Codice di Procedura Civile art. 9 - Competenza del tribunale 1 .Competenza del tribunale 1. [I]. Il tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice. [II]. Il tribunale è altresì esclusivamente competente per le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone [706 ss.; 418-432 c.c.] e ai diritti onorifici, per la querela di falso [221], per l'esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile [15 3].
[1] Articolo così sostituito dall'art. 50 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. Il testo previgente (quale modificato, con la sostituzione dell'espressione «giudice di pace» a quella «conciliatore» dall'art. 39 l. 21 novembre 1991, n. 374), era il seguente: «[I]. Il tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza del giudice di pace o del pretore. [II]. Il tribunale è altresì esclusivamente competente per tutte le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone e ai diritti onorifici, per la querela di falso, e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile». InquadramentoLa disposizione in commento fissa il riparto in senso verticale della competenza del tribunale, e lo fa, al comma 1, mediante una proposizione di segno negativo, in forza della quale la competenza del tribunale si estende a tutte le cause (si tratta dunque di una competenza generale) che non sono di competenza di altro giudice (per quest'aspetto si tratta di una competenza residuale). Con riguardo al valore la competenza del tribunale trova un limite, verso il basso, in quella del giudice di pace (v. sub art. 7), ma nessun limite verso l'alto. Il comma 2 devolve al tribunale la competenza per materia esclusiva rispetto a: imposte e tasse; stato e capacità delle persone; diritti onorifici; querele di falso e, a seguito dell'abrogazione dell'ufficio del pretore, per l'esecuzione forzata. Peraltro la giurisprudenza unanime afferma che il tribunale è competente nelle controversie in materia di diritti immobiliari, comprese le locazioni (a quest'ultimo riguardo da ult. Cass. n. 20554/2019), non essendo riscontrabile una competenza in materia del giudice inferiore. Così, ad esempio, le controversie in materia di riscatto agrario da parte dell'affittuario coltivatore diretto non rientrano tra quelle devolute alle sezioni specializzate agrarie, ma sono attribuite alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi dell'art. 9, comma 1, che con riguardo ai beni immobili - e tenendo conto della competenza attribuita ai giudici di pace sugli immobili nelle sole ipotesi previste dall'art. 7, comma 3, nn. 1, 2 e 3, c.p.c. - costituisce un criterio di competenza per materia (Cass. n. 15136/2016). L'ultima parte della norma assegna al tribunale la competenza in ordine a tutte le cause di valore indeterminabile. Imposte e tasseLe cause in materia di imposte e tasse si identificano tenendo conto del disposto dell'art. 12, comma 2, l. n. 448/2001 e dell'art. 3-bis d.l. n. 203/2005, conv. in l. n. 248/2005, che devolvono alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti «i tributi di ogni genere e specie». Sebbene la norma in commento sembri dunque attribuire in generale al tribunale la materia delle imposte e tasse, si tratta in realtà ormai di una competenza del tutto residuale, giacché la giurisdizione spetta al riguardo, in via tendenzialmente onnicomprensiva, alle commissioni tributarie. Va peraltro rammentato che la Corte costituzionale ha avuto modo di osservare che la giurisdizione del giudice tributario deve essere necessariamente collegata alla natura tributaria del rapporto, profilandosi altrimenti la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali (art. 102, comma 2, Cost.). È stata così dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione che aveva attribuito alla giurisdizione tributaria le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Corte cost. n. 64/2008), nonché del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue (Corte cost. n. 39/2010). Il giudice delle leggi ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione che attribuiva alla giurisdizione tributaria le controversie su sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche se conseguenti alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria (Corte cost. 130/2008; per i successivi effetti della dichiarazione di incostituzionalità v. Cass. S.U., n. 15382/2009; Cass. S.U., n. 15846/2009; Cass. S.U., n. 7580/2009). Ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 546/1992 lett. e-bis ed e-ter, sono impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie le iscrizioni di ipoteca su immobili ed il fermo di beni mobili registrati ex artt. 77 e 86 d.P.R. n. 602/1973. La S.C. ha in proposito precisato, quanto al fermo di beni mobili registrati, che, ai fini della giurisdizione, rileva la natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento, sicché la giurisdizione spetta al giudice tributario o al giudice ordinario a seconda della natura tributaria o meno dei crediti, ovvero ad entrambi se il provvedimento di fermo si riferisce in parte a crediti tributari e in parte a crediti non tributari (Cass. S.U., n. 14831/2008; Cass. S.U., n. 15425/2014). La materia delle cause relative a tributi diversi da quelli che sono oggetto della giurisdizione delle commissioni tributarie ex art. 2 d.lgs. n. 546/1992 rientra nella competenza del tribunale ex art. 9, comma 2 (Cass. n. 2056/2008, che ha confermato la decisione del giudice di pace che, in relazione ad un opposizione a cartella esattoriale concernente il mancato pagamento di tassa automobilistica, aveva dichiarato la propria incompetenza per materia in favore del tribunale). Non rientrano tra le cause devolute alla giurisdizione tributaria talune controversie tra privati in ordine al pagamento di imposte o tasse. Così, non ha natura tributaria (e spetta perciò alla competenza del tribunale) la controversia sorta tra sostituito e sostituto d'imposta in cui si discuta della legittimità dell'esercizio del diritto di rivalsa del secondo nei riguardi del primo, dal momento che l'oggetto del giudizio non attiene alla legittimità delle ritenute, ma alla legittimità dell'esercizio del diritto di rivalsa, in relazione all'adempimento di un'obbligazione di contenuto pecuniario, che il sostituto esercita nei confronti del sostituito nell'ambito di un rapporto privatistico, benché si tratti di un diritto derivante da una norma giuridica di contenuto fiscale della quale si richiede l'interpretazione e l'applicazione al giudice ordinario (Cass. S.U., n. 15032/2009; Cass. n. 15402/2010). Ha per contro natura tributaria, con esclusione della competenza del tribunale, la lite tra sostituito e sostituto d'imposta ed in cui si controverta della legittimità delle ritenute d'acconto operate dal secondo (Cass. n. 17076/2007). Il credito del comune per l'erogazione al singolo di acqua ad uso domestico costituisce entrata patrimoniale dell'ente e può essere riscosso con gli strumenti propri delle entrate tributarie, ma non è imposta o tassa, trovando titolo non in una potestà impositiva, ma negli impegni convenzionalmente assunti dall'utente con la richiesta della somministrazione e la sottoscrizione del relativo contratto. Ne deriva che la controversia relativa a detto credito spetta alla cognizione del giudice ordinario (Cass. n. 9240/2002). Parimenti non rientra nella competenza del tribunale su imposte e tasse, dovendosi applicare gli ordinari canoni della competenza per valore, il giudizio di accertamento negativo del debito contributivo a carico degli iscritti all'Albo professionale di appartenenza (Cass. S.U., n. 25175/2008). In tema di opposizione ad ingiunzione fiscale, qualora l'ente impositore non provveda direttamente alla riscossione, ma la appalti a terzi in concessione, le controversie sulla sussistenza e sulla legittimità della pretesa erariale vanno introdotte, ai sensi dell'art. 32, comma 2, d.lgs. n. 150/2011, dinanzi al giudice del luogo in cui ha sede l'articolazione territoriale del concessionario che ha materialmente predisposto e notificato l'ingiunzione, e non al giudice nella cui circoscrizione il concessionario ha la sede legale, atteso che il termine “ufficio” indica l'organo che ha compiuto l'attività, non la sede della persona giuridica (Cass. n. 15417/2017). Stato e capacità delle persone e diritti onorificiSono questioni di stato «quelle che si riferiscono alla posizione soggettiva dell'individuo, nella sua veste di cittadino e di soggetto di diritti personali e politici nell'ambito della comunità civile e di quella familiare» (Cass. S.U., n. 2708/1977), come l'azione con la quale si tende a fare valere l'intervenuta modificazione dei caratteri sessuali individuali della persona al fine di ottenere le conseguenti variazioni e rettifiche degli atti di stato civile (Cass. n. 3769/1978) ovvero quella volta ad ottenere l'accertamento dello stato di apolidia (Cass. S.U., n. 28873/2008). Sono così cause in materia di stato quelle di interdizione, inabilitazione, affiliazione, adozione, cittadinanza, diritto al nome, allo pseudonimo ed ai predicati nobiliari conservati come parte del nome, di separazione dei coniugi, di scioglimento e nullità del matrimonio, di rettifica dello stato civile. Sono cause in materia di capacità, quelle in cui si controversie se il soggetto abbia l'idoneità a ricoprire una determinata posizione giuridica non già quelle in cui si discute se detta posizione dispetti in concreto: così la domanda di annullamento di un contratto, proposta ai sensi degli artt. 428 e 1425, comma 2, c.c., comporta un'indagine sull'incapacità naturale del contraente con esclusivo riguardo al momento della conclusione del negozio ed agli effetti su tale conclusione, non anche un accertamento incidentale sullo stato e la capacita del contraente medesimo, destinato ad avere autorità di giudicato (Cass. n. 3026/1976). Querela di falsoIl tribunale è inoltre competente per materia sulla querela di falso. La querela è regolata dagli artt. 221 ss. e dà luogo alla impugnazione dell'efficacia probatoria di un documento fidefacente. La decisione sulla querela spetta in ogni caso al tribunale, anche se proposta in via incidentale in un processo pendente dinanzi ad altro giudice e, pertanto, sia se sorga in appello (v. art. 355) o in cassazione, sia se si presenti in un giudizio amministrativo o dinanzi ad una sezione specializzata. Fa eccezione la previsione dell'art. 169 r.d. n. 1775/1933, recante il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici. Per il giudizio penale v. artt. 537 e 654 c.p.p. In materia di querela di falso in via incidentale, ed ai fini della liquidazione delle spese giudiziali, il valore della causa di falso deve ritenersi indeterminabile, giacché connaturato sia allo scopo del giudizio (che è quello di eliminare la verità del documento, anche al di là dell'utilizzo nella controversia in cui la querela è incidentalmente insorta), sia alle possibili implicazioni, al di fuori del processo, dell'accertamento della falsità (Cass. n. 15642/2017). Cause di valore indeterminabileSono cause di valore indeterminabile quelle riguardanti diritti non suscettibili di valutazione economica e non quelle in cui il valore sia in concreto indeterminato, pur se determinabile nel corso dell’istruttoria (da ult. Cass. n. 1499/2018). Ai fini della competenza per valore, affinché la causa possa ritenersi di valore indeterminabile, non è dunque sufficiente che sia stata richiesta una condanna generica sull'an, potendo ravvisarsi l'indeterminabilità soltanto quando la controversia non sia suscettibile di valutazione economica (Cass. n. 7757/1999). Ed inoltre, ove vengano in gioco i diritti della personalità, l'indeterminabilità del valore della domanda si ha solamente nell'ipotesi in cui la domanda stessa abbia ad oggetto l'accertamento del diritto come tale, a prescindere dalla richiesta di una somma di denaro (Cass. n. 22943/2007, che ha ritenuto la competenza per valore del giudice di pace in ordine ad una domanda di risarcimento dei danni all'onore, alla reputazione personale e all'immagine professionale dell'attore, quantificati nella misura simbolica di un euro). Ne è indeterminabile il valore della causa di risarcimento del danno biologico (Cass. n. 9451/2000). Sono cause di valore indeterminabile ad esempio quelle di divorzio (Cass. n. 3826/1977) o quelle volte alla dichiarazione di nullità di provvedimenti disciplinari (Cass. n. 5443/1988). Viceversa in materia di infrazioni al codice della strada, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il cumulo della sanzione pecuniaria, di valore determinato, e della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida, non rende la causa di valore indeterminabile ai fini dell'individuazione del giudice competente (Cass. n. 13598/2014). Norme ulterioriIl tribunale è altresì competente: i ) per le controversie individuali di lavoro (art. 413) e nella materia della previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 444), ivi compreso il settore del pubblico impiego (art. 63 d.lgs. n. 165/2001); ii ) in materia fallimentare per la dichiarazione di fallimento e per tutte le azioni che ne derivano; iii ) attraverso le sezioni specializzate in materia d'impresa (art. 2 d.l. n. 1/2012 convertito in l. n. 27/2012) per le cause di impugnazione di delibere assembleari e denuncia delle irregolarità degli amministratori di società par azioni (artt. 2378 e 2409 c.c.), di società a responsabilità limitata (art. 2468 c.c.), di cooperative (art. 2516 c.c.), e di mutue assicuratrici (art. 2547 c.c.); iv ) per le cause relative al riordino della proprietà rurale (artt. 848 e 849 c.c. e art. 57 disp. att. c.p.c.). Vanno menzionate poi le competenze fissate dal d.lgs. n. 150/2011 (semplificazione dei riti) in materia di protezione dei dati personali (art. 10 d.lgs. n. 150/2011), di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea (art. 16 d.lgs. n. 150/2011), di impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea (art. 17 d.lgs. n. 150/2011), di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19 d.lgs. n. 150/2011); di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, ecc. (art. 20 d.lgs. n. 150/2011), di opposizione al trattamento sanitario obbligatorio (art. 21 d.lgs. n. 150/2011), di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 22 d.lgs. n. 150/2011), di impugnazione delle deliberazioni assunte dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti (art. 27 d.lgs. n. 150/2011), di discriminazione (art. 28 d.lgs. n. 150/2011), di rettificazione di attribuzione di sesso (art. 31 d.lgs. n. 150/2011). La competenza del tribunale ordinario è d'altro canto limitata da quella del tribunale dei minorenni, secondo quanto previsto dall' art. 38, comma 1, disp. att. c.c. , e sezioni specializzate agrarie (l. 2 marzo 1963, n. 320 e, quanto al rito, art. 11 d.lgs. n. 150/2011 ). Le sezioni specializzate in materia d’impresa
Il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, ha istituito, e regolato, agli artt. 2-4, le «sezioni specializzate in materia d'impresa» (che hanno assunto tale denominazione in sede di conversione, mentre il decreto-legge vi si riferiva come al «tribunale delle imprese», così da suggerire l'idea della creazione di un ufficio strutturalmente distinto dal tribunale ordinario, al pari del tribunale per i minorenni o di quello di sorveglianza), in sostituzione delle previgenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale previste dall'art. 3 d.lgs. n. 168/2003 (v. Balena, L'istituzione del tribunale delle imprese, in Giusto proc. civ., 2012, 335; Santagada, Sezioni specializzate per l'impresa, accelerazione dei processi e competitività delle imprese, in judicium.it; Motto, Gli interventi legislativi sulla giustizia civile del 2011 e 2012, in Nuove leggi civ. comm., 2012, 601). L'intervento riformatore è stato mosso dall'intento, evidentemente ispirato dai risultati, ritenuti apprezzabili, realizzati con le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, di dar vita ad un giudice specializzato, al quale destinare «magistrati dotati di specifiche competenze» (art. 2, comma 1, d.lgs. n. 168/2003), titolare di un'ampia competenza per materia in controversie sovente complesse, così da migliorare, nel settore, l'efficienza dell'intervento giudiziale, sia sotto il profilo qualitativo che della durata dei processi. Varrà peraltro subito notare che l'ampiezza e l'eterogeneità delle materie devolute alle sezioni specializzate suscità perplessità in ordine alla concreta possibilità di garantire un effettivo grado di specializzazione (Casaburi, Liberalizzazioni e sezioni specializzate, in Dir. ind., 2012, 21; Silvetti, Nasce (male) il Tribunale delle imprese, in Fin. e merc., 25 gennaio 2012; Floridia, Sulla «despecializzazione» delle Sezioni specializzate, in Dir. ind., 2008, 294). Le sezioni specializzate sono difatti competenti in materia di: i) controversie di cui all'art. 134 d.lgs. n. 30/2005, e successive modificazioni, ossia: a) procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale, nonchè in materia di illeciti afferenti all'esercizio dei diritti di proprietà industriale ai sensi della l. 10 ottobre 1990, n. 287, e degli artt. 81 e 82 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la cui cognizione è del giudice ordinario, e in generale in materie che presentano ragioni di connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle sezioni specializzate; b) le controversie nelle materie disciplinate dagli artt. 64 (invenzioni dei dipendenti), 65 (invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca), 98 e 99 (informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali) del c.d. codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30); c) le controversie in materia di indennità di espropriazione dei diritti di proprietà industriale, di cui conosce il giudice ordinario; d) le controversie che abbiano ad oggetto i provvedimenti del Consiglio dell'ordine di cui al capo VI dello stesso codice della proprietà industriale (artt. 201 ss.) di cui conosce il giudice ordinario; ii) in materia di controversie in materia di diritto d'autore e di diritti connessi al diritto d'autore; iii) in materia di controversie di cui all'art. 33, comma 2, l. 10 ottobre 1990, n. 287 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato), in tema di azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché di ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV, ossia «norme sulle intese, sull'abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione», «istituzione e compiti dell'autorità garante della concorrenza e del mercato», «poteri conoscitivi e consultivi dell'autorità» e «norme sui poteri del governo in materia di operazioni di concentrazione»; iv) in materia di controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell'Unione europea; v) in materia di controversie in materia di azione di classe (v. la modificazione dell'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 168/2003 ad opera dell'art. 6 l. n. 31/2019, recante appunto «Disposizioni in materia di azione di classe», con la precisazione che, ai sensi dell'art. 7 della stessa legge, come da ultimo modificato dall'art. 31- ter del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in legge 18 dicembre 2020, n. 176, la nuova previsione si applica a decorrere dal 19 maggio 2021, limitatamente alle condotte sopravvenute a quella data); vi) relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V (società per azioni), VI (società in accomandita per azioni) e VII (società a responsabilità limitata), e titolo VI (società cooperative e mutuo e assicuratrici), del codice civile, alle società di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all'estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonchè contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli artt. 2445, comma 3, 2482, comma 2, 2447-quater, comma 2, 2487-ter, comma 2, 2503, comma 2, 2503-bis, comma 1, e 2506-ter c.c.; b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; c) in materia di patti parasociali, anche diversi da quelli regolati dall'art. 2341-bis c.c; d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano; e) relativi a rapporti di cui all'art. 2359, comma 1, n. 3), all'art. 2497-septies e all'art. 2545-septies c.c.; f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società cui la norma si riferisce, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario; vii) in materia di cause e procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli precedentemente indicati. Merita subito rammentare, nella materia, che il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario, da cui l'inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d'ufficio ai sensi dell'art. 45; rientra, invece, nell'ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l'ufficio giudiziario diverso da quello ove la prima sia istituita (Cass. S.U., n. 19882/2019). Va poi in generale rammentato che lo spostamento della competenza a favore della sezione specializzata in materia di impresa non può verificarsi in qualsiasi ipotesi di connessione fra domande, ma solo nelle ipotesi di connessione c.d. qualificata di cui agli artt. 31,32,34,35 e 36 c.p.c., come si verifica nel caso in cui la domanda di accertamento della nullità del contratto di fideiussione o di sue singole clausole, per contrasto con la normativa antitrust (legge n. 287 del 1990), sia proposta unitamente a quelle aventi a oggetto la nullità del contratto di conto corrente da cui deriva il credito della banca e la rideterminazione delle somme effettivamente dovute, stante il vincolo di accessorietà della garanzia - che favorisce il simultanues processus - e l'unitarietà del bene della vita perseguito dagli attori nel giudizio, rappresentato dalla esclusione o rideterminazione del loro debito (Cass. n. 23112/2024). Controversie in materia di diritto industriale e d’autore Il citato art. 2, comma 1, stabilisce che le sezioni specializzate sono competenti in materia di: a) controversie di cui all'art. 134 d.lgs. n. 30/2005, e successive modificazioni, con talune eccezioni ivi menzionate; b) controversie in materia di diritto d’autore e di diritti connessi al diritto d’autore. Tali controversie erano già ricomprese nella competenza per materia delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Vengono in questione, dunque, sotto il primo aspetto, le controversie in materia di marchi e brevetti, segni distintivi e simili, e, sotto il secondo aspetto, le controversie riconducibili alla legge sul diritto d'autore (l. 22 aprile 1941 n. 633). Va peraltro precisato che il menzionato art. 134, come modificato dall'art. 19, comma 5, l. 23 luglio 2009, n. 99, si riferisce «ai procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale». Sul tema la S.C. ha osservato che, in tema di controversie aventi ad oggetto fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale, devolute dall'art. 3 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 alla competenza delle sezioni specializzate presso i tribunali, il criterio di attribuzione non coincide con gli istituti della connessione e dell'accessorietà di cui agli artt. 31 e 40 c.p.c. , essendo sufficiente, per affermare la predetta competenza, un collegamento per cui la domanda di concorrenza sleale o di risarcimento del danno richieda anche solo indirettamente l'accertamento dell'esistenza di un diritto di proprietà industriale ed intellettuale (Cass. n. 9167/2008, in Riv. dir. ind., 2009, 329, con nota di Filippelli, La concorrenza sleale interferente con i diritti di proprietà industriale ed intellettuale alla luce dei recenti interventi della Corte di Cassazione, che, regolando la competenza in favore della sezione specializzata del tribunale in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ha affermato rientrarvi la controversia nella quale la asserita titolare di privativa di un sistema di gestione nel settore dell'infortunistica aveva chiesto l'inibitoria all'utilizzo, attraverso comportamenti slealmente concorrenziali, della propria denominazione commerciale protetta). In altri termini, si ha interferenza tre fattispecie di concorrenza sleale a tutela della proprietà industriale o intellettuale sia nelle ipotesi in cui la domanda di concorrenza sleale si presenta come accessoria a quella di tutela della proprietà industriale e intellettuale, sia in tutte le ipotesi in cui, ai fini della decisione sulla domanda di repressione della concorrenza sleale o di risarcimento dei danni, debba verificarsi se i comportamenti asseritamente di concorrenza sleale interferiscano con un diritto di esclusiva. Ne consegue che la competenza delle sezioni specializzate va negata nei soli casi di concorrenza sleale c.d. pura, in cui la lesione dei diritti riservati non costituisca, in tutto o in parte, elemento costitutivo della lesione del diritto alla lealtà concorrenziale, tale da dover essere valutata, sia pure incidenter tantum nella sua sussistenza e nel suo ambito di rilevanze (Cass. n. 12153/2010; Cass. n. 21762/2013, in fattispecie riguardante la violazione di un patto di non concorrenza tra due galleristi d'arte per avere uno di essi aperto la sua galleria a poca distanza dall'altro, ove la S.C. ha riconosciuto una ipotesi di concorrenza sleale pura, con la conseguente dichiarazione di competenza della sezione ordinaria del tribunale). Non sussiste dunque la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa sia quando la domanda miri ad accertare una ipotesi di concorrenza sleale cd. pura (nella quale la lesione dei diritti riservati non sia, in tutto o in parte, elemento costitutivo della lesione del diritto alla lealtà concorrenziale, che esige la valutazione incidenter tantum delle privative in gioco), sia nel caso in cui la richiesta risarcitoria sia proposta in ragione od in connessione ad una ipotesi di abuso di dipendenza economica di un'impresa da un'altra, ai sensi dell'art. 9 l. n. 192/1998, trattandosi di ipotesi - di natura puramente contrattuale - estranea al concetto di abuso di posizione dominante, di cui all'art. 3 l. n. 287/1990 e, quindi, priva di rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato (Cass. n. 22584/2015). Perciò, i procedimenti in materia di concorrenza sleale cd. pura (nei quali, cioè, l'accertamento della lesione del diritto alla lealtà concorrenziale non implica una valutazione incidentale della violazione del diritti di privativa, quale elemento costitutivo dell'illecito) appartengono alla competenza della sezione specializzata in materia d'impresa solo quando presentino elementi di connessione con le azioni in materia di proprietà industriale e sono, in tal caso, attratti alla speciale competenza per territorio stabilita dall'art. 120 d.lgs. n. 30/2005 (Cass. n. 21776/2016). Parimenti, la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi dell'art. 3 d.lgs. n. 168/2003, come modificato dall'art. 2 d.l. n. 1/2012 (conv., con modif., dalla l. n. 27/2012), va esclusa, in favore di quella della sezione ordinaria, nel caso di richiesta risarcitoria per sviamento della clientela riconducibile alla concorrenza sleale cd. pura ove non possa ravvisarsi un'interferenza neppure indiretta con l'esercizio di diritti di proprietà industriale o del diritto d'autore, per essere la prospettazione della parte rivolta non già a contestare la pacifica appartenenza del software, utilizzato dagli acquirenti della merce per i loro ordini, alla società venditrice convenuta, ma esclusivamente il suo utilizzo (o la sua modificazione) tale da impedire che gli ordini inviati tramite la detta piattaforma informatica recassero un qualsiasi riferimento (così come pattuito nel caso di specie) all'individuazione dell'appartenenza dell'ordine alla clientela della società danneggiata (Cass. n. 5656/2017). Sussiste in definitiva la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ai sensi dell'art. 3 d.lgs. n. 168/2003, allorché, ai fini della decisione sulla domanda di repressione della concorrenza sleale o di risarcimento dei danni, debba verificarsi se i comportamenti denunciati interferiscano con un diritto di esclusiva (concorrenza sleale c.d. interferente) avendo riguardo a tali fini alla prospettazione dei fatti da parte dell'attore ed indipendentemente dalla loro fondatezza (Cass. n. 2680/2018). Riassumendo i termini della questione, si è osservato in dottrina (Romano, Questioni ancora aperte in tema di competenza delle sezioni specializzate, ilsocietario.it, 12 aprile 2017) che, nell'ambito della concorrenza sleale, occorre distinguere tra concorrenza sleale «pura» (art. 2598 c.c.) e concorrenza sleale «interferente», la quale ricorre, per l'appunto, qualora interferisca, sia pure indirettamente, con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale. Orbene, è devoluta alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa soltanto la materia della concorrenza sleale «interferente». Va, sul punto, ricordato che, all'indomani dell'introduzione del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (il problema si poneva con riguardo alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale), si erano delineati, nella giurisprudenza di merito, due orientamenti. Secondo il primo, l'interferenza doveva essere intesa come incidenza, anche solo economica, sulla circolazione di beni oggetto di privativa. La nozione in esame veniva, dunque, interpretata in senso estensivo con la conseguenza che l'intera disciplina della concorrenza sleale rientrava in essa e, dunque, nella competenza delle sezioni specializzate (Trib. Napoli 19 maggio 2004, in Riv. dir. ind., 2004, 163 ss., con nota di Franceschelli,Considerazioni su boicottaggio, “concorrenza interferente” e obbligo a contrarre; Trib. Roma 23 aprile 2004, in Riv. dir. ind., 2005, 297, con nota di Caselli, La concorrenza sleale «interferente» e il rito societario). Secondo tale indirizzo, viceversa, la competenza delle sezioni specializzate sussisteva solo nel caso che, accanto alla domanda di accertamento e repressione delle condotte di concorrenza sleale, fosse avanzata proposta anche un'autonoma domanda volta a salvaguardare uno o più diritti di proprietà industriale o intellettuale (Trib. Venezia, 15 luglio 2004 e Trib. Milano, 14 aprile 2004, in Riv. dir. ind., 2005, 32 con nota di Capra, Nuovi orientamenti in tema di competenza delle sezioni specializzate). La S.C. si è orientata in difformità da entrambi gli orientamenti, evidenziando come non si trattasse tanto di interpretare in senso restrittivo o estensivo la nozione di concorrenza, bensì di delineare, con una certa precisione e come criterio valutabile ex ante (Cass. n. 16744/2008), il concetto di interferenza. L'«interferenza», infatti, costituisce una espressione atecnica che non trova riscontri nel codice di rito e, dunque, non può essere assimilata agli istituti della connessione e dell'accessorietà come dimostra la circostanza che, ove il legislatore avesse voluto fare riferimento ad istituti già conosciuti dall'ordinamento processuale, non avrebbe avuto necessità di individuare un diverso criterio di attribuzione diretta della competenza (Cass. n. 9167/2008). In questa prospettiva, l'interferenza deve essere esclusa quando, in base alla domanda dell'attore e alle eccezioni del convenuto, non sia possibile ravvisare alcuna sovrapposizione tra la fattispecie di concorrenza sleale dedotta in causa e un diritto di proprietà industriale. Restano, perciò, di competenza del giudice ordinario soltanto i casi in cui la denunciata violazione del diritto alla lealtà concorrenziale non presupponga alcun riferimento, neppure in chiave di mera delibazione e neppure incidentale, con la pretesa giuridica, e non solo economica, di natura dominicale. È stato così osservato che il punto di congiunzione deve essere ravvisato non nell'incidenza fattuale della condotta sulla circolazione di un bene oggetto di una privativa, ma nella necessità per il giudice di accertare, in una fase qualsiasi del processo, l'esistenza e l'ampiezza di un diritto di proprietà intellettuale. Viene, così, a crearsi una sorta di presunzione di competenza del giudice specializzato, cosicché l'ipotesi opposta rappresenta ed opera come eccezione e, pertanto, deve essere soluzione di stretta applicazione (Filippelli, op. cit., 343). La competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 168/2003 (sia nel testo anteriore che in quello risultante dalle modifiche apportate dall'art. 2 d.l. n. 1/2012, conv., con modif., dalla l. n. 27/2012) va affermata anche nei casi di proposizione di domanda di accertamento di una ipotesi di concorrenza sleale, nella quale la lesione dei diritti riservati sotto forma di know how, ossia di informazioni aziendali e di processi ed esperienze tecnico-industriali e commerciali, sia, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, elemento costitutivo o relativo all'accertamento dell'illecito della lesione del diritto alla lealtà concorrenziale (Cass. n. 25535/2016). Viceversa, appartiene al tribunale ordinario, e non alle sezioni specializzate in materia di impresa, la competenza a decidere sulla domanda di accertamento di un'ipotesi di concorrenza sleale in cui la prospettata lesione degli interessi della società danneggiata riguardi l'appropriazione, mediante storno di dirigenti, di informazioni aziendali, di processi produttivi e di esperienze tecnico-industriali e commerciali (cd. know how aziendale, in senso ampio), ma non sia ipotizzata la sussistenza di privative o altri diritti di proprietà intellettuale, direttamente o indirettamente risultanti quali elementi costitutivi, o relativi all'accertamento, dell'illecito concorrenziale (Cass. n. 11309/2017). In dottrina si è inoltre osservato che l'estensione della competenza delle sezioni specializzate alle controversie «interferenti» non è prevista con riguardo al diritto d'autore, e che, tuttavia, sarebbe auspicabile un'interpretazione estensiva previsione normativa (Casaburi,La tutela della proprietà industriale e il tribunale delle imprese, in Dir. ind., 2012, 522; Mastrorilli,Concorrenza sleale e copyright, in Dir. ind., 2009, 363). Il citato art. 2 richiama come si è visto le controversie contemplate nell'art. 134 del codice della proprietà industriale, che richiama le cause connotate da un legame di connessione, anche impropria, con quelle ivi menzionate, con conseguente rischio di incremento eccessivo del contenzioso affidato alle sezioni specializzate, con le conseguenti ricadute negative sulle finalità perseguite dal legislatore (Santagada, Sezioni specializzate per l'impresa, accelerazione dei processi e competitività delle imprese, in judicium.it; Celentano, Le sezioni specializzate in materia di impresa, in Le società, 2012, 816). Violazione della normativa antitrust Con riguardo alle controversie concernenti violazioni della normativa antitrust nazionale e dell'Unione europea, l'intervento normativo risponde all'esigenza di concentrazione della competenza in precedenza frammentata tra diversi giudici. Difatti: a) le violazioni della disciplina antitrust nazionale radicava la competenza in unico grado della corte d'appello ai sensi dell'art. 33, comma 2, l. n. 287/1990, alla competenza esclusiva; b) le violazioni della normativa antitrust dell'Unione europea radicava la competenza del tribunale o del giudice di pace secondo le normali regole di competenza per valore, con pieno funzionamento del principio del doppio grado di giurisdizione; c) gli illeciti afferenti all'esercizio dei diritti di proprietà industriale, come previsti dalla disciplina antitrust nazionale ed europea, erano devoluti alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ex art. 134, comma 1, lett. a), del codice della proprietà industriale. La competenza della sezione specializzata per le imprese, estesa alle controversie di cui all'art. 33, comma 2, l. n. 287 del 1990 ed a quelle relative alla violazione della normativa antitrust dell'Unione europea, attrae anche la controversia riguardante la nullità della fideiussione riproduttiva dello schema contrattuale predisposto dall'Abi, contenente disposizioni contrastanti con l'art. 2, comma 2, lett. a), della legge n. 287 del 1990, in quanto l'azione diretta a dichiarare l'invalidità del contratto a valle implica l'accertamento della nullità dell'intesa vietata (Cass. n. 6523/2021). Restano escluse dalla competenza delle sezioni specializzate le violazioni della disciplina antitrust riconducibili alla previsione dell'art. 140-bis cod. consumo. Resta inoltre ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti dell'AGCM, ex art. 133, lett. l, c.p.a. Rapporti societari Il comma 2 dell'art. 3 d.lgs. n. 168/2003, e successive modifiche, menziona, dalla lett. a) alla lett. e), le controversie «societarie» attribuite alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa. La norma si applica alle società di capitali, ovvero s.p.a, s.r.l., s.a.p.a., cooperative, società europee, con esclusione delle società di persone, fatta eccezione per quelle che «esercitino o siano sottoposte a direzione o coordinamento» rispetto a società di capitali o cooperative. L'elencazione è considerata dalla dottrina meramente esemplificativa. In tale prospettiva sono state ritenute devolute alla competenze delle sezioni specializzate, ad esempio, oltre all'impugnativa delle delibere assembleari, la nomina del liquidatore, la convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci, la nomina dell'esperto per la stima dei conferimenti o del patrimonio sociale, la denunzia ex art. 2049 c.c., la nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti, il ricorso al giudice del registro (Dalfino, Art. 1, in Costantino (a cura di), I procedimenti in materia commerciale, Padova, 2005, 18 ss; Santagada, op. cit.; Celentano, op. cit., 819; Niccolini, A proposito di una massima imprecisa (con una breve chiosa critica e con qualche osservazione sulla competenza del tribunale delle imprese a conoscere delle controversie sul compenso di amministratori e liquidatori di società di capitali), in Riv. dir. impr., 2016, 276; Houben, Sulla competenza del tribunale delle imprese in materia di titoli obbligazionari, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 364). Vengono ricondotte alla previsione normativa le impugnazioni delle deliberazioni assembleari o del consiglio di amministrazione, le controversie tra socio e singoli organi societari (ad es. la richiesta del socio di convocazione dell'assemblea ex art. 2367 c.c.) e tra organi societari e società, incidenti direttamente sull'organizzazione sociale (es. revoca dell'amministratore (art. 2383, comma 3, c.c.) o di un componente del collegio sindacale, ex art. 2400, comma 2, c.c. (Santagada, op. cit.). Inoltre, poiché nell'ambito dei rapporti societari sono compresi «quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario», si ritiene che la competenza si estenda all'acquisto e la perdita della qualità di socio per recesso o esclusione, nonché alla modificazione del titolo o della misura della sua partecipazione e possibili contestazioni in merito a tali vicende (Santagada, op. cit.). La menzione dei «rapporti societari» viene riferita rapporti endosocietari, ossia quelli che originano dal rapporto di società, con esclusione di quelli che la società intrattiene con i terzi (Montanaro, Art. 1, in Arieta-De Santis (a cura di), Commentario dei processi societari, Torino, 2007, 15). In giurisprudenza si afferma che rientrano nella competenza della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale, e non in quella di un diverso tribunale fallimentare, le istanze cautelari proposte dalla curatela del fallimento di una società di fatto, finalizzate alla fruttuosità delle domande principali di merito, configurate ed azionate dalla curatela stessa, di nullità, di simulazione e di revocatoria di alcuni trust istituiti dai soci falliti o dai loro familiari (Trib. Napoli 1° aprile 2014, in Foro it., 2015, 1, 1388). Parimenti non ricorre la vis actractiva della competenza fallimentare, ex art. 24 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 32 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), quando l'oggetto del giudizio è l'accertamento della nullità di un titolo di proprietà industriale - materia che rientra nella competenza funzionale delle Sezioni Specializzate per l'Impresa - e la domanda non risulta strumentale ad una pretesa monetaria nei confronti del fallimento, tale da giustificare la tutela della massa dei creditori (Trib. Milano 23 maggio 2017, in Dir. ind., 2018, 188). La controversia relativa al compenso spettante all'amministratore di una società di capitali - o, come nella specie, al liquidatore - per l'attività svolta in favore della società non appartiene alla competenza del tribunale delle imprese poiché ha ad oggetto il rapporto di lavoro, eventualmente parasubordinato, o di opera professionale tra detto soggetto e la società (Cass. n. 11448/2014). Viceversa, l'amministratore unico e il consigliere di amministrazione di una società per azioni sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso fra quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c., con la conseguenza che, in questa ipotesi, la cognizione della vertenza relativa all'azione di responsabilità esercitata contro di essi spetta alla sezione specializzata in materia di impresa di cui all'art. 3 d.lgs. n. 168/2003. Peraltro, ciò non esclude che, tra la detta società e la persona fisica che la rappresenta e gestisce, possa instaurarsi un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma le caratteristiche di quello subordinato, parasubordinato o d'opera, con l'effetto che, in tali situazioni, la competenza a conoscere della medesima azione va riconosciuta al giudice del lavoro (Cass. n. 345/2020). La controversia avente ad oggetto il pagamento di oneri periodici dovuti da un socio alla società per il godimento di un bene sociale, in quanto assicurato da una fonte autonoma rispetto al contratto societario, non appartiene alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, configurabile solo in relazione alle liti in cui sia riconoscibile un immediato radicamento causale rispetto alle vicende societarie ed allo status di socio (Cass. n. 22327/2020). Ancora, esula dalla competenza della sezione specializzata in materia d'impresa ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 168/2003, la controversia relativa alla domanda di revocazione di una donazione, pur quando essa abbia avuto ad oggetto, diretto o indiretto, partecipazioni sociali, laddove l'attore lamenti, ai sensi dell'art. 801 c.c., la violazione degli obblighi verso il donante ivi previsti, onde le vicende societarie vi restino del tutto estranee (Cass. n. 22341/2020). Più in generale, l'azione revocatoria che riguardi l'atto di vendita di quote societarie rientra nella competenza del tribunale ordinario e non della sezione specializzata in materia di impresa, atteso che tale azione non comporta conseguenze sulla titolarità delle quote contese né sui diritti connessi, ma può produrre, ove accolta, soltanto l'inefficacia del trasferimento nei confronti di chi agisce, non alterando, per il resto, la situazione proprietaria né l'assetto della società, che non è coinvolta direttamente (Cass. n. 8661/2020). La competenza a decidere delle controversie aventi ad oggetto il compenso dovuto ai sindaci spetta alla sezione specializzata tribunale delle imprese. Il rapporto instaurantesi tra la società e i propri amministratori appartiene al genere dei «rapporti societari» relativamente ai quali l'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003 sancisce la competenza per materia della sezione specializzata tribunale delle imprese (Trib. Roma 3 settembre 2015, in Le società, 2016, 887). Rientra nella competenza per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa il procedimento concernente la nomina ed i poteri dei liquidatori delle società di capitali e cooperative previsto dal comma 1 dell'art. 2487 c.c. nei casi di cui al secondo comma del medesimo articolo (App. Napoli 17 febbraio 2014, in Il caso.it, 2014). Va attribuita alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa la controversia introdotta da un amministratore nei confronti della società e riguardante le somme da quest'ultima dovute in relazione all'attività esercitata, poiché la formulazione dell'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003, facendo riferimento alle cause ed ai procedimenti «relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario», si presta a ricomprendere, quale specie di questi, tutte le liti che vedano coinvolti la società ed i suoi amministratori, senza poter distinguere fra quelle che riguardino l'agire degli amministratori nell'espletamento del rapporto organico ed i diritti che, sulla base dell'eventuale contratto stipulato con la società, siano stati da quest'ultima riconosciuti a titolo di compenso (Cass. n. 2759/2016). Appartiene alla competenza della Sezione specializzata in materia di impresa la controversia relativa all'accertamento della legittimità della determina adottata dal liquidatore di una società, per richiedere al socio versamenti ancora dovuti per far fronte ai debiti sociali, poiché, trattandosi di una decisione dell'organo gestorio che investe la struttura e il funzionamento della società, rientra nell'ambito del genus dei rapporti societari di cui all'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003 (Trib. Napoli 18 ottobre 2016, in Le società, 2017, 1016). In tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, l'uso della disgiuntiva «o» che precede il riferimento alle controversie relative «ai diritti inerenti» di cui all'art. 3, comma 2, lett. b), del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, si riferisce sia ai diritti derivanti dai negozi di trasferimento delle partecipazioni sociali, sia a quelli nascenti da ogni altro negozio che le abbia ad oggetto, sicché ove il credito per il corrispettivo della cessione di una partecipazione sociale sia stato ceduto dal creditore ad un terzo, la controversia da costui proposta per l'adempimento contro il debitore ceduto soggiace alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa (Cass. n. 21910/2014). Ai sensi dell'art. 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (conv. con modificazioni in l. 24 marzo 2012, n. 27), le sezioni specializzate del tribunale delle imprese hanno competenza esclusiva a conoscere non solo delle «cause» societarie, ma pure dei «procedimenti» camerali involgenti società di capitali, tra cui, come nella specie, la richiesta di nomina del liquidatore di s.r.l., a norma degli art. 2487 ss. c.c. (Trib. Modena 23 gennaio 2013). Va attribuita alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa la controversia introdotta da amministratori riguardo alla deliberazione che li abbia revocati per giusta causa, poiché la formulazione dell'art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, facendo riferimento alle cause e ai procedimenti «relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario» si presta a ricomprendere, quale specie di questi, il rapporto tra l'amministratore e la società (Cass. n. 14369/2015). In tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, nelle controversie relative alle partecipazioni sociali o ai «diritti inerenti» queste ultime, di cui all'art. 3, commi 2, lett. b), e 3, d.lgs. n. 168/2003, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. d), d.l. n. 1/2012, conv., con mod., in l. n. 27/2012, detta competenza si determina in relazione all'oggetto della controversia, dovendo sussistere un legame diretto di questa con i rapporti societari e le partecipazioni sociali, riscontrabile alla stregua del criterio generale del petitum sostanziale, identificabile in funzione soprattutto della causa petendi, per la intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (Cass. n. 8738/2017, che ha ritenuto la competenza delle sezioni ordinarie del tribunale in relazione ad un'azione diretta ad ottenere la nullità di un contratto di intermediazione nell'acquisto di azioni a fine di investimento, la cui causa petendi andava, quindi, individuata nel contratto di investimento e non nel trasferimento delle partecipazioni sociali). Con riguardo a quest'ultima decisione si è peraltro osservato che l'interpretazione offerta dalla S.C. non appare corrispondente al dato letterale della norma che, alla lett. a), prende in considerazione, in via autonoma e senza alcuna sovrapposizione, i «rapporti sociali» e, alla lett. b), il trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti. Si tratta, dunque, di concetti che devono essere considerati separatamente (Romano, Trasferimento di partecipazioni sociali e competenza del tribunale delle imprese, in ilsocietario.it, 13 ottobre 2017). Nell'esaminare la questione si è preliminarmente osservato che rientrano nella competenza del tribunale delle imprese non solo i giudizi contenziosi, ma anche quelli di volontaria giurisdizione come è reso manifesto dalla circostanza che l'art. 3 fa riferimento anche ai «procedimenti» (e non solo alle cause) relativi all'elencazione immediatamente successiva (oltre al cit. Trib. Modena, 23 gennaio 2013, v. App. Napoli, 17 febbraio 2014, in Giur. it., 2015, 96, secondo i quali è competente la Sezione specializzata per la nomina, ai sensi dell'art. 2487 c.c., del liquidatore). Il legislatore non ha inteso chiarire il concetto di rapporti societari limitandosi a fornire, come si accennava, un elenco esemplificativo delle fattispecie che vi rientrano. Tuttavia, si è aggiunto, il legislatore ha richiamato una locuzione, quella di rapporti societari appunto, già utilizzata per definire l'ambito applicativo del c.d. processo societario. Ebbene, la differenza tra processo societario e sezioni specializzate in materia di impresa risiede in ciò che il legislatore, con il primo, aveva inteso introdurre un rito autonomo ed originale, senza però creare un giudice specializzato o deroghe alla competenza per materia o per territorio, mentre, con le seconde, ha voluto, conservando il rito del processo di cognizione ordinario, creare un giudice specializzato accentrando la competenza a conoscere le relative controverso in un numero ristretto di tribunale. Stante il parallelismo tra rito societario e sezioni specializzate, si è ritenuto che che gli approdi dottrinali realizzati riguardo al primo possano essere riproposti: ciò posto, vigente il precedente normativo, era diffuso il convincimento che la lata estensione dei rapporti societari cui all'art. 1 d.lgs. n. 5/2003 comportasse l'applicazione del rito speciale a tutte le controversie che traevano origine e fondamento dal contratto di società, ovvero a quelle in cui venivano in considerazione rapporti tra i soci, tra i soci ed organi sociali e, più in generale, alle controversie endosocietarie, attinenti ai rapporti interni e al funzionamento dell'organismo societario. Appartiene alla competenza del tribunale ordinario, ed esula dalla competenza delle sezioni specializzate in materia d'impresa, perché non ha natura di controversia societaria, la lite relativa all'acquisto di azioni dello stesso intermediario finanziario, nella quale il compratore lamenti, ai sensi del d.lgs. n. 58/1998, il mancato rispetto delle norme legali che disciplinano i servizi di investimento, perché la competenza si determina in considerazione della domanda giudiziale, individuando la causa negoziale, come oggettivata nel negozio e prospettata nell'atto di citazione introduttivo (Cass. n. 1826/2018, che ha ritenuto la competenza delle sezioni ordinarie del tribunale, in relazione a domanda diretta a conseguire la dichiarazione di nullità del contratto di acquisto di azioni per violazione delle norme che disciplinano i servizi di investimento, sebbene, in conseguenza di esso, l'attore fosse divenuto socio dell'intermediario finanziario); ribadisce Cass. n. 22340/2020 che esula dunque dalla competenza della sezione specializzata in materia di impresa la controversia relativa all'acquisto di azioni di una società nell'ambito di un contratto di investimento finanziario, nella quale l'attore lamenti, ai sensi del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, la violazione delle disposizioni che regolano la prestazione di servizi di investimento ed il mancato rispetto da parte dell'intermediario delle norme di comportamento poste in capo al medesimo). Appalti pubblici Ai sensi dell'art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 24 marzo 2012, n. 27, in sede di conversione del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (mentre il testo originario faceva esclusivo riferimento a «controversie aventi ad oggetto: marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti d'invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto d'autore, nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale»), le sezioni specializzate sono tra l'altro oggi competenti, relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile, alle società di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all'estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti: «f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario». Per l'individuazione dei «contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria» occorre aver riguardo all'art. 3, comma 16, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (abrogato dall'art. 217, comma 1, lett. e, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, a sua volta abrogato dal d.lgs. n. 36/2023), recante il «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», applicabile ratione temporis. Esso stabilisce che: «I contratti “di rilevanza comunitaria” sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell'imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lett. e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi». Il successivo comma 18 della stessa disposizione precisa che: «I “contratti esclusi” sono i contratti pubblici di cui alla parte I, titolo II, sottratti in tutto o in parte alla disciplina del presente codice, e quelli non contemplati dal presente codice». Poiché sono contratti esclusi non soltanto quelli di cui alla parte I, titolo II, sottratti in tutto o in parte alla disciplina del codice, ma più in generale quelli non contemplati dal codice degli appalti, occorre andare alla disposizione dettata dall'art. 253 d.lgs. 12 aprile 2006, n.163, il quale pone la regola secondo cui, fatte salve talune deroghe qui non rilevanti, «le disposizioni di cui al presente codice si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure e ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte». In breve, sono contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria, per i fini dell'applicazione dell'art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, nel testo vigente, quelli sottoposti al codice degli appalti (nell'arco temporale di vigenza di quest'ultimo) e, dunque, non lo sono quei contratti ad esso antecedenti. In tal senso è stato affermato che il tribunale, sezione specializzata in materia di imprese, è competente, ai sensi dell'art. 3, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 168/2003, a conoscere delle controversie aventi ad oggetto i contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria e, quindi, i contratti sottoposti al codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis), restando pertanto esclusi i contratti ad esso antecedenti (Cass. n. 6327/2017). Deve inoltre essere esclusa la competenza per materia delle Sezioni Specializzate in relazione alle controversie relative ad un contratto di subappalto stipulato dall'appaltatore di un'opera pubblica e strutturalmente distinto dal contratto principale (Trib. Torino 9 maggio 2016). Le sezioni specializzate agrarieLa l. 2 marzo 1963, n. 320, recante «Disciplina delle controversie innanzi alle sezioni specializzate agrarie», soppresse le sezioni specializzate per la risoluzione delle controversie in materia di contratti agrari, all'epoca costituite presso i tribunali e le corti d' appello, ha istituito le sezioni specializzate dei tribunali e delle corti, costituite a sensi della legge medesima prevedendo un collegio costituito anche da due membri laici (che, cioè, non sono giudici togati) esperti in materia agraria (per la vicenda storica concernente le preesistenti sezioni specializzate agrarie, v. Nappi, Tutela giurisdizionale e contratti agrari, Milano, 1994, 125). Gli esperti sono dotati di piene funzioni giurisdizionali, e partecipano cioè alla deliberazione della decisione (Cass. n. 492/1984). Ai sensi dell'art. 3, comma 2, gli esperti vengono scelti tra gli iscritti negli albi professionali dei dottori in scienze agrarie, dei periti agrari, dei geometri e degli agrotecnici; mentre quelli delle corti d'appello vanno scelti solo tra gli iscritti nell'albo professionale dei dottori in scienze agrarie. L'esclusione dalle sezioni specializzate agrarie d'appello degli esperti «chiamati a far parte delle sezioni del tribunale» — prevista dall'art. 3 l. n. 320/1963 — concerne non soltanto i componenti assegnati mediante sorteggio ai collegi giudicanti, ma anche quelli inclusi negli elenchi relativi alle sezioni del tribunale, anche se non sorteggiati. L'inosservanza di tale norma, tuttavia, non dà luogo ad un vizio di costituzione del giudice idoneo a determinare la nullità della sentenza dallo stesso pronunciata, trattandosi di mera irregolarità attinente al procedimento di assegnazione al collegio giudicante e non di carenza totale di legittimazione o di assoluta inidoneità a far parte di un organo giurisdizionale (Cass. n. 4555/1985). Anche a seguito del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, istitutivo del giudice unico di primo grado, il quale ha novellato (con l'art. 14) l'art. 48 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e introdotto (con l'art. 56) nel codice di procedura civile una nuova sezione (la VI - bis nel capo I del titolo I del Libro I) dedicata alla composizione del tribunale (artt. 50-bis - 50-quater c.p.c.), la questione relativa alla devoluzione di una controversia alla sezione specializzata agraria presso il tribunale o a quello stesso tribunale in composizione ordinaria (monocratica o collegiale che sia) continua a costituire questione di competenza e non di mera ripartizione degli affari all'interno di un unico ufficio giudiziario; è di conseguenza ammissibile il conflitto di competenza d'ufficio, allorquando uno di tali organi contesti la propria competenza individuata dall'altro (Cass. n. 19984/2004). Posto che le questioni relative ai rapporti tra il tribunale in composizione ordinaria e la sezione specializzata agraria sono di competenza e non di giurisdizione, anche nel caso della eventuale incompetenza per materia di detta sezione specializzata trova applicazione la disciplina dell'art. 38, alla stregua della quale essa non può essere eccepita dalle parti o rilevata d'ufficio dopo la prima udienza di trattazione, per cui la competenza rimane definitivamente radicata presso il giudice adito anche se in relazione alla natura della controversia si debba disporre il mutamento del rito (da lavoristico ad ordinario o viceversa), in quanto il relativo provvedimento non incide sulla preclusione già verificatasi spostando il termine per l'eccezione o il rilievo d'ufficio (Cass. n. 5829/2007; Cass. n. 3292/2013). L'art. 11, comma 1, nn. 1 e 2, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, recante «Disposizioni complementari al in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione», riproducendo la previsione dell'abrogato art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29, ha confermato l'attribuzione di tutte le controversie in materia di contratti agrari alla competenza delle sezioni specializzate agrarie. Ha in proposito chiarito la S.C. che la competenza funzionale inderogabile, sia per materia che per territorio (da ult. tra le tante Cass. n. 9447/2013) delle sezioni specializzate agrarie si estende a tutte le controversie che implicano l'accertamento, positivo o negativo, di rapporti soggetti alle norme vigenti in materia di contratti agrari e in particolare a quelle che richiedono l'accertamento delle caratteristiche e della natura del rapporto, senza che, nella introduzione del giudizio, le parti siano tenute ad indicare, specificamente ed analiticamente, la natura del rapporto oggetto della lite, essendo il giudice specializzato chiamato a conoscere anche delle vicende che richiedano l'astratta individuazione delle caratteristiche e del nomen iuris dei rapporti in contestazione, pur nella eventualità che il giudizio si risolva in una negazione della natura agraria della instaurata controversia (come nel caso in cui risulti da stabilire se il convenuto per il rilascio di un fondo sia un occupante sine titulo ovvero, alla stregua di una prospettazione prima facie non infondata, detenga lo stesso in forza di un contratto di affitto, o di altro contratto agrario (tra le numerosissime Cass. n. 15881/2014; Cass. n. 4595/2000). Ne discende che la competenza delle sezioni specializzate agrarie è esclusa solo quando dagli atti risulti, prima facie, ossia senza necessità di ulteriori indagini, che l'allegazione della natura agraria del contratto appaia manifestamente infondata, e che l'eccezione d'incompetenza sia stata formulata a scopo meramente dilatorio. In tal senso è stato ribadito che, qualora nel giudizio instaurato dall'attore con domanda di rilascio di un bene immobile il convenuto eccepisca l'incompetenza del giudice adito, deducendo la competenza della sezione specializzata agraria, il giudice deve rimettere a questa la decisione della causa, rientrando nella competenza della medesima anche l'accertamento della natura del rapporto, tranne che, sulla base delle deduzioni delle parti e senza necessità di attività istruttoria, risulti prima facie che la materia del contendere è diversa da quella devoluta alla cognizione del giudice specializzato. L'infondatezza prima facie dell'eccezione di incompetenza in questione sollevata da una delle parti deve ritenersi sussistente, tra l'altro, allorché l'eccezione medesima risulti in insanabile contrasto con la ricostruzione della situazione di fatto e di diritto operata dalla parte a sostegno delle proprie tesi difensive, ovvero manchi del supporto argomentativo minimo indispensabile per chiarire i dati essenziali del rapporto agrario dedotto, quali la specifica natura, la data di inizio, il corrispettivo, l'oggetto (da ult., secondo un indirizzo costante, Cass. n. 2069/2015; Cass. n. 25686/2017). È stato pertanto affermato che appartengono alla competenza delle sezioni specializzate agrarie, tra le altre: la controversia promossa nei confronti dell'affittuario per il risarcimento dei danni derivati dalla ritardata restituzione dell'immobile, perché, pur se il rapporto agrario è cessato, esso comunque costituisce il presupposto logico e giuridico della causa petendi (Cass. n. 15480/2004); la controversia avente ad oggetto il pagamento del prezzo di aggiudicazione della gara per l'asporto od il consumo dell'erba prodotta da pascoli appartenenti ad ente territoriale, soggetti al regime dei beni demaniali (Cass. n. 16186/2001); la domanda di determinazione dell'indennità per miglioramenti apportati ad un fondo agricolo già concesso in colonia parziaria (Cass. n. 736/2001, in Dir. giur. agr., 2001, 758, con nota di Galiberti, La devoluzione delle controversie agrarie alle sezioni specializzate: questione di competenza ovvero di ripartizione amministrativa); la controversia avente ad oggetto le obbligazioni derivanti da un contratto di vendita di erbe per il pascolo (c.d. contratto di pascipascolo) di durata superiore ad un anno (Cass. n. 14792/2004); la controversia relativa alla ripartizione dell'accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili in un contratto di soccida (Cass. n. 5613/1999); la controversia relativa ai miglioramenti eseguiti dal mezzadro senza consenso del concedente (Cass. n. 2116/1996); le controversie aventi ad oggetto il diritto del concedente nei confronti dell'affittuario del fondo rustico al rilascio della parte di terreno necessaria per la ricostruzione di una casa colonica (Cass. n. 5760/1992). Quando, a fronte di domanda di accertamento negativo sull'esistenza di un valido contratto agrario perché posto in essere da un comproprietario dei beni affittati senza il consenso dei restanti comproprietari, il convenuto spieghi domanda riconvenzionale di accertamento di un valido rapporto agrario nei confronti del comproprietario non attore, con ampliamento del thema decidendum anche nei confronti degli originari attori, la competenza per materia sull'accertamento positivo o negativo del rapporto agrario, di carattere trilaterale, impone, salvo che la domanda riconvenzionale risulti prima facie infondata, la rimessione dell'intera controversia alla sezione specializzata agraria, inerendo entrambe le pretese all'accertamento della natura dell'unico rapporto, con conseguente nesso pregiudicante per incompatibilità (Cass. n. 7093/2016). Parimenti, nel caso di domanda di rilascio di bene immobile asseritamente occupato sine titulo, quando il convenuto spieghi domanda riconvenzionale di accertamento di un rapporto di affittanza, la competenza per materia sull'accertamento positivo o negativo del rapporto agrario impone, salvo che la domanda riconvenzionale risulti prima facie infondata, la rimessione dell'intera controversia al giudice specializzato, inerendo entrambe le pretese all'accertamento della natura dell'unico rapporto, con conseguente nesso pregiudicante per incompatibilità (Cass. n. 18111/2015). Viceversa, è fermo in giurisprudenza l'insegnamento secondo cui le controversie in materia di riscatto agrario da parte dell'affittuario coltivatore diretto non rientrano tra quelle devolute alle sezioni specializzate agrarie, ma sono attribuite alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi dell'art. 9, comma 1, che con riguardo ai beni immobili - e tenendo conto della competenza attribuita ai giudici di pace sugli immobili nelle sole ipotesi previste dall'art. 7, comma 3, nn. 1, 2 e 3, c.c.- costituisce un criterio di competenza per materia (Cass. n. 15136/2016). A fronte di detta orientamento, come si è detto consolidato, l'orientamento della dottrina è critico (v. per tutti Nappi, Domanda di retratto e domanda di rilascio: dalla sospensione per pregiudizialità alla continenza di cause il passo è possibile, in Riv. dir. agr., 1992, II, 32). Appartiene inoltre alla competenza del tribunale ordinario, e non a quella della sezione specializzata agraria, ogni controversia relativa alla concessione in godimento di un terreno agricolo destinato all'attività prevalente di allevamento di animali quali cani e gatti, in quanto non collegata funzionalmente alla produzione agraria del terreno, né riconducibile all'esercizio normale dell'agricoltura quale componente o fattore produttivo ad essa connessa secondo la pratica agricola e zootecnica per l'impiego della forza lavoro animale, o delle altre utilità normalmente fornite dal bestiame, nel ciclo produttivo agrario (Cass. n. 12394/2017). Parimenti esorbitano dall'ambito della competenza delle sezioni specializzate le controversie concernenti: risoluzione del contratto di comodato di un immobile ancorché incluso in un complesso di beni con destinazione agricola (Cass. n. 14782/2013); l'accertamento dell'esistenza di un «livello», come tale assimilabile ad una enfiteusi (Cass. n. 9135/2012); l'affitto di un impianto di pesca sportiva (Cass. S.U., n. 6021/2011); il contratto di affitto di «serre», per la coltura di fiori, con annesso ufficio, magazzino, celle frigorifere ed aree di accesso e di sosta (Cass. n. 5403/2001); la locazione di un terreno agricolo non in funzione della sua idoneità alla produzione, ma allo scopo di consentire la realizzazione di una discoteca (Cass. n. 8773/1998); la locazione di un'azienda avente come attività l'allevamento di cavalli da corsa (Cass., S.U. n. 11648/1993) o da polo (Cass. n. 15333/2011). Il citato art. 11, commi 1 e 2, d.lgs. n. 150/2011 si riferisce genericamente, come si è detto, alle «controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto». La norma non prende posizione sulla questione se nella competenza delle sezioni specializzate agrarie siano ricompresi soltanto i procedimenti di cognizione o anche quelli di opposizione all'esecuzione. Già nel vigore della disciplina precedente la S.C. ha ripetutamente affermato che la competenza a decidere l'opposizione a precetto per il rilascio di un fondo rustico spetta alla sezione specializzata agraria se, in relazione ai motivi, è qualificabile come opposizione all'esecuzione; spetta invece al giudice dell'esecuzione se investe il quomodo dell'azione esecutiva, ed è quindi qualificabile come opposizione agli atti esecutivi, materia estranea a quella agraria, per cui non vi è ragione di attribuirla al giudice specializzato (Cass. n. 7399/2001; Cass. n. 11080/2003). L'art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29 — sostanzialmente riprodotto nell'art. 11 d.lgs n. 150/2011 — ha ricondotto tutte le controversie in materia di contratti agrari sia sotto il profilo della genesi, che del funzionamento e della cessazione, nella competenza esclusiva della sezione specializzata agraria, la quale pertanto è competente per l'opposizione all'esecuzione per il rilascio di fondo rustico, con la quale si faccia valere il diritto all'indennità per i miglioramenti e le addizioni (Cass. n. 7518/1999). Non rientra però nella competenza della sezione specializzata agraria l'opposizione all'esecuzione con la quale si fa valere l'invalidità del titolo esecutivo costituito dal decreto di trasferimento del giudice dell'esecuzione per violazione del vincolo trentennale d'indivisibilità del fondo (Cass. n. 6161/2001). Esulano dalla competenza delle sezioni specializzate le opposizioni dirette a paralizzare l'efficacia del titolo ove si alleghino fatti e circostanze la cui cognizione risulti estranea alla materia attribuita al giudice specializzato (Cass. n. 4662/1989; Cass. n. 687/1984). Nel caso di opposizione all'esecuzione successiva, come prevista dal comma 2 dell'art. 615 c.p.c., la domanda va proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione presso il tribunale competente per territorio secondo il disposto dell'art. 27, ossia il giudice del luogo dell'esecuzione (Cass. n. 9687/1994). Quando davanti a quest'ultimo venga ravvisata la competenza per materia del giudice agrario, occorrerà rimettere le parti davanti alle sezioni specializzate, a ciò non ostando la mancata considerazione, da parte dell'art. 616 , del criterio della materia, stante la regola generale della prevalenza dei criteri della materia su quelli del valore (v., anche con riguardo al tentativo di conciliazione, Cass. n. 8370/2005; Cass. n. 2972/2005). Altra questione attinente al reparto di competenza tra giudice ordinario e sezioni specializzate agrarie è quella concernente l'esperibilità procedimento per convalida di licenza e sfratto. Già nel vigore dell'art. 26 l. 11 febbraio 1971, n. 11, tale problema si è presentato in relazione ai contratti agrari. Detto procedimento appartiene inderogabilmente alla competenza funzionale del giudice — ieri il pretore, oggi il tribunale — del luogo in cui si trova la cosa, ai sensi dell'art. 661 c.p.c. , mentre la pretesa di vedere sanzionata la cessazione di un rapporto agrario per scadenza del termine finale implica (ma il punto, come subito si vedrà, è discusso) l'insorgenza di una controversia agraria, funzionalmente devoluta alla cognizione del giudice specializzato: le due discipline, dunque, appaiono ad un primo impatto divaricate ed inconciliabili. La dottrina, tuttavia, ha in passato sostenuto che la disciplina attributiva delle controversie agrarie al giudice specializzato non avesse fatto venir meno la competenza prevista dall'art. 657 c.p.c. Poiché — si è affermato — la competenza per materia della sezione specializzata agraria entra in gioco soltanto quando l'opposizione dell'intimato trasforma il procedimento speciale per convalida in un procedimento ordinario di cognizione e di per sé non esclude logicamente una competenza funzionale del pretore per la convalida della licenza o dello sfratto, qualora l'intimato non comparisca, o comparendo non si opponga alla domanda di convalida e la cognizione in fatto del giudice sia pertanto puramente sommaria, risolvendosi nella mera constatazione, a norma dell'art. 663, della mancata opposizione dell'intimato (Garbagnati, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, 302). Questo, dunque, il nucleo della tesi favorevole alla persistente utilizzabilità del procedimento per convalida in materia agraria: vero è che le controversie agrarie appartengono al giudice specializzato, ma altrettanto vero è che dinanzi al tribunale — ieri pretore — adito con il procedimento per convalida, se non vi è comparizione ed opposizione dell'intimato, neppure vi è controversia ed il giudice, perciò, non conosce di un rapporto agrario, ma si limita a prendere atto dell'inerzia dell'intimato. Anche la giurisprudenza ha talora fatto proprio l'indirizzo dottrinale menzionato, delineando un meccanismo di ripartizione della competenza tra giudice ordinario, titolare della fase speciale del procedimento per convalida, e giudice specializzato agrario, titolare della fase ordinaria. è stato in tal senso rammentato l'orientamento della S.C. secondo cui occorrerebbe riconoscere la competenza del giudice della convalida per la fase sommaria del procedimento, ivi compresa la pronuncia della convalida della licenza o dello sfratto qualora, mancando la comparizione (o l'opposizione) dell'intimato, l'assenza del contrasto precluda la configurazione di una controversia in materia di contratti agrari. Quando invece l'intimato si opponga e il giudice constati la sussistenza di una controversia interessante un contratto agrario egli deve ordinare la rimessione della causa alle sezioni agrarie, senza che gli sia consentito emanare l'ordinanza di rilascio ex art. 665 sempreché l'eccezione non risulti prima facie infondata e pretestuosa (Nappi, Sezioni specializzate agrarie (Competenza nel procedimento per convalida di sfratto), in Riv. dir. agr., 1995, II, 489). A questo indirizzo può ascriversi la decisione secondo cui il giudice adito per la convalida di licenza o di sfratto, ancorché dalla stessa intimazione risulti la natura agraria del rapporto e l'eventuale soggezione di esso alla proroga, deve limitarsi, ove manchi la comparizione dell'intimato, ad accertare la sussistenza delle condizioni estrinseche e formali cui è subordinata l'emanazione dell'ordinanza richiesta (Cass. n. 2073/1977). Un diverso orientamento giurisprudenziale ha invece radicalmente escluso la sopravvivenza del procedimento per convalida in materia di contratti agrari, sostenendo — secondo una linea già condivisa da Cass. n. 5003/1977; Cass. n. 994/1973; Cass. n. 121/1969; Cass. n. 1280/1967 — che, a seguito dell'attribuzione della competenza in materia di controversie agrarie al giudice specializzato «il giudice ordinario non può essere adito neppure con il procedimento sommario di licenza o sfratto» (Cass. n. 13376/1991). In una decisione, vertente su un caso in cui il giudice, pur investito di un'azione per convalida concernente un rapporto agrario, aveva pronunciato l'ordinanza di convalida richiesta, la S.C. ha osservato che la incontroversa esistenza di un rapporto di affitto di fondi rustici assurge di per sé ad elemento discriminatore di competenza, ed impone la devoluzione della lite (circa la cessazione o meno del contratto per scadenza del termine) alla cognizione del giudice specializzato agrario, siano ordinarie o speciali le norme che il predetto dovrà applicare... Tanto precisato in ordine alla integrale devoluzione della materia dell'affitto di fondo agricolo alla competenza del giudice specializzato, ne risulta che la originaria incompetenza funzionale del giudice ordinario sul merito della controversia comporta altresì il difetto, in quest'ultima, della potestas decidendi occorrente per la pronuncia di provvedimenti provvisori. E se, nella suindicata materia, il giudice ordinario non può essere adito nemmeno utilizzando il procedimento sommario di convalida di licenza o di sfratto, appare evidente che il giudice debba declinare la propria competenza in favore di quella della sezione specializzata agraria (Cass. n. 155/1987). Due rilevanti modifiche legislative hanno poi ulteriormente innovato la materia. In primo luogo, il legislatore ha disposto, puramente e semplicemente, che tutte le controversie in materia di contratti agrari sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie (art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29, e quindi art. 11 d.lgs. n. 150/2011). La legge ha dunque attribuito alle sezioni specializzate, come si è visto poc'anzi, tutte le controversie agrarie relative sia alla genesi, che alla cessazione dei rapporti agrari (Cass. n. 8972/1995). In secondo luogo, l'art. 3 l. 26 novembre 1990, n. 353, ha riformulato l'art. 8, comma 2, n. 3, che attribuiva al pretore la competenza funzionale in materia di sfratto per finita mezzadria e affitto a coltivatore diretto rimettendo, invece, alla sua cognizione — poi sostituita da quella del tribunale, oggi prevista dall'art. 21 — le cause relative a rapporti di locazione, comodato di immobili urbani ed affitto di azienda, in quanto non di competenza delle sezioni specializzate agrarie. Ebbene, la modificazione del quadro normativo di riferimento — con l'accentuazione della competenza del giudice specializzato agrario e la sottrazione al pretore, e poi al tribunale, della competenza per materia in ordine alle cause di sfratto per finita mezzadria e affitto a coltivatore diretto — hanno indotto taluni a valorizzare la tesi secondo cui il procedimento speciale non trova più applicazione in materia di rapporti agrari. Caduta l'attribuzione al pretore, quindi al tribunale, delle cause di sfratto per finita mezzadria e affitto a coltivatore diretto, si è sottolineato che tanto l'art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29, quanto l'art. 8, comma 3, n. 3, — oggi, si ripete, la norma di riferimento è l'art. 21 —, nella sua nuova formulazione, perseguono, in campi diversi, l'identico scopo di concentrare presso un unico giudice controversie il cui esame era in precedenza rimesso a giudici diversi, ponendo fine ai molteplici problemi processuali che una simile frammentazione di competenze provocava. Ed in effetti, tali disposizioni sono dotate di una tale connotazione onnicomprensiva da sottrarre all'interprete ogni possibilità di sviare ciascuna controversia dal giudice funzionalmente competente. La dottrina, al riguardo, non ha mancato di osservare che la nuova normativa, eliminando nell'art. 8 il richiamo alle cause di sfratto per finito contratto agrario e lasciando in piedi la disposizione dell'art. 661 c.p.c. che individua nel pretore il giudice davanti al quale deve essere proposto lo speciale procedimento di sfratto, ci pare che escluda la praticabilità della veloce procedura di sfratto con riguardo agli affitti di fondi rustici, i quali, dunque, salvo accordo tra le parti, verranno a termine sempre per sentenza (Germanò, Sulla scadenza dei contratti di affitto in corso al momento dell'entrata in vigore della legge n. 203/1982, in Dir. giur. agr., 1992, 523). Tenuto conto dell'entrata in vigore dell'art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29, la stessa dottrina ha concluso che a partire dal febbraio 1990 appare problematico il riconoscimento di una residua competenza del giudice della convalida in tema di cause agrarie e, quindi, della possibilità di un procedimento speciale di sfratto dell'affittuario per scadenza del rapporto. La conseguenza che pare più lineare, dunque, è quella di un giudizio ordinario davanti alla sezione specializzata (Germanò, op. cit., 524). Inoltre, l'esclusione del procedimento per convalida in materia di rapporti agrari trova, secondo alcuni, significativa conferma nella disposizione che stabilisce che il rilascio del fondo a seguito di giudizio può avvenire solo al termine dell'annata agraria durante la quale è stata emessa sentenza esecutiva (art. 47, comma 2, l. 3 maggio 1982, n. 203). Tale disposizione, cioè, sembra mostrare come il legislatore abbia inteso consentire che la condanna al rilascio di un fondo rustico — in ossequio al principio di favor per l'affittuario che informa la materia — possa avvenire solo in esito ad un giudizio ordinario suscettibile di concludersi con sentenza, non già a seguito del procedimento per convalida (in questo senso Nappi, Tutela giurisdizionale e contratti agrari, Milano, 1994, 274). Ulteriore argomento per l'inammissibilità del procedimento per convalida in materia agraria si desume dall'art. 667 c.p.c., il quale non prevede ormai, e dunque esclude, la possibilità di una fisiologica translatio iudicii dal giudice della convalida ad altro giudice. A conforto dell'inammissibilità dell'azione per convalida nella materia in discussione sembra opportuno aggiungere che il fondamento stesso della tesi ammissiva — l'asserita inesistenza di una controversia dinanzi al giudice della convalida in difetto di comparizione ed opposizione dell'intimato e la limitatezza della cognizione alla mera presa d'atto dell'inerzia di quest'ultimo — si presta a critiche. Non sembra potersi ammettere, infatti, l'assunto secondo cui, nel procedimento per convalida, la controversia insorgerebbe solo a seguito dell'opposizione dell'intimato. Ciò perché, mentre la convalida di licenza possiede la struttura della condanna in futuro — e, dunque, implica una controversia in nuce —, quella di sfratto presuppone una controversia ormai già pienamente in atto, quale pretesa contrapposta ad una resistenza, visto che segue all'inadempimento dell'obbligazione di restituzione della cosa alla scadenza, ovvero di pagamento del corrispettivo. Si deve ricordare, d'altronde, che il procedimento per convalida ha natura di procedimento speciale di cognizione destinato a concludersi con la formazione della cosa giudicata. La cognizione del giudice della convalida, lungi dal limitarsi alla sola constatazione dell'inerzia dell'intimato, si estende allo scrutinio dei presupposti processuali, delle condizioni dell'azione e dei presupposti speciali di ammissibilità del procedimento, dando ingresso all'esame officioso del rapporto di consequenzialità tra fatti esposti ed effetti giuridici invocati. Anche in fase sommaria, perciò, il giudice, investito dell'intimazione di licenza per scadenza del termine finale di un rapporto agrario, conoscerebbe di una controversia inerente alla cessazione del medesimo, contravvenendo al riparto di competenze fissato dal citato art. 9. La giurisprudenza della S.C. non sembra mostrare dubbi nel ritenere che il procedimento per convalida concernente rapporti agrari sia inammissibile dinanzi al tribunale ordinario il quale, senza poter emettere l'ordinanza provvisoria rilascio ex art. 665 c.pc., deve limitarsi a rimettere la causa dinanzi alla sezione specializzata agraria. In tal senso si trova affermato essere incontrovertibile che nel caso in cui, con procedimento sommario per convalida di licenza o di sfratto, venga dedotta in giudizio una controversia relativa all'affitto di fondi rustici, la competenza funzionale attribuita alle sezioni specializzate agrarie esclude totalmente quella del giudice ordinario, il quale difetta, quindi, anche del potere di emettere un provvedimento provvisorio ai sensi dell'art. 665 c.p.c. e deve limitarsi a dichiarare con sentenza la propria incompetenza e rimettere la causa davanti al giudice specializzato, a meno che l'eccezione circa l'esistenza del contratto agrario appaia, a un esame sommario e in modo manifesto e certo, palesemente infondata e pretestuosa. Permane, in tal caso, la competenza del giudice ordinario (Cass. n. 4957/1999; Cass. n. 17/2000). In dottrina è stata anche prospettata la tesi dell'ammissibilità dell'azione per convalida di sfratto dinanzi alla sezione specializzata agraria, a partire dalla previsione dell'art. 661 c.p.c., nella parte in cui stabilisce che «la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente davanti al tribunale». Siffatta previsione — si è sostenuto — dovrebbe risolvere ogni dubbio al riguardo, nel senso che si dovrebbe riconoscere la compatibilità del procedimento per convalida in materia di contratti agrari ed attribuire la competenza alle sezioni specializzate agrarie. Infatti le sezioni specializzate agrarie sono comunque « organi degli uffici giudiziari ordinari, dai quali differiscono per la specialità della composizione ». Con la conseguenza che il rapporto fra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie non può inquadrarsi, nonostante il diverso parere della giurisprudenza, nella categoria della competenza (Trisorio Liuzzi, Tutela giurisdizionale delle locazioni, Napoli, 2005, 273). Si è tuttavia replicato che la tesi si pone in urto proprio con l'art. 661 c.p.c.. L'inderogabilità delle competenze del giudice della convalida e del giudice specializzato agrario, cioè — seguendo i rilievi critici proposti —, si elidono reciprocamente, ed il procedimento per convalida non può essere instaurato né dinanzi al giudice ordinario, né dinanzi alla sezione specializzata. E, quanto all'opinione secondo cui il rapporto tra il tribunale e la sezione specializzata agraria non si porrebbe in termini di competenza, è agevole ricordare che l'indirizzo della giurisprudenza è fermo nell'accogliere la soluzione opposta (Cass. n. 15151/2001; Cass. n. 15365/2000). Sicché, in definitiva, la sola soluzione appagante sembra essere quella, già ricordata, che esclude l'ammissibilità del procedimento per convalida in materia di rapporti agrari (Nappi, Sezioni specializzate, cit., 490), poiché l'attribuzione di tutte le controversie agrarie al giudice specializzato, stante la devoluzione del procedimento per convalida al giudice ordinario, implica che questo, originariamente concepito per operare sui rapporti agrari, sia divenuto, in tale materia, definitivamente inapplicabile, determinando così l'abrogazione per incompatibilità, ai sensi dell'art. 15 disp. prel. c.c., dell'art. 657 c.c., nella parte dedicata ai rapporti agrari (così Masoni, I procedimenti locatizi, Padova, 2004, 349). Il tribunale per i minorenniIl tribunale per i minorenni è istituito in ogni sede di corte d'appello o sezione di corte d'appello, ed è composto da un magistrato d'appello che lo presiede, da un magistrato di tribunale e da due cittadini, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno d'età (art. 2 r.d.l. 20 luglio 1934, n.1404, recante: «Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni»). Non si dubita che il tribunale per i minorenni non sia un giudice speciale, bensì un giudice specializzato della magistratura ordinaria, riconducibile alla previsione dell'art. 102, comma 2, Cost., che contempla la possibilità di partecipazione da parte di «cittadini idonei estranei alla magistratura» (p. es. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 1997, 516; La Greca, Tribunale per i minorenni», in Noviss. dig. it., App., VII, Torino, 1987, 872). Gli esperti sono nominati con decreto del ministro della giustizia, a seguito di deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, durano in carica per un triennio, ma possono essere riconfermati. Ai giudici onorari spettano le indennità stabilite per i giudici popolari di corte d'assise d'appello (art. 1, l. 12 ottobre 1957, n. 978). Ai sensi dell'art. 3, r.d.l. n. 1404/1934, la competenza territoriale del tribunale per i minorenni estende la sua competenza territoriale a tutto il distretto della corte d'appello o della sezione di essa in cui è istituito. L'art. 32 r.d.l. n. 1404/1934 definiva poi la competenza per materia del tribunale per i minorenni. Successivamente l'art. 38 disp. att. c.c., novellato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, ha modificato la competenza del tribunale per i minorenni. Il citato art. 38 è stato poi prima sostituito dall'art. 3 l. 20 dicembre 2012, n. 219 e poi integrato dall'art. 96, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, stabilendo che fossero di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, u.c., c.c. Per i procedimenti di cui all'art. 333 restava esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui fosse in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spettava al giudice ordinario. Erano, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317-bis c.c. . La riforma rispondeva alla ratio della concentrazione della tutela, ai fini dell'effettività della stessa, dinanzi ad un unico giudice (Giordano, Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni ai sensi del nuovo art. 38 disp. att. c.c., ilprocessocivile.it). Nel delineare l'ambito d'applicazione ratione temporis del novellato art. 38 disp. att. c.c., era stato precisato – guardando soltanto alcuni aspetti di maggiore impatto pratico – che la competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica della norma rimaneva radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio fosse stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della perpetuatio jurisdictionis (Cass. n. 21633/2014). Ne derivava che l'art. 38 disp. att. c.c., nella formulazione successiva alla l. n. 219/2012, trovasse applicazione, in conformità anche alla disciplina transitoria dettata dalla predetta legge, soltanto con riferimento ai procedimenti de potestate introdotti dopo la data del 1° gennaio 2013. Discussa, a seguito della riforma dell'art. 38 disp. att. c.c., era stata inoltre l'interpretazione della disposizione nella parte in cui stabiliva che «per i procedimenti di cui all'art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario». Difatti, considerato il dato letterale, ai fini dell'individuazione del giudice competente alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., potevano prospettarsi due soluzioni antitetiche. In particolare, i dubbi derivano dall'utilizzo dell'espressione «nelle disposizioni richiamate nel primo periodo», con riguardo ai provvedimenti devoluti alla competenza del giudice ordinario, in quanto la stessa può essere alternativamente riferita sia al primo periodo della norma, nel quale è ricompresa l'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all'art. 330 c.c., sia al primo periodo della seconda parte della disposizione che invece limita alle domande ex art. 333 c.c. la deroga alla competenza del tribunale per i minorenni. Sulla questione interpretativa era intervenuta la S.C. ha affermato che l'art. 38 disp. att. c.c. comma 1 (come modificato dall'art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. n. 1349/2015, in Fam. dir., 2015, 653, con nota di Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M. in materia di provvedimenti ablativi: iudicium finium regundorum della Cassazione; in Giur. it., 2015, 1110, con nota di Tizi, Competenza del Tribunale ordinario sull'azione di decadenza dalla responsabilità genitoriale ). L'art. 38 disp. att. c.c. è stato novellato dalla l. n. 206/2021, d.lgs. n. 149/2022 (Riforma Cartabia) e da a ultimo il testo della norma è stato rivisto dal c.d. Correttivo alla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. 31 ottobre 2024, n.164). ed ora stabilisce, che: – sono di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti previsti dagli artt. 84, 90, 250, ultimo comma, 251, 317-bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, c.c.; – sono di competenza del tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c., anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli artt. 250, comma 4, 268,277, comma 2, e 316 c.c., dell'art. 710c.p.c. e dell'art. 9l. 1° dicembre 1970, n. 898; in questi casi il tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, senza indugio e comunque entro il termine di quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale ordinario. Il pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, nei casi di trasmissione degli atti dal tribunale per i minorenni al tribunale ordinario, provvede alla trasmissione dei propri atti al pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario; – Il tribunale per i minorenni è competente per i procedimenti previsti dagli articoli 473-bis.38 e 473-bis.39 del codice di procedura civile, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, un procedimento previsto dagli articoli 330,332,333,334 e 335 del codice civile. Nei casi in cui è già pendente o viene instaurato autonomo procedimento ai sensi degli articoli 473-bis.38 e 473-bis.39 del codice di procedura civile davanti al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a richiesta di parte, senza indugio e comunque non oltre quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni; – sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria.; – quando il tribunale per i minorenni procede ai sensi dell'articolo 737 del codice di procedura civile, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni..
BibliografiaAsprella, Articolo 7, in Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, I, Torino, 2012; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 2, Padova, 2004; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I, Torino, 1953; Gionfrida, Competenza in materia civile, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961; Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ. III, Torino, 1988, 110; Segrè, Della competenza per materia e valore, in Comm. c.p.c. Allorio, I, 1, Torino, 1973; Trisorio Liuzzi, Le novità in tema di competenza, litispendenza, continenza e connessione, in Foro it. 2009, 255 ss. |