Codice di Procedura Civile art. 114 - Pronuncia secondo equità a richiesta di parte.

Rosaria Giordano

Pronuncia secondo equità a richiesta di parte.

[I]. Il giudice, sia in primo grado che in appello, decide il merito della causa secondo equità quando esso riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richiesta [112, 822, 119 4 att.].

Inquadramento

La norma in esame consente al giudice di decidere la causa secondo equità ove verta su diritti disponibili e vi sia una richiesta concorde delle parti (Grasso, 1991, 474; Vecchione, 633).

L'istanza per la decisione della controversia avente ad oggetto diritti disponibili è considerata, comunemente, atto di disposizione del diritto controverso, con effetti sia processuali che sostanziali (Varano II, 2) e, pertanto, non può essere formulata dal difensore privo di specifico mandato (Cass. n. 11072/2001).

Differente dal potere di emettere la decisione secondo equità è il potere di liquidare in via equitativa il danno, ai sensi dell'art. 1226 c.c., che consiste nella possibilità per il giudice di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per supplire all'impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare (Cass. n. 11311/2009).

Presupposti e caratteri del giudizio equitativo su accordo delle parti

La norma in esame consente al giudice di decidere la causa secondo equità ove verta su diritti disponibili e vi sia una richiesta concorde delle parti (Grasso, 1991, 474; Vecchione, 633).

Il giudizio d'equità su istanza di parte è stata un'innovazione del codice del 1942, rispetto a quello del 1985 (Cappelletti, 1952, 143), introdotta per adeguare la pronuncia secondo diritto alle particolarità della fattispecie e rendere la giurisdizione ordinaria competitiva rispetto all'arbitrato (Andrioli, I, 326).

Peraltro, tale giudizio non è stato applicato di frequente nella prassi, a differenza di quanto auspicato (E.F. Ricci, 1993, 389 ss.).

Nel giudizio secondo equità il giudice non ha l'obbligo di individuare preventivamente la norma giuridica astrattamente applicabile né di applicarla in concreto, mentre ha l'obbligo di rendere comprensibile il procedimento logico-intuitivo seguito per determinare la regola equitativa e di verificare che essa non si ponga in contrasto con i principi sottesi alla disciplina legislativa (Cass. n. 14611/2009).

L'istanza per la decisione della controversia avente ad oggetto diritti disponibili è considerata, comunemente, atto di disposizione del diritto controverso, con effetti sia processuali che sostanziali (Varano, II, 2).

La richiesta di giudizio secondo equità ai sensi della norma in commento, risolvendosi in un atto di disposizione del diritto controverso, non può essere formulata da difensore privo di mandato speciale (Cass. n. 11072/2001). Tuttavia, non costituisce estensione del "petitum" o domanda nuova, né modifica la materia del contendere, la richiesta di liquidazione del danno in via equitativa, quando la domanda formulata nell'atto introduttivo abbia avuto ad oggetto il risarcimento del danno da determinarsi in corso di giudizio (Cass. n. 1589/2015).

Differenza con il potere di liquidare il danno ex art. 1226 c.c.

Diverso dal potere di emettere la decisione secondo equità è il potere di liquidare in via equitativa il danno, ai sensi dell'art. 1226 c.c., che consiste nella possibilità per il giudice di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per supplire all'impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare (Cass. n. 11311/2009). Invero, l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115,dà luogo non già a un giudizio di equità, ma a un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva o integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno (Cass. n. 21103/2013).

Di conseguenza a fronte dell'esercizio del potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dando lo stesso luogo ad un giudizio non già di equità, ma di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, la sentenza emessa dal giudice nell'esercizio di tale potere non è assoggettata ai limiti di appellabilità previsti per le sentenze pronunciate secondo equità dall'art. 339 (Cass. n. 25017/2020).

Bibliografia

AAndrioli, Prova (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967, 260 ss.; Calamandrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità (1921), in Opere giuridiche, III, Napoli, 1968, 3 ss.; Cappelletti, Il giudizio di equità e l'appello, in Riv. dir. proc. 1952, II, 143 ss.; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell'oralità, I-II, Milano, 1962; Cavallone, La divulgazione della sentenza civile, Milano, 1964; Cavallone, Oralità e disciplina delle prove nella riforma del processo civile, in Riv. dir. proc. 1984, 686 ss.; Comez, L'equità integrativa del conciliatore, ovvero « lo scandalo dell'equità », in Giust. civ. 1989, I, 2385 ss.; Consolo, Domanda giudiziale, in Dig. civ. VII, Torino, 1991, 44 ss.; Consolo - Luiso - Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996; De Marini, Il giudizio di equità nel processo civile (premesse teoriche), Padova, 1957; De Stefano, Fatto notorio, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 999 ss.; Fabbrini, Eccezione, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Finocchiaro, Ispezione giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1971, 948 ss.; Grasso, La pronuncia d'ufficio, Milano, 1967; Grasso, Equità (giudizio), in Dig. civ., Torino, 1991, VII, 470 ss.; Martino, Il giudizio d'equità del conciliatore ed il suo controllo da parte della Corte di Cassazione, in Giust. civ. 1991, II, 193 ss.; Martino, Decisione equitativa e « principi informatori della materia », in Riv. dir. proc. 2005, 1353; Massari, Ispezione giudiziale, in Nss. D.I., IX, Torino, 1963, 186 ss.; Punzi, Jura novit curia, Milano, 1965; Ricci, Note sul giudizio di equità, in Riv. dir. proc. 1993, 387 ss.; Satta, Jura novit curia, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1955, 380 ss.; Satta, Domanda giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 816 ss.; Vaccarella, Interrogatorio delle parti (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 353 ss.; Vaccarella, « Quaedam sunt notoria iudici tantum non aliis », in Giust. civ. 1989, I, 2552; Vaccarella, Il difensore ed il giudizio di equità, in Giust. civ. 1992, II, 465 ss.; Vaccarella, in Scritti in onore di E. Fazzalari, III, Milano, 1993, 54 ss.; Varano, Equità (I, Teoria generale), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Varano, Equità (II, Giudizio di equità), in Enc. giur., XII, Roma 1989; Vecchione, Equità (giudizio di), in Nss. D.I., VI, Torino 1960, 625 ss.; Verde, Domanda (principio della), I, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Verde, Prova legale e formalismo, in Foro it. 1990, V, 465 ss.

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