Codice di Procedura Civile art. 152 - Termini legali e termini giudiziari 1 .Termini legali e termini giudiziari1. [I]. I termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente 2. [II]. I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.
[1] Con riferimento alle misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, v. art. 83, comma 1-2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif. in l. 24 aprile 2020, n. 27, che aveva disposto il rinvio d'ufficio delle udienze dei procedimenti pendenti in tutti gli uffici giudiziari e la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020. V. inoltre il comma 3 del suddetto art. 83 d.l. n. 18, cit., come da ultimo modificato o dall'art. 3, comma 1 lett. a),d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif. in l. 25 giugno 2020, n. 70, per i procedimenti esclusi dalla suddetta sospensione. Successivamente l'art. 36, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40, ha previsto che il termine del 15 aprile 2020 previsto dall'articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, è prorogato all'11 maggio 2020. V. anche comma 6 dell'art. 83 d.l. n. 18, cit. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, ai procedimenti di cui ai commi 20 e 21 dell'articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020. Precedentemente, v. l'art. 10 d.l. 2 marzo 2020, n. 9, per la sospensione dei termini e rinvio delle udienze processuali nei comuni colpiti da tale emergenza epidemiologica, indicati nell'Allegato 1 al d.P.C.M. 1° marzo 2020. Il d.l. n. 9, cit., è stato abrogato dall'art. 12 l. 24 aprile 2020, n. 27 (di conversione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18), ai sensi del quale restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo d.l. n. 9. [2] Per la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale v. la l. 7 ottobre 1969, n. 742. InquadramentoIl processo si svolge nel tempo ed il compimento degli atti processuali, durante il suo corso, è scandito dai termini processuali, comunemente definiti come intervalli cronologici entro i quali «deve, può o non può compiersi una determinata attività processuale» (Grossi, 235): una distantia temporis, in sintesi, tra un atto e l'altro. I termini vengono fatti oggetto, anzitutto, di una duplice classificazione: da un lato vengono considerati staticamente nel loro rapporto con l'atto processuale da compiersi e, sotto tale angolo visuale, si suddividono in dilatori, ordinatori e perentori; dall'altro lato vengono riguardati nel loro rapporto dinamico con lo svolgersi del processo e, in tal senso, si suddividono in acceleratori e dilatori. Solo la prima delle classificazioni è accolta dal legislatore, che si riferisce ai termini ordinatori e perentori nell'art. 152, comma 2, ed al termine dilatorio nell'art. 501, ove è qualificato tale l'arco temporale che deve decorrere, una volta effettuato il pignoramento, prima che possa chiedersi la vendita o l'assegnazione: è dunque dilatorio il termine prima del quale un determinato atto non può essere validamente compiuto. Occorre ancora distinguere tra termini legali e giudiziali, gli uni direttamente previsti dalla legge, gli altri fissati dal giudice quando, beninteso, la legge gliene riconosce il potere, ex art. 152, comma 1. Talora la legge stabilisce l'estensione minima e massima entro la quale il giudice può discrezionalmente fissare il termine: basti pensare, nel rito del lavoro, agli artt. 415, 418, comma 2, 420, comma 6, 424, comma 3, 428, comma 2 c.p.c.; altre volte la discrezionalità del giudice non incontra limiti, come accade nel caso dell'integrazione del contraddittorio (artt. 102,331 e 371-bis); nel caso dell'assegnazione del termine finalizzato alla sanatoria della citazione nulla ai sensi dell'art. 164, comma 2 e 5., ovvero alla sanatoria della nullità della notificazione ex art. 291; nel caso della fissazione del termine per la riassunzione del processo (artt. 34, 35, 36 e 40, comma 1, 627). Si discute in ordine agli effetti del termine fissato dal giudice in assenza di previsione normativa: secondo alcuni esso sarebbe da considerare irrilevante, secondo altri avrebbe inteso quale termine meramente ordinatorio. Una distinta menzione va infine riservata ai termini a carico del giudice, generalmente qualificati come ordinatori, la cui violazione non produce, in generale, alcun effetto sul valido svolgimento del processo. Termini ordinatori e perentoriI termini ordinatori sono menzionati dal secondo comma dell'art. 152. La caratteristica saliente dei termini ordinatori sta in ciò, che essi regolano il dipanarsi delle attività processuali ma, in prima battuta, non riconnettono ineluttabilmente alla loro violazione — a quali condizioni si vedrà nel prossimo paragrafo — la decadenza dal potere di compiere l'atto, ovvero la nullità dello stesso perché compiuto dopo la scadenza del termine. Resta da dire, in generale, che l'art. 152, introducendo nell'ordinamento un principio generale di presunzione del carattere ordinatorio dei termini, si riferisce unicamente agli atti processuali e non anche ad altri settori dell'ordinamento (Cass. n. 7374/1987; Cass. n. 4204/1999). Per la proroga del termine ordinatorio v. sub art. 154. Per i termini perentori v. sub art. 153. I termini a carico del giudiceIl codice di rito stabilisce termini rivolti alle parti, ma anche termini posti a carico del giudice: i termini, anzitutto, per il deposito dell'ordinanza «riservata» e della sentenza, e, oltre a questi, più in generale, i termini volti a determinare, in una pluralità di casi, l'arco temporale entro cui il giudice deve porre in essere una determinata attività. Si pensi, a titolo di esempio e movendo dall'esordio del procedimento di cognizione ordinaria, all'art. 168-bis, il quale consente al giudice di differire la prima udienza, ma gli impone di farlo entro un determinato termine (5 giorni) ed entro limiti massimi (45 giorni). Tali termini, i quali incidono sul corso complessivo del processo, sono sovente qualificati in giurisprudenza come ordinatori. Così, tra gli altri, per: a) i termini concernenti la fissazione dell'udienza di comparizione e il deposito della sentenza (Cass. n. 4388/1995); b) il termine di cui all'art. 435 laddove stabilisce che il presidente del tribunale entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l'udienza di discussione davanti al collegio (Cass. n. 1483/1986); c) il termine di quattro mesi dal deposito del ricorso, previsto dall'art. 3, comma 6, l. n. 89/2001 per la pronuncia del decreto sulla domanda di equa riparazione per la irragionevole durata del processo (Cass. n. 11737/1996; Cass. n. 7688/2006); d) il termine di trenta giorni dal deposito della relazione del commissario per l'emissione del decreto motivato con il quale il tribunale, ai sensi dell'art. 30 d.lgs. n. 270/1991, dispone l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria o dichiara il fallimento (Cass. n. 13120/2004); e) il termine decorrente dal deposito del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione amministrativa dello straniero posto all'autorità giurisdizionale per provvedere sullo stesso ricorso dall'art. 13, comma 9, d.lgs. n. 286/1998 (Cass. n. 5117/2003; Cass. n. 1827/2003; Cass. n. 787/2002); f) il termine massimo di trenta giorni dalla discussione in pubblica udienza o dalla esposizione del relatore, stabilito in materia di contenzioso tributario dall'art. 35, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 per il caso di rinvio della deliberazione del collegio giudicante (Cass. n. 8249/2008). Tuttavia, la qualificazione dei menzionati termini come ordinatori riflette una certa imprecisione di quest'ultima figura, talora qualificata come «figura di risulta», dal momento che ad essa vengono ricondotte fattispecie di termini non qualificabili né come perentori, né come dilatori (Grossi, 238). D'altronde, è ben evidente che ai termini posti a carico del giudice e degli altri ausiliari non si applica la norma cardine prevista in tema di termini ordinatori, ossia l'art. 154, il quale stabilisce che il termine ordinatorio può essere prorogato, salvo casi eccezionali, una ed una sola volta, dopo di che si comporta al pari di un termine perentorio. Si trova dunque correttamente affermato che l'inosservanza dei termini stabiliti per il compimento degli atti del giudice resta sottratta alla disciplina dettata dagli artt. 152 ss. in quanto, pur incidendo detti termini sulla durata complessiva del processo, essi non sono ulteriormente qualificati dalle norme che li prevedono, né ricevono sanzione in conseguenza della loro inosservanza, poiché l'atto compiuto dopo la relativa scadenza conserva validità ed efficacia (Cass. n. 2790/2002). In tale prospettiva, è stato ad esempio affermato che, nel processo d'appello la deliberazione della sentenza è atto interno del giudice, sicchè, quand'anche trascorra un notevole lasso di tempo tra l'udienza di discussione e la deliberazione in parola, la conseguente violazione del principio dell'immediatezza della decisione per inosservanza del termine ex art. 352, comma 1, non assurge a causa di inesistenza o nullità del provvedimento giurisdizionale, integrando una mera irregolarità, che non ne infirma i requisiti minimi indispensabili (Cass. n. 22563/2019).Analogo discorso va fatto per gli atti del cancelliere. Perciò il termine di tre giorni per la comunicazione, da parte del cancelliere, delle ordinanze pronunciate fuori udienza non è perentorio, mancando un'espressa previsione di legge in tal senso (Cass. n. 10607/2016). La sospensione dei termini durante il periodo ferialeLa disciplina della sospensione dei termini feriali è dettata dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 l. n. 742/1969, nonché 92 dell'ordinamento giudiziario. Occorre dire, anzitutto, che la sospensione trova applicazione con riguardo ai termini processuali, ma non a quelli concernenti i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale (Corte cost. n. 304/2006), ivi compresi quelli di comparizione stabiliti dal codice di rito (Cass. n. 5981/1991), e non a quelli che hanno natura sostanziale e sono estranei alla scansione temporale del processo. Perciò la sospensione non si applica, ad esempio: a) con riguardo al termine per l'esercizio del diritto di riscatto di cui all'art. 39 l. n. 392/1978 (Cass. n. 12280/2010); b) con riguardo al termine di sessanta giorni, dalla contestazione o dalla notificazione dell'accertamento di una violazione del codice della strada, stabilito dall'art. 203 d.lgs. n. 285/1992, per proporre ricorso in via amministrativa al prefetto (Cass. n. 4170/2010); c) con riguardo al termine per il perfezionamento della prescrizione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 28 l. n. 689/1981 (Cass. n. 1941/2010); d) con riguardo al termine quinquennale di prescrizione per proporre l'azione revocatoria ex art. 67 l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) (Cass. n. 22366/2007); e) con riguardo ai termini per la notifica dei verbali di accertamento delle menzionate infrazioni, i quali non sono termini processuali e non sono connessi con l'esercizio di un'azione giudiziale, ma attengono ad atti da compiersi nell'ambito di un procedimento amministrativo di carattere sanzionatorio (Cass. n. 1280/2007). La natura processuale del termine non presuppone tuttavia necessariamente la pendenza del processo. È dunque un termine processuale, ad esempio, quello per l'impugnazione del lodo arbitrale (Cass. n. 6362/1995), non invece quello per la pronuncia del lodo e, in generale, per lo svolgimento del procedimento arbitrale in quanto la sospensione è istituto tipico della giurisdizione, alla quale è estraneo l'arbitrato (Cass. n. 24866/2008), sicché la sottrazione all'istituto della sospensione non suscita dubbi di costituzionalità (Cass. n. 24866/2008). Vi sono poi termini sostanziali, che hanno però rilevanza processuale, ai quali la sospensione si applica. Per lungo tempo la S.C. ha ritenuto che la sospensione feriale operasse esclusivamente per i termini cosiddetti endoprocessuali, con esclusione di quelli segnati a pena di decadenza per la proposizione dell'azione (v. p. es. Cass. n. 6484/1984). La Corte costituzionale ha però successivamente ampliato l'ambito di applicabilità della sospensione feriale anche a termini previsti a pena di decadenza per il promovimento dell'azione. In presenza di termini brevi, di duplice e coesistente natura sostanziale e processuale, sono state accolte questioni di legittimità costituzionale, sollevate nel contesto di una giurisprudenza ferma nel ritenere non applicabile la sospensione ai termini per la proposizione della domanda giudiziale. La Corte costituzionale ha affermato che lede il diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni escludere la sospensione del decorso dei termini nel periodo feriale, prevista in via generale, nei casi in cui la possibilità di agire in giudizio costituisca, per il titolare del diritto, l'unico rimedio per far valere il diritto stesso in un ristretto termine fissato dalla legge (Corte cost. n. 40/1985; Corte cost. n. 255/1987; Corte cost. n. 49/1990; Corte cost. n. 380/1992). Tale indirizzo (per il quale v. pure Corte cost. n. 268/1993; Corte cost. n. 296/1998; Corte cost. n. 345/1998) ha influito sulla giurisprudenza di legittimità, la quale è pervenuta, in via di interpretazione adeguatrice, ad una ricostruzione della portata normativa della disciplina della sospensione, tale da superare l'esigenza di ulteriori pronunce di illegittimità costituzionale dirette ad inserire, di volta in volta, altre singole fattispecie nel contesto della stessa disposizione. La locuzione «termini processuali», ai fini della sospensione nel periodo feriale, comprende ormai anche i termini di decadenza fissati per la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio: sono per questa via soggetti alla sospensione nel periodo feriale, tra gli altri: a) il termine di trenta giorni previsto dall'art. 2527 c.c., per l'impugnazione giudiziale di esclusione del socio dalla cooperativa (Cass. n. 6041/1991); b) il termine di tre mesi contemplato dall'art. 2377 c.c., per l'impugnazione della delibera dell'assemblea di una società per azioni (Cass. n. 3351/1997); c) il termine di un anno previsto per l'esercizio dell'azione di disconoscimento della paternità (Cass. n. 6874/1999; Cass. n. 1868/2016); d) il termine di sei mesi previsto dall'art. 4 l. n. 89/2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cass. n. 5895/2009; Cass. n. 2153/2010; Cass. n. 5423/2016); e) il termine di decadenza previsto dall'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011, per proporre l'opposizione alla stima di cui all'art. 54, comma 1, d.P.R. n. 327/2001 (Cass. n. 442/2016).Non risulta allo stato un dato giurisprudenziale sull’applicabilità della sospensione ai termini per lo svolgimento delle procedure di mediazione e negoziazione assistita, quando queste costituiscono condizioni di procedibilità: la sospensione sembrerebbe da escludere. Casi di inapplicabilità della sospensioneQuanto ai casi di inapplicabilità della sospensione, ossia alle cause che si trattano dal 1° al 31 agosto, merita rammentare quanto segue: i) Cause relative ad alimenti. Sono quelle aventi ad oggetto l'obbligo di prestare gli alimenti ai sensi degli artt. 433 ss., sicché è ad esse estranea la causa concernente l'assegno di divorzio (Cass. n. 4456/1995) e quella di separazione giudiziale dei coniugi, ancorché pendente in fase d'impugnazione con riguardo anche alle statuizioni adottate in materia di alimenti (Cass. n. 17750/2009); il procedimento di reclamo avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato, a norma dell'art. 46 l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), determina la quantità del salario percepito dal fallito da destinare alle esigenze di questo e della sua famiglia (Cass. n. 2939/2008). ii) Procedimenti possessori e cautelari. la sospensione opera nella fase sommaria, ma non in quella di merito (Cass. n. 7200/1995), né tantomeno nelle fasi di impugnazione delle sentenze (Cass. n. 3955/2008). iii) Procedimento di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto. La sospensione dei termini durante il periodo feriale resta esclusa solo per la fase sommaria di esso, la quale si conclude, nel caso d'opposizione dell'intimato, con la pronuncia o il diniego dell'ordinanza di rilascio e che presenta per sua natura carattere d'urgenza, mentre trova applicazione per la successiva fase a rito ordinario, salvo che l'urgenza sia dichiarata con apposito provvedimento (Cass. n. 23193/2015; Cass. n. 12979/2010; Cass. n. 14304/2005; Cass. n. 10387/2005); iv) Procedimenti di opposizione all'esecuzione. Le opposizioni esecutive in generale, quantunque conclusesi con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere (Cass. n. 9997/2010), ivi comprese le opposizioni proposte prima dell'inizio dell'esecuzione (Cass. n. 6672/2010), e quelle agli atti esecutivi in particolare, anche a seguito dell'intervento riformatore di cui alla l. n. 52/2006 (Cass. n. 9998/2010), sono sottratte all'operatività della disciplina della sospensione dei termini durante il periodo feriale sia con riferimento alla fase sommaria che con riguardo alla fase a cognizione piena (Cass. n. 13928/2010), nel suo dipanarsi nei successivi gradi, fino alla fase di cassazione (Cass. n. 4942/2010; Cass. n. 749/2007; Cass. n. 2636/2006; Cass. n. 5684/2006; Cass. n. 2140/2006), quantunque si controversa ormai soltanto delle spese (Cass. n. 12150/2016). Tuttavia, qualora, in sede di opposizione avverso precetto, si sia formato, quale esito del giudizio di primo grado, il giudicato sull'opposizione e il processo sia proseguito esclusivamente in ordine alla domanda riconvenzionale, la controversia non è più qualificabile come opposizione all'esecuzione, sicché non si sottrae alla sospensione dei termini durante il periodo feriale, anche con riguardo al termine per la proposizione dell'impugnazione (Cass. n. 12888/2016). La sospensione feriale dei termini feriali non si applica neppure: a) alle opposizioni relative alla distribuzione della somma ricavata in sede di esecuzione forzata, proposte ai sensi dell'art. 512 (Cass. n. 1331/2006), attesa l'identità strutturale e funzionale dell'opposizione distributiva con l'opposizione all'esecuzione (Cass. n. 10617/2010); b) ai procedimenti di accertamento dell'obbligo del terzo presso il quale è stato eseguito il pignoramento mobiliare, in quanto anche per tale procedimento sussiste l'interesse alla sua sollecita definizione, considerato che il processo esecutivo è, in attesa, sospeso (Cass. n. 7345/2009; Cass. n. 15010/2008; Cass. n. 1331/2006); c) all'appello avverso un provvedimento di carattere decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e di non fare, poiché detto appello assume necessariamente valore di opposizione all'esecuzione ex art. 615 per contestare il diritto della controparte ad agire in executivis nelle forme di cui agli artt. 612 ss., atteso che i due mezzi condividono in tal caso l'aspetto funzionale di strumento per rimuovere atti del procedimento esecutivo emessi in violazione di legge (Cass. n. 14591/2007); d) all'opposizione del terzo proprietario di cui all'art. 619 (Cass. n. 12250/2007). Nulla rileva, per i fini dell'applicazione della sospensione (cioè: la sospensione non si applica) che l'esecuzione sia stata o meno portata a compimento, perdurando le cause di opposizione che costituiscono fattori di ritardo nella definizione della procedura esecutiva (Cass. n. 6103/2006; Cass. n. 14601/2004). v) Cause relative alla dichiarazione e alla revoca dei fallimenti. La sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale non si applica alle cause inerenti alla dichiarazione e revoca fallimento, senza alcuna limitazione o distinzione fra le varie fasi e gradi del giudizio (Cass. n. 12625/2010), sicché la sospensione non opera anche per il ricorso per cassazione (Cass. n. 622/2016). Il termine perentorio per il deposito delle domande tardive di insinuazione al passivo fallimentare, previsto dall'art. 101, comma 1, l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 208 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), è soggetto alla sospensione feriale, sulla base delle indicazioni desumibili dagli artt. 92 r.d. n. 12/1941 e 36-bis l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in quanto – secondo il principio di cui si è dato conto in precedenza - si tratta di termine processuale, entro il quale il giudizio deve necessariamente essere proposto, non essendo concessa altra forma di tutela del diritto (Cass. n. 4408/2016). vi) Cause urgenti. Sono quelle rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti. La fissazione di una causa, non dichiarata urgente, nel periodo feriale, in tanto determina la nullità dell'attività svolta in quanto «in conseguenza di quella trattazione risultino pregiudicati i diritti di difesa delle parti, siccome tutelati da specifiche disposizioni» (Cass. n. 2978/1994). Le controversie elettorali di cui all'art. 82 d.P.R. n. 570/1960 possono essere trattate durante il periodo feriale, essendo considerate urgenti per valutazione e definizione dello stesso legislatore (art. 82, comma 3 e 7). Ne deriva che la fissazione nel periodo feriale da parte del presidente del tribunale, implica di per sé una ricognizione di particolare urgenza al fine della necessità di tale fissazione ed il collegio ha, nel rispetto del contraddittorio, il potere di dichiararla una volta investito della causa, avendo un potere decisionale più ampio di quello del presidente in sede di fissazione. Inoltre tale dichiarazione, una volta emanata nel giudizio di primo grado, vale anche per i gradi successivi finché non rimossa da apposita declaratoria (Cass. n. 25005/2007). vii) Controversie di lavoro e previdenziali. La sospensione è esclusa per le controversie individuali di lavoro e non, invece, per la generalità delle controversie che sono regolate con il rito del lavoro, giacché la norma si riferisce alla natura della causa e non al rito da cui essa è disciplinata: dunque la sospensione si applica alle cause locatizie (Cass. n. 11607/2010; Cass. n. 7678/2008). In generale, l'esclusione della sospensione trova fondamento nelle «primarie ed essenziali esigenze di vita di regola coinvolte», che fanno ritenere prevalente l'esigenza di sollecito svolgimento della lite rispetto a quella di garantire agli operatori del diritto le ferie estive (Cass. n. 2995/1995). BibliografiaBalbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milano, 1993; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2010, 281; Grossi, Termini (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992; Verde, Considerazioni sul progetto Vassalli, in Foro it. 1989, V, 250. |