Codice di Procedura Civile art. 50 - Riassunzione della causa 1 .Riassunzione della causa 1. [I]. Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente [44, 49 2] avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione [136] della ordinanza di regolamento [375 1] o della ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito [44], il processo continua davanti al nuovo giudice2. [II]. Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue [307 3, 310 2]. [1] Articolo così sostituito dall'art. 3 l. 14 luglio 1950, n. 581. [2] Comma così modificato dall'art. 45, comma 6, della l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito la parola "sentenza" con la parola "ordinanza" e le parole "sei mesi" con le parole "tre mesi". InquadramentoLa dichiarazione di incompetenza del giudice adito non chiude il processo, che invece, secondo la disposizione in commento, continua dinnanzi al giudice dichiarato competente (anche nell'ipotesi di impugnazione proposta dinanzi a giudice incompetente: Cass. S.U., n. 18121/2016 per l'appello; Cass. n. 15463/2020, con riguardo alla volontaria giurisdizione), sempre che la causa venga riassunta nel termine fissato dal giudice nell'ordinanza che ha dichiarato l'incompetenza o, in mancanza, in quello di tre mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito. La materia è stata riformata dalla l. n. 69/2009 ha modificato il comma 1 della norma in esame, che oggi si riferisce non più alla sentenza, ma all'ordinanza declinatoria della competenza, dal momento che la pronuncia di incompetenza a forma di ordinanza. È stato inoltre dimezzato il termine per la riassunzione del giudice adito (tale provvedimento, ora, assume la veste dell'ordinanza) e dimezzando l'originario termine semestrale per la riassunzione che è oggi trimestrale. Quando, a norma dell'art. 50, la riassunzione della causa — disposta a seguito di una pronuncia dichiarativa di incompetenza — davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato dal giudice o, in mancanza, dalla legge, il processo continua davanti al nuovo giudice mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali di quello svoltosi davanti al giudice incompetente, poiché la riassunzione non comporta l'instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario (Cass. n. 19030/2008;Cass. n. 9915/2019; Cass. n. 5542/2021). L'omessa fissazione, ad opera del giudice di merito, del termine per operare la riassunzione a seguito di provvedimento di incompetenza, non implica nullità della decisione, né priva la pronunzia della propria natura di statuizione sulla competenza, soccorrendo all'uopo il termine ex art. 50 , destinato a trovare applicazione anche allorché si tratti di pronunzia resa ai sensi dell'art. 427 c.p.c. (Cass. n. 2033/2017). La situazione prevista dalla norma può presentarsi sia per effetto della decisione pronunciata dal giudice di primo grado che di quella del giudice di appello o, infine, della Corte di cassazione, sia a seguito di regolamento di competenza che di ricorso ordinario. TerminiIl termine per la riassunzione della causa decorre, ai sensi dell'art. 50, dalla data di comunicazione della sentenza che abbia dichiarato l'incompetenza ovvero, in mancanza, da quella della sua notificazione, a nulla rilevando che il giudice, con statuizione da considerare tamquam non esset, lo abbia fissato con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza, la quale costituisce un atto interno alla cancelleria, di cui la parte non ha notizia (Cass. n. 12313/2019). La sentenza con cui il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, dichiara l'incompetenza territoriale non comporta anche la declinatoria della competenza funzionale a decidere sull'opposizione ma contiene necessariamente, ancorché implicita, la declaratoria di invalidità e di revoca del decreto stesso, sicché quello che trasmigra innanzi al giudice ad quem non è più una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, bensì un ordinario giudizio di cognizione concernente l'accertamento del credito dedotto nel ricorso monitorio. In tale giudizio riassunto è, pertanto, ammissibile l'istanza di autorizzazione alla chiamata del terzo, seppur non avanzata in precedenza, potendo la riassunzione cumulare in sé anche la funzione introduttiva di un nuovo giudizio e non traducendosi ciò in una violazione del contraddittorio, in quanto il chiamato non resta assoggettato alle preclusioni e alle decadenze eventualmente già maturate nella precedente fase del giudizio (Cass. n. 1121/2022). Il termine assegnato dal giudice, con il provvedimento che dichiara la propria incompetenza, per la riassunzione ai sensi dell'art. 50, comma 1, non può essere inferiore o superiore a quello minimo e massimo stabiliti dall'art. 307, comma 3, ne consegue che - analogamente all'ipotesi in cui il giudice si sia astenuto dall'esercitare il potere discrezionale - trova applicazione sussidiaria esclusivamente il termine perentorio massimo previsto dalla norma di legge che è quello di tre mesi dalla comunicazione del provvedimento che dichiara l'incompetenza del giudice adito (Cass. n. 11204/2019). Contenuto ed effetti dell'atto di riassunzioneL'atto di riassunzione non richiede una nuova procura (Cass. n. 4045/1991). Il contenuto dell'atto è quello previsto dall'art. 125 disp. att.. Nessuna nullità si determina peraltro se la riassunzione venga effettuata con citazione anziché con comparsa, purché contenga tutti i requisiti di questa (Cass. n. 10692/1992). In particolare, occorre nell'atto di riassunzione l'esplicito riferimento alla precedente fase processuale, unitamente alla manifestazione di volontà di far riprendere il corso del processo. Peraltro, in tema di translatio iudicii prevista dall'art. 50, dovendo la comparsa di riassunzione contenere, ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.c., «il richiamo dell'atto introduttivo del giudizio», ai fini della validità dell'atto riassuntivo non è necessario che in esso siano riprodotte tutte le domande della parte in modo specifico, ma soltanto che sia richiamato — senza necessità, cioè, di integrale e testuale riproduzione — l'atto introduttivo in base al quale è determinabile per relationem il contenuto della comparsa di riassunzione, nonché il provvedimento in forza del quale è fatta la riassunzione medesima (Cass. n. 12524/2010). L'atto di riassunzione del giudizio che segue, ai sensi dell'art. 50, ad una pronuncia d'incompetenza del giudice precedentemente adito, può contenere una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, posto che la particolare funzione dell'atto riassuntivo (che è quella di conservare gli effetti sostanziali della litispendenza) non è di ostacolo a che esso cumuli in sé anche quella introduttiva di un nuovo giudizio, nel quale, secondo le regole proprie di svolgimento, dovrà essere assicurato il contraddittorio. (Cass. n. 223/2011, che però ha affermato il principio in relazione a causa soggetta alle disposizioni processuali previgenti all'entrata in vigore della l. n. 353/1990; per le cause introdotte successivamente deve ritenersi operante il principio opposto). Poiché la decisione non va comunicata alla parte non costituita, nel caso di ordinanza emessa a definizione del giudizio per regolamento di competenza, il termine per la riassunzione decorre anche per la parte contumace dalla pubblicazione dell'ordinanza (Cass. n. 6823/2010). Nell'ipotesi in cui il giudice adito dichiari il proprio difetto di competenza, la translatio iudicii davanti al giudice competente esige che le parti si costituiscano, nuovamente, in modo tempestivo e rituale, provvedendo ad una seconda iscrizione a ruolo e rispettando i termini ex artt. 165 e 166 (Cass. n. 4215/2014). La riassunzione determina la sanatoria retroattiva del vizio di incompetenza e produce la conservazione di tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al giudice incompetente (Cass. n. 1241/1995). Di conseguenza, la prescrizione risulta interrotta e sospesa sin dall'epoca della domanda originaria (Cass. n. 3981/1988). Inoltre rimangono acquisite le prove raccolte dal giudice incompetente (Cass. n. 11234/2013). Il giudice innanzi al quale le parti, a seguito di dichiarazione di incompetenza, riassumano il processo deve provvedere sulle sole spese della fase di riassunzione e non anche su quelle della fase precedentemente svoltasi innanzi al giudice incompetente, le quali vanno liquidate da quest'ultimo (Cass. n. 3122/2017). La mancata riassunzione nei termini determina l'estinzione del processo (v. sub art. 307). La translatio iudicii in materia di giurisdizioneIl codice di procedura civile, nella sua originaria formulazione, faceva discendere distinte conseguenze dalle pronunce declinatorie della competenza e della giurisdizione ed altresì dalle sentenze rese dalla Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza e di giurisdizione. Nell'un caso, una volta dichiarata dal giudice la propria incompetenza (per materia, per valore o per territorio), ovvero pronunciata dalla Corte di cassazione la sentenza di regolamento, la parte interessata poteva riassumere il giudizio ai sensi dell'art. 50 entro il termine stabilito dal giudice in non più di sei mesi, con la conseguenza che il processo introdotto dinanzi al giudice incompetente proseguiva senza soluzione di continuità dinanzi a quello competente, attraverso un congegno definito come translatio iudici, mediante l'atto di riassunzione. Nell'altro caso, quello delle pronunce declinatorie di giurisdizione ovvero delle sentenze delle Sezioni Unite dichiarative del difetto di giurisdizione, per essere dotato di giurisdizione un diverso giudice, il congegno della translatio iudici, secondo un'opinione per decenni graniticamente accolta, non aveva modo di operare. Il processo, dunque, non poteva che ripartire da zero. In tale quadro, la S.C., modificando il proprio precedente indirizzo, ha affermato che la translatio iudicii trova applicazione anche in caso di dichiarazione del difetto di giurisdizione (Cass. S.U., n. 4109/2007). Sullo stesso tema si è poco dopo pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte cost. n. 77/2007), che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 30 l. n. 1034/1971 (l. Tar) nella parte in cui non prevedeva che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta dinanzi ad un giudice privo di giurisdizione si conservassero. Quest'ultima pronuncia ha espressamente previsto che il vuoto normativo determinato dalla dichiarazione di incostituzionalità, pur potendo essere supplito per via interpretativa, dovesse essere riempito attraverso un'appropriata ed urgente novella del codice di rito, da ritenersi vincolata — queste le parole del giudice delle leggi — «solo nel senso che essa dovrà dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato — a seguito di declinatoria di giurisdizione — davanti al giudice che ne è munito». Sulla scia della pronuncia della Corte costituzionale, dunque, l'art. 59 l. n. 69/2009, ha introdotto un congegno destinato ad operare — per i soli processi «nuovi», nulla disponendo in proposito l'art. 58 l. n. 69/2009, dettato in materia di disciplina transitoria — ogni qual volta il giudice (qualunque giudice: civile, amministrativo, contabile, tributario o speciale) dichiari il proprio difetto di giurisdizione: la norma è collocata al di fuori del codice di rito, giacché disciplina la translatio iudicii non soltanto dal giudice ordinario ad altri giudici, bensì in tutte le combinazioni astrattamente prospettabili. Dopodiché la S.C. ha affermato che la traslatio iudicii, che assicura la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale, è applicabile, già anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 59 della l. 69/2009, anche nei rapporti tra diverse giurisdizioni e pure con riferimento alle pronunce declinatorie di giurisdizione dei giudici di merito, atteso che, da un lato, le differenze di organizzazione tra giudice ordinario e speciale non possono danneggiare l'efficienza e l'efficacia del servizio giustizia e, dall'altro, che le parti dispongono, per la soluzione dell'eventuale conflitto negativo di giurisdizione tra i giudici di merito, del ricorso per cassazione ex art. 362, comma 2 (Cass. n. 4247/2017, che ha ritenuto ammissibile, pur non essendo applicabile, ratione temporis, l'art. 59 della l. 69/2009, la riassunzione della causa davanti al giudice tributario dopo che la sezione lavoro di un tribunale, di fronte alla tempestiva impugnazione di una cartella di pagamento, aveva declinato la propria giurisdizione). La translatio iudicii, anzitutto, non può aver luogo né (ovviamente) in caso di difetto assoluto di giurisdizione, ovvero quando non vi sia alcun giudice dotato di potestas iudicandi in ordine alla domanda introdotta, né qualora sia dotato di giurisdizione un giudice straniero. In quest'ultima ipotesi, perciò, non resta alla parte interessata, preso atto della pronuncia dichiarativa del difetto di giurisdizione, che introdurre ex novo il giudizio dinanzi al giudice straniero. Dubbi, poi, suscita la previsione secondo cui il giudice che dichiara il proprio difetto di giurisdizione «indica... il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione». Sorge, in proposito, il quesito se, nel dichiarare il difetto di giurisdizione, il giudice a quo debba limitarsi ad individuare il plesso giurisdizionale dotato di giurisdizione (e così limitarsi alla pronuncia del difetto di giurisdizione, appartenendo essa, di volta in volta, al giudice amministrativo, ovvero contabile, ovvero tributario ecc.), oppure se debba indicare l'ufficio giudiziario competente. In effetti, la formula adottata («indica altresì... il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione») appare sostanzialmente analoga a quella prevista in tema di pronuncia dichiarativa dell'incompetenza dall'art. 44, ove si fa riferimento alla «competenza del giudice... indicato», il che indurrebbe ad optare per la seconda soluzione prospettata. In caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione, occorre poi precisare che il processo, tempestivamente riassunto innanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, non è nuovo ma costituisce, per effetto della translatio iudicii, la naturale prosecuzione dell'unico giudizio. Ne consegue che, in applicazione dell'art. 5, assume rilievo, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, la legge vigente e lo stato di fatto esistente al momento della proposizione dell'originaria domanda, senza che rilevino i mutamenti successivi (Cass. n. 4484/2013). È valida la sentenza che, nel dichiarare il difetto della propria giurisdizione, indichi il giudice che ritiene munito di giurisdizione in motivazione, anche se non nel dispositivo, poiché ciò è sufficiente ad adempiere a quanto prescrive l'art. 59 l. n. 69/2009 (Cass. n. 7680/2012). L'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 59, procedendo per ordine, nell'affermare che la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione «è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo», si pone sulla scia dell'opinione giurisprudenziale secondo cui le pronunce in tema di giurisdizione pronunciate dalla Corte di cassazione possiedono un'efficacia c.d. panprocessuale (Cass. S.U., n. 16779/2005; Cass. S.U., n. 27899/2005; Cass. S.U., n. 14854/2006), provenendo dall'organo cui spetta di regolare la giurisdizione. Anche la decisione declinatoria della giurisdizione resa dal giudice ordinario è vincolante, ma in più circoscritta misura. Ciò è detto dal comma 2 della disposizione, primo periodo, ove si afferma che, riproposta la domanda dinanzi al giudice indicato come dotato di giurisdizione entro il termine perentorio ivi previsto di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria della giurisdizione, «le parti restano vincolate a tale indicazione». La pronuncia del giudice di merito, a differenza di quella delle Sezioni Unite, è dunque vincolante solo per le parti e nel processo in cui è stata pronunciata — e sempre che vi sia stata la tempestiva riassunzione —, ma non anche per il giudice, quantunque la causa sia stata dinanzi a lui tempestivamente riproposta: il che vuol dire che le parti non possono nuovamente sollevare la questione di giurisdizione dinanzi al giudice ad quem, potendo invece, naturalmente, contrastare l'effetto di vincolo mediante l'impugnazione, sul punto, della pronuncia declinatoria della giurisdizione. Il giudice ad quem, per parte sua, non è soggetto al vincolo, e può dunque dissentire dalla pronuncia che ha affermato la sua giurisdizione utilizzando il meccanismo previsto dal comma 3 dell'art. 59, e cioè sollevando d'ufficio, con ordinanza, la questione davanti alle Sezioni Unite. Ciò, prosegue la norma, deve avvenire entro la prima udienza fissata per la trattazione del merito: in caso contrario la questione di giurisdizione è definitivamente preclusa. Ai fini del regolamento di giurisdizione d'ufficio, l'art. 59, comma 3, l. n. 69/2009, a norma del quale il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d'ufficio la questione di giurisdizione davanti alle Sezioni Unite « fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito», dev'essere interpretato nel senso che il limite oltre il quale il secondo giudice non può sollevare il conflitto di giurisdizione, nel processo davanti al giudice ordinario, non è costituito dal compimento della prima udienza, se nell'udienza prevista dall'art. 183, comma 1, c.p.c. il giudice adotta i provvedimenti indicati nello stesso comma 1, ma dal fatto che il giudice non si sia limitato all'adozione di provvedimenti ordinatori ed eventualmente decisori su questioni impedienti di ordine processuale, logicamente precedenti quella di giurisdizione; in tal caso, quel limite si sposta all'udienza che il giudice fissa in base al comma 2 del medesimo articolo (Cass.S.U., n. 5873/2012). L'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 59 l. n. 69/2009, fa salve «le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione»: ossia quelle dettate dall'art. 41. La clausola di salvezza così formulata dà adito a dubbi. Non può negarsi, infatti, che, valorizzando il dato meramente letterale, potrebbe sostenersi che il regolamento preventivo possa essere proposto nella seconda fase del giudizio, dopo che il primo giudice abbia dichiarato il proprio difetto di giurisdizione ed il processo sia stato reintrodotto dinanzi al giudice dotato di giurisdizione: ma questa soluzione, naturalmente, farebbe venir meno il carattere di vincolatività della pronuncia sulla giurisdizione, come configurato dal nuovo art. 59 l n. 69/2009. Sicché, ponendo l'accento sulla ratio complessiva dell'istituto, sembra da credere che la salvezza delle disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione debba essere intesa semplicemente nel senso che, qualora il regolamento preventivo sia stato proposto già nella prima fase del giudizio, la decisione della Corte di cassazione farà stato anche nella seconda fase del giudizio medesimo, sicché il secondo giudice, la cui giurisdizione la Corte di cassazione abbia riconosciuto in sede di regolamento preventivo, non potrà sollevare conflitto contro la decisione con cui il primo giudice abbia indicato il secondo come dotato di giurisdizione. Il secondo comma dell'art. 59 l. n. 69/2009, già in parte esaminato, contiene il cuore della disciplina della translatio iudicii, e pone al tempo stesso gli interrogativi di maggior rilievo. Occorre anzitutto sottolineare che la norma nulla sembra disporre per la translatio iudicii dalle Sezioni Unite al giudice che queste hanno stabilito essere dotato di giurisdizione, ma pare disciplinare la sola translatio iudicii c.d. orizzontale (Gioia, 476): i riferimenti che la norma contiene alle pronunce sulla giurisdizione delle Sezioni Unite non coinvolgono il funzionamento del congegno di translatio. Sicché, seguendo le indicazioni fornite dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 4109/2007), per la riassunzione davanti al giudice di merito a seguito della decisione delle Sezioni Unite troveranno applicazione rispettivamente gli artt. 367, comma 2, e 392 secondo si tratti di pronunce resa su regolamento di giurisdizione o in sede di impugnazione. Dal secondo periodo del secondo comma della norma emerge, anzitutto, che la riproposizione della domanda dinanzi al giudice dotato di giurisdizione va effettuata non con l'atto di riassunzione previsto dall'art. 125 disp. att., ma mediante un nuovo atto introduttivo redatto in conformità alla disciplina dettata per il giudizio dinanzi al giudice ad quem. L'osservanza del termine trimestrale va verificata a seconda della natura dell'atto di riassunzione/reintroduzione: essa coinciderà con la notificazione in caso di citazione e con il deposito in caso di ricorso. Il comma 2 dell'art. 59 l. n. 69/2009, nel primo periodo, stabilisce che, riproposta tempestivamente la domanda, «nel successivo processo... sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute». Con tale formulazione, dunque, il legislatore ha voluto prestare ossequio all'invito della Corte costituzionale a fare applicazione del principio di conservazione degli effetti della domanda giudiziale, principio inteso, in conformità ad un orientamento dottrinale, quale produzione retroattiva degli effetti dell'introduzione del processo dinanzi al giudice ad quem (Ricci, 701). In mancanza di tempestiva riassunzione o prosecuzione del giudizio, ai sensi del comma 4 del citato art. 59 l. n. 69/2009, si ha l'estinzione del processo. Essa — prosegue la norma — è dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. BibliografiaAcone, Regolamento di competenza, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1989; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2012; Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996; Gioia, Decisione delle questioni di giurisdizione, in Consolo-De Cristofaro (a cura di), La riforma del 2009, Milano, 2009; Ricci, Difetto di giurisdizione e (così detta) translatio iudicii, in Riv. dir. proc. 2008, 701; Trisorio Liuzzi, Regolamento di giurisdizione, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997. |