Codice di Procedura Civile art. 113 - Pronuncia secondo diritto.Pronuncia secondo diritto. [I]. Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità [114]. [II]. Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 del codice civile 12.
[1] Comma sostituito dapprima dall'art. 21 l. 21 novembre 1991, n. 374, e successivamente dall'art. 1 d.l. 8 febbraio 2003, n. 18, conv., con modif. in l. 7 aprile 2003, n. 63, che al successivo art. 1-bis così dispone: « Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano ai giudizi instaurati con citazione notificata dal 10 febbraio 2003». Il testo del comma recitava: «Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede i 1.032,91 euro». A norma dell'art. 27, comma 1, lett. a), numero 3) del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, la parola: «millecento» e' sostituita dalla seguente: «duemilacinquecento»; ai sensi dell'art. 32, comma 3 del d.lgs. 116 cit., come da ultimo modificato dall'art. 8-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 8, le disposizioni di cui all'art. 27 citato entrano in vigore il 31 ottobre 2025. [2] La Corte cost., con sentenza 6 luglio 2004, n. 206 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia». InquadramentoLa norma in esame sancisce in primo luogo il principio di legalità nella decisione giudiziaria, espressione di quello più generale di soggezione esclusiva del giudice alla legge affermato dall'art. 101 Cost. (Grasso, in Comm. Allorio, 1973, 1279 ss.). Quanto alle norme di diritto applicabili ai fini della decisione, opera il principio jura novit curia per il quale il giudice, pur vincolato alla iniziativa delle parti nella ricostruzione del fatto, è libero nella individuazione del diritto da applicare alla fattispecie (Punzi, 19). La stessa disposizione in esame, al comma 2, prevede che il giudice di pace decide invece secondo equità le controversie aventi valore inferiore a 1.100 euro. A seguito di un intervento additivo della Corte Costituzionale sul testo della norma (Corte cost. n. 206/2004), il giudizio di equità del giudice di pace non è più un giudizio di carattere soggettivo o intuitivo (Cass. S.U., n. 716/1999, in Rass. giur. Enel, 1999, 910, con nota di Picardi), essendo il giudice di pace vincolato all'osservanza dei principi informatori della materia. Peraltro, l'art. 339 è stato modificato dal d.lgs. n. 40/2006, nel senso dell'appellabilità (in precedenza esclusa) delle sentenze di equità del giudice di pace per violazione delle norme costituzionali e comunitarie, delle norme processuali e dei principi informatori della materia. Principio di legalità della decisione giudiziaria e principio iura novit curiaLa norma in esame enuncia il principio generale di legalità della decisione giudiziaria e, pertanto, ha il suo fondamento nell'art. 101 Cost. che sancisce la soggezione del giudice solo alla legge (Grasso, in Comm. Allorio, 1973, 1279 ss.). Ciò premesso, il principio jura novit curia esprime la regola secondo la quale il giudice, pur vincolato alla iniziativa delle parti nella ricostruzione del fatto, è libero nella individuazione del diritto da applicare alla fattispecie (Punzi, 19). È stato precisato in giurisprudenza che il principio iura novit curia, laddove eleva a dovere del giudice la ricerca del «diritto», si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall'ambito della sua operatività, sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico, come le regole della morale o del costume, sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo, come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi, sia quelli aventi forza normativa puramente interna, come gli statuti degli enti e i regolamenti interni (Cass. n. 34158/2019; Cass. n. 6933/1999). In applicazione del principio iura novit curia, il giudice deve procedere alla ricostruzione completa della normativa applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio, tenendo conto delle pronunce della Corte costituzionale e delle norme di cui le parti chiedono l'applicazione (Cass. lav., n. 6042/2014). In materia di procedimento civile, l'applicazione del principio “iure novit curia”, di cui all'art. 113, comma 1, fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti: tale regola deve essere, peraltro, coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112, che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato; resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa. (Cass. lav., n. 12943/2012). Casistica
La sopravvenuta decisione della Commissione Europea, atto normativo vincolante ai sensi dell'art. 288 del T.F.U.E, è immediatamente applicabile e, in quanto ius superveniens, il giudice di legittimità è tenuto a dare immediata attuazione, anche d'ufficio, alla nuova regolamentazione della materia oggetto della decisione comunitaria, decidendo nel merito ovvero, se sia necessario un accertamento dei presupposti di fatto, cassando la sentenza impugnata e rimettendo al giudice di rinvio il relativo compito (Cass. n. 25273/2024). Anche in riferimento ai giudizi iniziati anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 218/1995, la norma di diritto straniero non può essere equiparata ad uno dei fatti della controversia, sicché la conoscenza di tale norma dovrà essere acquisita dal giudice avvalendosi di ogni idoneo strumento, inclusi quelli indicati dall'art. 14 l. n. 218/1995 (Cass. n. 17388/2003). La conoscenza dello statuto del Comune, atto a contenuto normativo di rango paraprimario o subprimario, appartiene, in considerazione anche della forma di pubblicità cui tale fonte è soggetta, alla scienza ufficiale del giudice, il quale è pertanto tenuto — in applicazione del principio iura novit curia, discendente dall'art. 113 — a disporne l'acquisizione, anche d'ufficio, ed a farne applicazione ai fatti sottoposti al suo esame, pur prescindendo dalle prospettazioni delle parti (Cass. S.U., n. 12868/2005). Le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, sicché il giudice, in applicazione del principio iura novit curia, deve acquisirne diretta conoscenza d'ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (Cass. n. 17692/2009). Nel caso in cui siano dedotti vizi relativi a regolamenti comunali, è necessario che le disposizioni rilevanti siano trascritte o allegate, in quanto per le norme giuridiche di rango secondario non opera il principio iura novit curia, ad eccezione dei regolamenti comunali edilizi che, in quanto disciplinanti le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrativi del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche, sicché spetta al giudice acquisirne conoscenza d'ufficio, quando la loro violazione sia dedotta dalla parte (Cass. VI, n. 7715/2022). L'obbligo del giudice di ricercare le fonti del diritto applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio non opera con riferimento alle norme giuridiche secondarie ed agli atti amministrativi (Cass. n. 16089/2007). La natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali rende ad essi inapplicabile il principio iura novit curia di cui all'art. 113, da coordinarsi, sul piano ermeneutico, con il disposto dell'art. 1 preleggi che non comprende, appunto, i detti decreti tra le fonti del diritto (Cass. S.U., n. 9941/2009). Ne consegue che la parte è onerata della relativa produzione (Cass. lav., n. 15065/2014). La conoscibilità della fonte normativa si atteggia diversamente a seconda che si versi in un'ipotesi di violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro privatistico rispetto a quella in cui le questioni attengano ad un contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, atteso che, mentre in quest'ultimo caso il giudice procede con mezzi propri (secondo il principio iura novit curia Cass. lav., n. 7641/2022), nel primo il contratto è conoscibile solo con la collaborazione delle parti, la cui iniziativa, sostanziandosi nell'adempimento di un onere di allegazione e produzione, è assoggettata alle regole processuali sulla distribuzione dell'onere della prova e sul contraddittorio, che non vengono meno neppure nell'ipotesi di acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4 (Cass. VI, n. 19507/2014). Giudizio di equità del giudice di paceAmbito applicativo Le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all'art. 1342 c.c., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c.(con le relative conseguenze sul regime impugnatorio: Cass. II, n. 769/2021). In tali giudizi, il giudice di pace decide secondo equità anche in ordine alla quantificazione delle spese processuali (Cass. n. 1517/2024, con la conseguenza che è inammissibile l'appello volto a far valere la violazione delle disposizioni tariffarie in materia di onorari di avvocato, le quali hanno natura sostanziale e non costituiscono "norme sul procedimento" né "principi regolatori della materia"). Nel giudizio innanzi al giudice di pace, qualora la domanda avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni sia proposta con l'espressa indicazione della quantificazione del danno, oppure nella somma che risulterà dovuta e comunque entro i limiti della competenza per valore di detto giudice, deve escludersi che la stessa sia stata contenuta entro il limite stabilito dall'art. 113 per la decisione della causa secondo equità (Cass. n. 22759/2013). Nel giudizio innanzi al giudice di pace, concernente controversia di valore non eccedente i due milioni di lire (o la somma corrispondente in euro), la indisponibilità del diritto in questione preclude la pronuncia secondo equità, dovendo la disposizione dell'art. 113, comma 2 essere letta in correlazione con quella dell'art. 114 del codice di rito (Cass. n. 19531/2004). Per le controversie di competenza del giudice di pace, la regola di decisione secondo equità per le cause di valore entro i due milioni attiene esclusivamente alle cause decise da detto giudice secondo valore, e quindi necessariamente alle sole cause attinenti a beni mobili per effetto dell'art. 7, con la conseguenza che, se una causa relativa a beni immobili è portata alla cognizione del giudice di pace e l'incompetenza non viene rilevata, anche d'ufficio, entro la prima udienza di trattazione, mentre la questione sulla competenza rimane preclusa, la regola decisionale sarà in ogni caso secondo diritto e non secondo equità (Cass. n. 7293/2003). La regola di decisione secondo diritto, da parte del giudice di pace, ai sensi dell'art. 113, comma 2 — quale dettata per le controversie di valore non eccedente millecento euro e per quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., cioè mediante moduli o formulari — trova applicazione, in via analogica, anche ai rapporti fra associati ed associazione non riconosciuta, qualora l'adesione a quest'ultima sia avvenuta mediante un modulo da essa predisposto per disciplinare ogni adesione, poiché la predetta modalità di decisione obbedisce, nelle intenzioni del legislatore processuale, alla necessità che dette controversie vengano decise in modo uniforme, in ragione della uniformità di disciplina dei rapporti che ne sono oggetto, indipendentemente dalla qualificazione sostanziale dell'adesione dell'associato e dello stesso accordo associativo, nonché delle corrispondenti tutele (Cass. n. 22382/2009). Inoltre, nelle ipotesi in cui il giudice di pace decide una causa relativa a rapporto contrattuale sottoposto per legge ad uniformità di disciplina, la decisione deve in ogni caso essere resa secondo diritto, indipendentemente dal valore della causa (Cass. n. 24836/2011). Costituisce pronuncia secondo diritto, ex art. 113, comma 2, quella resa dal Giudice di pace in ordine a rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., tra i quali rientra anche il contratto di trasporto avente ad oggetto l'acquisto on line di un biglietto aereo (Cass. VI, n. 17080/2013). Il contratto concluso da una società erogatrice di servizi (nella specie: contratto per la fornitura di energia elettrica) è un contratto per adesione e le relative controversie, pertanto, a prescindere dal loro valore devono essere decise dal giudice di pace secondo diritto, a norma dell'art. 113, comma 2 (Cass. VI, n. 4948/2013). È appellabile, e non già ricorribile per cassazione, la sentenza pronunciata, secondo diritto, dal giudice di pace in una controversia avente ad oggetto l'attivazione di servizi connessi ad un contratto di utenza telefonica, pacificamente concluso secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., ed instaurata successivamente all'entrata in vigore del d.l. n. 18/2003, convertito con modificazioni dall'art. 1 l. n. 63/2003 (Cass. III, n. 793/2013). Ai fini della determinazione della regola di giudizio — di diritto o equitativa — da seguirsi dal giudice di pace ex art. 113, comma 2, il valore della causa deve essere determinato ai sensi dell'art. 10, comma 2, sommando, pertanto, al capitale unicamente gli interessi scaduti e non pure quelli maturati dalla data della domanda (Cass. III, n. 2966/2013, la quale ha precisato che, ai fini suddetti, è sufficiente che la richiesta di corresponsione degli interessi venga limitata a quelli già scaduti in occasione della precisazione delle conclusioni, in quanto il contenimento della domanda operato in tale sede, se è del tutto ininfluente ai fini dell'individuazione del giudice competente, vale invece a determinare la regola di giudizio cui è vincolato il giudice di pace). Per stabilire se la causa decisa dal giudice di pace sia di valore inferiore o superiore a 1.100 euro (e, di conseguenza, se sia appellabile o ricorribile per cassazione), non si può tenere conto delle spese successive alla proposizione della domanda, secondo quanto stabilito dall'art. 10 (Cass. III, n. 10626/2012, la quale ha ritenuto che, pertanto, nella determinazione del valore della causa di opposizione a decreto ingiuntivo non rilevano le spese processuali liquidate dal giudice che ha pronunciato il decreto oggetto di opposizione). È stato precisato che, in presenza di una domanda determinata nell'ammontare, inferiore al limite quantitativo previsto per la giurisdizione di equità, che si accompagni ad una richiesta generica di maggior somma conforme a giustizia, essendo indeterminata la somma richiesta, la domanda si presume pari al limite massimo della competenza per valore del giudice adito in ragione della natura della domanda e, quindi, nella misura al di sopra del limite della giurisdizione equitativa (Cass. VI, n. 11739/2015). La domanda di risarcimento del danno da circolazione stradale proposta dinanzi al giudice di pace senza determinazione del quantum, si presume, in difetto di tempestiva contestazione, di competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 e, quindi, pari all'importo massimo previsto dall'art. 7, comma 2, senza che assuma rilievo l'eventuale riduzione del petitum nei limiti del valore per la pronuncia secondo equità, operata dall'attore in corso di causa, in quanto il momento determinante ai fini della individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda (Cass. III, n. 12900/2014). Nel giudizio innanzi al giudice di pace, proposta una domanda di risarcimento del danno con l'espressa quantificazione di esso in euro 988,50, oppure nella somma che risulterà dovuta e comunque entro i limiti della competenza per valore del giudice adìto, deve escludersi che la stessa sia stata contenuta entro il limite stabilito dall'art. 113 per la decisione della causa secondo equità. Ne consegue che la sentenza è impugnabile con l'appello, senza che rilevi, in senso contrario, che l'attore, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia contenuto la domanda entro il suddetto limite, dato che il momento determinante ai fini dell'individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda (Cass. III, n. 22759/2013). Salvo le richiamate limitazioni, le sentenze del giudice di pace rese in controversie di valore non superiore a millecento euro devono sempre considerarsi pronunciate secondo equità, a prescindere dal fatto che il giudicante abbia applicato norme di legge ritenute corrispondenti alla equità oppure abbia espressamente fatto riferimento a norme di diritto senza alcun cenno all'equità (Trib. Grosseto, 1° agosto 2015, n. 720). Vincoli giuridici nel giudizio di equità sostitutivo La problematica afferente il giudizio c.d. necessario di equità del giudice di pace è stata oggetto di una significativa evoluzione normativa e giurisprudenziale che è opportuno brevemente ripercorrere. L'art. 3 l. n. 399/1984 stabilì che il conciliatore, nel decidere le controversie aventi un valore inferiore a due milioni di vecchie lire, doveva tener conto soltanto dei principi regolatori della materia. Immediato fu il dibattito, in dottrina come in giurisprudenza, circa il significato da attribuire a tale locuzione e, pertanto, in ordine all'entità del vincolo così imposto al sindacato dei giudici “minori” (cfr. Comez, 794). In particolare, se alcuni Autori ritenevano che il giudizio di equità non potesse che avere carattere intuitivo-soggettivo (Valente 321), altri ponevano in evidenza che la riforma normativa aveva delineato il giudizio di equità in termini oggettivi (Martino, 1990, 650 ss.; Varano 8). I contrasti, espressi anche in giurisprudenza, furono sostanzialmente risolti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali definirono i principi regolatori della materia come “le linee essenziali caratterizzanti la disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa”. In quest'ottica, ed escludendo in via assoluta la possibilità di estendere il giudizio di equità necessario anche all'applicazione delle regole processuali, si sottolineò che il conciliatore, nel decidere la causa, doveva in ogni caso effettuare un giudizio di tipo sillogistico e, pertanto, qualificare il fatto e le sue conseguenze sotto il profilo giuridico. Il potere equitativo, esercitabile solo successivamente alle suddette attività, avrebbe semplicemente consentito di “temperare” gli effetti legati ad una rigida applicazione della legge (Cass. S.U., n. 6794/1991). Tuttavia, appena sopito il dibattito sulla questione, nello stesso anno fu emanata la l. n. 374/1991, istitutiva del giudice di pace, il cui art. 21 espunse dal comma 2 della disposizione in esame il riferimento all'obbligo, precedentemente imposto al conciliatore, di osservare i principi regolatori della materia nel decidere le controversie di minor valore economico. In dottrina si evidenziò che, nonostante la novellata lettera del secondo comma dell'art. 113 potesse indurre ad opinare in senso contrario, sarebbe stato opportuno ritenere il giudice di pace comunque vincolato, come in passato, al rispetto dei principi regolatori della materia, anche in virtù della circostanza che, di per sé, il valore economico non incide sull'eventuale complessità delle questioni giuridiche e che, di conseguenza, la potenziale casistica è assolutamente indeterminata [Sassani (-Consolo - Luiso) 63 ss.]. La suesposta opzione ermeneutica non fu però condivisa dalle Sezioni Unite, le quali affermarono, andando a risolvere il contrasto che si era formato nella stessa giurisprudenza di legittimità rispetto all'interpretazione della previsione, che, a seguito della nuova formulazione dell'art. 113, comma 2, il giudice di pace, quando pronuncia in controversie di valore non superiore a due milioni di lire, non deve procedere all'individuazione della norma di diritto sostanziale astrattamente applicabile alla fattispecie né è tenuto al rispetto dei principi regolatori della materia dovendo osservare meramente le disposizioni costituzionali e comunitarie nonché, in virtù dell'art. 311, le regole processuali (Cass. S.U., n. 716/1999, in Rass. giur. enel., 1999, 910, con nota di Picardi). In omaggio ad un tale orientamento il giudizio di equità necessario era considerato di natura puramente “intuitiva” e non sillogistica, non dovendo il giudice prima di decidere né qualificare i fatti dal punto di vista giuridico né determinare le relative conseguenze sotto il profilo normativo (Vaccarella, 1992, 465). A fronte della posizione espressa sulla questione nella giurisprudenza di legittimità, è intervenuta, con un'importante pronuncia additiva, la Corte Costituzionale, dichiarando fondata, con la sentenza Corte cost. n. 206/2004, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 113, comma 2 che era stata alla medesima prospettata, proprio con riguardo al “diritto vivente” che si era formato in sede di interpretazione della stessa, dichiarando detta previsione illegittima nella parte in cui nel giudizio di equità necessario il Giudice di pace non era tenuto al rispetto dei principi c.d. informatori della materia (Corte cost. n. 206/2004, Giust. civ., 2004, I, 2537, con nota di Giordano). La S.C. ha chiarito che in tema di giudizio secondo equità del giudice di pace, a far data dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza «additiva» della Corte cost. n. 206/2004, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 113, comma 2, «nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia», il testo vigente della medesima disposizione, come testualmente (ri)formulato, deve essere applicato d'ufficio in sede di giudizio di legittimità alla duplice condizione che l'applicazione della nuova disposizione alla fattispecie non richieda nuovi accertamenti di fatto (nel qual caso essa viene rimessa al giudice di rinvio) e non risulti preclusa dalla circostanza che i motivi del ricorso per cassazione, come concretamente formulati ed apprezzabili dalla S.C. nei limiti del potere di qualificazione che le compete (nei limiti in cui esso è esercitabile in relazione alla tecnica di introduzione del giudizio di cassazione), la rendano irrilevante, senza che il ricorrente possa dolersi di non aver potuto impostare il ricorso attraverso la denuncia di violazione di eventuali principi informatori, in quanto, in presenza di una situazione normativa che al momento della presentazione del ricorso non consentiva quella denuncia, egli bene avrebbe potuto sollevare la relativa questione di costituzionalità (Cass. n. 7685/2005). Principale questione interpretativa sorta a seguito della richiamata decisione della Corte Costituzionale è stata quella afferente il significato di una siffatta locuzione e la riconducibilità della stessa ai “vecchi” principi regolatori della materia. Secondo una prima tesi, i principi informatori della materia cui il giudice di pace deve informare le decisioni secondo equità, ai sensi dell'art. 113 (come modificato dalla sentenza della Corte cost. n. 206/2004), non coincidono con i «principi regolatori» della materia di cui era menzione nel vecchio testo del medesimo art. 113, ma si identificano con i principi preesistenti alla disciplina oggettiva, e ai quali il legislatore si è ispirato nel dettare quest'ultima (Cass. n. 14314/2005). Per altro orientamento, a seguito della dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 113, comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice di pace nel decidere secondo equità debba osservare i principi informatori della materia, il contenuto precettivo di detta disposizione è equivalente da quello desumibile nel testo previgente che imponeva al conciliatore l'obbligo di osservare i principi regolatori della materia, con la conseguenza che il giudice di pace è tenuto ad attenersi alle linee essenziali ella disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa (Cass. n. 24089/2004). In ogni caso, i «principi regolatori (o informatori) della materia», hanno portata più ristretta dei principi generali dell'ordinamento, in quanto sono posti a presidio di determinati istituti, informano complessi normativi operanti in settori circoscritti dell'ordinamento e costituiscono le linee essenziali della disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa, realizzandone la configurazione tipica (Cass. n. 6626/2005). Il dovere di osservare i principi informatori della materia, imposto al giudice di pace dall'art. 113, comma 2 (nel testo risultante dalla parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza Corte cost. n. 206/2004), nella decisione secondo equità delle cause di valore non superiore a euro 1100,00, non comporta la necessità di individuare la regola equitativa applicabile al caso concreto, desumendola dalle norme fondamentali del rapporto dedotto in giudizio, ma quella di avere cura, nella ricerca selettiva della predetta regola, che essa non contrasti con i principi, preesistenti alle norme in concreto oggettivamente dettate, ai quali il legislatore si è ispirato nella previsione della specifica disciplina (Cass. n. 9534/2009). Le sentenze pronunziate dal giudice di pace secondo equità ed impugnabili con ricorso per cassazione — per non essere alle medesime applicabile, “ratione temporis”, la modifica dell'art. 339 c.p.c. di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 — possono essere impugnate, fra l'altro, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 206/2004, per violazione dei principi informatori della materia, i quali differiscono dai “principi regolatori” che vincolavano il conciliatore, giacché, mentre quest'ultimo doveva osservare le regole fondamentali del rapporto, desumendole dal complesso delle norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di pace non è tenuto ad applicare una regola equitativa desunta, per astrazione generalizzante, dalla disciplina positiva, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi ai quali il legislatore si è ispirato nel dettare una determinata regolamentazione della materia (Cass. III, n. 15460/2011). Nel regime anteriore al d.lgs. n. 40/2006 qualora sia proposto ricorso per cassazione avverso sentenza del giudice di pace emessa in controversia di valore non superiore a euro 1.100 denunciando — alla luce della sentenza della Corte cost. n. 206/2004 — che il giudice ha violato i principi informatori della materia è onere del ricorrente — a pena di inammissibilità del ricorso — indicare chiaramente quali siano i principi informatori disattesi e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con essi, trattandosi di principi che — non essendo oggettivizzati in norme — devono essere prima individuati da chi ne lamenta la violazione e soltanto successivamente verificati dal giudice di legittimità prima nella loro esistenza e quindi nella loro eventuale violazione (Cass. III, n. 19724/2011). E’ stato inoltre precisato che nell’assetto previgente alle modifiche modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40/2006 il giudizio secondo equità (a seguito della della Corte cost. n. 206/2004) è soggetto, oltre che al rispetto delle norme processuali e alle norme costituzionali o di diritto comunitario, anche al limite dei principi informatori della materia che si identificano solo in quelli fondamentali ai quali si ispira la disciplina positiva: in particolare il ricorso per cassazione in questa ultima evenienza deve essere diretto non a denunciare la violazione di una legge, ma il superamento del limite, con la conseguenza, per un verso, che il ricorrente non può limitarsi a denunciare la violazione di specifiche norme giuridiche, ma deve indicare con chiarezza il principio informatore che assume violato e, per altro verso, che il sindacato della Corte può investire solo il rispetto del limite del giudizio di equità (Cass. III, n. 3649/2013). Casistica In tema di impugnabilità delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, deve essere annoverato tra principi informatori della materia processuale, quello contenuto nell'art. 112 relativo al canone della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (Cass. III, n. 552/2012). Ai fini dell'impugnazione delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, la presunzione di pari responsabilità dei due guidatori, in caso di scontro tra veicoli, di cui all'art. 2054 c.c., costituisce principio informatore della materia: infatti, la norma anzidetta, senza dettare regole in punto di incidenza del rischio della mancata prova di una circostanza rimasta incerta nel giudizio, stabilisce una presunzione che costituisce applicazione dei criteri generalissimi in materia di concorso di cause (art. 41 c.p.), ai quali risulta conformata tutta la disciplina della responsabilità per fatto illecito (Cass. III, n. 19871/2011). Con riferimento alle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, è violato il principio informatore della responsabilità precontrattuale, rinvenibile nell'art. 1337 c.c., qualora la regola equitativa applicata ravvisa tale responsabilità nella mancata informazione su circostanze sopravvenute alla conclusione del contratto (Cass. III, n. 9916/2011). I comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi. Trattandosi di un principio informatore della materia, al rispetto di esso è tenuto il Giudice di pace anche quando decida secondo equità ai sensi dell'art. 113 comma 2 (Cass. II, n. 21907/2011). È inammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata dal giudice di pace secondo equità, ai sensi del comma 2 dell'art. 113 c.p.c., nel regime impugnatorio anteriore alle modifiche di cui al d.lg. 2 febbraio 2006 n. 40, che denunci la violazione delle regole in tema di rivalsa dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, di cui all'art. 18 l. 24 dicembre 1969, n. 990 (ratione temporis applicabile), non costituendo tali regole principi informatori della materia dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (Cass. III, n. 20587/2012). Quando il giudice di pace abbia pronunciato la propria sentenza secondo equità — nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal d.lg. n. 40/2006 —, avverso tale decisione è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si denunci la erronea quantificazione delle spese di lite, in violazione delle tariffe fissate dal Consiglio Nazionale Forense e approvate con decreto ministeriale: tale censura, infatti, si fonda sulla violazione non di una norma processuale, ma di una norma sostanziale e priva di rilievo costituzionale o comunitario come tale derogabile nei giudizi secondo equità (Cass. VI, n. 1318/2012). Impugnazione delle sentenze di equità del giudice di paceTradizionalmente, le pronunce rese secondo equità dal Giudice di pace erano inappellabili ed, in particolare, suscettibili di ricorso per cassazione esclusivamente per violazione dei principi informatori della materia, almeno a partire dalla pronuncia della Corte cost. n. 206/2004 (G. Finocchiaro, 2001, 365 ss.). Il d.lgs. n. 40/2006, è peraltro intervenuto, come noto, nella materia, nell'intento di ridurre il carico di lavoro della S.C., al fine di potenziare l'esercizio della funzione nomofilattica, nell'ambito delle controversie bagattellari, inserendo un nuovo comma nell'art. 339, in virtù del quale le decisioni pronunciate secondo equità c.d. necessaria dal Giudice di pace sono appellabili, sebbene per motivi specifici, ossia per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia (Martino, 2008, 91 ss.; Carbonara, 509 ss.). La scelta normativa in favore di un appello anomalo non a critica libera, bensì limitato ai tassativi motivi indicati dal comma 3 dell'art. 339 non è stata peraltro salutata con favore unanime in dottrina, essendo state evidenziate le difficoltà, da un lato, di coerenziare lo stesso con il tradizionale modello dell'appello quale gravame devolutivo e sostitutivo del giudizio di primo grado e, da un altro, di distinguere, ai fini della proponibilità dell'appello, tra norme processuali e norme sostanziali, essendo soltanto per le prime sempre consentito tale rimedio (Martino, 2008, 96 ss.) Pertanto, per effetto degli artt. 1 e 27 d.lgs. n. 40/2006 le sentenze del giudice di pace pronunciate a partire dal 3 marzo 2006 nelle cause soggette a decisione secondo equità non sono suscettibili di ricorso per cassazione e devono essere appellate, appello che può essere proposto per i soli motivi indicati nell'art. 339, comma 2, anche nell'eventualità si deducano motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza e al difetto di radicale assenza di motivazione (Cass. n. 880/2015). In sede applicativa si è osservato che mediante l'introduzione della norma di cui all'art. 339 comma 3 il legislatore ha inteso limitare l'appellabilità delle sentenze pronunciate dal giudice di pace ex art. 113 ai casi di macroscopiche violazioni in cui sia incorso il primo giudice nella gestione del processo e nella decisione della causa (Trib. Nocera Inferiore sez. II, 5 giugno 2013, n. 525). In tale prospettiva, la S.C. ha precisato che il tribunale, in sede di appello avverso sentenza del giudice di pace, pronunciata in controversia di valore inferiore al suddetto limite, è tenuto a verificare, in base all'art. 339, comma 3, c.p.c., come sostituito dall'art. 1 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, soltanto l'inosservanza dei principi superiori di diritto, che non possono essere violati nemmeno in un giudizio di equità (Cass. VI, n. 5287/2012, la quale, nella specie, in applicazione del principio, ha escluso la deducibilità in appello della violazione dell'art. 2697 c.c. sull'onere della prova contro la sentenza pronunciata dal giudice di pace secondo equità, trattandosi di regola di diritto sostanziale che dà luogo ad un error in iudicando). È stato chiarito che l'appello per violazione dei principi regolatori della materia è inammissibile, ai sensi dell'art. 342, qualora non indichi il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con esso in contrasto (Cass. n. 3005/2014). In tema di impugnazione delle sentenze del giudice di pace, pubblicate in data anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006 (2 marzo 2006), in base al combinato disposto degli art. 339, comma 3, e 113, comma 2, sono da ritenersi inappellabili (e, dunque, immediatamente ricorribili per cassazione) tutte le sentenze pronunciate in controversie non eccedenti il valore di euro 1.100,00, a prescindere dal fatto che esse siano emesse secondo diritto o secondo equità, dovendo considerarsi a tal fine non il contenuto della decisione, ma, per l'appunto, soltanto il valore della controversia, da determinarsi applicando analogicamente le norme di cui agli art. 10 ss. (Cass. n. 19724/2011). In sede applicativa si è osservato che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, comma 3, occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 (senza tenere conto del valore indicato dall'attore ai fini del pagamento del contributo unificato) cosicché ove l'attore abbia formulato dinanzi al g.d.p. una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro contenuta nel limite di competenza (e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. “necessaria”, ai sensi dell'art. 113, comma 2), la sentenza chela conclude sarà appellabile come previsto dall'art. 339 a rime obbligate (Trib. Nocera Inferiore sez. II, n. 1204/2013). Questa impostazione è stata ormai confermata in sede di legittimità, mediante l'affermazione del principio per il quale per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339, comma 3, occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., e senza tenere conto del valore indicato dall'attore ai fini del pagamento del contributo unificato. Pertanto, ove l'attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro (limite dei giudizi di equità cd. necessaria, ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c.), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente "maggior somma che sarà ritenuta di giustizia", la causa deve ritenersi - in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell'art. 14 c.p.c. - di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude è appellabile senza i limiti prescritti dall'art. 339 c.p.c. (Cass. n. 3290/2018). Tuttavia, occorre far riferimento anche a quanto lo stesso giudice ha statuito: se questi ha espressamente dichiarato di aver pronunciato secondo diritto, la sentenza non può considerarsi emessa secondo equità, operando il principio della c.d. apparenza, in virtù del quale il mezzo di impugnazione va individuato con riguardo alla qualificazione attribuita al provvedimento impugnato dal giudice che lo ha emesso, a prescindere dall'esattezza di tale qualificazione (Cass. n. 34811/2023). La S.C. ha di recente chiarito che per "norme sul procedimento" - la cui violazione, ai sensi dell'art. 339, comma 3, c.p.c., rende appellabili le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità - devono intendersi le regole che disciplinano il giudizio di cognizione dinanzi al giudice di pace, regolando l'attività processuale delle parti e del giudice nell'ambito di quel giudizio, e non anche quelle relative ad altri procedimenti, utilizzate dal giudice di pace per la formulazione del proprio giudizio sulla fondatezza della domanda (Cass. III, n. 27384/2022, la quale ha confermato la sentenza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello fondato sulla violazione dell'art. 553 c.p.c., sul presupposto che tale norma era stata presa in considerazione, dal giudice di pace, al solo fine di statuire sulla insussistenza del diritto di credito azionato in giudizio nei confronti del convenuto, siccome non oggetto di una precedente ordinanza di assegnazione, già azionata nei confronti del debitor debitoris). Nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che il frazionamento del credito si pone in contrasto tanto con il principio di correttezza e buona fede, quanto con il principio costituzionale del giusto processo sicché, ove si contesti l'avvenuta parcellizzazione della domanda, la sentenza pronunziata in prime cure del giudice di pace secondo equità, exart. 113, è appellabile ai sensi dell'art. 339, comma 3, disposizione che per l'appunto include, tra i casi in cui è esperibile detto mezzo di impugnazione, anche la violazione delle norme costituzionali (Cass. n. 15398/2019). Sempre in tema di impugnazione delle sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità, l'appello per violazione dei principi regolatori della materia è inammissibile, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., qualora non indichi il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con esso in contrasto (Cass. VI, n. 18064/2022). Al giudizio di equità restano sottratte, ai sensi della disposizione in esame, le decisioni rese in tema di contratti di massa. E' stato peraltro chiarito che la sentenza del giudice di pace, resa secondo equità su controversia non eccedente il valore di millecento euro e avente ad oggetto non l'accertamento di un regolamento contrattuale predisposto ex art. 1342 c.c. bensì l'esistenza stessa del contratto, è soggetta ai limiti di appellabilità previsti dall'art. 339, comma 3 (Cass. n. 12736/2016). Motivi di ricorso in sede di legittimità Per le sentenze di equità necessaria per le quali è applicabile il nuovo regime dell'appellabilità per vizi tipici di cui all'art. 339 novellato dal d.lgs. n. 40/2006, gli stessi motivi potranno essere dedotti in sede di legittimità. A riguardo, la S.C. ha precisato che nel caso di sentenza emessa dal giudice di pace secondo equità, la circostanza che il tribunale, adito quale giudice d'appello, abbia mancato di rilevare l'inammissibilità del gravame, giacché proposto per motivi esorbitanti quelli deducibili ai sensi dell'art. 339, comma 3, come sostituito dall'art. 1 d.lgs. n. 40/2006, non esclude che, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello, lo stesso debba necessariamente dedurre l'inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, pena la sua inammissibilità ex artt. 339, comma 3, e 360, comma 1, n. 3) (Cass. n. 3815/2015). A seguito della sentenza della C. Cost. n. 206 del 2004, le modalità con le quali, ai sensi del n. 3 dell'art. 360, può essere dedotta con il ricorso per cassazione la violazione da parte del giudice di pace, nel procedere alla decisione secondo equità, dei «principi informatori della materia», nonché il modo in cui può esercitarsi il sindacato della Corte di cassazione sulla denuncia di tale vizio, pur essendo l'espressione «principi informatori della materia» di significato diverso da quella «principi regolatori della materia» già contenuta nella norma del comma 2 dell'art. 113, nel testo introdotto dalla l. n. 399/1984, obbediscono sostanzialmente agli stessi criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte a proposito di quella norma, con la sola particolarità che, sotto il primo aspetto, il motivo di ricorso, al fine dell'indicazione del principio di diritto che si assume violato (agli effetti di cui al n. 4 dell'art. 366) non potrà limitarsi alla generica deduzione del vizio, ma dovrà specificare ed individuare i «principi informatori» in modo netto e chiaro, tenuto conto che essi (a differenza dei «principi regolatori») non sono oggettivizzati (Cass. S.U., n. 21934/2008). Regime della decisione avente ad oggetto anche una domanda riconvenzionale o connessa superiore a € 1.100 Nel caso in cui siano proposte al giudice di pace domanda principale di valore non eccedente i limiti (millecento euro) previsti per la decisione secondo equità e domanda riconvenzionale, connessa con quella principale a norma dell'art. 36, la quale, pur rientrando nella competenza del giudice di pace, superi il limite di valore fissato dalla legge per le pronunce di equità, l'intero giudizio deve essere deciso secondo diritto, con la conseguenza che il mezzo di impugnazione della sentenza è, non già il ricorso per cassazione, ma l'appello a motivi illimitati, a nulla rilevando che sulla domanda riconvenzionale sia stata emanata una pronuncia a contenuto meramente processuale che non abbia formato oggetto di impugnazione (Cass. S.U., n. 11701/2005; conf. Cass. VI, n. 23327/2014). In sostanza, nel procedimento davanti al giudice di pace, qualora siano state proposte una domanda principale di valore non eccedente euro 1.100,00 e una riconvenzionale, connessa ex art. 36 c.p.c., eccedente la competenza del giudice di pace, non può il giudice medesimo separare la riconvenzionale e rimettere essa sola al giudice superiore, dovendo, viceversa, rimettere al tribunale l'intera causa, ai sensi dell'art. 40, commi 6 e 7, in modo che la domanda principale e la riconvenzionale siano trattate in simultaneus processus e decise entrambe con pronuncia secondo diritto, impugnabile, in tutti i capi, con l'appello (Cass. III, n. 1848/2013). Qualora, vengano proposte davanti al giudice di pace una domanda principale per valore soggetta a pronuncia secondo equità ed una domanda riconvenzionale, pur compresa nella competenza del giudice di pace, ma soggetta per valore a pronuncia secondo diritto, l'intero giudizio deve essere deciso secondo diritto, senza che rilevi l'eventuale rinuncia totale o parziale alla riconvenzionale fatta in corso di causa, non potendo il comportamento della parte, successivo alla proposizione di una domanda, incidere sul valore della stessa, né sul correlato regime impugnatorio (Cass. II, n. 15338/2012). Sul punto è stato chiarito, inoltre, che nell'ipotesi di connessione tra una domanda principale da decidere secondo equità ed una riconvenzionale da decidere secondo diritto, o dallo stesso giudice di pace, se rientrante nella sua competenza, o dal tribunale, la connessione comporta che l'intero giudizio debba essere deciso secondo diritto, e la relativa decisione deve essere impugnata con l'appello anche laddove, pur essendo competente il tribunale, il giudice di pace, invece di rimettere l'intero giudizio al giudice superiore, abbia deciso sulla domanda principale dichiarandosi incompetente su quella riconvenzionale (Cass. III, n. 26017/2011). In particolare, affinché anche la domanda principale debba essere decisa secondo diritto, tra le due domande deve sussistere una connessione caratterizzata dalla circostanza che la decisione richieda l'accertamento di un fatto costitutivo, impeditivo, modificativo od estintivo comune ad entrambe, cosicché l'accertamento od il rigetto dell'una implichi il rigetto o l'accoglimento dell'altra (Cass. n. 27543/2013). Qualora si verifichi un cumulo di domande avanti al giudice di pace, ove la domanda principale è assoggettata alla decisione secondo equità e quella riconvenzionale a quella secondo diritto, e tra le cause cumulate vi sia una connessione per pregiudizialità, si deve ritenere, per esigenze di coerenza, che la decisione su tutta la controversia debba avvenire secondo diritto e che, pertanto, nel regime anteriore al d.lg. n. 40/2006, la decisione sia appellabile e non ricorribile per cassazione (Cass. II, n. 957/2013). Nella giurisprudenza meno recente della S.C. si riteneva che nel caso in cui siano proposte al giudice di pace una domanda principale che debba essere decisa secondo equità ai sensi dell'art. 113, comma 2, perché di valore inferiore ai millecento euro, e una domanda riconvenzionale da decidere secondo diritto, in quanto di valore superiore, e il giudice di pace abbia escluso la connessione tra le due domande, le distinte ed autonome statuizioni su di esse sono soggette a diversi mezzi di impugnazione (Cass. n. 14513/2005). Sulla questione è stato ora affermato, in senso diverso, che, qualora vengano proposte davanti al giudice di pace due domande connesse, una principale soggetta a decisione secondo equità e una riconvenzionale soggetta a decisione secondo diritto, la sentenza con cui il giudice di pace affermi la propria competenza sulla principale e la declini sulla riconvenzionale, negando l'applicazione dell'art. 40, deve considerarsi resa in causa soggetta a regola decisoria secondo diritto (Cass. III, n. 9292/2015). Nel procedimento innanzi al giudice di pace, quando una controversia abbia ad oggetto un credito contenuto nei limiti del giudizio di equità, la relativa sentenza è impugnabile — secondo il regime processuale anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nella specie applicabile ratione temporis — con il ricorso per cassazione e non con l'appello, senza che assuma rilievo il fatto che sia stata avanzata domanda riconvenzionale di condanna per lite temeraria ex art. 96, perché essa attiene al regolamento delle spese processuali senza incidere sul valore della controversia, che resta contenuto nel limite entro il quale il giudice di pace decide secondo equità, ai sensi dell'art. 113, comma 2, con conseguente ricorribilità della decisione di primo grado direttamente in cassazione (Cass. III, n. 8197/2013). Si è tuttavia posta, più di recente, in distonia con tale impostazione interpretativa Cass. n. 34023/2019, la quale ha infatti ritenuto che la pronuncia del giudice di pace con cui - ritenendo insussistente la connessione tra una domanda di sua competenza e la riconvenzionale, per la quale sia competente il Tribunale - sia stato disposto lo stralcio della causa riconvenzionale in favore del giudice superiore, con decisione solo sulla principale in via di equità, è impugnabile per cassazione pure per la denegata connessione, questione di diritto proponibile anche con l'impugnazione al giudice di legittimità. BibliografiaAndrioli, Prova (dir. proc. civ.), in Nss. 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