Codice di Procedura Civile art. 99 - Principio della domanda.

Mauro Di Marzio

Principio della domanda.

[I]. Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente [2907 c.c.].

Inquadramento

La disposizione in esame è espressione del principio ne procedat iudex ex officio, in forza del quale compete solo alla parte il potere di dare impulso al processo (v. Corte cost. n. 240/2003; solo in talune eccezionali ipotesi il giudice provvede d'ufficio: v. p. es. artt. 336, comma 3, e 361 c.c.), con conseguente divieto di iniziativa processuale d'ufficio, il che risponde all'esigenza di terzietà ed imparzialità che deve caratterizzare la posizione del giudice (Proto Pisani, 190). Secondo altri il principio della domanda, con la implicata disponibilità della tutela giurisdizionale, è il riflesso della disponibilità del diritto sostanziale (Consolo, 90). Altri ancora considerano la norma quale doppione dell'art. 2907 (Andrioli, 1959, 277).

La domanda innesca il potere-dovere del giudice di pronunciare, e segna altresì i limiti entro cui tale potere può esplicarsi, giacché, secondo l'art. 112, egli deve pronunciare su tutta la domanda, ma non oltre i suoi limiti.

Ad esempio soggiace al principio della domanda, in tema di obbligazioni pecuniarie, il diritto alla corresponsione degli interessi, i quali, contrariamente a quanto avviene nell'ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, hanno fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, sicché gli stessi - siano corrispettivi, compensativi o moratori - possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112, soltanto su espressa domanda della parte (Cass. n. 18292/2016).

Sotto questo aspetto, il principio della domanda incide direttamente sui poteri del giudice. In particolare, si ripeteva in tal senso, in passato, che il potere di rilevazione officiosa della nullità, ai sensi dell'art. 1421 c.c., va coordinato con il principio della domanda, sicché, soltanto quando la nullità costituisca ragione di rigetto può essere rilevata d'ufficio, mentre, qualora sia la parte a sollecitare una pronuncia di invalidità, la decisione del giudice deve essere limitata ai profili dedotti dall'interessato (Cass. n. 28424/2008). La questione è stata tuttavia ampiamente rimeditata da Cass. S.U., n. 26242/2014, secondo cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l'esistenza di una causa di quest'ultima diversa da quella allegata dall'istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.

Rilievo decisivo, nell'ottica dell'individuazione dell'ambito del potere-dovere del giudice di pronunciare, riveste allora l'interpretazione della domanda, che spetta al giudice (Cass. n. 4318/2002; Cass. n. 12561/2002; Cass. n. 10922/2005), il cui giudizio, costituendo accertamento di fatto, è sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 22893/2008; Cass. n. 14751/2007). Si rinvia in proposito al commento all'art. 112.

La giurisprudenza si trova, inoltre, concorde nel ritenere che l'omessa riproposizione, all'udienza di precisazione delle conclusioni, delle domande formulate nel corso del giudizio, o il semplice richiamo alle conclusioni originariamente proposte con l'atto di citazione introduttivo del giudizio, sono circostanze sufficienti a far presumere l'abbandono delle domande non riproposte, se dalla complessiva condotta della parte non si evidenzia in modo inequivoco l'intento di mantenere ferme tutte le domande, nonostante la materiale omissione di alcune di esse (Cass. n. 14783/2004; Cass. n. 9465/2004). 

Naturalmente è vero anche il contrario, se in tal senso depone il comportamento complessivo della parte: e dunque la mancata riproposizione, nelle conclusioni formalmente rassegnate nell'atto di costituzione in appello, dell'eccezione di prescrizione sollevata in primo grado, non ne comporta la tacita rinuncia, ove, in base al tenore complessivo dell'atto, la pronuncia richiesta presupponga necessariamente l'esame dell'eccezione predetta, poiché essa ha natura di eccezione di merito con funzione estintiva della domanda (Cass. n. 13904/2024).

L'importanza attribuita alla condotta delle parti, ai fini dell'individuazione della domanda giudiziale, si evidenzia anche nel caso di domanda proposta in corso di causa, dove, la genericità della formulazione delle conclusioni definitive, idonea comunque a ricomprendere latamente la domanda stessa, non è sufficiente a far ritenere che tale domanda sia stata abbandonata, dovendo la rinuncia risultare da un comportamento inequivocabilmente volto a dar conto di un atteggiamento incompatibile con il mantenimento della richiesta precedentemente avanzata (Cass. n. 12268/2002).

Poiché il principio contenuto nell'art. 100, secondo cui per proporre una domanda o per resistere a essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, l'interesse a impugnare una sentenza o un capo di essa si ricollega a una soccombenza, anche solo parziale, nel precedente giudizio, intesa in senso sostanziale e non formale. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora siano state proposte in giudizio due autonome e distinte domande, una in via principale, l'altra in via subordinata, la configurabilità della soccombenza va esclusa nell'ipotesi venga accolta la domanda principale, mentre in caso di accoglimento della domanda subordinata si ha soccombenza parziale con conseguente interesse all'impugnazione (Cass. n. 15705/2005).

Bibliografia

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