Codice di Procedura Civile art. 105 - Intervento volontario.Intervento volontario. [I]. Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto [344, 404 1] o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo [267 1, 419]. [II]. Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse [100, 246, 344, 404 2]. InquadramentoL'intervento è una domanda di carattere incidentale finalizzata alla partecipazione di un terzo in un processo che già pende tra altri soggetti, partecipazione a seguito della quale il terzo assume per ciò solo la qualità di parte (Costa, 1972, 461 ss.). Il terzo può far valere, ai sensi del comma 1 della norma in esame, nei confronti delle parti in causa un proprio diritto incompatibile e quindi spiegare un'azione di carattere autonomo, la quale è volta ad evitare che, terminato il giudizio, lo stesso possa proporre opposizione di terzo per far valere il pregiudizio subito (Liebman, 2002, 103). L'intervento può invece essere definito “adesivo dipendente” qualora il terzo non faccia valere attraverso lo stesso un proprio diritto, ma un semplice interesse, sebbene giuridicamente rilevante, a sostenere le ragioni di una delle parti in causa: in questo caso, l'intervento è funzionale soprattutto ad integrare la difesa della parte adiuvata. L'interveniente adesivo dipendente non può dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto né proporre un'impugnazione autonoma (Cass. S.U., n. 23299/2011). PremessaNel processo civile può realizzarsi un cumulo soggettivo, ossia la presenza di una pluralità di parti diverse dall'attore e dal convento, anche al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario o facoltativo, per effetto dell'intervento volontario in causa di un soggetto terzo. Su un piano generale, l'intervento è una domanda di carattere incidentale finalizzata alla partecipazione di un terzo in un processo che già pende tra altri soggetti, partecipazione a seguito della quale il terzo assume per ciò solo la qualità di parte (Costa, 1972, 461 ss.). In caso di domanda proposta dall'interventore volontario, l'effetto interruttivo della prescrizione si verifica al momento in cui l'atto di intervento pervenga a conoscenza, di fatto o legale, della controparte, e quindi, in tempi diversi a seconda che la sua costituzione abbia luogo mediante la presentazione della relativa comparsa in udienza oppure con il deposito della stessa in cancelleria, atteso che, nel primo caso, il destinatario della domanda, che risulti costituito in giudizio, ne viene immediatamente a conoscenza, mentre nel secondo il medesimo destinatario ne viene a conoscenza alla data della comunicazione effettuata dal cancelliere ai sensi dell'art. 267, comma 2, c.p.c., ovvero, in mancanza, all'udienza successiva; qualora, poi, la parte sia rimasta contumace, il predetto effetto si realizza all'atto della notifica della comparsa di intervento contenente la domanda (Cass. n. 8096/2022). Nelle ipotesi di intervento autonomo, sia principale che adesivo, contemplate dal primo comma della norma in esame è proposta dal terzo una domanda – rispettivamente – contro entrambe o una delle parti in causa. In tali casi l'effetto interruttivo della prescrizione si verifica al momento in cui l'atto di intervento pervenga a conoscenza, di fatto o legale, della controparte, e quindi, in tempi diversi a seconda che la sua costituzione abbia luogo mediante la presentazione della relativa comparsa in udienza oppure con il deposito della stessa in cancelleria, atteso che, nel primo caso, il destinatario della domanda, che risulti costituito in giudizio, ne viene immediatamente a conoscenza, mentre nel secondo il medesimo destinatario ne viene a conoscenza alla data della comunicazione effettuata dal cancelliere ai sensi dell'art. 267, comma 2, ovvero, in mancanza, all'udienza successiva; qualora, poi, la parte sia rimasta contumace, il predetto effetto si realizza all'atto della notifica della comparsa di intervento contenente la domanda (Cass. n. 8096/2022). L'intervento è considerato un istituto di carattere generale che opera nel procedimento ordinario di cognizione, come nei procedimenti speciali e cautelari (cfr. in sede applicativa, Trib. Trani, 6 maggio 2016). Intervento volontario autonomoIl terzo può far valere, ai sensi del comma 1 della norma in esame, nei confronti delle parti in causa un proprio diritto incompatibile e quindi spiegare un'azione di carattere autonomo, la quale è volta ad evitare che, terminato il giudizio, lo stesso possa proporre opposizione di terzo per far valere il pregiudizio subito (Liebman, 2002, 103). Il diritto che in virtù del comma 1 della disposizione in commento il terzo può fare valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse (intervento principale) o con alcune soltanto di esse (intervento litisconsortile o adesivo autonomo) deve essere relativo all'oggetto, ovvero dipendente dal titolo e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al petitum o alla causa petendi, non essendo al di fuori di tali limiti ammesso l'inserimento nel processo di nuove parti (Cass. n. 13063/2004). Il diritto che il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuarsi con riferimento al petitum ed alla causa petendi, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria, restando irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto, la quale, configurando una connessione impropria, non consente l'intervento del terzo nel processo (Cass. S.U., n. 10274/2009; conf. Cass. n. 22233/2014). Intervento principale ad excludendum: casistica L'art. 1, comma 1, l. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 c.c., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale, affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata, ma non incide sulla natura e sull'oggetto dei giudizi di separazione e di divorzio e sulle posizioni e i diritti delle parti in essi coinvolti, e non consente pertanto di ravvisare diritti relativi all'oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un intervento dei nonni o di altri familiari, ai sensi dell'art. 105, ovvero un interesse degli stessi a sostenere le ragioni di una delle parti, idoneo a fondare un intervento ad adiuvandum, ai sensi dell'art. 105, comma 2 (Cass. I, n. 22081/2009). Nel procedimento di separazione dei coniugi deve ritenersi ammissibile l'intervento del terzo comodante dell'immobile che chieda il rilascio del bene concesso in comodato ad uno dei coniugi, in quanto diretto a fare valere un proprio interesse di natura patrimoniale avente attinenza con l'oggetto della lite. Invero l'oggetto del giudizio di separazione è costituito, non solo dall'accertamento della crisi coniugale, ma anche dalla determinazione degli effetti di natura personale o patrimoniale che tale crisi comporta, sia nei rapporti personali tra coniugi che nei rapporti tra coniugi e figli. Ora, mentre il terzo non ha titolo per intervenire nei rapporti personali tra i coniugi o tra costoro ed i figli, può avere un proprio interesse ad intervenire nei rapporti patrimoniali, ad esempio per rivendicare un bene proprio erroneamente attribuito ad uno dei coniugi (Trib. Foggia, 26 novembre 2002, Giur. rom., 2003, 1138). In una recente decisione, la S.C. nel ribadire che legittimato passivo rispetto alla querela di falso civile è solo il soggetto che intenda valersi del documento in giudizio per fondarvi una domanda o un'eccezione e non già chi, in concreto, non intenda avvalersene o l'autore del falso ovvero chi abbia comunque concorso nella falsità, ha sottolineato che, tuttavia, a questi ultimi va riconosciuta la possibilità di intervenire in via adesiva nel giudizio. (Cass. n. 19281/2019). In materia di provvedimenti cautelari d'urgenza aventi ad oggetto la domanda di inibitoria proposta dall'ordinante contro la banca controgarante per impedire il pagamento delle controgaranzie, l'intervento, durante il primo grado cautelare, della banca garante al fine di far valere il proprio diritto ad essere rimborsata per quanto pagato in esecuzione delle garanzie va qualificato come intervento principale, rendendo pertanto ammissibile il successivo reclamo proposto dalla banca garante avverso l'ordinanza che ha concesso tale inibitoria. (Trib. Genova, 12 novembre 2001, Giur. it., 2002, 745). Peraltro, il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenuto "ad adiuvandum" è posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell'esito favorevole della lite per l'adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l'interesse all'intervento. (Cass. n. 11670/2018, la quale ha condannato la parte soccombente al pagamento delle spese anche in favore dei condomini intervenuti in un giudizio instaurato dal condominio del quale erano parte per la difesa di diritti connessi alla loro partecipazione al condominio stesso). Intervento adesivo autonomo: casistica La prima sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di massima importanza, relativa all'ammissibilità o meno dell'intervento ad adiuvandum delle associazioni dei consumatori, in quanto enti esponenziali dei diritti e degli interessi dei consumatori risparmiatori (Cass. n. 3323/2016). La questione è stata risolta, nel senso dell'ammissibilità di tale intervento: invero, le Sezioni Unite, risolvendo la corrispondente questione di massima di particolare importanza, hanno ritenuto che se, ai sensi dell'art. 3 l. n. 281/1998, le associazioni iscritte possono agire per la tutela collettiva degli stessi diritti (dichiarati fondamentali) riconosciuti ai consumatori, a maggior ragione possono intervenire nel giudizio promosso dal singolo consumatore (Cass. S.U., n. 23304/2016). In tema di prestazione d'opera intellettuale, nel caso in cui il professionista si avvalga, nell'espletamento dell'incarico, della collaborazione di sostituti ed ausiliari, ai sensi dell'art. 2232 c.c., gli eventuali contatti tra il cliente e questi ultimi, in assenza di uno specifico mandato in loro favore, non generano un nuovo rapporto professionale, ma restano assorbiti nel rapporto tra committente e professionista incaricato: ne deriva che quest'ultimo ha un interesse autonomo ad intervenire nella causa intentata dal suo sostituto nei confronti del committente per il pagamento delle relative prestazioni professionali (Cass. II, n. 1847/2006). Nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare ex art. 1137 c.c., i singoli condomini possono volontariamente costituirsi mediante intervento che, dal lato attivo, va qualificato come adesivo autonomo (con la facoltà di coltivare il procedimento nei vari gradi di lite, anche in presenza di rinunzia o acquiescenza alla sentenza da parte dell'originario attore), ove essi siano dotati di autonoma legittimazione ad impugnare la delibera, per non essersi verificata nei loro confronti alcuna decadenza, ovvero, se quest'ultima ricorra, come adesivo dipendente (e, dunque, limitato allo svolgimento di attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, esclusa la possibilità di proporre gravame); tale ultima è la qualificazione da riconoscersi, altresì, all'intervento, ove questo sia a favore del condominio, siccome volto a sostenere la validità della delibera impugnata, stante la legittimazione processuale passiva esclusiva dell'amministratore nei giudizi relativi all'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea, non trattandosi di azioni relative alla tutela o all'esercizio dei diritti reali su parti o servizi comuni (Cass. n. 2636/2021). In tema di condominio negli edifici, posto che il condominio stesso si configura come ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale, con la conseguenza che l'intervento dei condomini in una causa iniziata dall'amministratore realizza un'ipotesi di intervento della parte, che è ammissibile anche quando l'azione sia stata (in ipotesi) irregolarmente proposta per difetto di legittimazione dell'amministratore, trattandosi in tal caso di sostituzione del legittimato al non legittimato (Cass. II, n. 7300/2010). In tema di condominio negli edifici, nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell'amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore, non anche il condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente (Cass. n. 23955/2013). Nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, esclusa l'ammissibilità dell'intervento ad excludendum ex art. 105, è ammissibile l'intervento litisconsortile, in adesione all'opposizione, da parte di chi sarebbe a sua volta legittimato all'opposizione stessa e non abbia lasciato decorrere il termine di cui all'art. 18 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 51 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), ed è altresì ammissibile l'intervento adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105, comma 2 (Trib. Lucca, 26 aprile 2001, Giur. mer., 2003, 258). Poteri processuali dell'interventore volontario e preclusioniSulla questione la giurisprudenza di legittimità ritiene che colui il quale interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia ormai spirato il termine di cui all'art. 183 per la fissazione del thema decidendum, senza che tale interpretazione dell'art. 268 violi il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, atteso che l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre — ove sia già intervenuta la relativa preclusione — nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (Cass. n. 25264/2008). Nella più recente giurisprudenza della S.C., invece, si stava consolidando il principio per il quale la preclusione ex art. 268 non opera in relazione all'attività assertiva del volontario interveniente, il quale può, quindi, proporre domande nuove in seno al procedimento, fino alla precisazione delle conclusioni (Cass. n. 11681/2014; Cass. n. 23759/2011). Sul punto, è stato osservato, in sede di legittimità, che, poiché la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento «fino all'udienza di precisazione delle conclusioni», configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie (Cass. n. 25798/2015). In definitiva, appare ormai consolidato l'assunto secondo cui la preclusione sancita dall'art. 268 concerne l'obbligo, per l'interventore volontario che agisca in surrogazione di una delle parti nei confronti del terzo responsabile, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per i contendenti originari, ma non si estende alla formulazione della domanda dell'interveniente e alla produzione della documentazione comprovante la surrogazione processuale, che costituisce la ragione stessa della partecipazione al giudizio. (Cass. n. 4934/2018). È invece assolutamente minoritaria la tesi più rigorosa, pure espressa talvolta in sede applicativa per la quale il terzo può intervenire nel giudizio, proponendo domande autonome, nel termine previsto dall'art. 167, comma 2 per la proposizione di domande riconvenzionali, mentre successivamente alla scadenza del suddetto termine può essere proposto unicamente, fino alla precisazione delle conclusioni (e ferme restando le preclusioni assertive ed istruttorie eventualmente già maturate) l'intervento adesivo dipendente (Trib. Bergamo, 14 maggio 2004, Giur. mer., 2005, 584; Trib. Ivrea, 7 luglio 2003, Giur. mer., 2004, 68). In altri termini, secondo tale impostazione, colui che interviene in via principale o con un intervento adesivo autonomo oltre l'udienza di trattazione subisce le stesse preclusioni delle parti originarie e, dunque, non può proporre domande nuove. (Trib. Lucca, 24 aprile 2004, Giur. mer. 2004, 2277; App. Torino, 24 settembre 2003, Giust. civ., 2004, I, 3161). Questa tesi è stata suffragata anche in sede di legittimità mediante l'affermazione del principio per il quale al terzo che interviene volontariamente nel giudizio oltre la prima udienza di trattazione è preclusa la possibilità di compiere atti, quali la produzione di documenti attinenti al merito della causa, non più consentiti alle altre parti, mentre tale preclusione non opera per l'attività assertiva. (Cass. I, n. 2093/2007). Sulla questione la S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 268, comma 2, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dal momento che la necessità per il terzo, che intervenga in un processo già iniziato, di parteciparvi "rebus sic stantibus", senza poter incidere sullo sviluppo delle fasi processuali, non costituisce ostacolo alla tutela effettiva del suo diritto, essendogli consentito di far valere le proprie ragioni, in condizione di piena eguaglianza con le altre parti, mediante la proposizione di un autonomo giudizio o dell'opposizione ex art. 404 (Cass. n. 24529/2018). In seguitoe, di contro, Cass. n. 31939/2019, ha condiviso l'impostazione precedente più garantista nei confronti del terzo interveniente, affermando il principio in virtù del quale chi interviene volontariamente in un processo ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia spirato il termine di cui all'art. 183 per la fissazione del "thema decidendum", evidenziando che tale interpretazione dell'art. 268 non viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare. Sotto altro profilo è stato precisato, inoltre, che l'interventore volontario in via principale che faccia valere un proprio diritto in conflitto con le parti originarie del processo è legittimato, in forza di un principio di economia processuale, a dedurre l'incompetenza del giudice adito anche ove il convenuto non abbia sollevato analoga eccezione e purché il suo intervento avvenga in un momento del processo in cui tale eccezione potrebbe essere ancora proposta dal convenuto medesimo (Cass. n. 22532/2014 la quale ha ritenuto che, di conseguenza, l'interventore è legittimato a presentare istanza di regolamento di competenza qualora il giudice abbia disatteso la sua eccezione, indipendentemente dalle determinazioni assunte, al riguardo, dal convenuto). L'interveniente volontario, avendo assunto formalmente la qualità di parte primaria nel processo, è legittimato a proporre appello contro la decisione che abbia concluso il primo grado del giudizio non solo quando le sue istanze siano state respinte nel merito, ma anche quando sia stata negata l'ammissibilità dell'intervento ovvero sia stata omessa ogni pronuncia sulla domanda formulata con l'intervento stesso (Cass. n. 1671/2015). Conseguenze dell’intervento ai fini della proposizione dell’impugnazione A seguito di intervento adesivo volontario, ex art. 105 c.p.c., pur ricorrendo un'ipotesi di cause sostanzialmente scindibili, si configura un litisconsorzio necessario processuale e la causa deve considerarsi inscindibile nei confronti dell'interventore anche in grado di appello, con la conseguenza che, ove l'atto di impugnazione non sia notificato nei suoi confronti ed il giudice non abbia ordinato l'integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., si determina la nullità, rilevabile di ufficio pure in sede di legittimità, dell'intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso (Cass. II, ord. n. 11156/2018). Intervento autonomo in appello L'intervento volontario in appello è ammissibile soltanto quando l'interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404, ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando l'intervento stesso sia qualificabile come adesivo, perché volto a sostenere l'impugnazione di una delle parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente da un rapporto che lega il diritto dell'interventore a quello di una delle parti (Cass. III, n. 12114/2006). L'intervento in appello, recante una domanda volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica in proprio favore di un contratto preliminare concluso inter alios, è inammissibile, attesi i limiti sanciti dall'art. 344, tendendo non ad evitare un pregiudizio, bensì a realizzare una pretesa; qualificandosi inoltre tale intervento come adesivo, e non autonomo, per essere riconoscibile il diritto invocato dall'interventore solo previo accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., formulata in primo grado da uno dei contraenti, è altresì inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal medesimo interventore, in quanto carente, giacché titolare di un interesse di mero fatto, di un'autonoma corrispondente legittimazione ove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto all'impugnazione (Cass. VI, n. 24412/2013). Intervento nel giudizio di legittimità Costituisce jus receptum il principio per il quale non è consentito nel giudizio di legittimità l'intervento volontario del terzo, mancando una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l'art. 105 esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale della norma disciplinante l'intervento volontario, come sopra interpretata, con riferimento all'art. 24 Cost., giacché la legittimità della norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione (Cass., S.U., n. 1245/2004; Cass. III, n. 10813/2011; Cass. III, n. 11375/2010). Nel giudizio di cassazione, mancando un'espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l'intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa od ove tale costituzione non abbia riguardato il diritto oggetto di cessione (Cass. I, n. 6774/2022). Intervento in sede di rinvio Nel giudizio di rinvio si applicano le medesime regole del procedimento in appello, sicché non è ammissibile l'intervento volontario del terzo che non versi in una delle situazioni previste dall'art. 404 (Cass. III, n. 7710/2015). Peraltro, è stato al contempo precisato che la caratteristica del giudizio di rinvio come giudizio «chiuso», non solo con riferimento all'oggetto, ma anche con riferimento ai soggetti, non preclude che in tale fase, in una controversia tra condomini e condominio, rappresentato dall'amministratore, per tutelare i diritti della collettività, intervengano singoli condomini, a sostegno del condominio, rispetto al quale, come per il giudizio di appello, i condomini intervenienti non sono terzi, perché invece si identificano sostanzialmente con tale parte, già in giudizio (Cass. II, n. 6813/2000). Intervento nel processo del lavoro A norma dell'art. 419, nelle controversie soggette al rito del lavoro l'intervento del terzo ex art. 105 non può avvenire oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto e, qualora sia tardivo, la tardività non può essere sanata dall'accettazione del contraddittorio da parte del soggetto contro il quale il terzo abbia proposto la propria domanda, attesa la rilevanza pubblica degli interessi in vista dei quali è posto il divieto di domande nuove; tale previsione, avendo carattere pubblicistico, è sottratta alla disponibilità dei privati, mentre non ha la medesima natura la disposizione (introdotta nell'art. 419 citato dalla sentenza additiva della Corte cost. n. 193/1983) prevedente, in caso di intervento volontario, la fissazione di una nuova udienza e la notifica della memoria dell'interveniente e del provvedimento di rifissazione alle parti originarie; con la conseguenza che, in caso di omissione degli adempimenti da ultimo ricordati, la parte nel cui interesse i suddetti sono disposti deve, a norma dell'art. 157, far valere la nullità derivante dalla mancata fissazione della nuova udienza nella prima difesa successiva al fatto o alla notizia di esso (v., tra le altre, Cass. lav., n. 19834/2004). Intervento adesivo dipendenteL'intervento può invece essere definito “adesivo dipendente” qualora il terzo non faccia valere attraverso lo stesso un proprio diritto, ma un semplice interesse, sebbene giuridicamente rilevante, a sostenere le ragioni di una delle parti in causa: in questo caso, l'intervento è funzionale soprattutto ad integrare la difesa della parte adiuvata, onde evitare il pregiudizio che il terzo potrebbe subire dall'emanazione di una decisione contraria alle conclusioni rassegnate dalla stessa. L'interesse giuridico che sostiene l'intervento adesivo dipendente è quindi il seguente: il terzo sarebbe pregiudicato dalla pronuncia resa tra le parti originarie nell'ipotesi di soccombenza della parte adiuvata, in quanto la sua situazione giuridica dipende sotto il profilo sostanziale da quella della stessa, di talché se cade il diritto della parte in causa, cade anche la posizione giuridica vantata dall'interveniente. Numerosi sono i casi nei quali si ravvisa una tale dipendenza della situazione soggettiva del terzo sotto il profilo sostanziale: pensiamo al sub-conduttore, a colui che acquista un bene sequestrato nei confronti del creditore sequestrante e, più in generale, agli acquisti a titolo derivativo, fattispecie nella quali l'acquisto dell'avente causa dipende dalla validità del titolo in forza del quale ha acquistato il dante causa (Vaccarella, 168). L'interesse richiesto per la legittimazione all'intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti, deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere — anche solo in via indiretta o riflessa — pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa (Cass. n. 25145/2014). In giurisprudenza Cass. n. 22972/2022 ha recentemente chiarito che laddove l'interventore, pur essendo (asseritamente) titolare di un proprio autonomo diritto, lo faccia valere, non in via autonoma - ossia sollecitando una pronuncia che abbia ad oggetto quel diritto e che sia emessa nei suoi confronti - bensì quale interesse che lo legittima a sostenere le ragioni di una delle parti, va qualificato come adesivo dipendente e, in quanto tale, in caso di acquiescenza alla sentenza della parte adiuvata, l'interventore non può proporre alcuna autonoma impugnazione, né in via principale nè in via incidentale, salvo che essa sia limitata a questioni attinenti alla qualificazione dell'intervento o alla condanna alle spese. L'interventore adesivo dipendente ha diritto alla refusione delle spese di lite in caso di soccombenza della parte alla cui posizione si oppone, essendo sufficiente a tal fine la sua partecipazione al giudizio (cfr. Cass. n. 20659/2024; Cass. III, n. 1589/2022). In particolare , il terzo, in caso di intervento adesivo dipendente, non può domandare la pronuncia di provvedimenti autonomi, i.e. diversi da quelli richiesti dalla parte adiuvata (Liebman, 2002, 106). I poteri processuali dell'interveniente adesivo sono all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte (Cass. n. 24370/2006). Tuttavia l'interventore adesivo dipendente ha diritto alla refusione delle spese di lite in caso di soccombenza dell'opponente, essendo sufficiente a tal fine la sua partecipazione al giudizio (Cass. III, n. 1589/2022). L'interveniente adesivo dipendente non può dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto, né proporre un'impugnazione autonoma (Cass. S.U., n. 23299/2011). La parte che svolge intervento adesivo dipendente, ai sensi del comma 2 dell'art. 105 — che si ha quando il terzo sostiene le ragioni di una parte senza proporre nuove domande ed ampliare il tema del contendere — può aderire all'impugnazione proposta dalla parte medesima ma non proporre impugnazione autonoma, la quale deve essere dichiarata inammissibile (Cass. II, n. 3734/2009). L'intervento adesivo dipendente, previsto dall'art. 105, comma 2, dà luogo ad un giudizio unico con pluralità di parti, nel quale i poteri dell'intervenuto sono limitati all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte: ne consegue che, in caso di acquiescenza alla sentenza della parte adiuvata, l'interventore non può proporre alcuna autonoma impugnazione, né in via principale né in via incidentale (Cass. III, n. 24370/2006). L'interventore adesivo in primo grado non ha autonoma facoltà di proporre appello nell'ipotesi in cui la parte adiuvata non si sia avvalsa del diritto a proporre impugnazione o abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole, salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento (Cass. II, n. 27528/2016). Il ricorso per cassazione proposto in via autonoma e principale dall'interveniente adesivo dipendente va esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto interveniente – cui è preclusa l'impugnazione in via autonoma della sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti –conserva in tal modo la sua posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all'impugnazione della parte adiuvata (Cass. n. 23235/2013). Casistica La legittimazione ad intervenire volontariamente nel processo, ai sensi della disposizione in esame, presuppone la terzietà dell'interventore rispetto alle parti, formali e sostanziali, dello stesso; pertanto, il successore universale di una di esse che, per effetto della continuazione o della prosecuzione del processo, acquisti la qualità di parte non è legittimato a spiegare intervento volontario nel medesimo giudizio per far valere un diritto, connesso per l'oggetto o per il titolo con quello controverso, di cui sia titolare indipendentemente dalla successione, subentrando nella stessa posizione processuale del soggetto venuto meno e soggiacendo alle relative preclusioni. (Cass, III, n. 16665/2017: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto ammissibile, perché spiegato nei termini previsti dall'art. 268 c.p.c., l'intervento litisconsortile con il quale i successori universali di una persona deceduta a causa delle lesioni riportate in seguito ad un incidente - già precedentemente costituitisi, iure hereditatis, in prosecuzione del giudizio risarcitorio iniziato dal dante causa - avevano domandato il risarcimento del danno "iure proprio"). La partecipazione dei genitori della madre genetica di un minore, nato in Italia, da coppia omogenitoriale femminile, al giudizio di rettificazione dell'atto di nascita finalizzato all'espunzione dell'indicazione come genitore della madre sociale dall'atto stesso, deve essere qualificata come intervento ad adiuvandum rispetto alla proposizione del ricorso da parte del pubblico ministero, quando sia diretto a far valere esclusivamente le ragioni di conformità alla legge ed alla corrispondenza alla realtà biologica dello status filiationis, senza alcuna deduzione od allegazione di un interesse concreto (Cass. n. 24369/2024). Nel procedimento per l'apertura di un'amministrazione di sostegno, l'intervento dei parenti non è corrispondente all'istituto di cui all'art. 105 c.p.c., in quanto, non producendo la nomina alcun effetto, neanche indiretto, nella sfera giuridica degli stessi, difetta il requisito dell'interesse giuridicamente rilevante, sicché, pur essendo assimilabile all'intervento adesivo dipendente sotto il profilo dell'assenza di legittimazione ad ampliare il thema decidendum, tale non è sotto il profilo della costituzione di un litisconsorzio processuale. Peraltro, i parenti, in quanto legittimati ad agire, ancorché nell'interesse del beneficiando, sono contraddittori processuali e possono, perciò, essere condannati alle spese processuali (Cass. n. 451/2024). Nel processo tributario, è ammissibile l'intervento adesivo dipendente del terzo che sia destinatario potenziale o mediato dell'atto impugnato, in quanto, essendo solidalmente responsabile dell'obbligazione tributaria insieme con il contribuente, è titolare di un rapporto dipendente o connesso rispetto a quello da esso costituito, sì da poter essere chiamato successivamente ad adempiere in luogo di altri, mentre è da escludere in caso di responsabilità paritetica, nella quale il presupposto di imposta è realizzato congiuntamente da più persone, ciascuna delle quali risponde, nei rapporti interni, pro quota (Cass. trib., n. 6854/2021, fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto ammissibile l'intervento adesivo dipendente del "sostituito" di imposta nel giudizio per poter beneficiare della definizione agevolata della controversia ex l. n. 289 del 2002 cui aveva aderito il "sostituto"). Sussiste la legittimazione del creditore concorrente ad intervenire adesivamente nel giudizio proposto dal curatore per far valere l'azione revocatoria fallimentare (Cass. I, n. 18147/2002). L'intervento in giudizio del terzo, a sostegno dell'opposizione del fallito a sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, ha carattere adesivo dipendente, anche se l'interventore è titolare di un astratto interesse ad esercitare in proprio l'opposizione ed invece, poi, si limita ad aderire a quella presentata dalla società fallita, nel frattempo soccombente ed acquiescente alla pronuncia di rigetto: ne consegue che il terzo interventore adesivo non può proporre impugnazione autonoma contro il verdetto sfavorevole al fallito, in quanto sfornito di legittimazione e di titolo per dolersi di una decisione su cui la parte adiuvata (fallito) ha fatto acquiescenza (Cass. I, n. 971/2008). Nelle controversie sui rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, l'intervento “ad adiuvandum” spiegato dal curatore nel processo instaurato dal fallito non fa cessare la legittimazione cosiddetta vicaria o suppletiva del fallito stesso, né priva quest'ultimo della legittimazione ad impugnare la sentenza, atteso che la mera adesione all'iniziativa del fallito non vale a revocare l'originario disinteresse della curatela (Cass. I, n. 17367/2012). Il socio di una società di capitali che abbia partecipato, con voto determinante, all'adozione di una deliberazione assembleare poi impugnata da un altro socio è portatore di un interesse ad intervenire in giudizio per appoggiare le ragioni della società al fine di evitare che siano posti nel nulla gli effetti di un atto alla cui formazione egli ha contribuito (e che deve, pertanto, presumersi conforme alla sue scelte), interesse non già di mero fatto, bensì giuridicamente qualificato dalla condizione stessa di socio, il quale, per un verso, è titolare di diritti partecipativi che lo abilitano (nei limiti proporzionali della sua quota) ad influenzare secondo i propri intenti il processo decisionale dell'assemblea, e, per altro verso, è sì vincolato alle deliberazioni da quest'ultima adottate, ma sul presupposto che dette delibere (se prese nel rispetto della legge e dello statuto) vincolino allo stesso modo anche gli altri soci (Cass. I, n. 4929/2003; Cass. II, n. 82/2000). Il terzo avente causa da colui che è stato convenuto in giudizio dal promissario acquirente di un immobile con domanda proposta ai sensi dell'art. 2932 c.c. qualora intervenga in tale giudizio acquista la veste di interventore adesivo dipendente e, come tale, non può dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto né proporre una impugnazione autonoma (Cass. S.U., n. 23299/2011). Ne deriva che egli non può ampliare il tema del contendere, proponendo domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. nei confronti del suo dante causa (Cass. n. 23969/2013). Nel caso in cui il promittente venditore convenuto con l'azione personale ex art. 2932 c.c. alieni ad un terzo il medesimo bene, non si versa nella previsione dell'art. 111 c.p.c. sul trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, e detto terzo può intervenire in giudizio per sostenere le ragioni del suo dante causa in veste di interventore adesivo dipendente ex art. 105, comma 2 non legittimato, come tale, a proporre autonoma impugnazione (Cass. I, n. 13000/2001). All'interno di un giudizio di risarcimento dei danni provocati da un incidente stradale, il conducente dell'autovettura è legittimato a spiegare intervento adesivo rispetto alla posizione del proprietario che sia stato convenuto in giudizio, essendo debitore solidale dello stesso, e come tale esposto, in caso di soccombenza del proprietario, all'esercizio nei propri confronti dell'azione di regresso ex art. 1299 c.c., sicché, una volta che egli sia divenuto parte del giudizio spiegando il relativo intervento, ha diritto alla liquidazione in proprio favore delle spese in caso di soccombenza dell'attore (Cass. III, n. 18944/2003). Sotto la vigenza della l. n. 281/1998, e prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo), le associazioni che si propongono statutariamente la tutela dei diritti dei consumatori (nella specie, l'interesse dei risparmiatori a ricevere un'informazione corretta nell'acquisto di prodotti finanziari), non inserite nell'elenco di quelle legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi di cui agli artt. 3 e 5 della citata legge, non sono legittimate ad intervenire "ad adiuvandum" nei giudizi risarcitori proposti individualmente dai singoli consumatori, atteso che un siffatto intervento è consentito solo ove l'interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente, e non di mero fatto, e che, anteriormente all'introduzione dell'art. 140 bisdel predetto codice del consumo, gli interessi "diffusi", quali quelli dei consumatori, sono "adespoti" e possono essere tutelati in sede giudiziale solo se il legislatore attribuisca ad un'associazione la qualità di ente esponenziale degli interessi stessi, così che essi possano assurgere al rango di "collettivi" (Cass. n. 15770/2018).
La legittimazione ad un intervento adesivo dipendente presuppone un interesse giuridicamente rilevante e qualificato, determinato dalla sussistenza di un rapporto giuridico sostanziale tra adiuvante ed adiuvato e dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi conseguenze derivanti da effetti riflessi o indiretti del giudicato: non può, pertanto, riconoscersi la legittimazione al Ministero delle politiche agricole ad intervenire, ai sensi dell'art. 105, secondo comma, in un giudizio tra privati avente ad oggetto la nullità del marchio, non essendo sufficiente l'interesse generale a proteggere i consumatori dall'uso ingannevole di una indicazione geografica, il quale, in una controversia tra privati, resta un interesse di mero fatto (Cass. n. 21472/2013). Cass. n. 21472/2013 ). Giordano Rosaria Nell'azione popolare in materia elettorale, è inammissibile l'intervento "ad adiuvandum" del candidato resistente, svolto in primo grado da un terzo elettore, atteso che parti necessarie del giudizio sono soltanto l'elettore e il candidato, oltre al pubblico ministero, né potendo l'azione popolare, per il suo carattere eccezionale, essere piegata a scopi diversi da quello teso al controllo giurisdizionale delle norme in materia di eleggibilità o incompatibilità (Cass. n. 4227/2021). Nel processo tributario, è ammissibile l'intervento adesivo dipendente del terzo che sia destinatario potenziale o mediato dell'atto impugnato, in quanto, essendo solidalmente responsabile dell'obbligazione tributaria insieme con il contribuente, è titolare di un rapporto dipendente o connesso rispetto a quello da esso costituito, sì da poter essere chiamato successivamente ad adempiere in luogo di altri, mentre è da escludere in caso di responsabilità paritetica, nella quale il presupposto di imposta è realizzato congiuntamente da più persone, ciascuna delle quali risponde, nei rapporti interni, "pro quota" (Cass. n. 6854/2021, in fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto ammissibile l'intervento adesivo dipendente del "sostituito" di imposta nel giudizio per poter beneficiare della definizione agevolata della controversia ex l. n. 289 del 2002 cui aveva aderito il "sostituto"). 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