Codice di Procedura Civile art. 51 - Astensione del giudice 1 .

Mauro Di Marzio

Astensione del giudice 1.

[I]. Il giudice ha l'obbligo di astenersi [815, 52, 78 att.]:

1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;

2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [74 ss. c.c.] o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio [82] nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro [810] o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico [612;

5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa  3.

[II]. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore.

[2]  La Corte cost. 23 dicembre 2005, n. 460 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità costituzionale del presente numero sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.

[3]  Numero così modificato dall'art. 16 l. 9 gennaio 2004, n. 6.

Inquadramento

La norma in commento elenca i casi in cui il giudice è tenuto ad astenersi astenersi oppure può chiedere di astenersi, in ragione di taluni rapporti con la causa potenzialmente idonei a minare la sua imparzialità. Nei casi in cui egli è tenuto a astenersi, le parti hanno inoltre il potere, regolato dal successivo art. 52, di proporre la istanza di ricusazione.

Peraltro, l'obbligo di astensione del magistrato, pur non essendo configurabile per la mera esistenza di gravi ragioni di convenienza ex art. 51, comma 2, sussiste non soltanto nei casi indicati specificamente dall'art. 51, comma 1, bensì in tutti quelli in cui sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri (Cass. S.U., n. 5701/2012; Cass. S.U., n. 19704/2012).

Nei casi contemplati dal comma 1 della norma in esame, d'altronde, il magistrato è tenuto all'astensione, ovvero è passibile di ricusazione, indipendentemente dallo scrutinio dell'intento suo o di un prossimo congiunto di trarre un qualche vantaggio dalla posizione ricoperta: opera cioè nei suoi confronti una presunzione iuris et de iure di parzialità, sicché egli non è ammesso a provare l'insussistenza in concreto di ragioni di astensione, ovvero di ricusazione Il legislatore ha posto a carico del magistrato che si trovi in una delle situazioni previste dall'art. 51, comma 1, una presunzione assoluta di parzialità, indipendentemente da qualsiasi analisi, nel caso concreto, della sua effettiva esistenza (Romboli, 2).

In difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (Cass. n. 13935/2016;Cass. n. 7378/2016; Cass. n. 8392/2015).

Difatti, in difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché l'art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione; né detti istituti, cui si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall'art. 6 della Convenzione EDU, che, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost. (da ult. Cass. n. 21094/2017). 

Ed anzi, le norme interne che attengono all'astensione e alla ricusazione non contrastano né con l'art. 6 della Convenzione EDU né con l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea né con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ma, al contrario, in virtù del novellato art. 111, comma 1, Cost., ad esse è stato impresso un rafforzamento costituzionale, in connessione con l'espansione internazionale del diritto di difesa. Ne consegue la piena compatibilità delle predette norme con la tutela a livello europeo del diritto fondamentale ad un processo equo (Cass. n. 2270/2019).

Le diverse ipotesi di astensione obbligatoria

L'interesse nella causa previsto dal n. 1 della disposizione ricorre secondo la dottrina quando il magistrato sarebbe legittimato ad intervenire in giudizio ai sensi dell'art. 105 (Dittrich, 96).

Non costituisce dunque valido motivo di ricusazione (ed a monte, perciò, di astensione) la appartenenza dei membri di un collegio giudicante (nella specie investito del reclamo avverso il decreto di inammissibilità della domanda di risarcimento danni avanzata, ai sensi della l. n. 117/1988, da un avvocato), sotto il profilo dell'interesse del giudice alla causa, al gruppo associativo denominato «Magistratura democratica», dal momento che tale ipotesi postula la ricollegabilità dell'interesse a fatti e circostanze specifiche (Cass. n. 22540/2006; Cass. n. 25263/2008).

In giurisprudenza si è altresì chiarito l'inosservanza dell'obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 1, determina la nullità del provvedimento emesso solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del procedimento; mentre in ogni altra ipotesi la violazione dell'obbligo di astensione assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede di impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento (Cass. n. 7545/2011; Cass. n. 2270/2019).

In tale prospettiva l'interesse in altra causa vertente su identica questione di diritto viene considerato quale interesse meramente indiretto (Segrè, in Comm. Allorio, 1973, 632).

La norma prevede poi al n. 2  vincoli di parentela tra il giudice (o la moglie: ma la disposizione risale all'epoca in cui l'accesso in magistratura non era consentito alle donne, sicché il riferimento deve intendersi al coniuge) e le parti in causa ovvero i difensori di esse. Alla parentela viene equiparata la convivenza, nonché la situazione del «commensale abituale», che non sembra avere riscontro nei repertori di giurisprudenza.

Viene poi considerato il caso in cui il giudice o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori. Ai fini della configurabilità dell'obbligo del giudice di astenersi, ai sensi dell'art. 51 n. 3, non vale ad integrare la pendenza di una causa la mera presentazione di un esposto, che non è un atto di citazione, un ricorso o comunque un atto di impulso idoneo a dare inizio ad un procedimento giudiziale; né tale presentazione può configurare l'obbligo di astensione per «grave inimicizia», che deve essere reciproca ed originata da rapporti privati (Cass. n. 7683/2005 concernente procedimento disciplinare dinanzi al consiglio dell'ordine dei farmacisti).

Non è «causa pendente» tra ricusato e ricusante, ai sensi dell'art. 51, n. 3, il giudizio di responsabilità di cui alla l. n. 117/1988, atteso che il magistrato non assume mai la qualità di debitore di chi abbia proposto la relativa domanda, questa potendo essere rivolta, anche dopo la l. n. 18/2015, nei soli confronti dello Stato (Cass. n. 13018/2015).

Ancora in tema di grave inimicizia, essa non può, in linea di principio, originare dall'attività giurisdizionale del magistrato, se non in presenza di situazioni, eccezionali e patologiche, di violazione grossolana e macroscopica di principi giuridici, indicativa di un esercizio della giurisdizione volto al perseguimento dello scopo di danneggiare la parte per ragioni di ostilità, ma si riferisce a rapporti estranei al processo, in particolare alla presenza di ragioni di rancore o di avversione pregiudicanti l'imparzialità del giudice; ne consegue che non è configurabile il detto motivo di astensione-ricusazione per il semplice fatto che, in cause similari riguardanti la stessa parte, il giudice abbia emesso, o concorso ad emettere, decisioni ad essa sfavorevoli (Cass. S.U., n. 12345/2001).

La inimicizia del ricusato — è stato ribadito — non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le anomalie denunciate siano tali da non consentire neppure di identificare l'atto come provvedimento giurisdizionale; tuttavia, qualora ricorra tale ipotesi, il giudice della ricusazione deve anche accertare se quelle anomalie, in ipotesi ascrivibili ad altre cause, siano state determinate proprio da grave inimicizia nei confronti del ricusante, su cui incombe il correlato onere di allegare fatti e circostanze rivelatrici dell'esistenza di ragioni di avversione o di rancore estranei alla realtà processuale (Cass. n.  18976/2015; Cass. S.U., n. 13018/2015; da ult. Cass. S.U., n. 18395/2017).

Quanto ai rapporti di credito o debito, è stato detto che il contratto, anche di durata, con una delle parti del processo — esclusi soltanto i rapporti obbligatori del magistrato con lo Stato o altro ente pubblico per ragioni di residenza o di utenza con azienda erogatrice di servizi pubblici — vale a costituire i rapporti di credito e di debito, che rendono l'astensione del magistrato obbligatoria (Cass. S.U., n. 5701/2012).

Parimenti, nei giudizi che coinvolgono istituti di credito, non sussiste l'obbligo di astensione ex art. 51, comma 1, n. 3), c.p.c. del magistrato che abbia in corso rapporti contrattuali (nella specie, conto corrente e mutuo) con banche di rilevanti dimensioni e patrimonializzazione, instaurati mediante il ricorso a moduli contrattuali standardizzati, salvo che non risultino pattuite clausole a lui inequivocabilmente più favorevoli (Cass. n. 10987/2022).

Il n. 4 espone situazioni eterogenee accomunate dal fatto che il giudice, nelle diverse situazioni, ha già manifestato, sia pure in diverso grado a seconda dei casi, il proprio convincimento. Assume rilievo, in particolare, il caso in cui il giudice abbia già conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo. Si è in proposito osservato:

i) l'obbligo di astensione di cui all'art. 51 n. 4 va circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia nel precedente grado di giudizio (Cass. n. 5753/2009; Cass. n. 16119/2006); l'obbligo di astensione non sussiste dunque in caso di svolgimento di semplici attività istruttorie, o in caso della decisione sulla richiesta di riunione di processi, che non incide in alcun modo sulla materia del decidere. Analogamente deve escludersi l'obbligo di astensione anche con riferimento al caso in cui il giudice abbia delibato la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, giacché anche la giurisprudenza costituzionale, pur premettendo che l'espressione «in altro grado del processo» deve ricomprendere anche la fase di un processo avente carattere di autonomia e non può essere limitata al solo grado del processo in senso stretto, ha costantemente affermato che, per aversi identità di causa, la pronuncia deve attenere al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni sul merito dell'azione proposta nella prima fase (Cass. n.  7378/2016).

ii) l'obbligo di astensione imposto dall'art. 51, n. 4, al giudice che abbia conosciuto della causa in altro grado concerne esclusivamente il caso dell'avvenuta partecipazione alla decisione oggetto di gravame, non anche quello di semplici attività istruttorie (Cass. n. 4412/2001; Cass. n. 9905/2003);

iii) analoga all'attività dell'istruttore è quella del relatore di cui all'art. 377, la cui relazione non ha contenuto decisorio, con la conseguenza che egli non deve astenersi nell'ambito del procedimento di cassazione di cui all'art. 380-bis  (Cass. n. 24140/2010);

iv) l'obbligo di astensione nei confronti del giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo — rivolto ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima regiudicanda nell'unico processo — non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni (Cass. S.U., n. 12345/2001), tantomeno se il giudice abbia in precedenza pronunciato in sede penale (Cass. n. 15268/2019, con riferimento al giudice istruttore di un giudizio di divisione, il quale sia era in precedenza pronunziato in un giudizio penale a carico di una delle parti parte, peraltro in relazione al delitto di lesioni volontarie in danno dell'altra parte).

v ) la norma dell'art. 51, n. 4, relativa all'obbligo di astensione del giudice che della causa «ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo», non è applicabile nell'ipotesi di cassazione per error in procedendo con rinvio cd. restitutorio (o improprio) al medesimo giudice che ha emesso la decisione cassata, atteso che tale giudizio di rinvio, diversamente da quanto accade nell'ipotesi di rinvio cd. proprio a seguito di annullamento per i motivi di cui ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 non si configura come un grado diverso ed autonomo da quello concluso dalla sentenza cassata (Cass. n. 2248/2021);

vi ) il collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest'ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l'interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass. n. 1542/2021).

È stato dunque ribadito che i casi di astensione obbligatoria del giudice stabiliti dall'art. 51, ai quali corrisponde il diritto di ricusazione delle parti, in quanto incidono sulla capacità del giudice, determinando una deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge, sono di stretta interpretazione e non sono, pertanto, suscettibili di applicazione per via di interpretazione analogica; ne consegue che l'obbligo di astensione sancito dal n. 4 del citato articolo nei confronti del giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo - rivolto ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima regiudicanda nell'unico processo - non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni (Cass. n. 22930/2017, che ha escluso la ricorrenza di un caso di astensione obbligatoria con riferimento al giudice che dopo avere emanato decreto exart. 148 c.c., opposto, al quale era seguita sentenza del tribunale, in diversa composizione, mai impugnata, aveva composto il collegio di appello che aveva conosciuto della richiesta di revisione delle condizioni di cui alla detta sentenza). In ogni caso, qualora ricorrano le condizioni di cui all'art. 51, n. 4,  la parte ha l'onere di far valere mediante tempestiva e rituale istanza di ricusazione exart. 52, la sussistenza delle ragioni di doverosa astensione, senza che, in mancanza, possa invocare, in sede di gravame, come motivo di nullità della decisione, la violazione, da parte del giudice, dell'obbligo di astenersi (Cass. n.  17864/2016). Il collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest'ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l'interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass. n. 14655/2016, in Ilprocessocivile.it, 2016, 15 settembre, nota di Asprella).

Ovviamente, nell'ambito del procedimento di cassazione exart. 380-bis, non ricorre l'obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 4, in capo al giudice relatore autore della proposta di cui al comma 1 della citata disposizione, in quanto detta proposta non riveste carattere decisorio, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per il collegio, all'esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o modificarla (Cass. n. 7541/2019).

Va anche ricordato che la Corte costituzionale:

i) ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità della disposizione in esame laddove non prevede l'obbligo di astensione quando, per effetto di rimessione al primo giudice ex art. 354, lo stesso magistrato venga nuovamente investito della medesima controversia (Corte cost. n. 341/1998);

ii) ha anche ritenuto che l'interpretazione costituzionalmente orientata dell art. 28 l. n. 300/1970 (statuto dei lavoratori) impone di ritenere che l'obbligo di astensione del giudice per avere conosciuto della causa in altro grado sussiste nella fase dell'opposizione al decreto emesso ai sensi di detta norma (Corte cost. n. 387/1999);

iii) ha però escluso il contrasto della norma in discorso con l'art. 24 Cost. nella parte in cui essa non prevede l'obbligo di astensione del giudice del merito che abbia concesso ante causam un provvedimento d'urgenza (Corte cost. n. 326/1997; Corte cost. n. 193/1998);

iv) ha parimenti escluso l'incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede l'obbligo di astensione per il giudice che abbia pronunciato l'ordinanza exart. 186-quater(Corte cost. n. 168/2000).

Il n. 5 della norma in commento si riferisce ad ipotesi in cui il giudice rappresenta la parte e dunque finisce per immedesimarsi con essa.

v) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 51, l. 28 giugno 2012, n. 92 e  51, comma 1, n. 4, censurati nella parte in cui non prevedono, in caso di opposizione avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore avverso il licenziamento, l'incompatibilità del medesimo giudice persona fisica a trattare sia la fase sommaria che quella di opposizione a cognizione piena (Corte cost. n. 275/2015; Corte cost. n. 78/2015).

Il giudice che abbia autorizzato una società in concordato preventivo a presentare istanza di fallimento nei confronti di altra società, ai sensi dell'art. 51, n. 4, non può fare parte del collegio che dovrà deliberare in ordine a tale istanza. L'incompatibilità che si verifica non priva però il giudice della potestas iudicandi né comporta la nullità della pronuncia di tale collegio, ma dà solo luogo ad un obbligo di astensione suscettibile di essere fatto valere dall'interessato attraverso la ricusazione exart. 52  (Cass. n. 12066/2017). Il principio trova fondamento sul precetto dettato dall'art. 25 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 123 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), secondo cui il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, nè può far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti. Tale norma è effettivamente applicabile al caso indicato, giacché «i giudizi che abbia autorizzato» sono quelli ai quali si riferisce il numero 6 del comma 1 della stessa disposizione, il quale attribuisce al giudice delegato il potere di autorizzare «il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto», in funzione della delicatezza della relativa decisione, che potrebbe anche essere foriera di passività per la procedura, in ipotesi di soccombenza: giudizi tra i quali, alla luce dell'ampia latitudine del precetto normativo, va ricompreso anche il caso del ricorso per dichiarazione di fallimento, autorizzato dal giudice delegato per essere il creditore istante sottoposto a procedura di concordato preventivo, in relazione alla deliberazione adottata sul ricorso così presentato, neppure ricorrendo una delle ipotesi in cui l'autorizzazione non è necessaria ai sensi dell'art. 31 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 128 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza). Tuttavia, la norma secondo cui il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, non fa che istituire un'ipotesi di incompatibilità, determinata dalla manifestazione di un'opinione sia pur delibatoria e prognostica in ordine alla fondatezza dell'azione, dunque di una situazione latamente riconducibile alla previsione dell'art. 51, comma 1,  n. 4, (incompatibilità già esclusa alla luce dell'assetto giurisprudenziale formatosi nel vigore della disposizione previgente: p. es. Cass. n. 13881/2015), la quale non priva il giudice di potestas iudicandi, ma dà soltanto luogo ad un obbligo di astensione suscettibile di essere fatto valere dall'interessato attraverso la ricusazione, ai sensi dell'art. 52. In mancanza di specifici precedenti concernenti l'autorizzazione prevista dall'art. 25 l. fall. La S.C. ha richiamato, nel senso indicato, l'analogo indirizzo formatosi con riguardo alla previsione dettata dall'art. 99 della stessa legge, laddove stabilisce, con riguardo alle impugnazioni dello stato passivo, e dunque in un contesto in cui la cognizione del giudice delegato, per quanto sommaria, è evidentemente più approfondita di quella che si dispiega in sede di semplice autorizzazione a stare in giudizio, che: «Il giudice delegato al fallimento non può far parte del collegio». In proposito la S.C. ha affermato che, ai sensi del novellato art. 99,  frutto di discrezionalità legislativa, dopo che la Corte costituzionale aveva escluso l'applicabilità dell'art. 51, n. 4, per la natura comunque sommaria della verifica del passivo, il giudice delegato è un giudice che ha conosciuto della causa nel primo grado di giudizio, con la conseguenza che la nuova disciplina del citato art. 99 non si basa su una inesistente mancanza di potestas iudicandi, ma costituisce - così come si è affermato nel caso dell'art. 25, comma 2, - una particolare applicazione dell'art. 51, n. 4 (Cass. n. 24718/2015). Ne discende che l'incompatibilità del giudice, riscontrata nel caso considerato, non comporta nullità della sentenza ove alla violazione del dovere di astensione del medesimo non abbia fatto seguito l'istanza di ricusazione della parte interessata (Cass. n. 16861/2013; Cass. n. 12115/2013), salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, che pone il giudice nella posizione sostanziale di parte, e d'incompatibilità derivante dalla previsione di diversa composizione del collegio giudicante, quale quella contenuta nella sentenza di cassazione con rinvio.

La violazione dell'obbligo di astensione, previsto dall'art. 186-bis  disp. att. per il giudice dell'esecuzione che abbia conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione, è deducibile solo con lo strumento della ricusazione ai sensi dell'art. 52, e non in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza emessa dal giudice che avrebbe dovuto astenersi (Cass. S.U., n. 1545/2017).

Quanto alla conseguenza della violazione dell'obbligo di astensione, occorre rammentare che detta violazione può essere fatta valere dalla parte unicamente con l'istanza di ricusazione nei modi e termini di cui all'art. 52 e non, tranne che per l'ipotesi di interesse diretto del giudice nella causa, come motivo di nullità della sentenza (Cass. n. 3930/2009), mentre — come si è già visto — non può essere dedotta mediante impugnazione (Cass. n. 14807/2008).

Le gravi ragioni di convenienza

Il comma 2 della disposizione in in commento contempla l'astensione del giudice in presenza di gravi ragioni di convenienza. In tal caso egli può chiedere al capo dello ufficio l'autorizzazione ad astenersi.

È il caso del magistrato il quale risulti avere, o avere avuto, una relazione sentimentale con una qualsiasi delle parti dei processi nei quali è chiamato a giudicare o con taluno dei legali che tali parti assistono. In tale ipotesi egli viene a trovarsi in una situazione in cui, per gravi ragioni di convenienza, ha l'obbligo deontologico di astenersi, atteso che il legame di affetto tra il giudice e la parte o il suo difensore finisce per intaccare la serenità e la capacità del giudice di essere imparziale, ovvero per ingenerare, sia pure ingiustificatamente, il sospetto che egli possa rendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali ed intesa, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare gli eventuali destinatari; ne consegue che la mancata, tempestiva presentazione di istanza di astensione, integrando lesione di regole basilari della deontologia professionale nello svolgimento dell'attività giudiziaria, costituisce illecito disciplinare (Cass. n. 21947/2004).

Bibliografia

Dittrich, Incompatibilità astensione e ricusazione del giudice civile, Padova, 1991; La China, Giudice (astensione e ricusazione), Dig. civ., IV, IX, Torino, 1993; Romboli, Astensione e ricusazione del giudice (diritto processuale civile), in Enc. giur., III, Roma, 1988.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario