Codice di Procedura Civile art. 90 - [Onere delle spese] 1 .[Onere delle spese]1. [1] Articolo abrogato dall'art. 299 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Il testo precedente recitava: «[I]. Salve le disposizioni relative al gratuito patrocinio, nel corso del processo ciascuna delle parti deve provvedere alle spese degli atti che compie e di quelli che chiede, e deve anticiparle per gli altri atti necessari al processo quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal giudice». V. l'art. 8 d.P.R. n. 115 del 2002, cit. InquadramentoLa disposizione, la quale pone il principio dell'onerosità della tutela giurisdizionale, principio che va letto in combinato disposto con il successivo art. 91, secondo cui le spese sostenute vanno all'esito del giudizio a gravare sulla parte soccombente, è stata abrogata e quindi è confluita senza sostanziali modificazioni nell'art. 8 d.P.R. n. 115/2002 (testo unico spese di giustizia) ove è stabilito: i) che ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato; ii) che, se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, le spese sono anticipate dall'erario o prenotate a debito, secondo le previsioni della parte III del testo unico. La disposizione prevede che ciascuna delle parti deve anticipare le spese per una duplice gamma di atti, quelli che la parte compie direttamente e quelli che chiede, effettuando le necessarie anticipazioni, sempre che esse siano stabilite dalla legge o dal giudice. La norma va dunque inserita nel contesto della disciplina delle spese di lite, in vista dell'applicazione del principio della soccombenza, salvo che le spese non debbano rimanere definitivamente a carico della parte che le ha sostenute, sia in caso di compensazione, sia negli altri casi previsti, quale quello dell'estinzione del giudizio. L'anticipazione delle spese giudizialiLa rubrica (« Onere delle spese ») che apre oggi come in passato la disposizione può dirsi alquanto imprecisa, dal momento che solo in alcuni casi l'anticipazione delle spese si presenta effettivamente come onere, ossia come condizione della realizzazione di un interesse, mentre in altri casi assume piuttosto la natura del vero e proprio obbligo, com'è per gli adempimenti fiscali (si pensi per tutti alla registrazione della sentenza) derivanti dall'introduzione della lite. La norma stabilisce che il carico provvisorio delle spese, in attesa che la causa si concluda, grava sulle parti. Ciò, però, accade — appunto — soltanto provvisoriamente, giacché il riparto definitivo delle spese di lite scaturisce (di regola) dall'applicazione del successivo art. 91, che pone il principio della soccombenza, con il temperamento dettato dall'art. 92 in tema di compensazione. La disciplina finale del carico delle spese giudiziali, infatti, risponde al principio chiovendiano secondo il quale il processo deve dare a chi ha un diritto praticamente tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire (Scarselli, 19). È tuttavia possibile che la provvisoria anticipazione delle spese vada a stabilizzarsi nel caso di estinzione del processo, secondo quanto prevede l'art. 310, il quale pone la regola che, in tale ipotesi, le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate. Il dispositivo così complessivamente delineato si intende con facilità. Colui il quale agisce in giudizio, a meno che non sia «povero», è tenuto ad anticipare il costo del processo, ma, se vince, ha diritto, almeno in linea di principio, alla ripetizione dal soccombente. La regola dell'anticipazione in tal modo posta risponde ad una ratio completamente diversa che è quella secondo la quale lo Stato non presta ai cittadini la tutela giurisdizionale civile e questi non anticipano i costi necessari al suo svolgimento (Scarselli, 19). Tale congegno si presta, in generale, ad essere riguardato da opposti angoli visuali: esso può essere inteso come oneroso limite all'esercizio del diritto di azione (con la precisazione, però, che all'anticipazione provvede l'erario in caso di ammissione al gratuito patrocinio) ovvero può essere considerata come indispensabile freno ad una indiscriminata litigiosità. L'anticipazione cui fa riferimento la norma in commento ha ad oggetto il processo nelle sue varie forme: processo di cognizione ordinaria, processo di esecuzione, procedimenti camerali ecc.. L'individuazione della parte tenuta all'anticipazione risponde al criterio dell'interesse al compimento dell'atto, sia che si tratti di atto posto in essere direttamente dalla parte medesima (atti processuali che compie), sia che si tratti di atto eseguito mercé la disposizione in tal senso del giudice (atti processuali che chiede), sia che si tratti di atti direttamente imposti dalla legge (basti pensare al contributo unificato). Detto interesse è di regola in re ipsa nella sua esecuzione ad opera della parte ovvero nella richiesta di esecuzione rivolta al giudice. Altre volte è la legge che individua la parte presuntivamente interessata al compimento dell'atto (si pensi alle spese dell'ispezione ex art. 2409 c.c.). È tuttavia ben possibile — al di fuori delle ipotesi legislativamente regolate — che il giudice ponga le spese provvisoriamente a carico di tutte o di alcune delle parti pro quota o anche in solido: in funzione dell'interesse in gioco, e senza che alcun rilievo possano assumere le condizioni economiche delle parti (Cass. n. 6858/1991). Con specifico riguardo allo scrutinio dell'interesse che sottende alla provvisoria assegnazione del carico delle spese, quest'ultima sentenza, resa in un giudizio per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale, osserva che l'art. 90, all'epoca ancora vigente, non indica i criteri in base ai quali tale potere deve essere esercitato; tuttavia il principio secondo cui la parte è tenuta ad anticipare le spese alle quali dà causa, induce a correlare la scelta che il giudice deve effettuare — quando si tratti di atti non richiesti da alcuna delle parti e che egli ritenga necessario disporre di ufficio (ed è tipico il caso della consulenza tecnica, che non è mezzo di prova, specie quando non sia sollecitata da una delle parti) — all'interesse che le singole parti hanno rispetto all'espletamento dell'atto processuale (Cass. n. 6858/1991) È comunemente ritenuto che, nel provvedimento che individua la parte provvisoriamente gravata delle spese, il giudice non sia tenuto a specifica motivazione. Né il provvedimento è ritenuto impugnabile. È ammesso, invece, che possa essere oggetto di correzione attraverso la procedura di cui agli artt. 287-288 e, più in generale, che possa essere oggetto di revoca e di modifica non soltanto in sede di sentenza definitiva, ma in qualsiasi momento (Grasso, 975). Particolare rilievo riveste la questione delle conseguenze dell'inosservanza dell'onere di anticipazione delle spese. Si è già detto che il richiamo alla nozione di onere è impreciso, giacché l'anticipazione delle spese è sovente oggetto non di onere, ma di obbligo, obbligo al quale corrisponde una pretesa di credito dello stesso organo giudiziario o di altro soggetto, salvo in ogni caso il diritto dell'erogante al rimborso da parte di chi rimarrà obbligato in via definitiva (Grasso, 976). Quando l'anticipazione sia oggetto di un obbligo, essa è suscettibile di esecuzione coattiva. Viceversa, in caso di vero e proprio onere, è da escludere anzitutto che l'inadempimento del medesimo possa comportare, come pure è stato sostenuto in dottrina, l'estinzione del processo, dal momento che l'art. 307 non è suscettibile di interpretazione analogica. Quando la mancata anticipazione impedisca l'assunzione di un mezzo istruttorio, l'inadempimento dell'onere si traduce in inadempimento dell'onere probatorio e, per tale via, determina la sfavorevole valutazione della condotta processuale contemplata dal secondo comma dell'art. 116. In conformità al principio dell'acquisizione processuale, si ritiene che la parte non onerata, avendo d'interesse, possa surrogarsi nell'anticipazione di altra parte in ossequio alla regola generale stabilita dal primo comma dell'art. 1180 c.c. CasisticaTra i casi di anticipazione di maggior rilievo pratico vi è quello concernente le spese di CTU. All'attività del consulente tecnico non possono applicarsi gli schemi privatistici dell'adempimento e dell'inadempimento, quasi che egli fosse vincolato alle parti da un rapporto di prestazione d'opera, giacché egli svolge nell'ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell'interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile, la quale importa l'obbligo di risarcire il danno che, come qualsiasi pubblico funzionario, abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all'ufficio. Conseguentemente, l'obbligo per le parti di anticipare il compenso al consulente non è collegato all'esatto adempimento dell'incarico o al risultato conseguito, ma è fondato sull'art. 90, ossia è condizionato alla sola esistenza dei presupposti della nomina del consulente da parte del giudice e della redazione del processo verbale delle indagini compiute, in ipotesi che queste siano eseguite in presenza del giudice, o del deposito in cancelleria della relazione, in ipotesi che le indagini siano poste in essere senza la presenza del giudice (Cass. n. 1545/1973). In proposito la S.C. n. ha chiarito che la liquidazione delle spese di consulenza tecnica d'ufficio, effettuata dal giudice istruttore nel corso del giudizio ai sensi dell'art. 90, non ha il valore ed il contenuto di una condanna al pagamento, ma solo di un ordine di anticipazione provvisorio, e destinato ad essere superato dalla statuizione della sentenza circa il relativo onere, tenendo conto che tale anticipazione è regolata sulla base dell'interesse processuale a chiedere l'atto al quale si riferiscono le spese, laddove la decisione definitiva sul loro onere è regolata dal principio della soccombenza nell'intera controversia, salva la compensazione di cui all'art. 92 (Cass. n. 1753/1984). L'anticipazione del compenso del consulente tecnico d'ufficio va posta esclusivamente a carico della parte interessata alla consulenza, con ciò intendendo la parte interessata non alla richiesta ma all'esito della stessa, cioè quella che, con il suo comportamento processuale, ne rende necessario l'espletamento (Trib. Lecce 3 novembre 1995, Foro it., 1996, I, 1071). Nei rapporti tra le parti e il Ctu, invece, il compenso, secondo l'insegnamento della giurisprudenza, è solidalmente dovuto indipendentemente dalla soccombenza, perfino se la relazione è inservibile. In considerazione del fatto che la prestazione del Ctu è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio nel quale è resa, l'obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito per il compenso deve cioè gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla soccombenza (Cass. n. 23586/2008; Cass. n. 6199/1996). Con riguardo alle spese di custodia delle cose oggetto di sequestro giudiziario ed al compenso al custode, è stato detto che esse rientrano fra quelle concernenti gli atti necessari del processo — che, a norma dell'art. 90, devono essere anticipate dalla parte a carico della quale sono poste dalla legge o dal giudice — in quanto l'attività del custode è svolta nell'interesse superiore della giustizia e di quello comune delle parti. Circa l'onere di anticipazione delle relative spese, l'art. 53 disp att. attribuisce al giudice la facoltà di designare la parte che deve corrispondere il compenso spettante al custode. Trattandosi, quindi, di atto necessario, rispetto al quale è il giudice che indica quali delle parti devono anticipare le relative spese, non ha alcuna rilevanza se l'iniziativa della nomina del custode provenga, attraverso la proposizione dell'istanza di sequestro giudiziario, da una parte oppure dall'altra (Cass. n. 1187/1974). In tema di anticipazione delle spese di esecuzione la S.C. ha evidenziato che il credito per le spese d'esecuzione, anticipate dal creditore procedente ex art. 90, sorge non già di volta in volta, quando vengono compiuti i singoli atti esecutivi, bensì nel momento in cui viene emessa l'ordinanza di distribuzione, con la quale il giudice dell'esecuzione accerta e liquida le spese anticipate dal creditore e destina al soddisfacimento del relativo credito, con privilegio (artt. 2755,2770 c.c.), una parte della somma ricavata. Da ciò consegue che, qualora il giudice ometta per errore di liquidare le spese anticipate dal creditore limitandosi ad attribuirgli una somma in soddisfacimento del credito risultante dal titolo esecutivo e questi non produca opposizione ex art. 617, il pagamento effettuato dal debitore non può che essere imputato al credito risultante dal titolo esecutivo, e non già al credito per le spese processuali anticipate, che ancora non è sorto (Cass. n. 5310/1977). Con riguardo alla anticipazione delle spese per l'accettazione beneficiata è stato ripetuto che, con lo stabilire che «le spese dell'apposizione dei sigilli, dell'inventario e di ogni altro atto dipendente dall'accettazione con beneficio d'inventario sono a carico dell'eredità», l'art. 511 detta per tali spese un regime particolare, prevalente su quello dell'art. 90, che rimane però operante per quanto attiene all'onere dell'anticipazione (Cass. n. 1953/1976). BibliografiaAnnechino, Art. 90-97, in Vaccarella e Verde, Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1997; Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Giusto proc. civ. 2009, 749. 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