Codice di Procedura Civile art. 36 - Cause riconvenzionali.Cause riconvenzionali. [I]. Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali [167 1, 183, 416 2, 418] che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore [7 ss.]; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti. InquadramentoLa disposizione in commento è dedicata alle domande riconvenzionali. Con tale formula si definisce in dottrina non soltanto la controdomanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore, ma, più in generale, qualunque controdomanda proposta contro chi è già parte del processo: e così la domanda «trasversale» proposta da un convenuto (o intervenuto, o chiamato) contro altro convenuto (o intervenuto, o chiamato), nonché la c.d. reconventio reconventionis proposta dall'attore nei confronti del convenuto che abbia spiegato la riconvenzionale (Evangelista, 1). Così è stato affermato che, in caso di più convenuti, la domanda formulata da uno di questi nei confronti di un altro ed avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità esclusiva del secondo rispetto alla domanda risarcitoria formulata dall'attore, va qualificata come domanda riconvenzionale, e può essere proposta negli stessi limiti di quest'ultima (Cass. n. 6846/2017). Dalla domanda riconvenzionale si distingue l'eccezione riconvenzionale, con cui il convenuto fa valere una situazione soggettiva diversa da quella azionata dall'attore, ma al mero scopo di paralizzare la domanda attrice e, dunque, senza ampliare l'ambito oggettivo del giudizio, ossia al solo fine di ottenere il rigetto della domanda della controparte (Evangelista, 1). In giurisprudenza si precisa che l'eccezione riconvenzionale (a differenza della domanda riconvenzionale, la quale va pertanto esaminata anche nel caso che la domanda principale sia stata dichiarata inammissibile: Cass. n. 1666/2004) non amplia l'oggetto del giudizio e non provoca spostamenti di competenza (Cass. n. 16314/2007; Cass. n. 73/2010; Cass. n. 9044/2010; Cass. n. 4233/2012; Cass. n. 14852/2013). E cioè, l'eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l'opposizione al diritto fatto valere dall'attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo. Ne consegue che la declaratoria di inammissibilità (Cass. n. 7292/2021). Così, ad esempio, si trova affermato che a caratterizzare la domanda riconvenzionale è sufficiente che il provvedimento richiesto dal convenuto non si esaurisca nel rigetto della domanda dell'attore: pertanto, qualora il convenuto in un giudizio di rivendica o di accertamento della proprietà, chieda, a sua volta, che venga accertato che è esso convenuto il titolare della proprietà (o comproprietà) della cosa al momento della decisione, l'istanza proposta ha la natura di domanda riconvenzionale; si è, invece, in presenza di una mera eccezione se il convenuto si limita a chiedere l'accertamento di una vicenda giuridica - come ad esempio, l'usucapione - per effetto della quale l'attore non è mai divenuto proprietario o ha cessato di esserlo (Cass. n. 1211/2017). Si ritiene in prevalenza, in dottrina, che la norma non regoli i presupposti di ammissibilità della riconvenzionale, ma operi quale disposizione sulla sola competenza: e, cioè, che sia ammissibile una riconvenzionale priva di connessione con la domanda principale (Franchi, in Comm. Allorio, 1973, 352; Evangelista, 5; Andrioli, I, 1957, 125). La giurisprudenza adotta una soluzione ampia, che consente la domanda riconvenzionale pur in mancanza di connessione, a condizione che sussista un collegamento obbiettivo tra le pretese, tale da giustificare il simultaneus processus, sempre che le domande appartengano entrambe alla competenza del medesimo giudice (Cass. n. 14519/2002; Cass. n. 14520/2002; Cass. n. 14521/2002; Cass. n. 312/2003; Cass. n. 9656/1999. L'ammissibilità della domanda riconvenzionale del convenuto è in altri termini subordinata, ai sensi dell'art. 36 c.p.c., alla comunanza del titolo già dedotto in giudizio dall'attore o di quello che appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non ecceda la competenza per materia o per valore del giudice adito; tuttavia, se la domanda riconvenzionale non comporta lo spostamento di competenza, è sufficiente un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento oggettivo con la domanda principale, tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus, secondo la valutazione discrezionale del giudice di merito, cui è richiesto di motivare al riguardo (Cass. n. 5484/2024). D'altronde, l'inammissibilità della domanda riconvenzionale che non comporti spostamento di competenza non è rilevabile d'ufficio, ma solo su tempestiva eccezione della parte riconvenuta (Cass. n. 8814/2015). Si richiede invece la connessione per la reconventio reconventionis dell'attore, senza di che rimarrebbe travolta la uguale regola che impedisce all'attore di introdurre nel corso del giudizio (salvo particolari eccezioni) domande nuove (Cass. n. 3639/2009). Anche, nell'ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione, potendo a tale principio derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una reconventio reconventionis, che però, per non essere tardiva, può essere introdotta solo nella domanda di risposta e non nel corso del giudizio di primo grado (Cass. n. 22754/2013). Va qui ricordato che nel processo tributario non è possibile formulare domande riconvenzionali, poiché tale giudizio ha ad oggetto esclusivamente il controllo di legittimità, formale e sostanziale, di uno degli specifici atti impositivi elencati nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 25635/2022). Effetti sulla competenzaLa disposizione adotta un criterio analogo a quello previsto dall'art. 34 e, come tale disposizione, possiede oggi un campo di applicazione limitato, sia per l'abolizione del pretore, sia per la disciplina dei rapporti tra giudice di pace e tribunale, all'art. 40, comma 7, secondo cui la competenza del giudice superiore attrae quella del giudice di pace. In forza della previsione secondo cui il giudice conosce delle domande riconvenzionali «purché non eccedano la sua competenza per materia o per valore», egli può a contrario conoscere della domanda riconvenzionale devoluta alla competenza per territorio semplice di un giudice diverso oppure alla competenza per valore del giudice inferiore, mentre non è derogabile la competenza per materia sulla riconvenzionale del giudice inferiore. Per effetto della stessa previsione, d'altronde, la rimessione può investire l'intera causa e non la sola riconvenzionale, sicché la domanda principale può essere attratta dinanzi al giudice superiore competente per la domanda riconvenzionale (v. per le diverse ipotesi prospettate Cass. n. 5910/1984; Cass. n. 2284/1988; Cass. n. 2720/1988; Cass. n. 4798/1991; Cass. n. 768/1993; Cass. n. 2269/1998; Cass. n. 3608/1999; Cass. n. 11415/2010; Cass. n. 18785/2010). In tema di opposizione a decreto ingiuntivo vale la regola secondo cui la competenza per detta opposizione, attribuita dall'art. 645 all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile, stante l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione, sicché essa non può subire modificazioni neppure per una situazione di connessione (Cass. S.U., n. 9769/2001). Tale principio si applica anche in caso di opposizione dinanzi al giudice di pace, sul rilievo che il già citato art. 40, comma 7, non ha inciso sul principio per cui la competenza funzionale del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo prevale sulle ragioni di connessione stabilite dagli artt. 36 e 40 (da ult. Cass. n. 3870/2014 ove si chiarisce che, nel caso in cui sia proposta dall'opponente domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice di pace, questi è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all'opposizione e rimettendo l'altra al tribunale). In tema di fallimento vale poi il principio secondo cui, qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 ss. l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria (Cass. S.U., n. 23077/2004; Cass. n. 18691/2014). L'attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, nè trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, atteso che la cd. reconventio reconventionis non è un'azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all'attore un'adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse (Cass. n. 26782/2016). Spostamento e separazione delle causeSe la domanda riconvenzionale è devoluta alla competenza di un giudice superiore per materia o valore, il giudice adito con la principale, secondo l'art. 36 «applica le disposizioni dei due articoli precedenti». Il giudice adito può dunque scegliere tra il rimettere l'intera causa al giudice superiore competente per la riconvenzionale, sempre che non sia titolare di competenza inderogabile sulla domanda principale, e il separare le cause rimettendo al giudice superiore la sola riconvenzionale, tenuto conto della controvertibilità o facile accertabilità (v. art. 35) della domanda principale (Franchi, Franchi, in Comm. Allorio, 1973, 362). La scelta è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice non suscettibile di impugnazione con regolamento di competenza (Cass. n. 2997/1990), sempre che il giudice, nella sua valutazione, si sia fondato su ragioni concernenti la controvertibilità o facile accertabilità della principale (Cass. n. 4700/2003). Qualora sia proposta dinanzi al giudice di pace una domanda, e venga formulata dalla parte convenuta una rituale domanda riconvenzionale da considerarsi pregiudiziale rispetto a quella principale, l'intera controversia, ai sensi degli artt. 34 e 36, deve considerarsi appartenente alla competenza del tribunale dinanzi al quale deve, perciò, essere rimessa (Cass. n. 11415/2010, concernente domanda di risarcimento danni per abusiva installazione di un elettrodotto e riconvenzionale di acquisto della relativa servitù per usucapione). Qualora sia chiesta in giudizio la divisione ereditaria di un bene immobile e il convenuto abbia proposto una riconvenzionale devoluta alla competenza della sezione specializzata agraria, la vis attractiva di tale competenza non opera con riferimento alla domanda principale di scioglimento della comunione ereditaria (Cass. n. 1527/2018). Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace, ove venga proposta dall'opposto domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del giudice adito, questi non è tenuto a separare le due cause, trattenendo quella relativa all'opposizione e rimettendo l'altra al tribunale, in quanto detta domanda è inammissibile e, pertanto, inidonea ad incidere sia sulla competenza per valore del giudice adito, sia sulle sorti del processo (Cass. n. 18863/2017). La pronuncia ha aderito alla soluzione prospettata dal tribunale nell'istanza di regolamento di competenza. La S.C. ha ricordato essere principio consolidato l'affermazione della competenza funzionale e inderogabile del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo per il caso di opposizione avverso il provvedimento: principio che vale anche quando il provvedimento è assunto dal giudice di pace. Una tale competenza riservata comporta che, se è proposta una domanda riconvenzionale eccedente la competenza del giudice di pace, di questa debba conoscere il tribunale, ferma la competenza del giudice di pace. Ma la regola della conseguente separazione delle cause vale soltanto nel caso in cui la riconvenzionale provenga dalla parte opponente, che nel giudizio di opposizione riveste il ruolo del convenuto. La domanda che, per contro, è formulata dall'opposto proviene da un soggetto non legittimato, che deve intraprendere un separato giudizio. Una tale domanda è inidonea a incidere sulla competenza per valore del giudice adito e sulle sorti del processo. Ne segue che quella stessa domanda non produce la necessità che, in sede di regolamento di competenza, si separino le due domande per indirizzare ciascuna di esse al giudice competente a deciderne il merito. Non è ammissibile il cumulo in unico processo della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, con quella di divisione dei beni comuni dei coniugi, soggetta al rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l'una dall'altra (Cass. n. 6424/2017). BibliografiaBalbi, Connessione e continenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ., III, Torino 1988, 457; De Petris, Connessione (diritto processuale civile), in Enc. dir., IX, Milano 1961, 10; Fabbrini, Connessione (diritto processuale civile), in Enc. giur., VIII, Roma, 1988. |