Codice di Procedura Civile art. 83 - Procura alle liti 1 .

Mauro Di Marzio

Procura alle liti 1.

[I]. Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura.

[II]. La procura alle liti può essere generale o speciale, e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata [2699, 2703 c.c.].

[III]. La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della citazione [163], del ricorso [366, 414], del controricorso [370], della comparsa di risposta [167, 416] o d'intervento [267 1], del precetto [480] o della domanda d'intervento nell'esecuzione [499] , ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato. In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica 2.

[IV]. La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa volontà diversa.

 

[1] In materia di misure di prevenzione del contagio da COVID-19, v quanto disposto dall'art. 83, comma 20-ter, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27. Successivamente il citato comma 20-ter è stato abrogato dall'art. 66-bis, comma 12, d.l. 31  maggio 2021, n. 77, conv., con modif., in l. 29 luglio 2021, n. 108.

[2] Comma così modificato dall'art. 1 l. 27 maggio 1997, n. 141. L'art. 2 della stessa legge stabilisce poi che « La disposizione di cui all'articolo 1 si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge». Successivamente il presente comma è stato ulteriormente modificato dall'art. 45, comma 9, della l. 18 giugno 2009, n. 69(legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Precedentemente a tale ultima modifica, il testo recitava: «La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, del controricorso, della comparsa di risposta o d'intervento, del precetto o della domanda d'intervento nell'esecuzione. In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce».

Inquadramento

La procura alle liti consiste nell'estrinsecazione di un contratto di mandato avente ad oggetto l'esecuzione, da parte del difensore, di una prestazione d'opera professionale. V'è però una duplice caratteristica che rende la figura del tutto peculiare, tanto che in proposito si è parlato di atto di semplice « designazione » (Mandrioli, In Comm. Allorio, 1973, 934;Cassazione n. 10643/1997) ovvero di «atto di incarico» (Punzi, 820): per un verso il mandante può d'accordo con il mandatario convenire quali atti giuridici quest'ultimo, ai sensi dell'articolo 1710 cc, dover compiere per suo conto, mentre colui che conferisce la procura alle liti può intervenire in misura solo marginale sul contenuto della medesima, che è predeterminato dalla legge; per altro verso il mandante può di regola eseguire direttamente gli atti che affida invece al mandatario, mentre colui che conferisce la procura alle liti — salva l'ipotesi della difesa personale — non ha alternativa. 

Tuttavia, che la procura alle liti sia ricondotta dalla giurisprudenza all'alveo del mandato, quale proiezione esterna di esso, è reso palese dall'osservazione che in una pluralità di fattispecie la SC ricorre alla disciplina di quel contratto, come dettata dagli articoli 1703 ss. cc al fine di individuare, laddove ne ricorra l'esigenza e non vi siano indicazioni desumibili dalla previsione processuale civilistica, le regole da applicarsi. 

La procura alle liti può essere definita come dichiarazione di volontà, redatta per iscritto, con cui la parte incarica uno o più difensori di rappresentarla e difenderla nel processo, compiendo gli atti processuali in suo nome e per suo conto, con la conseguenza che tali atti sono direttamente riferibili alla parte medesima. Essa, cioè, ha lo scopo di «conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza» (Cassazione n. 6813/2005;Cassazione n. 1428/2005;Cassazione n. 12558/2003;Cassazione n. 12080/2003;Cassazione n. 1861/2001), costituendo così « strumento di assunzione in capo alla parte dell'atto... e dei suoi effetti » (in dottrina Mandrioli, In Comm. Allorio, 1973, 408). La procura alle liti è atto caratterizzato daautonomia e autosufficienzarispetto alle vicende dell'atto su cui viene rilasciata, di talché l'eventuale invalidità di quest'ultimo non inficia la validità della stessa ai fini della riproposizione dell'atto sanzionato di invalidità(Cass.n. 34801/2023).

La mancanza della procura da parte del difensore dell'attore (non del convenuto) impedisce l'instaurazione del rapporto processuale (Cass. n.24038/2015).

Le forme della procura alle liti

L'articolo 83 contempla oggi quattro diverse forme con cui la procura alle liti può essere rilasciata, ossia:

io) la procura generale alle liti, conferita per una serie indefinita di processi, rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata;

ii) la procura speciale alle liti, conferita per uno o più determinati giudizi, ovvero per una singola fase o atto, rilasciata anch'essa con atto pubblico o scrittura privata autenticata;

e iii) la procura speciale alle liti apposta in calce o a margine di determinati atti processuali, cui è equiparata la procura su foglio separato materialmente congiunto all'atto;

iv) la procura rilasciata su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici.

Le forme previste per il rilascio della procura alle liti sono ritenute tassative (Cass. n. 2207/1991) e non possono essere surrogati da presunzioni semplici (Cass. n. 10967/2001).

La procura generale alle liti

La procura generale alle liti conferisce al difensore la facoltà di patrocinare il cliente in tutte le liti che lo interessino, indipendentemente dall'esistenza di esse al momento del conferimento e senza che la medesima debba contenere menzione delle liti cui si riferisce: tale procura, secondo quanto espressamente stabilisce l'art. 83, comma 2, deve essere conferita « con atto pubblico o scrittura privata autenticata ».

Non è sufficiente, al momento della costituzione della parte in giudizio, che la procura generale alle liti sia semplicemente richiamata, con il riferimento ai suoi estremi (Cass. n. 5252/2001; Cass. n. 8254/1999). Al contrario, la mera enunciazione della procura generale ad lites negli atti di parte non costituisce prova della sua sussistenza sicché, ove il contestato difetto involga l'introduzione del giudizio, ne consegue la giuridica inesistenza di questo, che impedisce l'instaurazione del rapporto processuale (Cass. n. 3507/1984). Tuttavia, in caso di omesso deposito della procura generale ad lites, che sia stata semplicemente enunciata e richiamata negli atti della parte, il giudice non può dichiarare l'invalidità della costituzione di questa senza aver prima provveduto a formulare l'invito a produrre il documento mancante (Cass. n. 3181/2016Cass. n. 4485/2009; Cass. n. 8435/2006).

La procura generale alle liti soffre di una intrinseca limitazione: essa non può essere impiegata per la proposizione del ricorso per cassazione, giacché quest'ultimo richiede di necessità la procura speciale, ai sensi dell'art. 365.

La procura generale alle liti rilasciata dalla persona fisica in qualità di organo di una persona giuridica rimane valida anche successivamente alla cessazione della persona dalla carica ed alla sua sostituzione con altro. Ciò perché la procura è da ritenere in tal caso conferita non già dalla persona fisica, bensì dall'ente cui essa esprime la volontà (Cass. n. 13434/2002; Cass. n. 2636/2005).

La procura generale alle liti, cioè, è valida anche dopo la sostituzione o cessazione dalla carica dell'organo della persona giuridica che l'ha rilasciata, in quanto atto dell'ente e non dell'organo (Cass. n. 1373/2016).

La procura speciale alle liti per atto separato

La procura alle liti può essere rilasciata in forma di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Mentre la procura generale attiene alla generalità delle liti (procura ad lites), quella speciale non necessariamente riguarda un unico giudizio (procura ad litem). Non a caso, infatti, il legislatore discorre nella norma di procura speciale «alle liti», sicché nulla esclude che la procura speciale venga conferita per una pluralità di controversie (Cass. n. 20784/2010).

La procura speciale in calce o a margine

Il conferimento del mandato ad litem, purché rilasciato nei modi di cui all'art. 83 non richiede l'uso di espressioni sacramentali, essendo sufficiente che dal contesto dell'atto sia desumibile la volontà di conferire al difensore i relativi poteri e facoltà processuali, che ben possono ritenersi compresi nel termine di assistenza (Cass. n. 11843/1997), ovvero nell'espressione «curare il ricorso» (Cass. n. 12169/1993), ovvero in quella «delego l'avvocato», in calce al ricorso per cassazione (Cass. n. 758/1967). 

Nessun rilievo assume l'errata indicazione del codice fiscale del conferente (Cass. n. 5067/20219).

È stato precisato che il documento contenente l'informativa sulla mediazione, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 28/2010, pur dovendo essere sottoscritto dall'assistito e allegato all'atto introduttivo del giudizio, non è equipollente alla procura ad litem, dalla quale si distingue per oggetto e funzione, restando estraneo al conferimento dello ius postulandi (Cass. n. 13886/2016).

Il connotato di specialità della procura, poi, è volto a distinguere la procura speciale da quella generale: quest'ultima tale da abilitare il difensore a svolgere la propria attività in qualsiasi giudizio coinvolga la parte conferente; l'altra, la procura speciale, riferita ad uno soltanto ovvero ad una pluralità individuata di giudizi. Va da sé che il connotato della specialità, considerato in riferimento alla procura rilasciata per atto separato, non può che consistere in un richiamo contenuto nella procura a tale o a tali giudizi.

Ed infatti è stata ritenuta valida la procura speciale alle liti rilasciata per una serie di controversie purché caratterizzate da unitarietà di materia o collegate tra loro da specifiche e oggettive ragioni di connessione (Cass. n. 3487/2016).

In giurisprudenza, la procura in calce o a margine è considerata per sua natura speciale, quantunque carente di qualunque specifico riferimento alla causa: o meglio, il riferimento è desunto dall'atto su quale la procura è apposta. Il che avviene finanche con riguardo al giudizio di cassazione, ove l'avvocato deve essere dotato di procura speciale ai sensi dell'art. 365 (Cass. n. 26504/2009).

L'art. 83, nella sua originaria formulazione, la citazione (non solo la citazione introduttiva del giudizio di primo grado, ma anche di quello in appello), il ricorso, il controricorso, la comparsa di risposta, la comparsa di intervento, il precetto, la domanda di intervento nell'esecuzione. Dopo l'ultima novella, la procura può essere conferita anche con la memoria di nomina di un nuovo difensore in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato.

Sulla scia dell'opinione prevalentemente accolta in dottrina, secondo la quale l'elencazione menzionata ha carattere non tassativo (Satta, in Comm. Vallardi, 1959, 283), la giurisprudenza ha accolto la tesi che ammette la nomina del nuovo difensore anche in un atto diverso da quelli specificamente indicati dall'art. 83 (Cass. n. 6515/2003, riferita a procura rilasciata con la conclusionale; v. altresì Cass. n. 5894/2006; Cass. n. 17873/2003).

La procura alle liti deve indicare il nominativo del procuratore al quale è conferita. In proposito la giurisprudenza manifesta un atteggiamento antiformalistico, ritenendo che la mancanza del nome del difensore nella procura ad litem non determini la nullità dell'atto quando, avuto riguardo agli altri riferimenti in esso contenuti, non possa sorgere alcun ragionevole dubbio sulla individuazione del difensore e sulla legittimazione del medesimo alle attività processuali. È stata dunque giudicata valida la procura apposta nella copia notificata di un decreto ingiuntivo, priva dell'indicazione del difensore, sul rilievo che egli era chiaramente individuabile dal nominativo dell'avvocato che aveva autenticato la sottoscrizione della procura, contenente l'elezione di domicilio presso il suo studio, e che, successivamente, si era effettivamente costituito in giudizio, depositando tale copia notificata munita della procura (Cass. n. 8903/2010); la procura mancante dell'indicazione del difensore, risultante però dalla firma apposta per la certificazione dell'autenticità della sottoscrizione del conferente, nonché dall'indicazione del procuratore risultante dall'intestazione dell'atto (Cass. n. 4495/2000).

L'art. 83 prevede che la procura debba essere sottoscritta dalla parte laddove menziona la certificazione della sottoscrizione ad opera del difensore.

La sottoscrizione ha la funzione di consentire l'individuazione del soggetto che conferisce la procura e, così, costituisce elemento essenziale della medesima, così come di ogni scrittura privata, secondo la previsione dettata in via generale dall'art. 2702 c.c.

La procura al difensore, mancante della sottoscrizione della parte, ovvero con sottoscrizione falsa, determina l'inesistenza di tale atto, non dell'atto di citazione, di cui non costituisce requisito essenziale, e pertanto questo è idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere-dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che l'atto conclusivo del processo, ossia la sentenza, è nulla per carenza di un presupposto processuale per la valida costituzione del processo, ma non inesistente ed è perciò suscettibile di passaggio in giudicato in caso di mancata tempestiva impugnazione, non essendo esperibili i rimedi dell'actio e dell'exceptio nullitatis, consentiti nel diverso caso di inesistenza della sentenza (Cass. n. 7186/2002; Cass. n. 22292/2004).

Si ripete, in proposito, che la sottoscrizione può risultare da qualunque segno grafico che indichi il nome ed il cognome dell'autore dell'atto, anche se espresso in forma abbreviata, purché decifrabile; mentre, se la sottoscrizione è stata apposta con firma illeggibile, la procura è valida quando il riferimento agli atti processuali consente di non avere dubbi sull'individuazione del sottoscrittore (Cass. n. 4718/1994).

È però invalida la procura in calce alla quale sia apposto il crocesegno (Cass. n. 7305/2004).

In caso di pluralità di conferenti la procura, occorre, naturalmente, che tutti sottoscrivono: in caso contrario rimane impedita la regolare costituzione del rapporto processuale nei confronti delle parti che non risultano aver conferito la procura stessa (Cass. n. 4831/2009).

La procura alle liti deve contenere la certificazione da parte del difensore dell'autografia della sottoscrizione del conferente. Secondo alcune pronunce di legittimità, quella di certificazione è nozione diversa dall'altra di «autenticazione», menzionata all'art. 2703, comma 2, c.c.

In dottrina, per la distinzione tra certificazione ex art. 83 e autenticazione prevista dall'art. 2703, comma 2, c.c. v. Mandrioli, in Comm. Allorio, 1973, 939; Satta, in Comm. Vallardi, 1959, 283.

Ne discende che il difensore può certificare l'autografia di una sottoscrizione anche non avvenuta in sua presenza. Ai fini della prova della autenticità della procura rilasciata in calce o a margine di uno degli atti indicati nell'art. 83, comma 3, è sufficiente dunque che il difensore certifichi l'autografia della sottoscrizione della parte, non essendo necessaria l'attestazione dello stesso che la sottoscrizione sia avvenuta in sua presenza, come invece è richiesto dall'art. 2703 c.c. per l'autenticità della scrittura privata da parte del pubblico ufficiale (Cass. n. 144/1985; Cass. n. 1028/1984; Cass. n. 3751/1975).

Si trova tuttavia affermato che la funzione del difensore di certificare l'autografia della sottoscrizione della parte, ai sensi degli artt. 83 e 125, pur trovando la sua base in un negozio giuridico di diritto privato (mandato), ha natura essenzialmente pubblicistica, atteso che la dichiarazione della parte, con la quale questa assume su di sé gli effetti degli atti processuali che il difensore è legittimato a compiere, è destinata a dispiegare i suoi effetti nell'ambito del processo. Ne consegue che il difensore, con la sottoscrizione dell'atto processuale e con l'autentica della procura riferita allo stesso, compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso (Cass. n. 17473/2015;  Cass. n. 10240/2009).

Il requisito della certificazione dell'autonomia della sottoscrizione è soddisfatto sia quando la firma del difensore si trovi subito dopo detta sottoscrizione, con o senza apposite diciture (come « per autentica », o « vera »), sia quando tale firma del difensore sia apposta in chiusura dell'atto nel quale il mandato si inserisce e, quindi, la autografia attestata dal difensore esplicitamente od implicitamente, con la firma dell'atto recante la procura a margine od in calce, può essere contestata in entrambi i casi soltanto mediante la proposizione di querela di falso, in quanto concerne una attestazione resa dal difensore nell'espletamento della funzione sostanzialmente pubblicistica demandatagli dalla succitata norma (Cass. S.U., n. 25032/2005).

Non è requisito di validità della procura alle liti la leggibilità della sottoscrizione del conferente apposta in calce ad essa: nulla dispone in proposito la legge, sicché ciascuno firma come usa fare. E tuttavia l'illeggibilità può non rimanere priva di effetti. La S.C., infatti, fa seguire all'affermazione di principio dell'irrilevanza dell'illeggibilità della sottoscrizione da parte del conferente la procura alle liti l'immediata precisazione che l'illeggibilità è irrilevante « ove l'autore sia identificabile, con nome e cognome, dal contesto dell'atto medesimo, in quanto ciò consente di affermare, pur in presenza di firma illeggibile, la riferibilità della procura alla persona, come effetto dell'autenticazione compiuta dal procuratore » (Cass. n. 6464/2007; Cass. n. 5134/2006).

La procura alle liti apposta in calce o a margine di un atto processuale deve di regola recare l'indicazione della data del conferimento: elemento, quello della data, che assume rilievo in riferimento al secondo comma dell'art. 125 il quale consente, al di fuori delle ipotesi in cui la legge richiede che la citazione sia sottoscritta da difensore munito di procura speciale, che la procura al difensore dell'attore possa essere rilasciata anche in data posteriore alla notificazione dell'atto di citazione, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata.

La S.C. ripete costantemente che, tenuto conto dello stretto rapporto esistente tra l'atto e la procura in calce o a margine, nonché della qualità del soggetto che li redige entrambi e che ben conosce le conseguenze di una datazione incompleta, la procura priva della data, la quale risulti invece apposta sull'atto, si deve presumere conferita in tale data (Cass. S.U., n. 9961/1996; Cass. n. 25137/2010; Cass. n. 29785/2008; Cass. n. 16907/2006; Cass. n. 6687/2006; Cass. n. 6514/2004).

La spillatura

Secondo l'art. 83 la procura « si considera apposta in calce » anche se rilasciata su foglio separato che sia però « congiunto materialmente all'atto cui si riferisce ».

Il requisito della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l'atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi (Cass. n. 12332/2009; Cass. n. 7731/2004).

Riassumendo, i principi applicabili in materia possono essere così schematizzati:

i) la procura redatta su foglio separato è legata all'atto cui essa accede da una relazione di inscindibilità la quale consente di riferire con certezza la procura stessa al processo al quale l'atto si riferisce, ad eccezione del caso in cui detta procura risulti espressamente conferita per il compimento di atti diversi da quello posto in essere e manchi altresì ogni riferimento al « presente giudizio » (Cass. n. 6521/2004);

ii) la posizione topografica della procura su foglio separato, in altre parole, è idonea, al pari della procura in calce o a margine, a conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura stessa al giudizio cui l'atto accede senza che, per contro, possa esigersi dalla parte conferente l'espressa enunciazione nella procura, a garanzia dell'altra parte, di un qualche riferimento all'atto o al giudizio (Cass. n. 12558/2003; Cass. n. 12080/2003; Cass. n. 13910/2002);

iii) il requisito della materiale congiunzione non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento del giudice, di ritenere ragionevolmente certa la riferibilità della procura al giudizio, essendo dunque sufficiente « la contestualità della produzione in udienza dei due atti, ad opera dello stesso difensore » (Cass. n. 13666/2002; Cass. n. 2813/2018);

iv) la procura su foglio separato può essere congiunta ad uno qualsiasi degli atti elencati nella prima parte del terzo comma dell'art. 83, senza che sia possibile restringerne la portata ai soli atti formati dal procuratore cui il potere di rappresentanza processuale sia stato conferito (Cass. n. 444/2003);

v) non è richiesto, per il rilascio della procura su foglio separato, né che l'ultima pagina dell'atto cui essa accede sia completamente riempita, né che la procura venga redatta nelle prime righe del foglio separato (Cass. n. 7731/2004; Cass. n. 13910/2002);

vi) non occorre che la procura stia necessariamente nell'ultima pagina, potendo occupare anche una pagina intermedia dell'atto (Cass. n. 13178/2004);

vii) la novella dell'art. 83 in tema di procura su foglio separato si applica per espresso dettato normativo anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima (Cass. n. 13910/2002; Cass. n. 1059/1999).

Mancanza della procura in calce o a margine sulla copia notificata dell'atto

È fermo, nella giurisprudenza di legittimità, l'insegnamento secondo cui l'indispensabilità della procura al fine dell'esercizio nel processo dello ius postulandi in rappresentanza della parte che la ha conferita non comporta che essa debba essere trascritta nella copia dell'atto notificata alla controparte, occorrendo, invece, che la procura figuri sull'originale dell'atto stesso depositato in cancelleria.

Così, ad esempio, è stata affermato che la mancata riproduzione della procura al difensore nella copia dell'atto d'appello notificato alla controparte non incide sulla validità dell'atto, essendo sufficiente che l'originale della procura sia contenuto in uno degli atti depositati dei quali la controparte abbia possibilità di prendere visione al fine di verificare la tempestività del rilascio e il contenuto della procura (Cass. n. 16135/2009).

La mancanza della procura sulla copia notificata dell'atto, invece, può non rimanere senza effetti nel giudizio di cassazione. Difatti, qualora la procura al difensore, pur essendo apposta a margine dell'originale del ricorso per cassazione, non sia trascritta in alcun modo nella copia notificata al destinatario — poiché ai sensi dell'art. 137, comma 2, l'ufficiale giudiziario attesta che questa è conforme all'originale — il ricorso è inammissibile per l'incertezza dell'anteriorità o contemporaneità del rilascio della procura rispetto alla notifica di esso, anche se, nell'intestazione, sia menzionata la rappresentanza dell'avvocato (« giusta mandato a margine del ricorso ») e pur se l'ufficiale giudiziario abbia attestato che il ricorrente, istante della notifica, è «come sopra rappresentato e difeso» (Cass. n. 21682/2006).

La procura telematica

L'art. 83, comma 3, contempla due distinte forme di rilascio della procura. Essa, infatti

a) può essere formata direttamente «su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale»;

b) può essere rilasciata su supporto cartaceo e in seguito trasformata in documento informatico.

La ragione della duplice previsione è evidente: mentre gli avvocati devono, in funzione dello sviluppo del processo telematico, dotarsi della strumentazione (smart card e lettore) necessaria per l'apposizione della firma digitale — la quale consiste in un sistema di crittografia che garantisce il collegamento tra il documento ed il suo autore, al pari della sottoscrizione analogica — altrettanto non è previsto per la generalità dei cittadini, ciascuno dei quali può avere occasione di conferire la procura alle liti ai sensi dell'art. 83. Qualora, pertanto, il conferente sia per avventura in condizioni di apporre la firma digitale, egli può rilasciare la procura direttamente su documento informatico. Ben più frequentemente, tuttavia, accadrà ancora per qualche tempo che il conferente non sia attrezzato per sottoscrivere la procura con la firma digitale e, dunque, debba provvedervi apponendo la procura su un foglio di carta che poi l'avvocato trasformerà in documento informatico (in pratica facendone una copia-immagine con uno scanner) apponendovi poi la propria firma digitale.

Vale qui ricordare che, in tema di processo telematico, a norma dell'art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all'art. 34 del d.m. n. 44/2011 - Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ".p7m" e ".pdf". Tale principio di equivalenza si applica anche alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi degli art. 83, comma 3,  art.18, comma 5, d.m. n. 44/2011 e art. 19-bis, commi 2 e 4, del citato decreto dirigenziale (Cass. S.U., n. 10266/2018) Un cenno va qui fatto al rilascio della procura alle liti con modalità a distanza previsto dal comma 20-ter dell'art. 83 del d.l. 18/2020 (cd. Cura Italia) convertito con l. 27/2020. La disposizione ha previsto che: «Fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da Covid-19, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo di strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l'avvocato certifica l'autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., se è congiunta all'atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia». Tale norma non è stata oggetto di successive proroghe, presumibilmente per il fatto che la norma non prevede un termine finale, la riconnette l'operatività della previsione al permanere delle misure di distanziamento. 

Un cenno va qui fatto al rilascio della  procura alle liti con modalità a distanza  previsto dal comma 20-ter  dell'art. 83 del d.l. n. 18/2020 (cd. Cura Italia) convertito con l. n. 27/2020. La disposizione ha previsto che: «Fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da Covid-19, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo di strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l'avvocato certifica l'autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., se è congiunta all'atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia». Tale norma non è stata oggetto di successive proroghe, presumibilmente per il fatto che essa non prevedeva un termine finale, ma riconnetteva l'operatività della previsione al permanere delle misure di distanziamento. Infine la disposizione è stata abrogata in sede di conversione del d.l. 77/2021  dall'art. 66-bis, comma 12, l. n. 108/2021.

La presunzione di conferimento della procura speciale per un solo grado

Stabilisce l'art. 83, comma 4, che la procura speciale si intende conferita per un determinato grado del processo quando nell'atto non è espressa volontà diversa.

La giurisprudenza inclina ad un'interpretazione assai elastica della disposizione, ritenendo cioè che la procura debba ritenersi conferita per l'intero giudizio ogni qual volta il testo della medesima contenga un riferimento ad esso nel suo complesso. Occorre dire in generale che la presunzione posta in tal modo la norma « si giustifica solo partendo dal presupposto che, non essendo prevista per il rilascio della procura l'adozione di formule sacramentali, per interpretare la volontà della parte, che tale procura ha rilasciato senza specificare espressamente l'estensione della sua validità, è al contenuto complessivo dell'atto che bisogna far riferimento. E la norma ha voluto solo stabilire, attraverso la presunzione, che in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine all'estensione della procura o in presenza di espressioni equivoche, la procura conserva la sua efficacia limitatamente al grado del procedimento cui si riferisce l'atto in calce al quale è apposta appunto la procura speciale. È quindi alle espressioni contenute in detta procura che bisogna far riferimento per accertare la volontà della parte circa l'estensione della procura, e non all'indicazione specifica dei gradi ulteriori » (Cass. S.U., n. 5528/1991). La presunzione in questione, dunque, deve considerarsi operante solo quando vengano utilizzati termini assolutamente generici o quando la procura si limiti a conferire la rappresentanza processuale senza alcuna altra indicazione (Cass. n. 2432/1999; Cass. n. 24092/2009).

Secondo l'opinione prevalente il conferimento della procura rilasciata in primo grado per l'intero giudizio non viene meno per il fatto che il conferente abbia rilasciato una nuova procura affetta da nullità per il grado d'appello: al contrario, la nullità della procura conferita per il grado di appello non comporta la nullità della costituzione in appello e l'inammissibilità del gravame, ove la parte abbia comunque rilasciato in primo grado una procura alle liti valida per tutti i gradi del giudizio, perché il richiamo nell'atto di impugnazione ad una procura invalida non comporta di per sé una implicita rinuncia ad avvalersi dell'altra, precedentemente conferita (Cass. n. 25810/2009; Cass. n. 8985/2003; Cass. n. 15340/2002; Cass. n. 4384/2000).

In assenza di espresse limitazioni la procura conferita abilita inoltre il difensore il difensore riguardo a tutti gli incidenti che si verifichino nel corso del procedimento senza dar luogo ad un nuovo rapporto processuale (v. per varie ipotesi Cass. n. 3297/2000; Cass. n. 2604/1983; Cass. n. 18199/2004; Cass. n. 10812/2004; Cass. n. 7983/2010; Cass. n. 19937/2004; Cass. n. 4663/2001; Cass. n. 9890/1998; Cass. n. 9679/1990; Cass. n. 3604/1992; Cass. n. 19867/2009; Cass. S.U., n. 21288/2005). Si è di recente affermato che la procura alle liti rilasciata nel ricorso cautelare ante causam e conferita in termini ampi ed onnicomprensivi conferisce al difensore, nel successivo giudizio di merito, il potere di proporre domande anche nei confronti di terzi che non sono stati parte del procedimento cautelare (Cass. n. 32774/2022).

La procura conferita dagli enti collettivi

In linea generale, la procura conferita da una persona giuridica va rilasciata dalla persona fisica titolare del potere rappresentativo di essa, potere rappresentativo che è sufficiente enunciare nella procura, la quale è assistita da una presunzione di validità, ricadendo sulla controparte l'onere di fornire la prova dell'inesistenza dei poteri dichiarati. In tal senso la S.C. afferma che, ai fini della validità della procura alle liti rilasciata da chi si qualifichi legale rappresentante della persona giuridica è sufficiente che nell'intestazione dell'atto al quale la procura si riferisce siano indicati i poteri rappresentativi di colui che la sottoscrive, essendo onere della parte che contesta tale qualità allegare tempestivamente e fornire la prova dell'inesistenza del rapporto organico o della carenza dei poteri dichiarati (Cass. n. 23724/2007).

Inoltre, la parte che contesti che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica, manca del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella prima difesa, restando così onere dell'altra parte documentare la pretesa qualità (Cass. n. 3541/2009): fintanto che non sopravvengano contestazioni, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l'onere di dimostrare tale sua qualità neppure nel caso in cui l'ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l'organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall'atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa.

Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l'onere di riscontrare l'esistenza di tale potere a condizione, però, che vi sia contestazione della relativa qualità ad opera della controparte e che la contestazione sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all'effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa (Cass. S.U., n. 20596/2007).

Sicché, qualora la procura per la proposizione del ricorso per cassazione da parte di una società venga rilasciata da un soggetto nella qualità di procuratore speciale in virtù dei poteri conferitigli con procura notarile non depositata con il ricorso, né rinvenibile nel fascicolo, all'impossibilità del controllo, da parte del giudice di legittimità, della legittimazione del delegante ad una valida rappresentazione processuale e sostanziale della persona giuridica consegue l'inammissibilità del ricorso (Cass. n. 11898/2019).

Sull'illeggibilità della sottoscrizione apposta dal conferente la procura è stato precisato che, qualora la firma del conferente la procura alle liti, apposta in calce o a margine dell'atto con cui sta in giudizio una persona giuridica, sia invece leggibile, spetta alla controparte contestare, con valide e specifiche ragioni e prove, che la firma sia quella del soggetto cui compete la rappresentanza processuale, imponendo il principio del giusto processo, come introdotto dal novellato art. 111, comma 1, Cost., di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte ovvero ispirate ad un formalismo funzionale non già alla tutela dell'interesse della controparte ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito (Cass. n. 3362/2009).

Procura rilasciata all'estero

Il rilascio all'estero della procura alle liti richiede specifiche formalità, dal momento che la sottoscrizione della procura alle liti non può in tal caso essere autenticata dal difensore italiano della parte, giacché il potere di autenticazione non si estende oltre i limiti del territorio nazionale.

È difatti consolidato orientamento della S.C. quello per cui la sottoscrizione della procura alle liti rilasciata all'estero dev'essere autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero ad attribuirle pubblica fede: non può invece essere autenticata (all'estero) dal difensore italiano della parte, giacché tale speciale potere di autenticazione non si estende, come si diceva, oltre i limiti del territorio nazionale (Cass. S.U., n. 264/1996; Cass. n. 27282/2008; Cass. n. 5840/2007; Cass. n. 8867/2003; Cass. n. 3744/1988; Cass. n. 5075/1985).

Quando consti il rilascio della procura all'estero, la regola da applicarsi, secondo la S.C., si riassume in ciò, che il rilascio della procura alla lite, che conferisce la rappresentanza tecnica in giudizio o ius postulandi, è soggetto alla legge italiana (Cass. S.U., n. 264/1996).

Può dirsi, cioè, in breve, che la procura rilasciata all'estero da un pubblico ufficiale a ciò abilitato deve essere non soltanto conforme alla legge del luogo, ma altresì soddisfare i requisiti necessari secondo la legge nazionale. Quest'ultimo passaggio, nella ricostruzione giurisprudenziale, non sembra per la verità perfettamente argomentato nel suo fondamento normativo. La pronuncia che per prima, a quanto consta, ha svolto il ragionamento si limita difatti ad affermare l'esigenza che l'atto redatto all'estero secondo le formalità della lex loci sia equivalente, nella forma e nell'efficacia, a quello previsto dalla legge italiana di diritto processuale. In altri termini, se si tratta di scrittura privata, l'atto deve contenere una sottoscrizione autenticata (salva, se del caso, l'esigenza dell'ulteriore formalità della legalizzazione, ad opera di un'autorità straniera... nonché della finale legalizzazione ad opera dell'autorità competente italiana) (Cass. S.U., n. 264/1996).

Alla procura rilasciata all'estero, inoltre, non è sufficiente un autenticazione operata dal pubblico ufficiale dello Stato estero avente analogo contenuto di quella operata nel territorio nazionale, occorrendo la successiva legalizzazione. Sulla materia va richiamato il disposto dell'art. 17 l. n. 15/1968, disposizione confluita nell'art. 33 d.P.R. n. 445/2000.

In mancanza della legalizzazione l'atto è di per sé pienamente valido, ma nell'ambito territoriale dello Stato di provenienza. Viceversa, esso è inefficace in Italia fintanto che la legalizzazione non abbia luogo (Cass. n. 5378/1987).

In applicazione dei principi così riassunti è stato affermato:

i) che il rispetto della lex fori italiana, in tema di scrittura privata autenticata all'estero, richiede che dall'autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione sia stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l'identità del sottoscrittore, mentre è irrilevante che l'autenticazione non sia intervenuta contestualmente alla sottoscrizione ma successivamente (Cass. n. 13228/2008; Cass. S.U., n. 10312/2006);

ii) l'autenticazione della firma, può essere rilasciata anche dall'autorità consolare italiana, titolare di competenze notarili ai sensi dell'art. 19 d.P.R. n. 200/1967, ma non è utilmente surrogabile dal mero visto che il console si sia limitato ad apporre in calce all'atto, in quanto tale visto produce il limitato effetto di conferire certezza alla data del documento, ma non anche all'identità di chi lo ha sottoscritto (Cass. n. 19214/2005).

La procura speciale alle liti rilasciata all'estero, sia pur esente dall'onere di legalizzazione da parte dell'autorità consolare italiana, nonché dalla cd. apostille, in conformità alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ovvero ad apposita convenzione bilaterale, è nulla, agli effetti dell'art. 12 l. n. 218/1995, ove non sia allegata la sua traduzione e quella relativa all'attività certificativa svolta dal notaio afferente all'attestazione che la firma è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità, applicandosi agli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (Cass., n. 8174/2018).

Tutto quanto si è detto in tema di autenticazione e legalizzazione della procura rilasciata all'estero non trova applicazione, però, ogni qual volta — secondo un'ottica espressamente contemplata dal citato art. 17 l. n. 15/1968, il quale, nel disciplinare la legalizzazione, fa salvo quanto diversamente stabilito « da accordi internazionali » — la materia sia disciplinata dagli Stati mediante convenzioni internazionali.

Effetti della mancanza della procura

La procura ha lo scopo di «conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza», giacché, secondo quanto autorevolmente affermato in dottrina, in mancanza di una procura alle liti rilasciata per iscritto «non esiste uno strumento di assunzione in capo alla parte dell'atto … e dei suoi effetti » (Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, 408).

Essa — come si trova affermato in una vecchia pronuncia resa in tema di procura su foglio separato, ma come è stato poi sistematicamente ribadito — mira a «fornire alla controparte la giuridica certezza della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa, certezza che può essere fornita soltanto da documenti facenti piena prova fino a querela di falso, come appunto l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata, ai quali deve aggiungersi anche la procura la cui sottoscrizione sia stata certificata autentica dal difensore» (così in massima Cass. S.U., n. 9869/1994, in Giust. civ., 1995, I, 377, con nota di Murra, Requisiti della procura alle liti tra colombi ed angeli neri; sulla finalità della procura di «conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza» v. tra le tante Cass. n. 29785/2008; Cass. n. 6813/2005; Cass. n. 1428/2005; Cass. n. 16264/2004). Questa la ragione dell’indispensabilità della procura, la cui mancanza può pertanto essere legittimamente eccepita dal legale controparte (per la correttezza deontologica del comportamento dell'avvocato che aveva eccepito la irritualità della procura al difensore di controparte e quindi la nullità dell'atto di appello in quanto, per un disguido degli uffici la copia in suo possesso era in effetti priva della procura al difensore, v. CNF n. 13/2004, in Rass. forense, 2006, 470).

Parte della dottrina contesta la ricostruzione. Il ragionamento svolto trova il suo principale punto d'appoggio sui caratteri della certificazione dell'autenticità della sottoscrizione. Poiché tale certificazione — e non autenticazione — non sarebbe idonea a conferire all'atto una vera e propria efficacia fidefacente, e non sarebbe anzi in grado di provare alcunché, non vi sarebbe dubbio che la procura alle liti, secondo quanto stabilito dal legislatore, non debba necessariamente risultare da uno scritto assistito da pubblica fede. La facoltà riconosciuta alla parte di conferire la procura alle liti direttamente su un atto processuale, con la sola certificazione dell'autenticità della sottoscrizione proveniente dal difensore, starebbe insomma a testimoniare che per volontà del legislatore « l'unico e vero garante » (Deluca, La nomina del difensore nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2006, 606) della genuinità della procura alle liti e della sua riferibilità ad un determinato processo è l'avvocato che sta in giudizio per la parte. La procura alle liti, allora, non avrebbe, come ritenuto dalla S.C., lo scopo di conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza, ma servirebbe «per un verso alla parte, alla quale consente di agire nel processo a mezzo di un difensore, e per l’altro al difensore, al quale … consente di "esercitare lo ius postulandi in relazione alla specifica controversia"» (Cipriani, La procura su foglio autonomo tra la certificazione e gli spilli del difensore, in Foro it., 1995, I, 543). Di qui si giunge ad affermare che la procura alle liti « raggiunge il suo scopo quando il difensore agisce per la parte nel processo. Il che significa che la procura potrebbe ben essere solo orale e che l’obbligo della forma scritta (art. 83, comma 2) e quello della produzione in giudizio (artt. 125, 165 e 166), entrambi non previsti a pena di nullità, sono, al massimo, cautele: il primo, a ben guardare, protegge essenzialmente il procuratore; il secondo, a voler tutto concedere, protegge il processo da improbabili contestazioni della parte » (ibidem). Questa impostazione — che chi pure vi aderisce ammette consapevolmente possa apparire « forse eccessiva » (Deluca, ult. op. cit., 607) — potrebbe dunque riassumersi così: il difensore non agisce in giudizio perché ha la procura, ma ha la procura perché agisce in giudizio.

Un simile ragionamento riposa su una premessa: quella secondo cui la certificazione dell'autenticità della sottoscrizione sarebbe un vuoto adempimento privo di qualsiasi reale contenuto: il che invece non sembra essere, giacché la genesi storica dell'art. 83 c.p.c. mostra con evidenza come il legislatore, attraverso la procura speciale in calce o a margine, abbia semplicemente voluto superare alcuni ostacoli pratici che erano determinati dall'obbligo, precedentemente stabilito, del rilascio della procura esclusivamente per mezzo dell'atto notarile: intendendo tuttavia mantenere ferma l'esigenza posta a base della previsione della procura conferita per iscritto mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, ossia l'esigenza di « certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ».

È fermo, in giurisprudenza, il principio secondo cui l'esistenza della procura alle liti — e quindi di una valida procura — costituisce presupposto della instaurazione del rapporto processuale (Cass. n. 16474/2004; Cass. n. 9464/2012; Cass. S.U. n. 13431/2014; Cass. n. 12068/2015). Da qui, come si vedrà meglio più avanti, è desunta l'inapplicabilità dell'istituto della sanatoria-ratifica con efficacia retroattiva, non suscettibile di operare nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce per l'appunto il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale (ex multis Cass. n. 33518/2022; Cass. S.U. n. 13431/2014; Cass. n. 8708/2009; Cass. n. 5175/2005).

Oggi, sotto quest'ultimo aspetto, i termini della questione, si sono in parte modificati in conseguenza della novella dell’art. 182, senza però che ciò abbia dispiegato alcun effetto sulla natura della procura quale presupposto del sorgere di un rapporto processuale valido (p. es., con riguardo al patrocinio dell'Ente Poste Italiane successivamente alla sua trasformazione in società per azioni v. Cass. n. 7543/2010). Con l'ulteriore conseguenza che la mancanza della procura — della parte che ha introdotto il giudizio, non di quella che ha resistito, come tra breve si aggiungerà — produce l'inesistenza di detto rapporto e dell'attività processuale svolta (p. es. Cass. n. 12486/2000; Cass. n. 15977/2001), la quale non può produrre effetto alcuno nella sfera giuridica della parte (Cass. n. 961/2009; Cass. n. 11551/2015; Cass. n. 58/2016; Cass. n. 27530/2017; e già Cass. S.U. n. 10706/2006; Cass. n. 1115/2003; Cass. n. 1780/1994).

Ciò con l'ulteriore precisazione che, secondo alcune pronunce della S.C., il difetto di ius postulandi derivante dalla mancanza della procura, determinando l’inesistenza del rapporto processuale, come tale insuscettibile di convalescenza, può essere rilevato d'ufficio in ogni momento del giudizio ed anche per la prima volta nel giudizio di legittimità, a condizione che la relativa prova risulti dagli atti e dai documenti ritualmente acquisiti nella fase di merito (Cass. n. 6439/2009).

Su quest’ultimo punto, così come su diverse altre questioni che concernono la procura alle liti, la giurisprudenza non mostra però opinioni sempre univoche e coerenti. In linea generale viene infatti osservato che, quando la costituzione in giudizio della parte abbia avuto luogo senza contestazioni circa il deposito degli atti necessari allo scopo e circa l'esistenza e la tempestività della procura al difensore, deve presumersi la rituale instaurazione del rapporto processuale se il contrario non risulti da altra emergenza processuale (Cass. n. 3998/2004; Cass. n. 9921/2011). Il che sembra essere tanto più vero con riguardo al giudizio di impugnazione, avuto riguardo al principio secondo cui nel processo civile l'invalidità della costituzione di una delle parti non integra un nullità rilevabile d'ufficio, senza alcun limite, in ogni stato e grado del giudizio, sicché è da ritenersi preclusa, in sede di giudizio di cassazione, la questione dell'irregolarità della costituzione di una delle parti in primo grado che non sia stata già correttamente sollevata dinanzi al giudice di secondo grado (Cass. n. 8806/2008, con cui la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ritenuto l'inammissibilità dell'eccezione relativa alla regolarità del mandato difensivo, conferito da una USL, eccezione prospettata senza la precisazione del quadro normativo di riferimento a suo sostegno). In tal senso si è quindi ribadito che, con l'impugnazione, in sede di legittimità, della sentenza d'appello non può essere messa in discussione l'ammissibilità della costituzione nel procedimento di secondo grado, sotto il profilo del difetto di ritualità e validità della procura conferita dalla parte appellante, ove la questione non sia stata tempestivamente sollevata nello stesso secondo grado di giudizio, nel quale il giudice non abbia ritenuto d'ufficio di dovere richiedere alla parte la dimostrazione dell'effettività e della legittimità dei relativi poteri rappresentativi (Cass. n. 12461/2017; Cass. n. 22330/2007). Insomma, emerge in breve dalle menzionate pronunce che sulla questione dell'esistenza della procura, non sollevata nell'ambito di un determinato grado, si forma il giudicato interno, sicché essa diviene preclusa nel grado successivo.

Se è vero che la mancanza di una valida procura conferita dall'attore al proprio difensore determina l'inesistenza del rapporto processuale, va per altro verso sottolineato che il difetto della procura del convenuto non incide sulla regolarità del contraddittorio in quanto da esso non dipende la valida costituzione di tale rapporto e rileva unicamente ove la non rituale presenza del convenuto nel processo abbia recato pregiudizio all'attore, ad esempio comportando la condanna di quest'ultimo alle spese, che non ci sarebbe stata ove il convenuto, contumace, non avesse partecipato al giudizio (Cass. n. 9596/2001; Cass. n. 24038/2015). La mancanza di procura da parte del convenuto, dunque, non invalida la sentenza pronunciata all'esito del giudizio, senza che il convenuto possa dolersi della posizione di contumace attribuitagli. La invalida costituzione in giudizio della parte, mediante procuratore privo di ius postulandi determina cioè la situazione di contumacia anche se essa non viene dichiarata e comporta l'impossibilità di chiedere — salvo non ricorrano le condizioni previste dall'art. 294  — la rimessione in termini per riproporre difese ed eccezioni che, prive di valore in quanto proposte dal procuratore suddetto, sono precluse al momento della successiva regolare costituzione della stessa parte: né dette difese ed eccezioni, precluse in primo grado, possono essere riproposte nel giudizio di appello, ove il processo deve essere accettato nello stato in cui si trova, con tutte le preclusioni e decadenze già verificatesi (Cass. n. 19652/2004; Cass. n. 19558/2006). Per la validità della sentenza occorre però che non si siano verificate violazioni delle norme dettate a tutela della posizione del contumace (Cass. n. 9252/2002; Cass. n. 3277/2004): e ciò significa che la mancanza di procura da parte del convenuto può rivelarsi tutt'altro che priva di conseguenze, per di più in pregiudizio dell'attore, come nel caso, ad esempio, che la causa sia stata decisa a lui favorevolmente sulla base di una scrittura privata prodotta in corso del giudizio senza che la produzione sia stata portata a conoscenza della controparte nelle forme previste per il contumace dall'art. 292 nella formulazione emendata dal giudice delle leggi.

Mancata produzione o reperimento della procura agli atti. Deposito della procura in fotocopia

Stabilisce l'art. 165 che l'attore deve costituirsi in giudizio entro il termine ivi previsto depositando in cancelleria, oltre alla nota di iscrizione a ruolo, il proprio fascicolo contenente, tra l'altro, la procura: la quale, d'altronde, deve essere indicata nell'atto di citazione, qualora sia stata già rilasciata, ai sensi dell'art. 163, n. 6. Se è dunque vero che la procura alle liti deve essere di regola depositata da parte dell'attore all'atto della costituzione, è altrettanto vero che il suo mancato deposito — che è cosa diversa dalla sua esistenza — non è sanzionato in alcun modo, sicché non vi è nessun ostacolo a che la procura alle liti venga prodotta successivamente per iniziativa della parte ovvero su invito del giudice a regolarizzare la sua posizione, ai sensi dell'art. 182, comma 1. Così è stato affermato che, in caso di omesso deposito della procura generale ad lites, che sia stata semplicemente enunciata e richiamata negli atti della parte, il giudice non può dichiarare l'invalidità della costituzione di questa senza aver prima provveduto, in adempimento del dovere impostogli dall'art. 182, comma 1, a formulare l'invito a produrre il documento mancante; tale invito, in caso non sia stato rivolto dal giudice di primo grado, deve essere fatto anche dal giudice dell'appello, poiché la produzione di quel documento, effettuata nel corso del giudizio di merito, sana ex tunc la irregolarità della costituzione (Cass. n. 3181/2016; Cass. n. 4485/2009; Cass. n. 8435/2006; Cass. n. 7490/1995; Cass. n. 7535/1983): il che val quanto dire che la produzione della procura alle liti neppure è sottoposta ai termini per le produzioni documentali stabilite dall'art. 183. Tale regola, ribadita con riguardo alla procura generale alle liti, trova parimenti applicazione ove si tratti di procura speciale. Così, qualora la procura al difensore dell'appellante sia stata rilasciata in calce alla copia notificata della citazione di primo grado, con espressa estensione al giudizio di secondo grado, e l'atto di gravame ne faccia precisa menzione, il suo mancato inserimento nel fascicolo dell'appellante medesimo, tempestivamente presentato a norma dell'art. 348, comma 2, non comporta l'improcedibilità del gravame, nulla ostando alla regolarizzazione ex art. 182 su invito dell'istruttore (o su iniziativa spontanea della parte), mediante la produzione del fascicolo di primo grado contenente copia notificata della citazione introduttiva (Cass. n. 6327/2006; Cass. n. 3342/1982).

Al fine della valida instaurazione del rapporto processuale assume rilievo, come si è ripetuto, che la procura sia stata rilasciata prima della costituzione, giacché è sulla base del contenuto della procura che avviene l'iscrizione a ruolo della causa e, la formazione del fascicolo d'ufficio, ai sensi dell'art. 168: ne consegue, in caso di mancato reperimento della procura agli atti del giudizio, che, spettando al cancelliere, in adempimento del suo dovere di controllo, verificare la corrispondenza delle annotazioni contenute nella nota di iscrizione a ruolo con gli atti ed i documenti prodotti e, di rilevare l'eventuale mancato deposito della procura e di farne menzione nella nota e nell'indice del fascicolo d'ufficio, qualora nella nota di iscrizione a ruolo sia stato indicato il rilascio della procura a margine dell'atto introduttivo ed il cancelliere abbia vistato la nota stessa senza alcun'altra indicazione, deve reputarsi che l'originale dell'atto suddetto effettivamente contenesse la procura al momento della costituzione, in mancanza di elementi contrari, emergenti dagli atti processuali, restando irrilevante che né nel fascicolo di parte ovvero in quello d'ufficio non sia stato rinvenuto l'originale dell'atto contenente la procura (Cass. n. 9921/2011; Cass. n. 11782/2006; Cass. n. 4507/2006; Cass. n. 12858/1999; Cass. n. 4818/1998; Cass. n. 4446/1995; Cass. n. 5028/1993).

L’adempimento da parte del cancelliere del disposto dell'art. 74 disp. att. c.p.c., il quale impone di controllare la regolarità degli atti e dei documenti nonché di sottoscrivere l'indice del fascicolo, importa tuttavia una mera presunzione dell'esistenza della procura alle liti che risulti invece mancante. Si trova in proposito affermato che il mancato reperimento della procura alle liti non imporrebbe al giudice di disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria e, in caso di insuccesso, concedere un termine per la ricostruzione del proprio fascicolo: tale criterio, infatti, valido per la documentazione inclusa nel fascicolo di parte, non sarebbe riferibile alla procura, la quale deve preesistere alla costituzione della parte, sicché il giudice potrebbe concedere il termine nell'unico caso in cui la procura alle liti sia stata rilasciata per atto notarile, di cui può essere agevole produrre una copia. In applicazione del principio, la S.C. ha dunque confermato la sentenza di appello, la quale aveva ritenuto che la presunzione di esistenza e tempestività della procura, derivante dall'accettazione degli atti da parte della cancelleria, dovesse considerarsi superata in virtù della mancata apposizione della procura medesima sulla comparsa di costituzione ovvero sulla copia dell'appello notificata dalla controparte, accompagnata dall'assenza di una procura idonea al conferimento di poteri rappresentativi anche al giudizio di appello nell'atto di citazione allegato al fascicolo di primo grado (Cass. n. 28942/2008; il principio è ribadito da Cass. n. 4958/2010). Ma la soluzione così prospettata deve misurarsi con l'attuale formulazione dell’art. 182. Ergo, è stato affermato che l'art. 182, comma 1, va interpretato nel senso che il giudice che rilevi l'omesso deposito della procura speciale alle liti, di cui all'art. 83, comma 3, enunciata ma non rinvenuta negli atti della parte, è tenuto ad invitare quest'ultima a produrre l'atto mancante. Tale invito può essere fatto in qualsiasi momento, anche in sede di appello, e solo se infruttuoso il giudice deve dichiarare invalida la costituzione della parte in giudizio (Cass. n. 19169/2014).

L'esigenza di verificare l'esistenza della procura alle liti non reperita in atti influisce altresì sul potere discrezionale del giudice d'appello di disporre o meno l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell'art. 347 c.p.c.: la sua discrezionalità, difatti, viene meno — è stato detto con riguardo ad un giudizio sottoposto al rito del lavoro, nel quale l'originale del ricorso introduttivo va a far parte del fascicolo d'ufficio — ove l'acquisizione sia necessaria al fine di verificare l'apposizione a margine dell'atto introduttivo della procura conferita per tutti i gradi di giudizio (Cass. n. 27691/2017; Cass. n. 24437/2007).

L'attore deve ritenersi validamente costituito in giudizio anche se, all'atto del deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo contenente la procura, quest'ultima non sia in originale ma in fotocopia: secondo l'art. 156, infatti, non può pronunciarsi la nullità di alcun atto del processo, per inosservanza delle forme, se la nullità non è comminata dalla legge, e l'art. 125, comma 2, richiede soltanto, per la validità della procura, che questa sia stata rilasciata anteriormente alla costituzione, ma non anche che essa venga depositata in originale (Cass. n. 2744/2008). La soluzione che precede, senz'altro preferibile, non è però l'unica. Altre volte la S.C. ha affermato che la procura deve figurare sull'originale dell'atto introduttivo del giudizio depositato in cancelleria, perché risulti rispettato il requisito della tempestività prescritto dall'art. 125, comma 2 (Cass. n. 6955/1997); che è affetto da nullità per difetto di ius postulandi  l'atto di citazione (in particolare si trattava di un atto d'appello) qualora all'atto della costituzione non risulti depositata la procura al difensore, in originale o in copia conforme, non avendo d'altronde il giudice alcun onere di ordinare la regolarizzazione della posizione della parte, ormai non più sanabile (Cass. n. 2476/2001); che qualora il difensore abbia depositato una fotocopia della procura speciale alle liti, l’eccezione della controparte che si appunti sul mancato deposito di un originale o di una copia conforme equivale a contestazione della conformità della fotocopia all'originale e conduce a concludere che il difensore è privo di ius postulandi (Cass. n. 2476/2001).

Con riguardo alla produzione della procura in fotocopia, inoltre, valgono le regole generali stabilite dall'art. 2719 c.c. Può cioè accadere, anzitutto, che la controparte nulla rilevi al riguardo e, in particolare, che non disconosca la conformità della copia all'originale: in tal caso nulla quaestio. In caso di disconoscimento della conformità della fotocopia all'originale della procura alle liti, ai sensi della menzionata disposizione, ciò non esclude di per sé il valore della fotocopia, ma determina l'onere per chi l'ha prodotta di dimostrarne la conformità all'originale: sorge soltanto in tal caso, a seguito della produzione dell'originale, l'obbligo del giudice di accertare la conformità ad essa della copia (Cass. n. 2590/2009; Cass. n. 7490/1995, per il caso di omesso deposito della procura generale alle liti). Ed a seguito della produzione dell'originale e della verifica della conformità ad esso della fotocopia già depositata, questa riacquista ex tunc il valore di piena prova riconosciutogli dall'art. 2719 c.c. (Cass. n. 12299/2003, la quale si è pronunciata su un caso in cui la procura ai difensori in primo grado era stata prodotta in fotocopia e, contestata la conformità della copia, il giudice non aveva provveduto alla verificazione, sicché rinnovato il disconoscimento in appello, il giudice aveva provveduto ad ordinare l'esibizione dell'originale, cui la copia era risultata conforme). Resta da rammentare, sull'argomento, che il disconoscimento della conformità della copia all'originale, come previsto dal citato art. 2719 c.c. è ricalcato, dal punto di vista procedimentale, quanto a modalità e termini, su quello disciplinato dagli artt. 214 e 215 (Cass. n. 21339/2011; Cass. n. 3695/2007): ciò sta a significare che il disconoscimento va operato nella prima risposta successiva alla produzione e che, comunque, non può essere proposto per la prima volta in appello (Cass. n. 12290/1998; Cass. n. 8878/2000; Cass. n. 1461/2000; Cass. n. 1708/2000; Cass. n. 15699/2002).

Il regime delle spese di lite per gli atti compiuti in difetto di procura

Un importante questione pratica è quella concernente l'individuazione del soggetto sul quale debbano fare carico le spese del giudizio nell'ipotesi che la procura alle liti risulti essere invalida. In proposito, si rinvengono in giurisprudenza orientamenti difformi.

È stato talvolta affermato che, nell'ipotesi considerata, le spese non possono gravare sul difensore. 

Secondo questa prima impostazione, ritenuta la invalidità della procura ad litem nel rapporto tra parte e procuratore, il giudice deve ritenere non costituita la parte con gli effetti della contumacia o della improcedibilità dell'appello ex artt. 171, 291, 347 348 , ma non può derivare l'inverosimile effetto di dover considerare parte il procuratore munito del mandato invalido né tanto meno giustificare la condanna dello stesso in proprio alle spese del giudizio, non potendo in alcun modo riferirsi a lui il concetto di soccombenza (Cass. n. 3510/1969). Nella stessa linea, sebbene sulla base di argomenti in parte diversi, può collocarsi una successiva pronuncia secondo cui, ai sensi dell'art. 82, comma 3, le parti devono stare in giudizio col ministero di un avvocato regolarmente esercente, condizione che si realizza quando il difensore è munito di procura. Ne consegue che la mancanza di procura ad litem — situazione che comprende sia l'ipotesi della procura invalida, sia l'ipotesi della mancanza di prova che una procura sia stata rilasciata — produce la nullità dell'attività processuale compiuta, da considerare tuttavia pur sempre quale attività posta in essere da una « parte ». Le relative sanzioni processuali — quali la nullità o l'inammissibilità dell'impugnazione e così via — sono conseguenti alla mancanza dell'atto che assicura alla parte il necessario patrocinio del difensore tecnico e non sono certamente previste per il fatto che, fuori dalle ipotesi consentite dalla legge, sia stato fatto valere nel processo un diritto altrui in nome proprio. Del resto, è principio generale dell'ordinamento quello secondo cui non può mai assumere la qualità di parte di un atto il soggetto che agisce nella veste di rappresentante pur non avendone i poteri. Pertanto, in base agli artt. 91 e 92, il destinatario della pronuncia sulle spese, nell'ipotesi considerata, non può essere l'avvocato che, appunto, non assume la qualità di parte del processo (Cass. n. 11689/2000).

In senso opposto è stato stabilito che, qualora difetti la procura alle liti, l'attività del difensore non può spiegare effetti nella sfera giuridica della parte, essendo l'atto di conferimento della rappresentanza tecnica elemento indispensabile della fattispecie legale in forza della quale l'esercizio dello ius postulandi da parte del legale diviene attività della parte: ne consegue che nel caso in cui un legale abbia agito senza che gli sia stato conferito il relativo mandato dalla parte soccombente l'attività del difensore senza procura non può riverberare alcun effetto sulla parte ma resta attività processuale di cui il legale esclusivamente assume la responsabilità, anche in ordine alle spese ai sensi e per gli effetti dell'art. 91 (Cass. n. 1780/1994; Cass. n. 13069/2002). E nella stessa linea è stato ripetuto che l'inammissibilità del ricorso per cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che, dovendosi ritenere instaurato il rapporto processuale esclusivamente tra il predetto difensore e la controparte, è lo stesso legale che deve rispondere delle spese processuali da quest'ultima sostenute (Cass. n. 4462/1994; Cass. n. 3966/1997). Così, con riguardo al ricorso per cassazione, si trova ripetuto che, dal combinato disposto degli artt. 83, 91, 92 365 si desume che il difensore senza procura è parte nel processo in ordine alla questione d'inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale a ricorrere per cassazione; pertanto, nel caso in cui il giudice non ritenga che sussistano giusti motivi di compensazione, la condanna alle spese va pronunciata a carico del difensore stesso, quale unica controparte del controricorrente nel giudizio di legittimità (Cass. n. 5955/1996; Cass. n. 14281/2006). Sintetizzando, si può dire che l'attività del difensore senza procura, che non può riverberare alcun effetto sulla parte, resta attività processuale di cui egli solo assume la responsabilità anche in ordine alle spese del giudizio: conseguentemente, il giudice si trova di fronte ad una questione rilevabile d'ufficio di natura pregiudiziale — la non corrispondenza a vero che l'avvocato sia munito di procura — e a soccombere sulla questione pregiudiziale, l'unica in base alla quale sarà definito il procedimento con relativa declaratoria di inammissibilità, è soltanto l'avvocato che ha sottoscritto, e fatto notificare, l'atto introduttivo del giudizio (Cass. n. 1759/2007).

Non manca un terzo indirizzo, secondo cui le spese di lite a volte sono pagate dall'avvocato, a volte no. È stato affermato, cioè, che in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di inesistenza della procura ad litem, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di nullità o di invalidità della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo (Cass. n. 1115/2003).

Secondo un primo orientamento, dunque, il procuratore non potrebbe mai essere condannato in proprio al pagamento delle spese processuali (Grasso, Nullità degli atti processuali, in Riv. dir. civ., 1961, 314; Pajardi, Sulla condanna alle spese di un soggetto che non fu parte del processo, in Giur. it., 1973, 1, 1615; Caputo, Difensore sfornito di procura e pronuncia sulle spese, in Giust. civ., 1994, I, 1895; Deluca, Difensori senza procura o giudici troppo fiscali, in Giur. it., 1998, 1142; Maxia, Sulla condanna nelle spese del giudizio del difensore senza procura, in Riv. giur. sarda, 1998, 449). Si sottolinea che il rapporto processuale, con quanto ne consegue in ordine all'onere delle spese, si instaura, secondo la tradizionale impostazione chiovendiana, tra colui che agisce e colui che resiste, cioè da coloro che in fatto agiscono o si difendono in causa (Gualandi, Difensore senza procura e condanna nelle spese, in Riv. dir. proc., 1958, 644), sicché la soccombenza, quale presupposto della condanna alle spese, non può che ricadere su una di tali parti tra le quali (al di fuori dell'ipotesi del difensore antistatario, sulla quale è superfluo soffermarsi qui) non rientra l'avvocato: il difensore non può essere in definitiva condannato al rimborso delle spese giacché, non avendo formulato alcuna domanda, non può per definizione essere considerato soccombente. L'esclusione del carico delle spese sul difensore privo di procura è stata motivata anche sulla disciplina codicistica in tema di mandato e, in particolare, sulla considerazione che il falsus procurator non diventa parte del contratto, ma risponde se mai dei danni cagionati (Deluca, Sulla condanna del difensore, cit., 2651).

La dottrina che ammette la condanna del difensore al pagamento delle spese di lite segue due diversi ragionamenti. Alcuni fanno leva essenzialmente sul principio di causalità, secondo cui il carico delle spese processuali deve gravare su chi abbia con il proprio comportamento per l'appunto dato causa alla lite (Gualandi, op. cit., 646; Denti, Nullità degli atti processuali, in Nss. Dig. it., XI, Torino, 1965, 486). Il difensore, insomma, avendo agito in giudizio in rappresentanza di una parte, senza invece essere munito di procura, ha in tal modo dato causa alla lite avendo posto in essere una attività processuale per conto altrui che non aveva il potere di svolgere. Altri hanno impiegato una dilatata nozione del concetto di parte, tale da comprendervi il difensore senza procura (Tomei, La condanna alle spese, in qualità di parte, del difensore privo di procura, in Riv. dir. proc., 1978, 565).

In questo variegato quadro sono intervenute le Sezioni Unite in sede di composizione del contrasto, facendo propria la distinzione tra procura inesistente e procura nulla, ai fini dell'individuazione del soggetto sul quale debbano gravare le spese di lite. È stato affermato, dunque, che, in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso), l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo (Cass. S.U. n. 10706/2006; Cass. n. 961/2009).

In breve, seguendo l'impostazione accolta dalle Sezioni Unite, occorre dunque distinguere tra le fattispecie di procura invalida ma pur sempre proveniente dalla parte che sta in giudizio, nel qual caso il difensore non risponde delle spese, e le fattispecie di mancanza di riferibilità della procura alla parte, ovvero di sua radicale inesistenza, nel qual caso è parte l'avvocato, che deve così sopportare le spese di lite.

In tale prospettiva è stato ribadito che la procura speciale necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione è inesistente ove conferita al difensore da una società estinta per pregressa cancellazione dal registro delle imprese, in quanto essa presuppone un rapporto di mandato tra l'avvocato ed il cliente che non può sussistere in mancanza del mandante, derivandone, pertanto, che l'attività processuale svolta resta nell'esclusiva responsabilità del legale, del quale è conseguentemente ammissibile la condanna a pagare le spese del giudizio (Cass. n. 10071/2017). Ed ancora, in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura 'ad litem' o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso), l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio (Cass. n. 27530/2017; Cass. n. 11551/2015). Viceversa, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore sulla base di una procura ad litem rilasciata in territorio estero e dichiarata per tale ragione nulla nel giudizio di merito, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale svolta è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo (Cass. n. 7319/2015). 

Anche di recente si è detto che, in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso), l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio (Cass. n. 14474/2019, che, nel dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione, ha condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità il difensore sfornito di procura, poiché rilasciata in modo generico a margine dell'atto di appello e non con scrittura privata autenticata o con atto notarile indicanti gli elementi essenziali del giudizio cui la procura si riferiva). Nella prospettiva si colloca la recente decisione secondo cui il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all'interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza (Cass. S.U., n. 15177/2021).

Bibliografia

Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1943, 258; Caponi, Rinuncia del difensore al mandato e rimessione in termini della parte, in Foro it. 1998, I, 2517; Della Pietra, Art. 82, in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1997; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1992, 89; Mazzarella, Avvocato e procuratore, in Enc. giur., IV, Roma, 1988; Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc. 2006, 814

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