Codice di Procedura Civile art. 111 - Successione a titolo particolare nel diritto controverso.

Mauro Di Marzio

Successione a titolo particolare nel diritto controverso.

[I]. Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.

[II]. Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte [649 ss. c.c.], il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto [110, 299 ss.].

[III]. In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire [267, 268] o essere chiamato [269] nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso.

[IV]. La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare [2909 c.c.] ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili [1153 ss. c.c.] e sulla trascrizione [2652, 2653, 2690 c.c.] 1.

 

[1] Comma così modificato dal r.d. 20 aprile 1942, n. 504.

Inquadramento

Mentre la previsione contemplata dall'art. 110 trova applicazione quando la parte «viene meno», e risponde all'esigenza di individuare chi possa in tal caso assumere l'iniziativa di proseguire il processo ovvero possa subirne la prosecuzione, la norma ora in commento, nel suo comma 1, non presuppone il venir meno della parte, ma detta una disciplina volta a dare continuità al processo nel caso in cui uno dei contendenti dismetta il diritto controverso, dando così luogo ad una situazione che, secondo alcuni, impedirebbe altrimenti una pronuncia sul merito o, comunque, la dilaterebbe nel tempo.

Difatti — viene osservato — in assenza della disposizione in esame, si renderebbe necessaria una interruzione del processo ed una riassunzione nei confronti del successore particolare, o forse anche una dichiarazione giudiziale di difetto di legittimazione dell'alienante e l'instaurazione di un nuovo processo nei confronti dell'acquirente (De Marini, 4). Da altri si replica sottolineando l'erroneità del richiamo alla nozione di legittimazione, la quale si determina dalla domanda, sicché il giudice, una volta constatata l'estraneità della parte, sia pur sopravvenuta, al diritto controverso, dovrebbe rendere non già una pronuncia in rito di carenza di legittimazione, ma dovrebbe respingere la domanda nel merito (Cerino Canova, in Comm. Allorio, 1980, 280).

In ogni caso, il risultato prodotto dall'alienazione della res litigiosa sarebbe inaccettabile giacché, a fronte del trasferimento a titolo particolare del diritto controverso ad opera di una delle parti in lite — trasferimento suscettibile di essere tra l'altro reiterato più volte —, la controparte finirebbe per trovarsi nella pratica impossibilità di veder riconosciuto il proprio diritto o, comunque, si scontrerebbe, nel perseguire tale scopo, con ingenti ed eccessive difficoltà. Al fine di sciogliere il nodo, dunque, il codice di rito, innovando rispetto alla tradizione romanistica, che poneva la regola della invalidità-inefficacia dell'alienazione della res litigiosa (per tutti Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1222), ha stabilito che il processo prosegua tra le parti originarie. In tal modo la norma vuole consentire la libera disponibilità delle situazioni giuridiche controverse, senza però che ciò pregiudichi la controparte, la quale non deve risentire nocumento per il fatto che sia stato posto in essere un atto di disposizione che abbia inciso sulla situazione sostanziale oggetto del giudizio (Luiso, 1997, 783).

Sicché, secondo che della nozione di successione nel diritto controverso si dia una lettura più o meno dilatata, si amplia o restringe la tipologia delle controversie suscettibili di proseguire tra le parti originarie nonostante l'intervenuta alienazione del diritto in contesa.

Nozione di diritto controverso

La nozione di diritto controverso è discussa. In breve, possono individuarsi due principali soluzioni, l'una che guarda alla successione nel diritto controverso come ad un fenomeno di natura sostanziale; l'altra che vi si riferisce come ad un fenomeno di natura processuale.

Secondo alcuni, dunque, il diritto controverso altro non è che il «diritto sostanziale dedotto in giudizio» (De Marini, 46; Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1225). Secondo altri, invece, l'art. 111 intende riferirsi al «diritto processuale al provvedimento di merito» (Picardi, 1964, 159 ss.). Non manca, tra le due, una lettura che pare voler coniugare i due aspetti (Mengoni, 360 ss.; Fazzalari, 1384).

Nel quadro della prima ricostruzione, per diritto controverso deve intendersi il diritto sostanziale oggetto della contesa, sebbene allo stato meramente ipotetico, dal momento che esso sarà accertato soltanto all'esito della lite. Tale diritto sostanziale è ciò da cui l'ordinamento fa discendere la legittimazione processuale della parte e, dunque, il complesso delle posizioni attive e passive connesse al processo, di guisa che la successione nel diritto controverso considerata dall'art. 111 viene a coincidere con la perdita della legittimazione processuale in capo al dante causa ed il corrispondente acquisto della medesima legittimazione processuale in capo all'avente causa. Viceversa, non ricorre l'ipotesi disciplinata dall'art. 111 quando l'alienante conservi la legittimazione processuale, nel qual caso, non potendosi configurare una successione nel diritto controverso, il processo non può che proseguire nei confronti dell'alienante. In quest'ottica — si precisa — la perdita della legittimazione dell'alienante ha luogo soltanto nel caso del trasferimento di un diritto reale in pendenza di una azione reale (De Marini, 266; Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1231), venendo altrimenti a mancare la coincidenza tra diritto sostanziale dedotto in giudizio (il diritto di proprietà o altro diritto reale) ed il diritto oggetto del trasferimento a titolo particolare (il medesimo diritto di proprietà o altro diritto reale dedotto in giudizio).

Volendo scendere sul piano degli esempi, si avrebbe dunque successione a titolo particolare nel diritto controverso — secondo l'indirizzo dottrinale sintetizzato — in caso di alienazione della res in pendenza del giudizio di rivendicazione intrapreso dal proprietario nei confronti del detentore, ma non nel caso di alienazione della res intervenuta in pendenza di un giudizio di risoluzione per inadempimento della compravendita della cosa medesima, giacché, in quest'ultimo caso, l'alienazione avrebbe ad oggetto la proprietà della cosa mentre il processo avrebbe ad oggetto non la cosa, ma un'azione costitutiva che la concerne. Ovvie le conseguenze applicative: l'acquirente della cosa in corso del giudizio di rivendicazione potrebbe intervenire ed essere chiamato nel processo ai sensi dell'art. 111 e rimarrebbe esposto agli esiti della pronuncia; l'acquirente della cosa in corso del giudizio di risoluzione — nell'esempio che si è fatto — rimarrebbe estraneo alla vicenda processuale, se non per i riflessi, derivanti dall'applicazione del principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, del giudicato formatosi nei confronti del dante causa.

La seconda ricostruzione, come si diceva, individua invece nel diritto controverso un quid di natura processuale, ossia il diritto al provvedimento di merito. Nel processo — si sostiene — è riscontrabile non soltanto un complesso di posizioni giuridiche attive facenti capo a ciascuna parte (facoltà, poteri, doveri processuali), ma anche una posizione definita «inattiva» — in quanto «non implica una condotta del titolare» (Picardi, 1964, 149), ma è speculare ad un dovere del giudice — consistente nel diritto processuale al provvedimento di merito, favorevole o sfavorevole. E proprio a tale diritto, suscettibile di autonomo potere di disposizione, avrebbe tratto l'art. 111 indipendentemente dal trasferimento del diritto sostanziale.

Per questa via, naturalmente, l'ambito di operatività dell'art. 111 si estende: esso, tornando all'esempio precedentemente fatto, sarebbe applicabile non soltanto al trasferimento della cosa in pendenza del giudizio di rivendicazione, ma anche allo stesso trasferimento attuato in pendenza del giudizio di risoluzione per inadempimento, ovvero di altro giudizio tendente ad una pronuncia costitutiva.

Sembra poi potersi isolare una posizione intermedia, secondo la quale la successione nel diritto controverso è sì fattispecie sostanziale, ma a cui la norma ricollega effetti processuali (Mengoni, 395; Fazzalari, 1386).

In giurisprudenza si trova più volte affermato che ricorre la successione a titolo particolare nel diritto controverso «in ogni caso in cui l'alienazione comporti — per un rapporto di derivazione sostanziale — il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio» (Cass. n. 3868/1983; Cass. n. 8316/2003): con il che la Suprema Corte sembra propendere per la seconda delle ricostruzioni alle quali si è fatto cenno, intendendo per l'appunto la successione a titolo particolare nel diritto controverso quale subentro nella posizione processuale, sia pure in dipendenza del fenomeno successorio verificatosi sul terreno del diritto sostanziale. Più in specifico, con riguardo alla questione se la successione a titolo particolare nel diritto controverso sussista o meno nel solo caso in cui sia alienato l'identico diritto che forma oggetto della controversia (nel primo senso, i già citati De Marini, 40; Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1227; nel secondo v. pure Cerino Canova, in Comm. Allorio, 1980, 280; Lorenzetto Peserico, 302), la giurisprudenza tende a ritenere che l'applicazione dell'art. 111 ricorra non soltanto in caso di trasferimento dell'identico diritto, ma anche allorché l'oggetto della successione sul piano sostanziale sia costituito da una situazione giuridica soggettiva rispetto alla quale il diritto controverso si trovi in un rapporto di accessorietà-dipendenza (Cass. n. 3842/1980; Cass. n. 442/1966; Cass. n. 1309/1965; Cass. n. 3254/1983).

Nel ribadire che la successione a titolo particolare nel diritto controverso, la quale legittima il successore ad intervenire in causa, si ha non soltanto quando sia alienato l'identico diritto che forma oggetto della controversia, ma ogni volta che l'alienazione importi, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio, la S.C. ha confermato l'esattezza della pronuncia che aveva applicato il principio in riferimento ad un'azione di risoluzione, annullamento o rescissione proposta riguardo al titolo di acquisto del dante causa (Cass. n. 415/1973). Nello stesso tempo quest'ultima pronuncia ha negato l'applicabilità dell'art. 111 alle sole azioni reali e non a quelle costitutive, e la soggezione alla efficacia riflessa del giudicato dell'avente causa della parte in forza di atto trascritto successivamente alla trascrizione della domanda ex art. 2652, n. 1, c.c.

La successione a titolo particolare nel diritto controverso, di cui all'art. 111, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dal principio del giusto processo, coniugato con il diritto di difesa (artt. 111 e 24 Cost.), si ha — è stato in tempi più recenti chiarito — indipendentemente dalla natura, reale o personale, dell'azione fatta valere tra le parti originarie, dovendosi garantire all'acquirente, il quale intenda intervenire nel processo, le stesse possibilità di difesa spettanti al suo dante causa contro le deduzioni avversarie, e potendosi, invece, rivelare per lo stesso acquirente pregiudizievole la soggezione all'efficacia riflessa della sentenza inter alios, impugnabile soltanto nell'ambito delle difese esercitate dall'alienante. Ne consegue che l'acquirente di un immobile deve essere considerato successore nel diritto controverso, agli effetti dell'art. 111, nel processo avente ad oggetto la validità, la risoluzione o l'esecuzione di un contratto preliminare, relativo allo stesso bene, stipulato in precedenza tra il dante causa ed un terzo (Cass. n. 12305/2012).

Resta fermo che la norma in commento presuppone un intervenuto trasferimento dal dante causa all'avente causa, sicché essa non può trovare applicazione in caso di acquisto del diritto controverso verificatosi non per via derivativa, ma a titolo originario. Non può discorrersi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, ad esempio, in caso di espropriazione per pubblica utilità (Cass. n. 9643/2011).

La posizione di acquirente a titolo originario, d'altronde, non esclude che l'acquirente possa intervenire nel processo in corso inter alios, ma si tratterà non di intervento riconducibile all'art. 111 — con i caratteri peculiari che tale intervento possiede, come si vedrà più avanti — bensì di intervento volontario principale ai sensi dell'art. 105.

Ambito di applicazione

La norma in commento opera, oltre che il procedimento di cognizione ordinaria, anche nel procedimento di ingiunzione (Cass. n. 3341/1987).

Dell'art. 111 è stata fatta applicazione anche con riguardo al procedimento di repressione della condotta antisindacale (Cass. n. 7368/1997).

Una particolare attenzione merita, tenuto conto della pluralità delle situazioni che possono presentarsi, la questione dei rapporti tra successione a titolo particolare nel diritto controverso e processo di esecuzione. Occorre infatti distinguere le due ipotesi: i) della successione nel diritto controverso perfezionatasi prima dell'inizio del processo esecutivo; ii) della successione nel diritto controverso perfezionatasi dopo l'inizio del processo esecutivo.

Nel primo caso, quello della successione attuatasi prima che il processo esecutivo abbia avuto inizio, si danno poi due ulteriori distinzioni: a) dal punto di vista cronologico, può accadere che la successione abbia luogo in tre distinti segmenti temporali, ossia: nel corso del procedimento di cognizione; nell'arco temporale tra la formazione del titolo esecutivo ed il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del giudizio; dopo tale passaggio in giudicato; b) dal punto di vista soggettivo, può accadere che la successione abbia luogo dal lato attivo oppure dal lato passivo del rapporto; nel primo caso occorre interrogarsi se, in caso di successione verificatasi prima dell'inizio del processo esecutivo, la legittimazione ad esercitare l'azione esecutiva aspetti al dante causa ovvero all'avente causa ovvero a ciascuno di essi, quantunque il successore non abbia partecipato al processo; nel secondo caso occorre chiedersi se, in caso di successione verificatasi prima dell'inizio del processo esecutivo, il titolo formatosi contro l'alienante abbia efficacia esecutiva anche nei confronti del successore, quantunque questi non abbia partecipato al processo.

In generale, la S.C. insegna che l'acquirente può avvalersi del titolo esecutivo quantunque non sia intervenuto nel processo (Cass. n. 53/1998).

Diverse pronunce, muovendo dall'assunto che il termine «successori» impiegato dall'art. 475 debba essere interpretato come sinonimo di «aventi causa, sia a titolo universale che particolare», hanno riconosciuto la legittimazione all'azione esecutiva dell'avente causa, senza soffermarsi, tuttavia, sul quesito concernente la sua esclusività (Cass. n. 1621/1959; Cass. n. 1756/1957; Cass. n. 1189/1952).

All'opposto, altre pronunce hanno riconosciuto la legittimazione del successore ad agire esecutivamente, senza soffermarsi sull'esclusività della sua legittimazione (Cass. n. 8459/1994).

A tal riguardo è stato ulteriormente chiarito che il successore non ha l'onere di far precedere l'esecuzione forzata dalla notificazione degli atti o dei documenti che comprovano la successione (Cass. n. 9195/1995),

Sulla specifica questione della esclusività o meno della legittimazione del dante causa e dell'avente causa, dal lato attivo del rapporto, ha successivamente preso posizione la S.C., affermando che detta legittimazione spetta in effetti sia al successore, sia, quale sostituto processuale, all'alienante (Cass. n. 2405/1986; Cass. n. 2955/1991; in tema di cessione del credito v. Cass. n. 2 2103/1987, Cass. n. 1552/2011).

Passando all'esame della questione con riguardo al lato passivo del rapporto, si trova affermato che, pur continuando il processo nei confronti del sostituto (alienante o successore a titolo universale), la sentenza che è data ha piena efficacia nei confronti del sostituito (acquirente o legatario), sebbene pronunciata fuori della sua presenza; per poter agire in executivis contro il sostituito occorre notificare a lui direttamente il titolo esecutivo ed il precetto; tuttavia l'omissione di tale formalità importa una irregolarità formale, che può farsi valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 2381/1966).

È stato in seguito chiarito che, potendo il successore avvalersi del titolo esecutivo formatosi nei confronti del dante causa, egli non deve instaurare nei confronti del debitore il procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo (Cass. n. 2748/1998).

La sentenza pronunciata contro l'alienante spiega sempre i suoi effetti, come titolo esecutivo, anche contro il successore a titolo particolare, sicché egli non si può opporre all'esecuzione contrapponendo un proprio diritto all'autorità del titolo esecutivo di provenienza giudiziale, che fa stato anche contro di lui, ma, come soggetto all'esecuzione forzata, può sempre contestare la legittimità dell'esecuzione stessa negando l'esistenza del titolo o la corrispondenza ad esso della pretesa esecutiva, o negando, senza attaccare il titolo stesso, che esso possa spiegare effetto contro di lui (Cass. n. 442/1966; Cass. n. 1525/1971; Cass. n. 11272/1993; Cass. n. 73/2003).

Una regola peculiare si è consolidata con riguardo ai provvedimenti di rilascio, ai quali viene riconosciuta efficacia erga omnes. È così, ad esempio, per il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 (Cass. n. 3024/1986; Cass. n. 6038/1995; Cass. n. 15268/2006; Cass. n. 18179/2007; Cass. n. 10723/2011) ovvero per l'ordinanza di convalida di sfratto (Cass. n. 6330/1985).

Passando all'esame della successione nel diritto controverso perfezionatasi dopo l'inizio del processo esecutivo, si trova in generale affermato che, in pendenza di esso, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente, in virtù del principio stabilito dall'art. 111, dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, comporta che il titolo esecutivo spiega la sua efficacia in favore del titolare del credito e di tutti i suoi successori, siano essi a titolo universale o a titolo particolare (Cass. n. 14096/2005; Cass. n. 4985/2004; Cass. n. 9727/1995). E cioè, l'acquisto del bene sottoposto ad esecuzione forzata, da parte dell'aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo, non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato, con la conseguenza che, qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile, il bene venga espropriato in esito ad esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all'aggiudicatario, ai sensi dell'art 111, comma 4 c.p.c., in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, salva l'eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 e 2919 c.c. (Cass. n. 25926/2022).

Nell'ipotesi di trasferimento a titolo particolare del diritto sul bene pignorato è stata talora affermata l'inapplicabilità, in linea generale, dell'art. 111, ma sono state ritenute ugualmente operanti le regole da esso poste (Cass. n. 4612/1985).

Quanto al momento decisivo per i fini della applicabilità della disposizione, il trasferimento del diritto controverso ha rilievo, nell'ambito del procedimento di cognizione ordinaria, come si è già visto poc'anzi con riguardo al procedimento di ingiunzione, dal giorno della notifica dell'atto di citazione, fino allo spirare del termine per l'impugnazione. A tale ultimo riguardo si trova difatti affermato che la successione a titolo particolare nel diritto controverso produce gli effetti previsti dall'art. 111 in tutti i casi in cui, non essendo resa una pronuncia non più impugnabile, la controversia deve considerarsi ancora pendente ed anche quando, quindi, il trasferimento siasi verificato dopo la sentenza di appello, in pendenza del termine per il ricorso in cassazione (Cass. n. 2666/1993).

Il principio di cui all'art. 111, comma 1, secondo cui, se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie, non opera qualora tale diritto (ovvero una quota del bene che ne è oggetto) sia ceduto da una parte alla sua controparte, venendo a cessare, per confusione soggettiva tra attore e convenuto, la materia del contendere (anche solo relativamente alla quota ceduta), la quale, come condizione dell'azione, deve persistere fino al momento della decisione (Cass. n. 10057/2015).

Il trasferimento del diritto controverso mortis causa

Il comma 2 della disposizione, il quale stabilisce che se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto, si riferisce al caso in cui, essendo stato attribuito quale legato ad un terzo il diritto oggetto della lite, la successione venga ad aprirsi nel corso del processo: ciò avuto riguardo alla previsione dell'art. 649 c.c. secondo cui il legato si acquista senza bisogno di accettazione e, se si tratta di proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore la proprietà o il diritto si trasmettono al legatario al momento della morte del primo.

La ratio della disposizione, è stato detto, è da ricercarsi in vari motivi: nel fatto che il processo impegna tutto il patrimonio del de cuius, e non solo la cosa legata, per la responsabilità che ne deriva; nel fatto che la controparte non è tenuta a conoscere tutte le clausole del testamento; nel fatto ancora che il legatario deve chiedere il possesso della cosa legata all'onerato (art. 649); si aggiunga che la morte della parte non produce interruzione del processo ipso iure: onde il processo può continuare nel nome del defunto, e i suoi effetti devono necessariamente prodursi nei confronti dell'erede, non del legatario, almeno per quel che riguarda la controparte (Satta, 1959, 425).

A norma dell'art. 111, dunque, se nel corso del processo il diritto controverso si trasferisce a titolo particolare, sia per atto tra vivi che a causa di morte, tale trasferimento non opera alcun effetto sul rapporto processuale, il quale continua tra le parti originarie, e cioè nei confronti dello alienante, se l'alienazione e avvenuta inter vivos o nei confronti del successore a titolo universale, se il trasferimento si è attuato mortis causa, con la conseguenza che l'alienante, continuando ad essere parte nel processo, in cui si controverte di un diritto che a lui più non appartiene, assume, dopo l'alienazione di tale diritto, la funzione di sostituto processuale dell'acquirente, alla stessa guisa che il successore universale diventa sostituto processuale del legatario (Cass. n. 3403/1973).

In tale frangente, dunque, non si determina una situazione di litisconsorzio necessario tra il successore a titolo particolare e il legatario. Ed anzi non può sorgere un problema di litisconsorzio necessario nel caso di successione a titolo particolare mortis causa fra successore a titolo universale e legatario, posto che il primo costituisce in giudizio il sostituto del secondo. Vien quindi meno il presupposto indispensabile di ogni litisconsorzio, ossia la pluralità dei contraddittori (Cass. n. 1687/1968). È in definitiva ben possibile che, quantunque si controverta di un diritto spettante al legatario, il processo non si svolga nei suoi confronti.

Perciò, il processo interrotto per morte della parte va proseguito o riassunto da o nei confronti degli eredi della parte medesima, con l'ulteriore conseguenza che rimane irrilevante, al fine di evitare l'estinzione ex art. 305, l'intervento in causa dei legatari del defunto, ancorché subentrati nel diritto oggetto di contesa (Cass. n. 2901/1976).

Naturalmente, come emerge anche da quest'ultima pronuncia, il legatario può ai sensi del comma 3 intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono il successore universale può esserne estromesso. Nel caso in cui in conseguenza della morte della parte, nei cui confronti sia stata proposta domanda di accertamento della proprietà di un bene e di condanna alla sua restituzione, sia subentrato nel giudizio l'erede, ove questi non sia stato estromesso a seguito dell'intervento del legatario del bene controverso, l'impugnazione della relativa decisione deve essere proposta anche nei confronti dell'erede e non del solo legatario, con la conseguenza, in mancanza, della necessità dell'integrazione del contraddittorio nei confronti del detto erede e con gli effetti dell'art. 331 nel termine fissato dal giudice (Cass. n. 3479/1989).

I poteri processuali dell'alienante e del successore

Corollario del principio secondo cui il processo prosegue tra le parti originarie e, in particolare, ad iniziativa o nei confronti dell'alienante o del successore universale — nelle ipotesi rispettivamente contemplate dai commi 1 e 2 dell'art. 111 —, è la regola secondo cui essi possono compiere tutti gli del processo (De Marini, 84). Se, insomma, l'alienante resta soggetto processuale, egli non può non essere abilitato a svolgere tutto quanto il processo richiede: e del tutto fisiologicamente quanto acquisito al processo in dipendenza dell'attività svolta dall'alienante viene impiegato dal giudice ai fini della decisione, che avrà efficacia anche nei confronti del successore a titolo particolare.

Per parte sua il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo rispetto alla lite, ma è l'effettivo titolare del diritto in contestazione (Cass. n. 6444/2009; Cass. n. 10876/2007; Cass. n. 11757/2006; Cass. n. 2889/2002; Cass. n. 649/2000). Detto principio si traduce ad esempio in ciò, che la notificazione della sentenza effettuata nei confronti dell'alienante fa decorrere il termine breve per l'impugnazione anche nei confronti del successore a titolo particolare (Cass. n. 2947/2011).

Secondo un indirizzo l'alienante può rinunciare agli atti, ovvero accettare la rinuncia della controparte, ai sensi dell'art. 306 (De Marini, 84). Sostengono altri che l'alienante può rinunciare agli atti del giudizio ed accettare la rinuncia avversaria solo nei limiti in cui questi atti non comportino disposizione del diritto controverso, solo cioè se intervengano nel corso del processo di primo grado, non già se siano posti in essere dopo l'emanazione di una sentenza di prima o seconda istanza (Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1233).

La giurisprudenza ritiene che il dante causa possa rinunciare all'azione, sì da determinare la cessazione della materia del contendere. Ma la rinuncia non è indenne da possibili conseguenze sul piano risarcitorio (Cass. n. 2280/1973).

La dottrina prevalente esclude inoltre che l'alienante possa dar luogo alla conciliazione giudiziale, alla rinuncia all'azione, al riconoscimento dell'azione avversaria, alla confessione ed al giuramento (De Marini, 95; Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1233; Luiso, 2000, 788).

Tra le questioni appena enumerate si è presentata in giurisprudenza quella dell'efficacia probatoria della confessione del dante causa nei confronti del successore a titolo particolare, questione che è stata risolta in conformità all'opinione di Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1234, nel senso che la confessione prestata da uno soltanto, mentre ha efficacia di prova legale contro il dichiarante, non è opponibile nei confronti dell'altro, in relazione al quale può essere liberamente apprezzata (Cass. n. 4904/2003).

Nella stessa ottica, ma nella situazione processuale rovesciata, è stata riconosciuta al successore a titolo particolare la facoltà di spiegare eccezioni non proposte dal dante causa, quale l'eccezione di usucapione (Cass. n. 4904/2003; Cass. n. 6503/2000; Cass. n. 15798/2002; Cass. n. 4445/2002).

L'intervento del successore a titolo particolare

La norma riconosce al successore a titolo particolare la facoltà di intervenire o essere chiamato nel processo, nel qual caso l'alienante (ovvero il successore a titolo universale nell'ipotesi di trasferimento a titolo particolare per causa di morte) può essere estromesso. Ciò sta a significare che il successore a titolo particolare non è litisconsorte necessario nel processo in corso nei confronti del dante causa, qualità che acquista, solo ove intervenga o sia chiamato nel processo, ovvero eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa (Cass. n. 21773/2006).

Nell'intervenire, il successore a titolo particolare deve provare tale sua qualità. Perciò, ad es., la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all'art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta (Cass. n. 24798/2020).

Quanto all'intervento del successore titolo particolare nel diritto controverso, esso viene da taluni avvicinato all'intervento adesivo dipendente, sul rilievo che il successore non propone una domanda nuova, bensì pone in essere un'attività preordinata a sostenere la medesima pretesa fatta valere dall'alienante o dal successore universale, sicché l'oggetto del processo risulta immutato (Andrioli, 287). Altri ritengono trattarsi di un intervento litisconsortile o adesivo autonomo, poiché il successore che intende intervenire è dotato di una legittimazione assimilabile a quella delle parti principali (Picardi, 1964, 178). L'opinione prevalente, accolta dalla giurisprudenza, reputa l'intervento del successore a titolo particolare estraneo alla previsione dell'art. 105, giacché l'interventore non è terzo estraneo alla lite, ma ne è parte in senso sostanziale, sicché la norma in commento contempla una peculiare ipotesi di intervento di parte (De Marini, 209).

In proposito v. Cass. n. 2200/1999; Cass. n. 9119/2001; Cass. n. 2889/2002; Cass. n. 11757/2006

Ne discende che, ai sensi dell'art.111, comma 3, il successore a titolo particolare nel diritto controverso può intervenire o essere chiamato in causa in ogni grado o fase del processo, sicché la chiamata non soggiace alle forme e ai termini prescritti dall'art. 269 (Cass. S.U., n. 21690/2019).  Dunque, integra violazione dell'art. 111 la dichiarazione di inammissibilità della chiamata in causa del soggetto succeduto nel diritto controverso in pendenza del giudizio di primo grado, effettuata per la prima volta in grado di appello, potendo tale chiamata essere svolta in ogni fase o grado del processo (Cass. n. 17486/2020).   

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. n. 5987/2021Cass. n. 5759/2016; Cass. n. 11375/2010). V. però Cass. n. 11638/2016 secondo cui il successore a titolo particolare ex art. 111 può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall'acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa, altrimenti determinandosi un'ingiustificata lesione del suo diritto di difesa. Analogamente Cass. n. 6774/2022Da ultimo, nel ribadire invece che il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa che consenta al terzo di parteciparvi esplicando le proprie difese, Cass. n. 16526/2024 ha invece affermato che è ammesso a depositare controricorso, per resistere al ricorso proposto contro il proprio dante causa, nel caso in cui in cui quest'ultimo sia rimasto inerte, altrimenti determinandosi un'irrimediabile lesione del suo diritto di difesa.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, oltre che spiegare intervento volontario, può assumere la qualità di parte nel processo anche per effetto di chiamata in causa ovvero anche dietro ordine del giudice (Cass. n. 3822/1985; Cass. n. 8302/2024). Inoltre il successore a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell'art. 111, può intervenire anche nel giudizio di rinvio, non essendo preclusa tale facoltà nemmeno dall'art. 344, il quale limita l'intervento in appello (Cass. n. 4536/2015).

Come è stato ribadito, il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che abbia spiegato intervento volontario, assume nel processo una posizione coincidente con quella del suo dante causa, divenendo titolare del diritto in contestazione; pertanto il suo intervento - che è regolato dall'art. 111 e non dall'art. 105 e dà luogo ad una fattispecie di litisconsorzio necessario - non può essere qualificato come intervento adesivo dipendente e, se svolto in appello, mediante mera riproposizione dei motivi dell'impugnazione proposta dal dante causa, non soggiace ai limiti di cui all'art. 344 e non integra un'impugnazione incidentale tardiva (Cass. n. 18767/2017).

Resta fermo che in ciascuna delle ipotesi considerate gli atti istruttori in precedenza compiuti rimangono validi (Cass. n. 3822/1985).

L'estromissione del dante causa o del successore universale

L'art. 111, comma 3, consente che, in caso di intervento o chiamata del successore a titolo particolare nel diritto controverso, il dante causa ovvero il successore a titolo universale vengano estromessi dal giudizio.

L'estromissione, la quale riposa sul venir meno delle ragioni di opportunità che giustificano la prosecuzione del processo nei confronti della parte originaria, presuppone una richiesta in tal senso dell'alienante o del successore a titolo universale, ossia del soggetto interessato al provvedimento. Viceversa, sia l'acquirente che la controparte sono di regola interessati alla protrazione della partecipazione al processo dell'alienante o successore a titolo universale, l'uno perché in caso di soccombenza può contare sulla suddivisione del carico delle spese; l'altro perché può contare di soddisfarsi nei confronti di due distinti soggetti (De Marini, 227; Proto Pisani, in Comm. Allorio, 1973, 1241): tale la ragione per cui la norma richiede, ai fini dell'estromissione, il consenso delle parti.

Si discute, in dottrina, se l'estromissione richieda un provvedimento espresso (in questo senso De Marini, 290), il quale assume la forma dell'ordinanza, ovvero possa essere frutto di una tacita disposizione.

Secondo un primo indirizzo della giurisprudenza l'estromissione tacita è configurabile (Cass. n. 2707/2005). Nella stessa prospettiva si trova affermato che il giudizio di impugnazione svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, è valido quando il primo, non impugnando la sentenza, abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore (Cass. n. 12035/2010; Cass. n. 6301/2008; Cass. n. 17060/2007).

Nella più recente giurisprudenza di legittimità si è anzi affermato che, laddove la decisione sia pronunciata esclusivamente nei confronti dell'avente causa e della relativa controparte, si determina una estromissione implicita del dante causa che, qualora non sia oggetto di specifica impugnazione dalle altre parti legittimate, comporta l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto verso quest'ultima (Cass. n. 36601/2023).

A fronte di questo indirizzo non mancano pronunce di segno contrario, secondo le quali l'estromissione dell'alienante si produce solo con il relativo provvedimento (Cass. n. 18483/2006; Cass. n. 1535/2010).

L'efficacia della sentenza

A norma del comma 4 dell'art. 111, la sentenza resa tra le parti originarie spiega «sempre» i suoi effetti nei confronti del successore. Il che, come si è detto in apertura, risponde all'esigenza di tutela della controparte dell'alienante contro il rischio di una pronuncia inutiliter data, in quanto inopponibile al reale titolare del diritto controverso: esigenza che si pone in particolare nell'ipotesi che il successore a titolo particolare nel diritto controverso non sia intervenuto né sia stato chiamato in giudizio, dal momento che, ove il successore sia entrato a far parte del processo, l'efficacia della sentenza nei suoi confronti discende dalla posizione di parte che questi assume (Cass. n. 1104/1984).

La piena efficacia della sentenza data nei confronti del sostituto (acquirente o legatario), sebbene pronunciata fuori della sua presenza, costituisce titolo per potere agire in executivis contro di lui, occorrendo a tal fine soltanto notificare direttamente a detto sostituto il titolo esecutivo ed il precetto; tuttavia l'omissione di tale formalità importa una irregolarità formale, che può farsi valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 2381/1966; Cass. n. 1687/1968).

Ed anzi, intervenuta la successione a titolo particolare nel diritto controverso, la sentenza, di regola, spiega efficacia soltanto nei confronti del successore e non del dante causa (Cass. n. 8215/2003; con riguardo alla successione nel possesso v. Cass. n. 11583/2005).

Occorre quindi soffermarsi sui casi in cui l'efficacia della sentenza nei confronti dell'acquirente è esclusa.

Esula anzitutto dall'ambito di applicazione dell'art. 111, come si è già visto, l'acquisto del diritto controverso a titolo originario, sicché l'acquirente rimane in tal caso indifferente all'esito del processo, la cui sentenza non fa stato contro di lui (Cass. n. 9643/2011), con l'ulteriore conseguenza che l'acquirente a titolo originario può disconoscere il giudicato.

Rimangono inoltre salve, come espressamente stabilito dal comma 4 della norma le disposizioni sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione.

Quanto alla buona fede, è stato affermato che il giudicato sull'annullamento del contratto (nella specie, la cessione della quota di partecipazione ad una società in accomandita semplice), è opponibile nei confronti del successore a titolo particolare nel diritto controverso salvo il caso in cui il successore medesimo abbia acquistato detto diritto in buona fede, non potendo in tal caso egli essere pregiudicato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1445 c.c. (Cass. n. 981/2010).

L'impugnazione della sentenza

Si discute, in dottrina, se la facoltà di impugnare la sentenza, riconosciuta al successore a titolo particolare nel diritto controverso dal comma 4 dell'art. 111 riguardi il successore che sia intervenuto o sia stato chiamato nel processo ovvero anche quello che vi sia rimasto estraneo.

In giurisprudenza, invece, non si dubita che l'impugnazione competa al successore indipendentemente dalla partecipazione al giudizio a quo (Cass. n. 10876/2007; Cass. n. 11757/2006; Cass. n. 2889/2002; Cass. n. 649/2000; Cass. n. 4742/1998; Cass. n. 7247/1996).

Il successore che non abbia partecipato al giudizio può essere non soltanto autore dell'impugnazione, ma anche destinatario di essa (Cass. n. 2889/2002; Cass. n. 11757/2006; Cass. n. 4742/1998).

Ai fini della proposizione dell'impugnazione da parte del successore che non abbia partecipato al giudizio a quo, occorre che questi non solo dichiari l'avvenuta successione, ma ne fornisca la prova, sicché è inammissibile l'impugnazione proposta dal successore particolare che non abbia provato in giudizio detta qualità (Cass. n. 15264/2006; Cass. n. 2889/2002; Cass. n. 965/1997).

È importante sottolineare, come già accennato, che la notificazione al dante causa della sentenza ha sempre l'effetto di precludere al successore la possibilità di avvalersi del termine lungo per proporre gravame (Cass. n. 42/1990).

La notificazione della sentenza effettuata, dopo che sia intervenuta la successione a titolo particolare nel diritto controverso, nei confronti del dante causa, è dunque idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione di cui agli art. 325 e 326, poiché, a norma dell'art. 111, comma 1 e 3, permane la legittimazione del dante causa, quale sostituto processuale del successore, fin quando egli, intervenuto in causa quest'ultimo, non ne sia estromesso con il consenso delle altre parti: perciò i limiti temporali dipendenti da tale notificazione spiegano effetto anche nei confronti del successore — che non è terzo in senso sostanziale ed assume la stessa posizione del dante causa — in relazione all'impugnazione che egli è legittimato a proporre autonomamente ai sensi dell'art. 111, comma 4 (Cass. n. 1558/1995; Cass. n. 245/1997; Cass. n. 2947/2011; Cass. n. 20856/2019).

Si discute se il successore il quale proponga l'impugnazione nei confronti della controparte debba anche convenire in giudizio il dante causa. La giurisprudenza è oscillante. Secondo un nutrito gruppo di sentenze del dante causa è litisconosorte necessario in fase di impugnazione, con conseguente applicabilità della disciplina dettata dall'art. 331 (Cass. n. 14598/2004; Cass. n. 13021/2000; Cass. n. 15208/2005; Cass. n. 18483/2006; Cass. n. 1535/2010; Cass. n. 4486/2010). Vi è un altro gruppo di sentenze secondo le quali la mancata impugnazione nei confronti del dante causa, unitamente ad altri indici, può assumere rilievo nel quadro della estromissione tacita del medesimo (Cass. n. 2707/2005; Cass. n. 12035/2010; Cass. n. 6301/2008; Cass. n. 17060/2007). In tal senso si trova cioè affermato che il giudizio di impugnazione svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, è valido quando il primo, non impugnando la sentenza, abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore; tali elementi, infatti, integrano i presupposti per l'estromissione dal giudizio del citato alienante, estromissione che, sebbene non formalmente dichiarata, fa cessare la qualità di litisconsorte necessario alla parte originaria (Cass. n. 2048/2018; Cass. n. 20534/2017).

Bibliografia

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