Effetti del recesso del socio di società di capitali (ovvero semel socius, semper socius?)
18 Luglio 2025
Massima In tema di società per azioni, in base all'art. 2437-bis, comma 3, c.c., il recesso costituisce un negozio giuridico unilaterale recettizio, che produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società e che è subordinato alla condizione risolutiva rappresentata alternativamente dall'intervento, nel termine di novanta giorni ivi previsto, della revoca della delibera che lo legittima o dello scioglimento della società; in ragione della deliberazione di revoca o di scioglimento, il socio receduto riacquista ex tunc lo status di socio, comprensivo della legittimazione a impugnare a norma degli artt. 2377 e 2378 c.c. tale deliberazione, al pari delle altre che siano state adottate a seguito del proprio recesso. Il caso Nel mese di luglio del 2006 venivano deliberate alcune modifiche dello statuto di una società per azioni; alcuni giorni dopo, uno dei soci comunicava il recesso. Nel mese di settembre del 2006, tuttavia, le medesime delibere erano revocate con decisione che veniva impugnata dal socio che aveva esercitato il diritto di recesso: la domanda era accolta in primo grado dal Tribunale di Macerata, ma la sentenza era riformata all'esito del giudizio di appello, essendo stata ravvisata la carenza di legittimazione del socio impugnante, giacché, per effetto del recesso, la sua partecipazione si era ridotta sotto il limite di cui all'art. 2377, comma 3, c.c. La pronuncia della Corte d'appello di Ancona veniva impugnata con ricorso per cassazione. Le questioni giuridiche e le soluzioni Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso. La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) il recesso è atto unilaterale recettizio immediatamente produttivo di effetti, nel momento in cui la comunicazione del socio perviene alla società; 2) l'art. 2437-bis, comma 3, c.c. stabilisce che il recesso è privo di efficacia se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima o è deliberato lo scioglimento della società; 3) la delibera di revoca o di scioglimento che intervenga nel suddetto termine di novanta giorni opera quale condizione risolutiva degli effetti del recesso che si sono nel frattempo già prodotti; 4) pertanto, il socio receduto, che ha perduto immediatamente tutti i diritti legati alla condizione di socio, li riacquista con effetto retroattivo, in caso di approvazione della delibera di revoca o di scioglimento; 5) di conseguenza, una volta approvata tale delibera, il socio receduto è legittimato a impugnarla, dal momento che, per effetto di essa, ha riacquistato i diritti sociali. Osservazioni Il diritto di recesso attribuito al socio di società di capitali costituisce, secondo la ricostruzione che è andata accreditandosi, uno strumento apprestato a tutela della minoranza: nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, suscettibili in qualche misura di essere ampliate dall'autonomia statutaria, ai soci dissenzienti rispetto a determinate delibere che comportano una sostanziale ed effettiva modifica degli elementi essenziali del contratto sociale e influenti sull'assetto della società, è consentito fuoriuscirne, in alternativa alla cessione a terzi delle loro partecipazioni. Poiché il legislatore, nell'ottica di favorire la realizzazione e la stabilità dell'aggregazione di forze e risorse, evitando il depauperamento del patrimonio sociale, ha sempre considerato eccezionale la facoltà di recesso del socio, l'ha circoscritta a specifiche ipotesi, inizialmente assai limitate, poi – a seguito della riforma di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – ampliate, grazie anche all'introdotta possibilità che siano gli statuti a prevedere ulteriori situazioni che legittimano la fuoriuscita del socio. Così, attualmente, sono individuabili tre categorie di cause di recesso:
Il recesso, peraltro, può essere esercitato dal socio per tutte o solo per alcune delle azioni possedute (cosiddetto recesso parziale), come ammette espressamente il comma 1 dell'art. 2437 c.c. Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha indagato gli effetti del recesso del socio, al lume della disposizione contenuta nel comma 3 dell'art. 2437-bis c.c., a mente della quale il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima o se è deliberato lo scioglimento della società. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno precisato che, sulla scorta di un radicato orientamento giurisprudenziale, il recesso costituisce atto unilaterale recettizio avente efficacia immediata. Come prescritto dall'art. 2437-bis, comma 1, c.c., il diritto di recesso va esercitato inviando alla società una comunicazione scritta (mediante lettera raccomandata, secondo quanto stabilito dalla norma) entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, ovvero, se il fatto che consente il recesso è diverso da una deliberazione, entro trenta giorni da quando il socio ne ha conoscenza. Ferma restando la necessità di rispettare il termine fissato dalla legge (che, in deroga alla regola generale dettata dall'art. 1335 c.c., anticipa gli effetti della comunicazione diretta alla società, ai fini dell'impedimento della decadenza dal diritto di recesso, al momento della sua fuoriuscita dalla sfera giuridica del socio), il recesso si perfeziona illico et immediate con la ricezione di detta comunicazione da parte della società. Va, così, escluso che il recesso costituisca una fattispecie complessa a formazione progressiva; pertanto, affinché la dichiarazione di recesso produca ed esplichi pienamente i propri effetti (tra i quali vanno annoverati anche il vincolo di inalienabilità delle azioni per le quali è stato esercitato il diritto di recesso e l'obbligo di depositarle presso la sede sociale), non occorre non solo che la partecipazione sia stata liquidata e rimborsata, ma nemmeno che sia inutilmente decorso il termine di novanta giorni di cui al comma 3 dell'art. 2437-bis c.c. Oltre al principio generale ricavabile dall'art. 1373 c.c., depongono in questo senso:
L'immediata efficacia della dichiarazione di recesso risponde all'esigenza di evitare gli inconvenienti che deriverebbero dalla partecipazione alle dinamiche sociali di un soggetto che ha mostrato di non volere più fare parte della società. Sulla base di questa ricostruzione, i giudici di legittimità concludono che la circostanza cui fa riferimento il comma 3 dell'art. 2437-bis c.c. (cioè la revoca della delibera che ha consentito l'esercizio del recesso o la delibera di scioglimento della società) rappresenta condizione risolutiva di efficacia del recesso già perfezionatosi con la comunicazione inviata dal socio alla società. In quest'ottica, pertanto, il socio non conserva – sia pure precariamente – il proprio status fino al decorso del termine stabilito dall'art. 2437-bis, comma 3, c.c., ma perde fin da subito i diritti, sia patrimoniali che corporativi, connessi alle azioni con riguardo alle quali ha esercitato il recesso, salvo riacquistarli con efficacia ex tunc, ossia con effetto retroattivo, qualora si avveri la condizione risolutiva normativamente prevista; in caso contrario, non può impugnare alcuna delibera della società (proprio per avere definitivamente e irreversibilmente perso i propri diritti di socio), compresa quella che ha legittimato l'esercizio del diritto di recesso. Ciò ha condotto la Corte di cassazione ad affermare che, per non pregiudicare la posizione del socio recedente, occorre altresì considerare che:
Conclusioni Con la sentenza annotata, la Corte di cassazione, oltre a sancire un importante principio di diritto di carattere sostanziale, ne detta uno altrettanto significativo di carattere processuale. L'art. 2378, comma 2, c.c. facendo espressamente salvo quanto disposto dall'art. 111 c.p.c., consente la pronuncia di annullamento della delibera impugnata anche se, nel corso del processo, sia venuto meno, per effetto di trasferimento delle azioni, il requisito di partecipazione minima al capitale sociale in capo all'impugnante fissato – quale condizione per promuovere l'azione – dal comma 3 dell'art. 2377 c.c., purché l'avente causa del socio intervenga nel giudizio o vi sia chiamato, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, facendo propria la domanda di annullamento della delibera. La morfologia del giudizio di cassazione impedisce al meccanismo delineato dell'art. 2378, comma 2, c.c. di spiegare pienamente i propri effetti, nel momento in cui il cessionario delle azioni sia rimasto estraneo alle pregresse fasi di merito, giacché, in tale caso, il suo intervento risulta inammissibile, visto che la partecipazione al giudizio di legittimità è consentita solo a chi abbia preso parte a quello in cui si è formato il provvedimento oggetto di impugnazione. Pertanto, l'art. 2378, comma 2, c.c., in base al quale al venire meno della legittimazione dell'alienante fa da contraltare il riconoscimento di quella dell'acquirente delle azioni che partecipi in veste di interveniente o di chiamato in causa, è inapplicabile al giudizio di legittimità quando la cessione delle azioni sia avvenuta dopo la proposizione del ricorso per cassazione. |