Codice di Procedura Civile art. 157 - Rilevabilità e sanatoria della nullità.

Mauro Di Marzio

Rilevabilità e sanatoria della nullità.

[I]. Non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata di ufficio [158, 164 1, 291 1].

[II]. Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso.

[III]. La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente.

Inquadramento

La disposizione in commento comporta un ulteriore restringimento del campo di operatività delle nullità processuali, oltre al congegno del raggiungimento dello scopo contemplato dal comma 3 del precedente art. 156. I tre precetti dettati dalla norma limitano difatti la possibilità di pronuncia della nullità in forza della regola, che anima ciascuno di essi, secondo cui la nullità deve essere eccepita dalla parte interessata (Martinetto, in Comm. Allorio, 1973, 1601). Al principio della spettanza dell'eccezione alla parte va cioè ricondotto sia il meccanismo di estinzione del potere di eccezione per decadenza, acquiescenza o rinuncia, sia la previsione secondo cui detto potere compete esclusivamente alla parte interessata, la quale non abbia dato causa all'invalidità, ma l'abbia subita.

Per altro verso la sanatoria per difetto di tempestiva eccezione ha luogo soltanto se la parte abbia avuto conoscenza effettiva dell'atto nullo (Cass. n. 17013/2003). La regola dettata dal comma 3, secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa è applicabile solo alle nullità relative e non riguarda le nullità rilevabili d'ufficio, come la mancata integrazione del contraddittorio in causa inscindibile (Cass. n. 11315/2009; Cass. n. 3855/2014).

Tempestività e completezza dell'eccezione

In generale, ai sensi dell'art. 157, comma 2, le contestazioni relative a presunte nullità di atti processuali vanno proposte, a pena di decadenza, nella prima istanza o difesa utile successive al loro verificarsi, con la conseguenza che, in mancanza di tale tempestiva deduzione, la nullità resta sanata e non può più essere eccepita dalla parte che, non opponendosi nella prima difesa successiva all'atto, ha implicitamente rinunciato a farla valere (Cass. n. 21957/2019). Così, in caso di caso di incapacità del testimone l'eccezione va formulata nella stessa udienza (Cass. n. 8358/2007), a meno che il difensore fosse stato assente all'assunzione (Cass. n. 21395/2014;Cass. n. 20652/2009;Cass. n. 403/2006; Cass. n. 9553/2002). La formulazione successiva dell'eccezione è ammessa in presenza di specifiche circostanze tali da dimostrare che la parte non aveva al momento conoscenza della nullità (Cass. n. 9061/2004). Anche le eccezioni di violazione delle disposizioni relative alle modalità di deduzione della prova vanno eccepite nella prima difesa successiva (Cass. n. 19942/2008; Cass. n. 11706/2009; Cass. n. 7110/2016). In caso di esplicita precisazione delle conclusioni la mancata riproposizione dell'eccezione va intesa quale rinuncia (Cass. n. 7256/2002). 

Ove, poi l'eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, tempestivamente proposta, non sia stata neanche presa in esame dal giudice avanti al quale la prova è stata espletata, la stessa deve essere formulata con apposito mezzo di gravame avanti al giudice d'appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell'art. 346, dovendosi in caso contrario la medesima eccezione ritenersi rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass. n. 10120/2019).

Anche le eventuali nullità della consulenza tecnica vanno eccepite nella prima udienza o istanza successiva al deposito della relazione (Cass. n. 5422/2002; Cass. n. 23504/2007; Cass. n. 2251/2013). Così pure l'eccezione di difetto di procura del difensore alla chiamata di terzo (Cass. n. 12293/2001), nonché l'eccezione di nullità della procura per incertezza circa l'identità del rappresentante dell'ente (Cass. n. 29503/2008).

Ancora, ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. c.p.c., gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell'indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, dal cancelliere), con la conseguenza che l'inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione (Cass. n. 15969/2024; Cass. n. 14661/2019).

Ai sensi dell'art. 157, affinché sussista l'obbligo del giudice di esaminare l'eccezione di nullità relativa di un atto processuale, è necessario che la deduzione della medesima ad opera della parte avvenga, oltre che tempestivamente, con la specificazione delle ragioni dell'invalidità (Cass. n. 365/2003, la quale ha ritenuto non sufficiente la deduzione, ad opera del convenuto, della nullità della citazione fatta attraverso il mero richiamo, in forma generica, delle norme coinvolte).

L'espressione «prima istanza» va intesa in senso ampio, comprensivo di qualsiasi richiesta volta a conseguire anche un semplice atto ordinatorio, quale il mero rinvio dell'udienza (Cass. n. 1599/1986; Cass. n. 8383/1995; Cass. n. 15133/2001; Cass. n. 22843/2006; Cass. n. 8347/2010; Cass. n. 1744/2013).

Legittimazione ad eccepire la nullità

La disposizione prevede due requisiti, l'unico di segno positivo, l'altro negativo, ai fini della sussistenza della legittimazione ad eccepire la nullità: da un lato occorre considerare l'interesse a far valere il vizio, dall'altro lato di non avervi dato causa.

Sotto il primo aspetto, occorre rammentare la prevalente opinione dottrinale secondo cui la legittimazione all'esercizio del potere di eccezione della nullità prescinde dalla prospettazione di un pregiudizio (Martinetto, in Comm. Allorio, 1973, 1598). Il secondo requisito costituisce applicazione del principio generale dell'illiceità del venire contra factum proprium. Si ritiene perciò che la norma comporti l'esclusione della legittimazione ad eccepire la nullità non soltanto per la parte che ha posto in essere l'atto invalido, ma anche per quella che ha realizzato le condizioni necessarie perché la nullità potesse essere cagionata da un diverso soggetto (Martinetto, in Comm. Allorio, 1973, 1599).

In giurisprudenza si è osservato che non può invocarsi la nullità di un atto processuale, tale da infirmare il giudizio che ad esso è seguito, da parte di chi, anche se non vi abbia dato causa, non siasi curato di provocarne in tempo utile la regolarizzazione o la rinnovazione (Cass. n. 1011/1960).

Rinuncia

La nullità non può essere opposta da colui che vi abbia rinunciato espressamente ovvero ponendo in essere atti incompatibili con l'intenzione di farla valere. L'inammissibilità dell'eccezione di nullità sollevata da chi vi ha rinunciato è rilevabile d'ufficio (Martinetto, in Comm. Allorio, 1973, 1603).

Nullità relative e nullità assolute

Se dall'esame di disposizioni di legge si passa a quello della giurisprudenza in merito a fattispecie in cui il codice non stabilisce espressamente alcuna regola in tema di rilevabilità del vizio, viene confermata la correlazione tra interesse esclusivo di parte e soggezione della nullità all'eccezione. In particolare, si possono richiamare diverse figure di invalidità attinenti ad atti di acquisizione probatoria relativamente ai quali, indipendentemente dalla natura «formale» del vizio, si riconosce costantemente la sanabilità per acquiescenza o convalidazione soggettiva, se l'eccezione non viene tempestivamente proposta e si richiama a sostegno proprio la circostanza per cui rileva unicamente l'interesse della parte alla corretta formazione della prova (Cass. n. 2101/1997; Cass. n. 303/1996). Si possono citare come esempi specifici quelli della tardiva produzione di documenti (Cass. n. 527/2002; Cass. n. 13744/2003; Cass. n. 20112/2006), della tardiva indicazione dei testi (Cass. n. 12687/1998;  Cass. n. 17294/2002), delle regole concernenti l'ammissione ed espletamento della prova testimoniale (Cass. n. 7110/2016; Cass. n. 11706/2009; Cass. n. 19942/2008; Cass. n. 9925/2006;  Cass. n. 15554/2003; Cass. n. 8531/2003; Cass. n. 17294/2002), della stessa ammissibilità della prova (Cass. n. 144/2002), della partecipazione all'acquisizione del litisconsorte necessario pretermesso, unico legittimato all'eccezione (Cass. n. 16034/2002; Cass. n. 17761/2024) o della incapacità ex art. 246 dei testimoni (Cass. n. 2995/2004; Cass. n. 9553/2002; Cass. n. 12634/1999) ed ancora del mancato rispetto del contraddittorio nel corso della consulenza tecnica d'ufficio per mancato avviso alle parti dello svolgimento di operazioni peritali (Cass. n. 746/2011; Cass. n. 7243/2006; Cass. n. 15133/2001; Cass. n. 4511/1997; Cass. n. 986/1996; Cass. n. 7088/1992; Cass. n. 3615/1990), del difetto di qualificazione professionale del consulente tecnico (Cass. n. 23504/2007).

E dunque, l'eccezione di nullità della consulenza tecnica d'ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito avendo natura giuridica di nullità relativa (Cass. n. 3184/2024).

Altri esempi applicativi possono indicarsi nella nullità di singoli atti conseguente ad inosservanza del termine dilatorio di dieci giorni dal precetto per l'istanza di vendita dei beni pignorati, deducibile solo dal debitore esecutato in quanto posta a tutela del suo interesse ad evitare la prosecuzione del procedimento (Cass. n. 15630/2002), oppure una erronea scelta del rito tra ordinario di cognizione o camerale, per la cui pronuncia la giurisprudenza richiede anche la dimostrazione di un effettivo pregiudizio di difesa (Cass. n. 13639/2013; Cass. n. 18201/2006; Cass. n. 15125/2000; Cass. n. 6492/1998; Cass. n. 6346/1994; Cass. n. 12657/1993; Cass. n. 9477/1993; Cass. n. 4891/1992) od ancora nel rilievo della nullità dell'atto compiuto nonostante un'intervenuta decadenza. A tale ultimo riguardo è assai significativo che, pur trattandosi di vizio non formale e normalmente ritenuto rilevabile d'ufficio, in passato sia a lungo prevalso l'orientamento secondo cui la domanda nuova tardivamente introdotta in causa avrebbe potuto essere espunta solo su eccezione di parte, argomentando nel senso che la regola sarebbe stata predisposta nell'interesse esclusivo della parte di non vedere modificato in corso di causa l'oggetto del giudizio e quindi aggravati i propri oneri difensivi (Cass. n. 1655/1994; Cass. n. 8227/1990; Cass. n. 4843/1989; Cass. n. 4536/1987; Cass. n. 3370/1985); di seguito, la Corte di Cassazione ha limitato le conseguenze del proprio orientamento escludendo possa presumersi l'accettazione del contraddittorio sulla domanda nuova per effetto del semplice silenzio (Cass. S.U., n. 4712/1996). A conferma della circostanza che l'elemento determinante per la disciplina della rilevabilità del vizio risiede nel carattere dell'interesse considerato dalla norma si consideri la tendenza a ritenere oggi rilevabile d'ufficio l'intervenuta decadenza, oltre che nella dottrina, anche nella giurisprudenza formatasi sul regime delle preclusioni introdotto con la Novella del 1990, sottolineandosi l'esigenza pubblicistica all'ordinato, razionale e celere svolgimento del processo (Cass. n. 19186/2003; Trib. Napoli, 20 settembre 2001; Trib. Milano, 8 maggio 1997; Trib. Milano, 19 dicembre 1995; Pret. Torino 11 ottobre 1997).

Si è anche statuito come l'inammissibilità della prova per testi nei contratti, derivante dalla previsione della forma scritta «ad probationem», non attenendo all'ordine pubblico ma alla tutela d'interessi privati, non possa essere rilevata d'ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte interessata, entro il termine previsto dall'art. 157, comma 2, nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi (Cass. n. 14470/2014Cass. n. 7765/2010).

La regola dettata dal comma 3 dell'art. 157, secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa è applicabile solo alle nullità relative e non riguarda le nullità rilevabili d'ufficio, come la mancata integrazione del contraddittorio in causa inscindibile (Cass. n. 3855/2014; Cass. n. 11315/2009).

L'interesse, astratto o concreto, a far valere la nullità

La disposizione dell'art. 157, comma 2, parrebbe alludere all'interesse considerato in astratto dal legislatore nel prefigurare il modello legale dell'atto. Si tratterebbe dunque di una norma attributiva della legittimazione ad eccepire la nullità, sulla base di una valutazione della posizione che le parti assumono rispetto ad un determinato atto. Un requisito ben difficilmente potrebbe essere posto nell'interesse dello stesso soggetto autore dell'atto e dunque dovrebbe ritenersi che l'eccezione può spettare solo al destinatario dell'atto, precisando, nell'eventualità che vi sia più di una parte avversaria, che è legittimata solo quella che può in concreto risentire un effetto sfavorevole, ad esempio, dalla prova irregolarmente assunta. Tuttavia il reale problema consiste nello stabilire se sia o meno necessario un interesse concreto a far valere la nullità ossia se la parte che la eccepisce debba anche dimostrare un pregiudizio effettivamente subito come conseguenza della mancanza o del vizio attinente al requisito che la legge pone a suo esclusivo vantaggio (Marelli, 142). In proposito si riscontra una certa varietà di opinioni in dottrina e la tesi per cui la proposizione dell'eccezione presuppone un concreto pregiudizio risulta assai autorevolmente sostenuta (Liebman, 235; Satta, 541), anche se sembra prevalere l'opposta prospettiva (Martinetto, in Comm. Allorio, 1973, 1597; Monteleone, Diritto processuale civile, I, Padova, 2007, 309; Montesano, Arieta, 377; Oriani, 11). Da un lato parrebbe potersi osservare che, se il risultato perseguito è rimesso all'esclusiva disponibilità della parte, la legge dovrebbe lasciare alla stessa la libera valutazione della lesione del proprio interesse; in altri termini, la parte sarebbe l'unica a poter valutare se i propri diritti di difesa siano stati effettivamente pregiudicati. Dall'altro, se il requisito è posto esclusivamente per garantire ad una delle parti il realizzarsi di un determinato risultato, il concreto pregiudizio non potrebbe che coincidere con il mancato conseguimento di quel risultato o di altro equivalente; se il risultato sia stato comunque ottenuto, invece, parrebbe potersi concludere che non si è realizzato alcun pregiudizio ed in ogni caso si verificherebbe la sanatoria per raggiungimento dello scopo prevista dall'art. 156, comma 3 (Liebman, 235; Satta, 541). La prospettiva che sembra preferibile adottare è quest'ultima, perché effettivamente la regola del raggiungimento dello scopo sembra poter operare con effetti autonomi ed indipendentemente da quella fondata sull'acquiescenza della parte. In altri termini essa, se da un lato esclude già di per sé stessa il prodursi della nullità e quindi fa venir meno lo stesso potere di eccezione della parte, dall'altro consente di spiegare un limite alla possibilità di annullamento dell'atto che si è istintivamente portati ad affermare, per il fatto che esso non sembra giovare a nessuno (Marelli, 145).

La disposizione di cui all'art. 294, comma 1 (secondo cui la rimessione in termini del contumace tardivamente costituitosi è subordinata alla prova di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità della citazione o della notificazione) sembrerebbe effettivamente precisa conferma di questa ipotesi. Nella fattispecie, infatti, la mancata conoscenza del processo non solo configura un concreto pregiudizio al diritto di difesa del destinatario dell'atto, ma essa è anche chiaramente posta in relazione di consequenzialità rispetto alla nullità dell'atto. Inoltre, in armonia con le disposizioni di carattere generale dell'art. 157, il pregiudizio deve essere provato da chi intende far valere la nullità (Marelli, 94).

In alcuni casi la giurisprudenza richiede effettivamente la prova di un concreto pregiudizio: si tratta delle fattispecie della violazione del contraddittorio nel corso di svolgimento della consulenza tecnica d'ufficio(Cass. n. 15874/2010Cass. n. 13428/2007) e dell'erronea adozione del rito ordinario o camerale (v. al precedente punto 2), cui può forse aggiungersi quello della nullità della notificazione per mancanza di una facciata nella copia dell'atto consegnata dall'ufficiale giudiziario, nel qual caso la giurisprudenza richiede si dimostri che ciò ha effettivamente impedito alla parte di avere compiuta conoscenza dell'atto notificato (Cass. n. 10488/2012Cass. n. 2081/1995); quello in cui si riscontrino vizi nella iscrizione a ruolo (Cass. n. 13163/2007), il convenuto sia stato dichiarato erroneamente contumace (Cass. n. 14763/2006; Cass. n. 2593/2006); quello della mancata assegnazione alle parti del termine per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie, della pronunzia della sentenza prima della scadenza dei termini già assegnati (Cass. n. 7086/2015;Cass. n. 4020/2006, ma v. Cass. n. 20180/2015, secondo cui è nulla la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini ex art. 190, risultando per ciò solo impedito ai difensori l'esercizio, nella sua completezza, del diritto di difesa, senza che sia necessario verificare la sussistenza, in concreto, del pregiudizio che da tale inosservanza deriva alla parte, giacché, trattandosi di termini perentori fissati dalla legge, la loro violazione è già stata valutata dal legislatore, in via astratta e definitiva, come autonomamente lesiva, in sé, del diritto di difesa) e della mancata concessione dei termini di cui agli artt. 180, 183 e 184 (Cass. n. 13408/2008).

Bibliografia

Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979; Anzilotti, De Rossi, Inesistenza o nullità della notificazione: incertezze della giurisprudenza, in Foro pad. 1995, 182; Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999; Balena, Elementi di diritto processuale civile, I, Bari, 2007, 283; Carnacini, Ancora una vittima della notificazione per posta, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1957, 1180; Ciaccia Cavallari, La rinnovazione nel processo di cognizione, Milano, 1981; Furno, Nullità e rinnovazione degli atti processuali civili, in Studi in onore di Enrico Redenti, I, Milano, 1951; Giordano, Le Sezioni Unite restringono la categoria dell'inesistenza della notificazione, in Giust. civ. 2004, I, 1712; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1980; Oriani, Nullità degli atti processuali, in Enc. giur., XXI, Roma, 1988; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Poli, Sulla sanabilità dei vizi degli atti processuali, in Riv. dir. proc. 1995, 473; Redenti, Atti processuali civili, in Enc. dir. IV, Milano, 1959; Satta, Sull'inesistenza degli atti processuali civili, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1956, 337.

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