparto dell'onere della prova del nesso (tra inadempimento ed evento di danno) dalla natura “interna od esterna” dell'interesse del creditore pare regola scivolosa, che in talune fattispecie – come quella in esame - non garantisce soluzioni incontrovertibili. E in effetti in dottrina vi è chi (N. Rizzo, “Inadempimento e danno nella responsabilità medica: causa e conseguenze”, in Nuova Giurisprudenza civile Commentata n. 2/2020 pag. 327 ss.), pur condividendone l'esito, ha criticato l'impostazione delle sentenze del “progetto sanità”, osservando che il principio secondo cui spetta al creditore/paziente dimostrare che l'inadempimento gli ha cagionato un danno alla salute discende già dall'art. 1223 cc., senza bisogno di scomodare l'interesse “primario” e quello “strumentale”. Secondo questa impostazione, occorrerebbe infatti recuperare la distinzione tra danno intrinseco (o circa rem) ed estrinseco (o extra rem). Nelle obbligazioni di dare e fare (comuni) – si sostiene - l'omessa o inesatta esecuzione della prestazione «fa mancare al creditore l'utilità che il bene, l'opera od il servizio rivestono: il danno, in queste ipotesi, altro non è che la valutazione economica dell'utilità che l'inadempimento ha impedito al creditore di conseguire» (danno intrinseco). Può essere, tuttavia, che il creditore affermi di aver subito un evento dannoso diverso dall'inadempimento in sé considerato e ad esso successivo: «Così, se il contadino che compera una mucca, poi rivelatasi infetta, ad una fiera, domanda la condanna del venditore al risarcimento dei danni derivatigli dalla morte delle sue mucche contagiate dal virus (primo evento), dalla mancata coltivazione del terreno a seguito della dipartita dei bovini (secondo evento) e dalla perdita del terreno stesso (terzo evento), la risposta dovrà essere ricercata dal giudice proprio attraverso l'indagine sul nesso eziologico tra la consegna della mucca infetta (inesatto adempimento id est inadempimento) e tutti i successivi eventi dannosi di cui il creditore lamenti il verificarsi» (N. Rizzo, “Inadempimento e danno..” cit.). Per quanto riguarda, poi, le prestazioni professionali, «nel rapporto di cura, che si rivolge al creditore in quanto persona agendo proprio sul suo corpo, il pregiudizio caratteristico – cioè il danno alla salute – non può per forza di cose – vale a dire per una ragione strutturale – essere intrinseco all'inadempimento, essendo, necessariamente, la manifestazione di un evento ad esso successivo, ossia l'alterazione in peius dello stato di salute del paziente» (danno estrinseco). E quindi, poiché «la causalità (senza aggettivi) è il nesso che intercorre tra fatti, ed essendosi verificato a seguito dell'inadempimento un fatto nuovo, diverso dallo stesso inadempimento, dare avvio alla ricerca eziologica non è una peculiarità delle obbligazioni di facere professionale, rispetto alle obbligazioni di dare e di fare, ma la naturale premessa dell'accertamento della responsabilità del debitore per l'evento dannoso che il creditore sostiene di aver subito» (N. Rizzo “Inadempimento e danno…”, cit.). Secondo tale ricostruzione, quindi, il danno intrinseco rappresenta la «valutazione economica» del «concreto non dare e non fare (o non dare o non fare bene)>> e si identifica con l'inadempimento stesso, ragion per cui non occorre provare il nesso tra l'uno e l'altro. Il danno estrinseco, invece, è l'espressione di un evento ulteriore, successivo e distinto dall'inadempimento, di cui costituisce una conseguenza: esso, dunque, dovrebbe inscriversi nell'art. 1223 cc. poiché ricade nell'ambito della causalità giuridica. È in base a questa norma quindi (e non in ragione del distinguo tra interesse primario / strumentale) che si giustifica la regola per cui, nella responsabilità medica, spetta al creditore (paziente) dimostrare che l'errore del sanitario ha causato il peggioramento. Secondo la dottrina citata, l'orientamento inaugurato dalle sentenze di “San Martino bis” mostra, per un verso, di condividere la tradizionale bipartizione tra la causalità “del fatto” e quella “delle conseguenze”, e per l'altro, tuttavia, la “tradisce” perché «qualifica causalità materiale il nesso che lega l'inadempimento alla lesione della salute, che indubitabilmente dell'inadempimento è non una causa bensì una conseguenza, e come tale dovrebbe essere trattata, vale a dire – nella logica della bipartizione strutturale e funzionale del nesso eziologico – quale oggetto della causalità delle conseguenze, o causalità giuridica che dir si voglia» (N. Rizzo, “Inadempimento e danno..”, cit.). Alla luce di questi rilievi, balza allora all'occhio un dato molto interessante: l'ordinanza in commento ha, guarda caso, fatto esplicito e testuale riferimento all'art. 1223 cc. affermando che:<< Nel momento in cui invece ci si sposta a valutare la sussistenza di eventuali conseguenze ulteriori, compresa la lesione di interessi diversi rispetto a quelli tutelati dal contratto, si ricade nell'ambito della "causalità giuridica", vale a dire del nesso che deve intercorrere tra evento di danno (nel caso de quo la cattiva installazione della cucina, evento da ritenersi acquisito in quanto "assorbito" nel dedotto e non confutato inadempimento) e le conseguenze di questo, ad esso legate da un rapporto di conseguenzialità immediata e diretta (art. 1223 cod. civ.). Rispetto a tale ulteriore segmento della serie causale, non coperto dal descritto "assorbimento pratico", la causalità ri-acquista autonomia di valutazione e rivive per esso l'onere probatorio della parte attrice, ex art. 2697 cod. civ., tenuta a dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa». E allora pare doversi concludere che in questa decisione la Corte abbia (implicitamente) tenuto conto della tesi dottrinale sopra ricordata, poiché ha considerato la lesione della salute (sia nell' obbligazione del medico, sia in quella di installazione della cucina, nelle quali non si verificherebbe “l'assorbimento”,) come danno estrinseco, cioè come un fatto- conseguenza , che non si identifica con l'inadempimento - ossia con il disvalore economico della mancata/inesatta prestazione in sé - ma è successivo e distinto da esso, e quindi va provato dal creditore. Sembra allora che la Cassazione abbia voluto “rivedere” l'impostazione definita dalle decisioni di “San Martino bis”: pur continuando a fare riferimento all' “interesse” interno/esterno (elemento che, si è detto sopra, rischia di essere fuorviante) il Collegio ha in realtà applicato la “regola generale” di cui all'art. 1223 cc.. La lesione della salute (che si pone al di fuori del perimetro dell'obbligazione assunta vuoi dal medico vuoi, nella specie, dall'installatore della cucina), non viene collocata nella causalità materiale (come danno evento collegato alla condotta), ma in quella giuridica. Che si tratti di un ripensamento? La rilevanza dell'interesse per distinguere le ipotesi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale Secondo la decisione in commento, come si è visto, nel caso del montaggio della cucina l'interesse alla tutela della salute sarebbe esterno, non dedotto in obbligazione (al pari di quanto accade per la prestazione del medico). Si è detto, tuttavia, che tale conclusione non appare così scontata, posto che si potrebbe anche sostenere il contrario. E questa “opinabilità” parrebbe trovare ulteriori argomenti nelle considerazioni che seguono. In una decisione di qualche anno fa la Cassazione (Cass. civ. 19.05.2022 n. 16224) ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento proposta da una signora che, nell'uscire dal supermercato dopo aver fatto la spesa, era stata violentemente colpita dalle porte scorrevoli automatiche, che si erano chiuse improvvisamente, ed aveva riportato lesioni personali. Nella specie, la questione verteva intorno alla natura della responsabilità: l'azione fondata sull' art. 2051 cc. era stata dichiarata prescritta (e sul punto si era formato il giudicato); la danneggiata aveva peraltro insistito per la qualificazione del rapporto (anche) in termini contrattuali, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 1218 cc. e sostenendo che dalla vendita avvenuta all'interno dei locali sarebbero derivati a carico della società che gestiva il negozio obblighi di protezione e di salvaguardia dell'incolumità fisica dei compratori. Il motivo era stato respinto sulla base di questi argomenti: per un verso, la Suprema Corte aveva sottolineato che l'interesse del creditore «rileva quale criterio di determinazione della prestazione da eseguire», cioè quale parametro che consente di individuarne il contenuto in funzione appunto del fine ultimo atteso. Ciò premesso, «L'esatto adempimento dell'obbligazione richiede che il debitore impieghi la cautela, la prudenza, la cura e la perizia necessarie (..) per salvaguardare la persona o i beni del creditore, a prescindere dalla natura del contratto, quando l'esecuzione della prestazione o le modalità di attuazione del rapporto obbligatorio li espongano ad un pericolo di pregiudizio». Questo sarebbe il caso, per es., del trasporto di persone (che devono essere trasferite incolumi da un luogo all'altro) o del contratto di albergo o, ancora, di quello di spedalità o di ristorazione (per questa ipotesi si veda in particolare Cass. civ. 28.05.2020 n. 9997). In tali fattispecie «le cautele finalizzate alla tutela della persona del creditore (..) rientrano nel contenuto della prestazione oggetto della obbligazione dedotta nel contratto (non in quello di eventuali obbligazioni accessorie, distinte ed ulteriori) quale si determina in relazione ai connotati specifici assunti dall'interesse creditorio nella concreta operazione contrattuale» (Cass. civ. 19.05.2022 n. 16224). Il discorso è diverso « allorché l'eventuale pericolo di pregiudizio dell'incolumità fisica del compratore non sia occasionato dalle modalità di adempimento delle obbligazioni del venditore, ma piuttosto dalla potenzialità dannosa delle cose che si trovano all'interno del locale»; situazione, questa, corrispondente al caso della sfortunata acquirente del supermercato, che <<può essere riguardato esclusivamente quale fatto generatore di responsabilità extracontrattuale a carico del custode delle cose medesime» (Cass. civ. 19.05.2022 n. 16224). Riprendendo le parole di Cass. 16224/2022 si potrebbe arrivare a dire che, nell'ipotesi del montaggio della cucina, «le modalità stesse di adempimento dell'obbligazione del venditore espongono la persona del creditore ad un pericolo di pregiudizio». E se è così, parrebbe allora doversi concludere che l'interesse alla tutela della salute non era “esterno”, ma insito nell'obbligazione assunta dalla società installatrice, tanto che le relative “cautele” rientravano “nel contento della prestazione” (e, se aderenti alle regole tecniche, avrebbero senz'altro potuto garantire il risultato atteso). Il che confermerebbe che il percorso argomentativo seguito dalla ordinanza in commento, pur conducendo ad un esito in sostanza condivisibile, mostra qualche ombra (superabile – come si è detto - guardando il problema da una diversa angolazione, quella del danno “estrinseco” e della piana applicazione dell'art. 1223 cc.). In conclusione La questione della prova del nesso è tema nevralgico che ha una enorme rilevanza pratica posto che “il rischio della causa ignota” segna le sorti del giudizio: addossare l'onere al creditore piuttosto che al debitore significa infatti, molto spesso, decretarne la vittoria o la soccombenza nel giudizio. Nelle sentenze di “San Martino bis” la Cassazione ha valorizzato la distinzione tra le obbligazioni di dare o facere comuni e quelle professionali, di fatto richiamando in vita la dicotomia “mezzi/risultato”. Il percorso argomentativo che giustifica l'approdo raggiunto riprende una nota dottrina del secolo scorso ed attribuisce rilievo al all'interesse primario / strumentale del creditore. La decisione in commento si appoggia a questo “schema”, ma introduce alcune precisazioni che, tuttavia, non sembrano del tutto convincenti. La “regola operativa” applicata nel caso di specie – che pone a carico dell'attrice danneggiata dalla cattiva installazione della cucina la dimostrazione del nesso tra inadempimento del debitore e lesione della salute – pare condivisibile, ma non tanto in forza del percorso argomentativo svolto (che, anzi, rischia di generare contraddizioni), quanto piuttosto in ragione di altri spunti, messi a fuoco da una parte della dottrina. In definitiva, la soluzione del caso trova la propria giustificazione non tanto nella distinzione tra interesse interno od esterno alla prestazione, quanto piuttosto nella regola dell'art. 1223 cc.: la lesione della salute viene collocata nella causalità giuridica, come “conseguenza” distinta ed ulteriore rispetto al fatto – inadempimento. In ragione di ciò, l'impressione che si ricava è che la Cassazione abbia di fatto preso le distanze dalle sentenze di San Martino bis che invece avevano ricostruito il quadro nell'ottica della causalità materiale affermando che: << La causalità materiale nella disciplina delle obbligazioni non è così soltanto causa di esonero da responsabilità per il debitore (art. 1218 c.c.), e perciò materia dell'onere probatorio di quest'ultimo, ma è nelle obbligazioni di diligenza professionale anche elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ove risulti allegato il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie. Il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest'ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell'evento e la condotta del professionista nella sua materialità, impregiudicata la natura di inadempienza di quella condotta, inadempienza che al creditore spetta solo di allegare>>. |