Codice di Procedura Civile art. 14 - Cause relative a somme di danaro e a beni mobili.Cause relative a somme di danaro e a beni mobili. [I]. Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili [812 3 c.c.], il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito. [II]. Il convenuto può contestare, ma soltanto nella prima difesa [167, 416], il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione. [III]. Se il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. InquadramentoLa disposizione in commento fissa una pluralità di criteri ai fini della determinazione del valore delle cause relative a somme di danaro e a beni mobili, a seconda che: a) l'attore indichi la somma dovuta o dichiari il valore dei beni mobili oggetto della domanda; b) l'attore non provveda a tale indicazione o dichiarazione; c) il convenuto non spieghi contestazioni; d) il convenuto contesti il valore dichiarato o presunto. In particolare, il valore si determina sulla base alla somma indicata o del valore dichiarato, e, in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presuma di competenza del giudice adito. Se, però, il convenuto contesta il valore in tal modo dichiarato o presunto (non dunque il valore indicato, ove si tratti di somme di denaro), il giudice decide ai soli fini della competenza allo stato degli atti e senza procedere ad istruzione. Se, viceversa, il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato anche agli effetti del merito nei limiti della competenza del giudice adito. La giurisprudenza ha in proposito chiarito che la disposizione dell'art. 14, comma 2, secondo cui, qualora il convenuto contesti il valore della domanda, come dichiarato o presunto ai sensi del comma 1, il giudice decide al riguardo ai soli fini della competenza, opera esclusivamente nei casi di controversie aventi ad oggetto cose mobili diverse dal denaro, mentre nessuna utile contestazione è ammessa relativamente alle cause aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro: ne consegue che, ove l'attore non indichi nella domanda la somma pretesa, la causa, nonostante la contestazione del convenuto, deve presumersi di competenza del giudice adito, ai sensi dell'art. 14, comma 1 (Cass. n. 24030/2009; Cass. n. 17457/2007). La dottrina concorda (Gionfrida, 67; Segrè, 177). Ambito di applicazioneLa disciplina della disposizione in esame in esame si applica anche: i) alle controversie riguardanti l'adempimento di un obbligo di fare (Cass. n. 3675/1980; Cass. n. 5335/1982; Cass. n. 320/1985; Cass. n. 2106/1994; Cass. n. 4234/1997); ii) alle controversie in materia di rapporti obbligatori concernenti beni immobili, dal momento che i criteri dettati dall'art. 15 riguardano esclusivamente le azioni reali (Cass. S.U., n. 1767/1977, riguardo a domanda del coltivatore di fondo rustico, rivolta all'accertamento, nei confronti del concedente, dell'avvenuto acquisto della proprietà del fondo medesimo, per effetto dell'esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 8 l. n. 590/1965, trattandosi di domanda ha natura personale; Cass. n. 7298/1993, riguardo a domanda di condanna ad un fare, anche quando l'opera da eseguire abbia ad oggetto un bene immobile, perché tale domanda, non rientrando tra le azioni immobiliari, ha il suo fondamento in un diritto che, non essendo reale, è regolato, ai sensi dell'art. 833 c.c., dalle disposizioni concernenti i beni mobili); iii) alle controversie generate dal fatto illecito del convenuto, non consentendo la formula dell'art. 14 fra debiti di valuta e debiti di valore (Cass. n. 1540/1970; Cass. n. 1812/1973; Cass. n. 12187/1998). Ove, poi, il giudizio prosegua in un grado di impugnazione soltanto per la determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e quella ritenuta corretta secondo l'atto di impugnazione costituisce il disputatum della controversia nel grado e sulla base di tale criterio, integrato parimenti dal criterio del decisum (e cioè del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice), vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite all'attività difensiva svolta nel grado (Cass. n. 27274/2017). Mancanza della indicazione o dichiarazione del valoreSe l'attore non indica la somma di denaro o non dichiara il valore del bene, in mancanza di contestazione del convenuto, la causa si presume competenza del giudice adito e si intende spiegata in misura pari al limite massimo della sua competenza (Cass. n. 14586/2005; Cass. n. 11258/2004; Cass. n. 1895/2002, che, in caso di domanda di risarcimento danni da circolazione stradale proposta davanti al giudice di pace senza precisazione del quantum, ha ritenuto che il valore della causa ammontasse a trenta milioni di lire, traendone la conseguenza dell'impugnabilità della sentenza emessa dal giudice di pace, per il combinato disposto degli artt. 113 e 339, con l'appello e non con il ricorso per cassazione). Il principio che precede, secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, non trova applicazione, in causa relativa a somma di denaro, qualora la domanda attrice, dopo la richiesta di pagamento di un determinato importo, contenga anche il generico riferimento alla «somma maggiore o minore che sarà accertata e ritenuta più giusta ed equa», o altra equivalente, sicché il valore della domanda medesima, ai fini della competenza, va fissato con riferimento all'importo specificato e non può essere presunto di ammontare pari al limite massimo della competenza del giudice adito, sempre che risulti, in relazione ai fatti esposti dall'attore ed alle prove offerte, che detta istanza generica costituisca una mera formula di stile e non una concreta ed espressa riserva per il conseguimento dell'eventuale maggior somma che possa risultare dovuta all'esito dell'istruttoria (Cass. n. 7255/2011). In altre occasioni è stato viceversa affermato che, ove l'attore integri e completi una richiesta specificamente quantificata nel suo ammontare, con una ulteriore sollecitazione rivolta al giudice a determinare il dovuto «in quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia», questa seconda indicazione ha un contenuto sostanziale. La formula in questione manifesta cioè la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata nelle conclusioni specifiche; ne discende che la suddetta richiesta alternativa si risolve in una mancanza di indicazione della somma domandata, con la conseguenza che la domanda, ai sensi della seconda proposizione dell'art. 14 , si deve presumere di valore eguale alla competenza del giudice adito (Cass. n. 1210/2018). In tale prospettiva è stato affermato che, ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, il valore della causa, che va determinato in base al disputatum, deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l'espressione «o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia» o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell'art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, a priori che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l'attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione (Cass. n. 10984/2021). Perciò, in tema di determinazione della competenza per valore, nell'ipotesi in cui una domanda di risarcimento danni venga proposta avanti al giudice di pace con la richiesta della condanna della controparte al pagamento di un importo indicato in una somma inferiore (o pari) al limite della giurisdizione equitativa del giudice di pace ovvero della somma maggiore o minore che risulti dovuta all'esito del giudizio, la formulazione di questa seconda richiesta alternativa non può essere considerata — agli effetti dell'art. 112 — come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata nelle conclusioni specifiche. Ne discende che la suddetta richiesta alternativa si risolve in una mancanza di indicazione della somma domandata, con la conseguenza che la domanda, ai sensi della seconda proposizione dell'art. 14, si deve presumere di valore eguale alla competenza del giudice adito e che, ai sensi del terzo comma della stessa norma, in difetto di contestazione da parte del convenuto del valore così presunto, quest'ultimo rimane «fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito», cioè nel massimo della competenza per valore del giudice di pace sulla tipologia di domande fra cui rientra quella proposta (Cass. n. 15698/2006; Cass. n. 6658/2007; Cass. n. 18778/2007). L'applicazione del principio sopra esposto fa sì che, nel caso in cui vengano proposte cumulativamente dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore al limite massimo di competenza per valore del giudice adito, ed una domanda di condanna ulteriore per la quale non sia indicato alcun valore, quest'ultima deve ritenersi di valore corrispondente al suddetto limite massimo, con la conseguenza che il cumulo delle due domande comporta il superamento della competenza per valore del giudice di pace (Cass. n. 25257/2008; Cass. n. 25258/2008; Cass. n. 2336/2011). Tuttavia, qualora l'attore proponga domanda di risarcimento dei danni, cumulandola con quella di riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria, non si determina lo spostamento della causa al giudice superiore se egli dichiari, in modo inequivoco, di voler contenere l'intero petitum nel limite della competenza del giudice adito, con la conseguenza che la «clausola di contenimento» entro il detto limite diviene vincolante anche agli effetti del merito, sebbene non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. n. 15853/2010; sulla c.d. «clausola di contenimento» v. sub art. 10). Il superamento dei limiti della competenza per valore del giudice adito non si verifica neppure nell'ipotesi di domanda generica di risarcimento del danno, maggiorato di interessi e rivalutazione, poiché trattasi di unica domanda articolata in più voci parimenti illiquide ed indeterminate (Cass. n. 1136/1999; Cass. n. 5815/1996; Cass. n. 4380/1992). Cause relative a somme di denaroNelle cause relative a somme di denaro, se la somma di denaro è indicata, il valore si determina in base alla domanda così formulata, mentre le eventuali contestazioni del convenuto rilevano solo ai fini del merito e non della competenza. Al contrario, se la somma di denaro non è indicata, la causa, come si è visto, si presume di competenza del giudice adito, e si intende proposta per un importo pari al limite massimo della competenza di questi. Nulla rileva la misura del contributo unificato. L'indicazione del valore della causa, riportata in calce all'atto introduttivo del giudizio per la determinazione del contributo unificato dovuto per legge, ha finalità esclusivamente fiscale, sicché non spiega alcun effetto sulla determinazione del valore della controversia ai fini della individuazione del giudice competente (Cass. n. 18732/2015). Si è anche già accennato che, almeno secondo una parte della giurisprudenza, qualora l'attore indichi la somma richiesta, ma faccia salva la domanda di condanna al pagamento della somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, la causa non può considerarsi di valore indeterminabile, sebbene il petitum non sia stato espressamente contenuto nei limiti della competenza per valore del giudice adito, dal momento che, ai sensi dell'art. 14, per le cause relative a somme di denaro e a beni mobili, in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito. Se l'attore indica in corso di causa la somma richiesta, precedentemente non determinata, la competenza si determina in base alla indicazione effettuata, se questa eccede il limite massimo di competenza del giudice adito. Se, al contrario, la somma indicata in corso di causa si colloca al di sotto della soglia minima di competenza del giudice adito, tale quantificazione non rileva ai fini della competenza, ma solo del merito, senza che il giudice, in virtù di ragioni di economia processuale, debba rimettere la causa al giudice inferiore (per le conseguenze dell'aumento e della riduzione del petitum, con le necessarie citazioni di giurisprudenza e dottrina, v. sub art. 10). Formulata la domanda di condanna al pagamento di una somma da liquidarsi in moneta estera, la competenza per valore va determinata in base all'ammontare di moneta italiana calcolato secondo il cambio alla data della proposizione della domanda, non avendo rilevanza le successive variazioni del cambio (Cass. n. 1964/1975). Nello stesso senso si è pronunciata la dottrina (Segrè, 178). La contestazione del convenutoAi sensi del comma 2 il convenuto può contestare nella prima difesa il valore dichiarato o presunto. Per prima difesa deve intendersi la prima scrittura difensiva successiva alla dichiarazione di valore o alla proposizione della domanda priva della detta dichiarazione. In caso di omessa espressa indicazione, da parte dell'attore, della somma richiesta con la domanda di risarcimento dei danni, la possibilità di contestare la presunzione prevista dal comma primo dell'art. 14 non può limitarsi alla formulazione da parte del convenuto di obiezioni generiche o immotivate, ma occorre una specifica impugnativa diretta a dimostrare che il valore del petitum non rientra nella competenza del giudice adito (Cass. n. 5679/2001; Cass. n. 3398/2001). Della stessa opinione è la dottrina (Gionfrida, 67; Segrè, 183). Per i rapporti con l'art. 38 si rinvia al commento relativo. Limiti della cognizione del giudiceIl giudice conosce della competenza per valore sulla base di ciò che risulta dagli atti e senza procedere ad apposita istruzione. La determinazione della competenza per valore ex art 14 va effettuata unicamente alla stregua degli elementi esistenti negli atti al momento in cui il convenuto ha proposto l'eccezione di incompetenza, ossia solo con riferimento alla situazione di fatto indicata dalla norma citata e con riguardo all'effettivo oggetto del giudizio, quale risulta individuato e delimitato dalla domanda originaria, prescindendo, quindi, da ogni ulteriore indagine (Cass. n. 3785/1981). Avverso il provvedimento con cui il giudice abbia deciso solo sulla competenza, respingendo istanze istruttorie tendenti, secondo la prospettazione della parte, a fornire la prova anche relativamente alla competenza, non è ammissibile l'appello, bensì solo il regolamento necessario di competenza. Tale principio è fondato sulla circostanza che l'utilizzazione di prove costituende è estranea al sistema processuale con riferimento alla determinazione della competenza, atteso che la disposizione di cui all'art. 14, comma 2 — a norma della quale il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione —, pur riferendosi ad un'ipotesi particolare (ovvero alla competenza per valore nelle cause relative a somme di denaro o a beni mobili), ha carattere di generalità, rilevandosi, al riguardo, che la novella al codice di procedura civile apportata con la l. n. 353/1990, aggiungendo un comma all'art. 38, ha, appunto, generalizzato il suddetto criterio, stabilendo che la decisione ai soli fini della competenza deve essere adottata in base a quanto risulta dagli atti, senza assunzione di prove orali ma, eventualmente, solo sulla scorta dell'esperimento di sommarie informazioni, ove necessario. Da ciò consegue, altresì, che, in sede di regolamento necessario di competenza, non è censurabile la mancata ammissione di prove costituende, mentre sono suscettibili di valutazione le prove precostituite, essendo la Corte di cassazione, quando decide sulla competenza, giudice anche del fatto, nel senso che può conoscere e sindacare tutte le risultanze fattuali (influenti sulla competenza) rilevabili ex actis (Cass. n. 7586/2007). Effetti della mancata contestazioneL'ultimo comma stabilisce che, in assenza di contestazione del convenuto, il valore dichiarato o presunto rimane fissato nei limiti della competenza del giudice adito anche agli effetti del merito: ciò significa che la sentenza non può non riconoscere all'attore un importo o un bene di valore superiore al limite massimo della propria competenza per valore (Andrioli, I, 1957, 80; Luiso, 102; D'Onofrio, 34; Segrè, 184). In giurisprudenza si esclude l'operatività della presunzione di valore di cui all'art. 14, comma 3, in un processo diverso da quello in cui la presunzione ha trovato applicazione, in particolare, nel giudizio sul quantum, successivo a quello sull'an (Cass. n. 3385/1979). Di diversa opinione la dottrina (Luiso, I, 2011, 103; Segrè, 185). BibliografiaAsprella, Articolo 7, in Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, I, Torino, 2012; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 2, Padova, 2004; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, I, Torino, 1953; Gionfrida, Competenza in materia civile, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961; Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ. III, Torino, 1988, 110; Segrè, Della competenza per materia e valore, in Comm. c.p.c. Allorio, I, 1, Torino, 1973; Trisorio Liuzzi, Le novità in tema di competenza, litispendenza, continenza e connessione, in Foro it. 2009, 255 ss. |