Codice di Procedura Civile art. 88 - Dovere di lealtà e di probità.

Mauro Di Marzio

Dovere di lealtà e di probità.

[I]. Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità [116 2, 175 1, 395].

[II]. In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi.

Inquadramento

La disposizione in commento sancisce il dovere di osservanza del principio di buona fede anche nell'ambito delle attività processuali (Calamandrei, 29).

Tale dovere, non collegato ad una qualche specifica sanzione, si colloca secondo parte della dottrina su un piano esclusivamente morale (Redenti, 203). Altri osservano che, al contrario, il dovere di lealtà e probità ha natura giuridica, poiché la sua violazione dà luogo a sanzioni altrove previste ovvero all'applicazione di norme incidenti sulla decisione quali gli artt. 92, 94, 96, 116, 175 c.p.c. (Picardi, 2013, 190).

Costituisce comportamento sleale e improbo ogni attività che escluda la controparte dalla conoscenza di fatti rilevanti per la causa, impedendole di controbattere, o che utilizzi sotto il velo della legalità formale i mezzi apprestati dall'ordinamento in modo distorto, al fine di accelerare o ritardare la definizione dei giudizi (Cass. n. 3306/1987, concernenti l'uso dilatorio del regolamento di giurisdizione). Al contrario, la prospettazione di tesi giuridiche errate, non è di per sé qualificabile come comportamento in contrasto col dovere in discorso (Cass. n. 10247/1998; Cass. n. 428/1991). Egualmente, non ricorre violazione dell'art. 88 in caso di mancata produzione spontanea di documenti che possono avvantaggiare l'avversario (Cass. n. 9797/1994Cass. n. 9839/1994). Inoltre, il dato letterale concernenti il comportamento tenuto in giudizio, rende la norma inapplicabile ai comportamenti sleali verificatisi prima o fuori del processo Cass. n. 15353/2000; Cass. n. 3845/1975), che possono semmai giustificare la compensazione delle spese.

Secondo l'opinione prevalente tra i doveri della parte e del difensore non rientra quello di dire la verità (Scarselli, 91; ma sul dovere di dire la verità v. la polemica tra Taruffo, 2009, 32, e Cavallone, 1, nonché la risposta di Taruffo, 995. V pure Chiarloni, 129).

Il giudizio in ordine alla slealtà o improbità del comportamento costituisce apprezzamento di fatto e quindi sfugge al sindacato di legittimità (Cass. n. 2694/1966).

Casistica

Nel caso in cui, nel corso di un giudizio civile, venga formulata istanza di esibizione documentale ex art. 210, la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è tenuta, in ossequio al dovere di lealtà e probità processuale e alla stregua del principio di acquisizione della prova, in forza del quale, un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa, a conservare la relativa documentazione fino a quando il giudice non abbia definitivamente e negativamente provveduto sulla stessa, sicché, ove la documentazione venga distrutta dopo la presentazione dell'istanza e durante il tempo di attesa per la formazione della decisione definitiva sulla stessa, la mancata conservazione è suscettibile di essere valutata come argomento di prova exart. 116 (Cass. n. 27231/2014).

Il dovere di lealtà e probità processuale impone all'avvocato, cui sia stata sollecitata una presa di posizione su di un'istanza chiara e ben definita, non solo di rispondere, ma anche di esprimersi in maniera altrettanto comprensibile e, soprattutto, di attenersi ad una logica di tipo binario, che non ammette formule di dubbia lettura, né ipotesi terze fra l'affermazione e la negazione (Cass. n. 3338/2012, che ha ritenuto che la dichiarazione di rimettersi alla decisione del giudice, formulata da un difensore in presenza di richiesta di sospensione del giudizio, ai sensi dell'art. 279, comma 4, proveniente da altro procuratore, dovesse intendersi equivalente ad una adesione all'istanza, mostrando una sostanziale non avversità ad essa).

Costituisce violazione del dovere di lealtà e probità delle parti così come disciplinato dall'art. 88 la condotta processuale di una parte caratterizzata dalla ripetuta contestazione della giurisdizione del giudice adito in simmetrica opposizione alle scelte di controparte, unita alla richiesta, accolta, di sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. Pertanto tale condotta può determinare l'applicazione dell'art. 92, comma 1, ultima parte, secondo il quale, il giudice, a prescindere dalla soccombenza può condannare una parte al rimborso delle spese che, in violazione dell'art. 88, ha causato all'altra parte (Cass. S.U., n. 18810/2010).

Costituiscono violazione della norma in discorso inoltre il rifiuto di dare risposta alle richieste di chiarimenti rivolte dal giudice alla parte che non abbia specificato le proprie tesi (Cass. n. 2580/1960); la sottoscrizione di un ricorso per cassazione da parte di avvocato non iscritto nell'apposito albo (Cass. n. 11978/2003); la contestazione assolutamente generica in sede di comparsa di risposta (Cass. n. 1672/2003). Ancora, l'omessa dichiarazione di un evento interruttivo relativo alla parte costituita - se integrante violazione dell'obbligo, posto in capo al procuratore, di lealtà e probità previsto dall'art. 88 c.p.c. - può integrare la fattispecie del dolo processuale idoneo a giustificare la revocazione della sentenza d'appello, ai sensi dell'art. 395 c.p.c., ma non costituisce vizio di legittimità della sentenza che definisce il giudizio (Cass. n. 21980/2023 concernente omessa dichiarazione, nel corso dell'appello, del sopravvenuto decesso della parte - che aveva agito per il ristoro dei pregiudizi conseguenti a un infortunio sul lavoro -, con conseguente liquidazione del danno alla salute in misura maggiore a quella che sarebbe spettata dall'applicazione dei criteri per il risarcimento del danno cd. da «premorienza»).

Più in generale, è riconnesso all'osservanza della norma in commento il divieto di abusivo frazionamento della domanda. Sicché, come anche di recente ribadito, in tema di plurime obbligazioni pecuniarie relative al medesimo rapporto di lavoro, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni, è configurabile un abusivo frazionamento della domanda, in contrasto con il generale dovere di correttezza e buona fede, qualora vi sia la proposizione di un'azione per il risarcimento dei danni non patrimoniali successivamente a quella per il risarcimento dei danni patrimoniali, salvo che risulti un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 26089/2019; sulla scia di Cass. S.U., n. 4090/2017). ). Ed ancora, in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei relativi danni, neppure mediante riserva di farne valere ulteriori e diversi in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale, salvo che risulti in capo all'attore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 8217/2024, che ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale degli attori, i quali, in seguito ad un sinistro stradale nel quale avevano perso la vita entrambi i genitori, avevano agito con due separati giudizi, chiedendo nell'uno il risarcimento per i danni subiti in conseguenza della morte del padre e, nell'altro, i danni conseguenti alla morte della madre). Il danneggiato, che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, in presenza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta aggrava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario. In particolare, non integrano un interesse oggettivamente valutabile ed idoneo a consentire detto frazionamento, di per sé sole considerate, né la prospettata maggiore speditezza del procedimento dinanzi ad uno anziché ad altro dei giudici aditi, in ragione della competenza per valore sulle domande risultanti dal frazionamento, né la semplice ricorrenza di presupposti processuali più gravosi per l'azione relativa ad una delle componenti del danno, soprattutto in caso di intervalli temporali modesti (Cass. n. 13732/2022; Cass. n. 8530/2020).

Talora l'applicazione del principio sancito dall'art. 88 c.p.c.dà luogo ad esiti di dubbia condivisibilità: in tema di litisconsorzio, l'attore che non abbia compiutamente attivato o integrato il contraddittorio, senza nulla eccepire innanzi al giudice di primo grado, e che sia rimasto soccombente non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di integrità del contraddittorio, in quanto l'unico vantaggio perseguito è quello di «guadagnarsi una replica del giudizio di primo grado» nella speranza che un nuovo giudizio si concluda con esito diverso da quello già celebrato, restando, invece, estranea l'esigenza di rimediare ad un vulnus recato al diritto di difesa ed al diritto al contraddittorio dalla mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti necessari pretermessi; tale interesse non è però meritevole di tutela, né trova copertura nell'art. 100 c.p.c., e, anzi, la scelta processuale di trascurare nel giudizio di primo grado la questione dell'integrità del contraddittorio - salvo sollevarla dopo la sentenza secundum eventum litis - è idonea a tradursi in un'ipotesi di abuso del processo e di violazione del principio di ragionevole durata del processo (Cass. n. 6815/2024, a fronte di denuncia di difetto di integrità del contraddittorio, avanzata solo in appello dall'attore soccombente, che aveva agito senza provvedere a chiamare tutti i contraddittori necessari e senza poi sollecitare l'integrazione al giudice di primo grado).

Sanzioni a carico della parte

La violazione del dovere sancito dalla norma comporta, ai sensi dell'art. 92, comma 1, la condanna alle spese anche non ripetibili arrecate all'avversario, a prescindere dalla soccombenza.

La trasgressione del dovere di lealtà e probità può costituisce grave motivo rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 94, in forza del quale il giudice può condannare alle spese dell'intero processo o di singoli atti (anche in solido con la parte rappresentata o assistita) gli eredi beneficiari, i tutori, i curatori ed in genere coloro che rappresentano o assistono in giudizio (Cass. n. 5398/1988).

La condotta sleale o improbabile può essere valutata ai sensi dell'art. 116, comma 2, che consente al giudice di trarre argomenti di prova dal contegno della parte. L'art. 88, ancora, costituisce la base della previsione dell'art. 175, in forza del quale il giudice esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del processo.

Parte della dottrina, come meglio si vedrà nel commento all'art. 96, riconduce l'intera disciplina della responsabilità aggravata alla violazione dei doveri di lealtà e probità.

Sanzioni a carico del difensore

Il comma 2 dell'art. 88 stabilisce che il giudice, a fronte della violazione del dovere di lealtà e probità, debba riferirne alle competenti organizzazioni professionali per l'irrogazione delle previste sanzioni disciplinari (Cass. n. 11978/2003; Cass. n. 2784/1989).

Non è ammissibile in sede di legittimità la richiesta dei provvedimenti di cui agli artt. 88, comma 2, in caso di mancanza dei difensori al dovere di lealtà probità, e 96, comma 1, in caso di responsabilità aggravata per avere agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, ove essa si ricolleghi ad attività svolta nel giudizio di appello (Cass. n. 2320/1982).

Bibliografia

Calamandrei, Il processo come giuoco, in Riv. dir. proc. 1950, I, 23; Cavallone, In difesa della veriphobia (considerazioni amichevolmente polemiche su un libro recente di Michele Taruffo), in Riv. dir. proc. 2010, 1; Chiarloni, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2008, 129; Redenti, Diritto processuale civile, I, Milano, 1953; Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998; Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Roma-Bari, 2009; Taruffo, Contro la veriphobia. Osservazioni sparse in risposta a Bruno Cavallone, in Riv. dir. proc. 2010, 995.

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