Codice di Procedura Civile art. 163 - Contenuto della citazione 1

Antonio Scarpa

Contenuto della citazione1

[I]. La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa.

[II]. Il presidente del tribunale stabilisce al principio dell'anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti [69-bis att.].

[III].  L'atto di citazione deve contenere:

1) l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta [1641];

2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora nonche' l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi [43 ss. c.c.]del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono [75]. Se attore o convenuto è una persona giuridica [23311 c.c.], un'associazione non riconosciuta [362 c.c.] o un comitato [39 c.c.], la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio [753-4]2;

3) la determinazione della cosa oggetto della domanda;

3-bis) l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento3;

4) l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni [183, 18914;

5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione [74 att.];

6) il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata [83, 1251];

7) l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato  5.

[IV]. L'atto di citazione, sottoscritto a norma dell'articolo 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli articoli 137 e seguenti.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 7 l. 14 luglio 1950, n. 581.

[2]  Numero così sostituito dall'art. 4, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modif., in l. 22 febbraio 2010, n. 24. Il testo originario recitava: «2) il nome, il cognome e la residenza dell'attore, il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;». Successivamente modificato dall'articolo 3, comma 2, lettera a) del d.lgs.  31 ottobre 2024, n. 164 che ha aggiunto dopo le parole «o la dimora»  le seguenti: «nonche' l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi». Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[3] Numero inserito dall'art. 3, comma 12, lett. a), numero 1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come modificato dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[4] Numero modificato dall'art. 3, comma 12, lett. a), numero 2), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che ha inserito le parole: «in modo chiaro e specifico» dopo le parole «l'esposizione» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[5] Numero così sostituito dall'art. 7 l. 26 novembre 1990, n. 353. Il testo recitava: «7) l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine e nelle forme stabilite dall'articolo 166, e di comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice istruttore che sarà designato ai sensi dell'articolo 168-bis». Successivamente il presente numero è stato ulteriormente modificato, dall'art. 46, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69, con la decorrenza e la relativa disciplina transitoria indicate sub art. 7, che ha sostituito le parole: "di cui all’articolo 167" con le parole: "di cui agli articoli 38 e 167". Da ultimo sostituito dall'art. 3, comma 12, lett. a), numero 3), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".  Si riporta il testo anteriore alla suddetta sostituzione: «l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione [82 att.]; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167».

Inquadramento

L'art. 163 fissa il contenuto essenziale dell'atto di citazione, in relazione al duplice scopo dello stesso, volto ad attivare il contraddittorio col convenuto, mediante la vocatio in ius (indicazione del tribunale, delle parti, del procuratore, dell'udienza di comparizione, invito a costituirsi ed avvertimento delle decadenze), nonché ad esplicitare la pretesa oggetto di lite, consistente nella editio actionis  (oggetto, fatti e ragioni di diritto della domanda ed indicazione delle prove).

Onere di completezza della citazione, chiarezza e sinteticità

L'atto di citazione, come in generale tutti gli atti di parte propri della fase introduttiva e preparatoria del giudizio, se non soggiace ad un dovere di verità, è tuttavia certamente improntato ad un dovere di completezza.

Dagli artt. 163, comma 3, n. 3 e 4, 164, comma 4 e 5414 nn. 3 e 4, si ricava la prescrizione di esaustività della editio actionis in sede di citazione o ricorso introduttivi, onerandosi il giudice del rilievo, anche di ufficio, delle eventuali lacune o incertezze, indipendentemente dalla costituzione in giudizio del convenuto, sul presupposto che soltanto una domanda esaurientemente esplicitata non comprometta la difesa al convenuto, e, ad un tempo, consenta allo stesso giudice di emettere una pronuncia di merito sulla quale possa formarsi il giudicato sostanziale.

D'altro canto, la parte che intenda invocare il cosiddetto principio di non contestazione (art. 115, comma 2) dovrebbe dare dimostrazione di aver essa per prima ottemperato all'onere processuale posto a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l'altra parte era tenuta a prendere posizione; ne discende che una generica o perplessa enunciazione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, imputabile all'attore, sottrae comunque il convenuto all'onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l'onere di allegare il fatto costitutivo dell'avversa pretesa (Cass. III, n. 3023/2016).

Va aggiunto che, visto lo scopo proprio di tale esaustività informativa dell'atto di citazione, la validità di esso, sotto il profilo dell'idoneità ad assolvere le rispettive funzioni in relazione alla completezza o meno delle indicazioni all'uopo prescritte, deve essere valutata sempre con riferimento alla copia che sia posta nella disponibilità della controparte, senza far ricorso ad integrazioni.

Così, in caso di discordanza tra l'originale e la copia dell'atto notificato, il destinatario non è tenuto ad eliminare le incertezze o a colmare le lacune del testo che gli viene consegnato, e deve, piuttosto, affidarsi solo esso per predisporre le sue difese (Cass. n. 18217/2008). In particolare, alla mancanza, nella copia notificata dell'atto di citazione degli elementi essenziali della vocatio in ius — quali la data dell'udienza di comparizione — non può sopperirsi attraverso le indicazioni presenti nell'originale dell'atto (o conseguibili presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario), giacché il convenuto deve unicamente basarsi sull'atto che gli viene consegnato per svolgere le attività processuali consentite a seguito della evocazione in giudizio (Cass. I, n. 6007/2003).

Nell'art. 163, comma 3, n. 4, per effetto del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e con la decorrenza indicata dall'art. 35 dello stesso decreto, è aggiunto che “l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni, deve avvenire “in modo chiaro e specifico”; la stessa formula torna simmetricamente nell'art. 167, giacché anche il convenuto nella sua comparsa di risposta deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione “in modo chiaro e specifico” sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda. Il riferimento al canone di chiarezza (e sinteticità) è, poi, contenuto già nel novellato art. 121, il quale, dopo aver ribadito il tradizionale principio di libertà e strumentalità delle forme, prescrive che “[t]utti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”. La chiarezza (e sinteticità) è predicata dall'ultima Riforma anche quanto al modello legale degli atti di impugnazione (artt. 342, 366, 434) o della domanda introduttiva del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie (art. 473-bis.12). L'insistita invocazione alla chiarezza, specificità (e/o sinteticità) degli atti di parte, rimane tuttavia priva di una effettiva ed immediata portata precettiva, quanto meno con riguardo ad atti, quale appunto la citazione, che la legge già correda di un minuzioso elenco di requisiti tipologici di contenuto-forma. Peraltro, come rimarcato dai primi commentatori, la riformulazione normativa appare superflua anche perché la giurisprudenza già riteneva nulla la citazione che non esponesse in modo chiaro e specifico (Tombolini) .

Il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. (ora recante rubrica « Forma e criteri di redazione degli atti giudiziari ») prescrive che « [i] processi verbali e gli altri atti giudiziari debbono essere scritti in carattere chiaro e facilmente leggibile. Quando sono redatti in forma di documento informatico, rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici (...). Il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell’atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale. Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo (...) ». Sullo schema di decreto ministeriale contenente il « Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’art. 46 disp. att. c.p.c. e disposizioni transitorie », si veda IUS Processo civile, 6 giugno 2023.

Il regolamento è stato approvato con decreto del Ministero della Giustizia 7 agosto 2023 n. 110 (in Gazzetta Ufficiale, 11 agosto 2023, n. 187) e si applica ai procedimenti introdotti dopo il 1° settembre 2023: IUS Processo civile, 17 agosto 2023.

Sul punto, I. Pagni, Chiarezza e sinteticità degli atti e dei provvedimenti nel decreto ministeriale scritto in attuazione dell’art. 46 disp. att. c.p.c., in Judicium 4 ottobre 2023.

L'onere esplicito di “chiarezza e specificità” delle difese introduttive è, dunque, paritariamente imposto ad entrambi i contendenti (art. 167). Rimane inevitabile, tuttavia, che l'adempimento del convenuto a tale onere sia subordinato, in via di conseguenzialità/dipendenza, al preventivo adempimento ad esso garantito dall'attore nella citazione, non potendosi chiamare il convenuto a prendere una posizione circostanziata su fatti che l'attore abbia allegato solo genericamente (Cass. II, n. 20525/2020; Cass. III, n. 3023/2016).

L'idea di declinare un dovere autonomo di chiarezza nella redazione degli atti difensivi del giudizio civile non è nuova, ed anzi alcune letture, anche giurisprudenziali, ricavavano tale dovere già come esemplificazione del generale precetto di lealtà e di probità di cui all'art. 88 (Cass. II, n. 3338/2012). Tanto meno nuovo nella disciplina processuale civile è il ricorso al canone di specificità degli atti di parte, anche se non è confortante l'applicazione pretoria fattane con riguardo, ad esempio, agli artt. 342 e 366.

Ora il «modo chiaro e specifico» diviene requisito esplicito di contenuto-forma della citazione e della comparsa di risposta, ovvero degli atti propri della fase introduttiva e preparatoria del giudizio, onerandosi il giudice del rilievo, anche di ufficio, della sua eventuale trasgressione e ponendovi a presidio sanzioni, quali la nullità (della citazione, ex art. 164, comma 4 e 5, o della domanda riconvenzionale, ex art. 167, comma 2,), ovvero, comunque, conseguenze negative per la parte cui sia addebitata (quale l'esonero dal controllo probatorio del fatto non contestato, ai sensi dell'art. 115, comma 1) (in dottrina, sull'efficacia dei principi di sinteticità e chiarezza degli atti processuali, F. De Santis, A. Panzarola).

Occorre infine considerare che, perché una citazione e una comparsa di risposta servano al giudice per fare buon governo delle regole sulle preclusioni dettate dagli artt. 112, 183, 189, 292 e 345, occorrerà ora che essi siano redatti altresì «in modo chiaro e specifico» 

Elementi della vocatio in ius

Oltre agli elementi inerenti al giudice, alla generalità delle parti e dei difensori, attiene, agli elementi essenziali della citazione l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione con il contestuale invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza ed a comparire dinanzi al giudice designato ex art. 168-bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporta le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 - nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi.

 

La nullità della citazione per omessa indicazione dell'udienza di comparizione davanti al giudice adito si verifica soltanto nel caso in cui tale requisito manchi del tutto o, per la sua incompletezza, risulti tanto incerto da non rendere possibile al destinatario dell'atto individuare, con un minimo di diligenza e buon senso, la data che si intendeva effettivamente indicare (Cass. II, n. 13691/2011).

L'errata indicazione, nell'atto di citazione, della data dell'udienza di comparizione, perché relativa ad un anno antecedente rispetto a quello di notifica, non integra un'ipotesi di nullità della citazione stessa tutte le volte in cui l'errore, per la sua grossolanità,  sia immediatamente riconoscibile con l'uso dell'ordinaria diligenza, e il convenuto possa superarlo intuitivamente, in base al tenore dell'atto e tenendo presenti i termini a comparire, ovvero, quando la causa sia stata iscritta a ruolo, possa facilmente attivarsi, adempiendo al dovere di lealtà processuale, per conoscere la data esatta di comparizione (Cass. II, n. 7523/2006; Cass. I, n. 15498/2004; Cass. II, n. 12546/2002; Cass. II, n. 4633/1977).

Ad evitare la nullità della citazione non è sufficiente un generico rinvio ai termini di cui all'art. 166, non espressamente quantificati, stante la funzione garantistica della norma, la quale imporrebbe che l'avvertimento abbia la sostanza, e non soltanto la forma, di un invito (Cass. I, n. 13652/2004).

Non sono nitide in giurisprudenza le conseguenze della costituzione del convenuto in ipotesi di nullità della citazione per mancanza dell'avvertimento ai sensi dell'art. 163, comma 3, n. 7 (come per inosservanza del termine di comparizione): si afferma che la stessa nullità rimanga sanata allorché il convenuto si limiti alla sola deduzione dell'invalidità, senza richiedere la fissazione di una nuova udienza (Cass. VI, n. 21910/2014), né svolgere difese nel merito (Cass. VI, n. 28646/2020), e che la mancata fissazione della nuova udienza, pur sollecitata dal convenuto, impedisce alla costituzione di sanare il vizio pur se questi si sia difeso nel merito (Cass. II, n. 21957/2014).

Il potere del giudice di rilevare d'ufficio i vizi della vocatio in ius, seppure preferibilmente azionabile nella prima udienza, va esercitato tuttavia in qualsiasi momento del processo, sia pure in fase decisoria (Luiso, 2015, 13). Occorre, però, ricordare come il sistema contempli tuttora il principio di cui all'art. 294, secondo il quale la nullità della citazione legittima il convenuto a compiere in ogni tempo le attività, che gli sarebbero altrimenti negate dalle preclusioni verificatesi nel giudizio, soltanto ove questo dimostri che quel vizio gli abbia impedito di avere conoscenza della pendenza del processo o che la costituzione gli sia stata impedita da causa non imputabile.

Nell'art. 163, comma 3, n. 3-bis e n. 7, per effetto del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e con la decorrenza indicata dall'art. 35 dello stesso decreto, è previsto, rispettivamente: a) che l'atto di citazione rechi altresì l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento (elemento la cui mancanza non appare, peraltro, sanzionata dall'art. 164); b) l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis, con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

A proposito dell'indicazione dell'assolvimento della condizione di procedibilità, occorre considerare l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui a tal fine l'istanza di conciliazione deve contenere le stesse richieste poi avanzate al giudice, poiché solo in caso di corrispondenza la controparte può valutare, soppesando i rischi connessi all'instaurazione della lite, l'opportunità di un accordo stragiudiziale (Cass. III, n. 23072/2022).

Con la Riforma risulta, peraltro, arricchito il contenuto dell'avvertimento di cui al numero 7 dell'art. 163, comma 3, oltre che adeguato al più ampio termine a ritroso di settanta giorni. Nella logica della legge n. 353 del 1990, questo avvertimento aveva il suo fondamento razionale nel fatto che il convenuto, al momento in cui riceve la notificazione della citazione, non ha ancora un suo difensore e può perciò essere ignaro delle regole del processo, ed in particolare di quelle che attengono al regime delle decadenze del giudizio di primo grado, per lui potenzialmente pregiudizievoli (Cass. S.U., n. 9407/2013; Corte cost., n. 389/2005). Nella logica della Riforma l'avvertimento, invece, si evolve, supera l'ambito delle decadenze e diviene veicolo di informazioni imposte sul catalogo delle garanzie difensive spettanti ad ogni parte processuale (“la difesa tecnica mediante avvocato”, “l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”). Rimane tuttavia immutata, a fronte di tale ampliamento di contenuti, la disciplina dell'art. 164, comma 3, sull'efficacia limitatamente sanante della costituzione del convenuto, il quale deduca il mancato avvertimento di cui all'art. 163, comma 3, n. 7; non è dato capire, così, se il convenuto, regolarmente costituitosi con difensore, potrà chiedere comunque la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini per avvalersi della facoltà di presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che non gli era stata ricordata dall'attore.

Elementi della editio actionis

La citazione deve altresì necessariamente contenere la determinazione dell'oggetto della domanda, nonché l'esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui questa si fonda. A tal fine, è tuttavia sufficiente che il petitum e la causa petendi siano comunque individuabili attraverso un esame complessivo dell'atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva.

Il giudice è chiamato, quindi, ad un'interpretazione della domanda giudiziale alla luce non solo della sua letterale formulazione, ma anche del sostanziale contenuto delle pretese, con riguardo alle finalità perseguite dall'attore ed alla natura delle situazioni dedotte in giudizio, senza altri limiti che quelli connessi all'esigenza del rispetto del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato ed al divieto di sostituire d'ufficio domande non esperite a quelle formalmente proposte.

L'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se motivato avendo riguardo all'intero contesto dell'atto, e tenendo conto della sua formulazione letterale nonché del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire. E' stato, ad esempio, ritenuta non censurabile la decisione del giudice di merito che aveva valutato non ritualmente formulata una domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre con riferimento ad un preliminare di vendita, a fronte della richiesta, formulata dalla parte, che le venissero “assegnati” i beni oggetto del contratto, in quanto la domanda, così spiegata, suppone a suo fondamento la deduzione dell'avvenuto trasferimento dei beni stessi, mentre la richiesta di pronuncia costitutiva, ai sensi dell'art. 2932 c.c., può trovare giustificazione nell'esplicita allegazione di un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l'obbligo delle parti di addivenire ad un futuro contratto definitivo di alienazione (così Cass. II n. 9282/2018).

Il petitum si intende — sotto il profilo formale — come provvedimento giurisdizionale richiesto, e — sotto l'aspetto sostanziale — come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento o la negazione (Cass. I, n. 20294/2014; Cass. III, n. 18783/2009).

Quanto alla causa petendi, il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato in citazione. L'attore può, dunque, anche non indicare, ovvero indicare erroneamente, la ragione giuridica che legittima la sua domanda. Il magistrato non può, invece, modificare i fatti costitutivi allegati nella domanda o fondarsi su una realtà fattuale non dedotta in giudizio (Cass. III, n. 13945/2012).

Si è anche chiarito che la parte deve rendere nota e palese la propria legittimazione con l'atto di citazione e, specularmente, con l'atto di costituzione i quali, cristallizzando la posizione processuale, costituiscono l'unica fonte sulla quale la controparte deve fare affidamento e in relazione alla quale calibra le proprie difese; sicché, ove sorga ragione per interpretare una pluralità di ruoli (ad esempio, persona fisica rivestente anche il ruolo di rappresentante di una società), è in detti atti che la parte deve indicare quale dei ruoli intende spendere (e, se del caso, tutti), non potendosi integrare tali indicazioni attraverso il ricorso ad elementi estrinseci, quali la nota d'iscrizione a ruolo o la procura (Cass. II, n. 21448/2019).

Quanto, perciò, agli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, il giudice può comunque rilevare d'ufficio l'esistenza della legge applicabile, in base al generale principio iura novit curia, di cui all'art. 113, comma 1. Spettando infatti al giudice la ricerca delle norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, di tal che la circostanza che il giudice ponga a fondamento della sua decisione una norma di legge non richiamata dalle parti non incorre certamente nel divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., il quale opera, piuttosto, quando la sentenza si basi su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (Cass. II, n. 8021/2018).

A tale scopo, la citazione non può limitarsi a fare un rinvio  per relationem  alla documentazione offerta in comunicazione ed allegata all'atto, poiché la relativa produzione, a norma dell'art. 165, avviene solo successivamente, al momento della costituzione dell'attore, ed ha finalità meramente probatorie (Cass. I, n. 29241/2008).

Peraltro, si è ritenuto che, dovendo operarsi l'identificazione della causa petendi con riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, a questi ultimi può essere riconosciuta una funzione di chiarificazione del quadro prospettato in domanda, purché risultino specificamente indicati nell'atto di citazione, come prescritto dall'art. 163, comma 3, n. 5, (Cass. VI, n. 3363/2019).

Diritti autodeterminati e diritti etero determinati

Per la necessaria esplicitazione della causa petendi, rimane decisivo, secondo il pensiero dominante, la differenza fra domande concernenti diritti assoluti e domande concernenti diritti di credito (Cass. II, n. 40/2015).

Quanto, invero, alle azioni di accertamento o di condanna concernenti diritti assoluti — reali o di status — si reputa sufficiente alla corretta identificazione della domanda giudiziale l'indicazione del diritto stesso, senza che occorra individuarne il fatto o l'atto, costitutivi o acquisitivi, trattandosi di situazioni di vantaggio che non possono coesistere simultaneamente più volte fra i medesimi soggetti (cosiddetti diritti autodeterminati). Ad esempio, il diritto di proprietà — consistendo in una relazione immediata con la cosa — è situazione avente un contenuto sempre identico, quali siano il fatto o l'atto costitutivi che volta per volta vengano invocati. La proprietà di un bene è comunque il medesimo diritto, indipendentemente dal suo modo di acquisto, la cui eventuale deduzione non ha, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova, sia che il titolo venga rinvenuto nella successione, nella usucapione o nella compravendita (si veda da ultimoCass. II, n. 21641/2019).

Ne consegue che dalla circostanza che, nel corso di un giudizio, l'attore si riferisca ad uno e ad altro titolo di acquisto non deriva un mutamento della causa petendi, ai fini della disciplina delle preclusioni, ex artt. 183,189 e 345, né l'introduzione di una domanda nuova, ai fini della notificazione al convenuto contumace, ex art. 292; né, ancora, incorre in ultrapetizione ex art. 112 il giudice che accolga il petitum in base ad un titolo diverso da quello invocato. Ed ancora, quando sia rigettata una domanda di accertamento o di condanna, relativa ad un diritto assoluto sulla base di un determinato fatto costitutivo (ad esempio, usucapione o destinazione del padre di famiglia a fondamento di una servitù), l'inidoneità di quel titolo dedotto a delineare i contorni oggettivi dell'azione esercitata comporta l'efficacia di giudicato della declaratoria di inesistenza del diritto in gioco anche in ogni successivo processo instaurato con la riproposizione della medesima domanda, fondata però su di un diverso fatto costitutivo (ad esempio, un contratto), salvo se intervenuto medio tempore.

Rientra nel novero delle azioni relative ai diritti autodeterminati la domanda azionata da un condomino in base al disposto dell'art. 1102 c.c., ed avente quale fine il ripristino dello "status quo ante" di una cosa comune illegittimamente alterata da altro condomino. Ne consegue che non vi è diversità di domande, agli effetti degli artt. 183 e 345, ove a fondamento della domanda di rimozione delle opere si ponga dapprima il difetto della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale e poi si deducano i generali criteri di cui all'art. 1102 c.c.; né incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, dedotta in lite l'illegittimità dell'uso particolare del bene comune, ex art. 1102 c.c., accolga la domanda ritenendo che l'opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio condominiale (Cass. II, n. 2002/2020).

Si è ricondotto al novero delle domande pertinenti a diritto autodeterminato anche quella volta alla dichiarazione di nullità di un contratto o all'impugnazione di una deliberazione assembleare, con conseguente facoltà di allegare successivamente all'editio actionis l'esistenza di un diverso vizio di invalidità rispetto a quello prospettato in citazione (Cass. I, n. 8795/2016).

Parimenti, avendo natura reale la domanda azionata da un condomino in base al disposto dell'art. 1102 c.c., al fine di ottenere il ripristino dello "status quo ante" di una cosa comune illegittimamente alterata da altro condomino, e perciò rientrando nel novero delle azioni relative ai diritti autodeterminati, si è affermato che non vi è diversità di domande, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., ove a fondamento della domanda di rimozione delle opere si ponga dapprima il difetto della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale e poi si deducano i generali criteri di cui all'art. 1102 c.c.; né incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, dedotta in lite l'illegittimità dell'uso particolare del bene comune, ex art. 1102 c.c., accolga la domanda ritenendo che l'opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio condominiale, trattandosi di limite legale compreso nel principio generale dettato da tale norma e che perciò deve guidare l'indagine giudiziale sulla verifica delle condizioni di liceità del mutamento d'uso (Cass. II, n. 2002/2020).

I diritti di credito, per contro, non si identificano se non in base alla loro fonte, sicché la mera indicazione del rapporto giuridico non è sufficiente alla specificazione delle azioni da loro nascenti (cosiddetti diritti eterodeterminati). Di conseguenza, nei giudizi concernenti i rapporti obbligatori, l'attore, per determinare sufficientemente la causa petendi, deve esporre in citazione, oltre il rapporto medesimo, anche il fatto o l'atto dai quali si afferma essere quello insorto, ciò soltanto permettendo al giudice nel prosieguo del giudizio di fare buon governo dei vincoli dettati dagli artt. 112, 183, 189, 292 e 345.

Si è così precisato come la mera attività narrativa dei fatti storici alla base della vicenda oggetto di causa, pur compiuta nell'atto di citazione, non connota automaticamente gli stessi della valenza di fatti "ragione" della domanda, tanto più ove si tratti di citazione introduttiva di una domanda relativa a diritto c.d. eterodeterminato, quale, ad esempio, quella di risarcimento, in relazione alla quale occorre tenere in considerazione i soli fatti storici cui l'attore abbia attribuito efficacia causativa dei danni richiesti (Cass. III, n. 10577/2018; si veda anche Cass. III, n. 17408/2012).

Si configura una domanda nuova, relativa ad un diritto cd. eterodeterminato (o non autoindividuante), allorquando i fatti storici allegati originariamente a sostegno della domanda vengono sostituiti o integrati da fatti nuovi e diversi (Cass. III, n. 19186/2020).

In particolare, ove l'azione esercitata concerna un inadempimento contrattuale, l'attore si dice onerato di allegare non solo l'inadempimento in quanto tale, ma anche le specifiche circostanze che lo integrano, in caso contrario incorrendo nella violazione dell'onere di allegazione (Cass. VI, n. 6618/2018). Tuttavia, pur gravando sull'attore l'onere di dedurre i profili concreti del fatto posti a fondamento della domanda, tale onere non può spingersi sino alla necessità di enucleare ed indicare gli specifici e peculiari aspetti tecnici della questione di causa, conosciuti soltanto dagli esperti del settore, finendosi, altrimenti, per onerare l'attore di richiedere sempre un accertamento tecnico preventivo allo scopo di arricchire l'atto introduttivo del giudizio con le opportune connotazioni tecnico-scientifiche (Cass. III, n. 9471/2004).

Così, nel caso sia proposta una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, l'attore ha l'onere di indicare le specifiche circostanze materiali lesive del proprio credito e di allegare le specifiche circostanze integranti l'inadempimento; la deduzione, nel corso del giudizio, di un fatto diverso da quello originario configura un mutamento della "causa petendi", indipendentemente dal fatto che il comportamento successivamente dedotto costituisca, a sua volta, violazione degli obblighi contrattuali (Cass. II, n. 10141/2021).

Siffatta distinzione tra diritti autodeterminati e diritti etero determinati (fondata, in sostanza, sulla natura unica ed irripetibile della situazione sostanziale dedotta coi primi, e orientata, piuttosto, a concludere che l'identificazione dei secondi avviene con riguardo a quella data vicenda negoziale qualificata, che connota costitutivamente la causa petendi), seppur di unanime applicazione giurisprudenziale e di autorevole avallo dottrinale (Satta, 823; Cerino Canova, in Comm. Allorio, II, t. 1, 1980, 177; Mandrioli, 465; Verde, 6; Consolo, 1991, 72; Luiso, 2015, 7; Punzi, 56), non risulta del tutto convincente. Una domanda di tutela di un diritto reale, del quale sia stata omessa o risulti assolutamente incerta la causa petendi, pone il convenuto nell'impossibilità di apprestare adeguate e puntuali difese egualmente a quanto accade per le domande di adempimento di un diritto obbligatorio del quale non venga specificato il titolo. Laddove, secondo la tesi maggioritaria, la differenza fra diritti eterodeterminati e diritti autodeterminati sarebbe tale che, in relazione a questi ultimi, anche in ipotesi di assoluta incertezza nell'esposizione dei fatti costitutivi della domanda, non si determinerebbe mai la nullità dell'atto, ma solo un difetto di prova comportante il rigetto nel merito della pretesa, deve replicarsi che l'art. 164, comma 4, sanziona con la nullità qualsiasi citazione che manchi della determinazione dei fatti costitutivi (Montesano, 63).

È stato, peraltro, specificato in giurisprudenza, a proposito di una domanda di  accertamento di servitù ex art. 1079 c.c., come la natura “autodeterminata” dell'azione non esonera l'attore dal dovere di dedurre in citazione il titolo sul quale il suo diritto sia fondato (quale, esemplificativamente, il contratto, l'usucapione, la destinazione del padre di famiglia), in quanto una cosa è sostenere che l'allegazione, nel corso del giudizio o in appello, di un titolo di acquisto della servitù diverso da quello addotto in citazione non importa mutamento della domanda, altra cosa è ribadire che la deduzione dello stesso titolo, che costituisce la fonte della servitù, non sia comunque necessaria ai fini della prova del vantato diritto (Cass. II, n. 113/2017).

L'indicazione dei mezzi di prova

Non è condizione di validità dell'atto di citazione (né della comparsa di risposta) l'indicazione dei mezzi di prova di cui l'attore intenda valersi, come dei documenti offerti in comunicazione, pur trattandosi di requisito di contenuto stabilito dall'art, 163, comma 3, n. 5 (e dall'art. 167, comma 1).

È, infatti, comunque possibile articolare i mezzi di prova (diretta e contraria) ed effettuare le produzioni documentali sino alla scadenza dei termini perentori previsti per le memorie integrative, anche in mancanza della loro preventiva deduzione negli atti introduttivi, non essendo prevista alcuna decadenza per il convenuto che non vi abbia provveduto nella sua comparsa iniziale, né sancita la nullità (e la conseguente eventuale sanatoria) dall'art. 164 per la domanda che non contempli deduzioni istruttorie (Cass. I, n. 15691/2011).

Diversa è la soluzione adottata nel rito del lavoro, laddove il ricorrente è tenuto ad indicare in ricorso i mezzi di prova e i documenti (art. 414, n. 5), ed altrettanto è tenuto a fare il convenuto (art. 416, comma 3), comportando l'omessa immediata richiesta o specificazione delle prove la decadenza dalla possibilità di successiva loro deduzione nel corso del processo e, quindi, presumibilmente il rigetto delle relative domande e eccezioni perché indimostrate.

La citazione, nell'esporre le ragioni di fatto e di diritto della domanda, non può limitarsi a fare un rinvio per relationem alla documentazione offerta in comunicazione ed allegata all'atto, poiché la relativa produzione, a norma dell'art. 165, avviene solo successivamente, al momento della costituzione dell'attore, ed ha finalità meramente probatorie (Cass. I, n. 29241/2008; in senso contrario, Cass. I, n. 17023/2003). Si consideri, del resto, come il giudice abbia il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e rimanendo per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione; al giudice è perciò inibito trarre dai documenti, comunque esistenti in atti, determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda espressamente fondata su di essi (Cass. II, n. 13034/2018; Cass. II, n. 16404/2017;  Cass. S.U., n. 2435/2008; Cass. I, n. 23976/2004 ). Parimenti, si è affermato che la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all'onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell'integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata (Cass. I, n. 2461/2019).

Individuazione dei soggetti del processo

La citazione (come la comparsa di risposta) sono essenziali anche allo scopo di individuare i “soggetti del processo” Il codice di rito definisce attore, nel processo di cognizione ordinaria, come nei procedimenti speciali, colui che propone la propria domanda mediante citazione (art. 163) o anche mediante ricorso (art. 415) e, dunque, parla per primo, anteponendo il suo punto di vista, al quale faranno seguito le narrazioni di altri soggetti. Altre volte, il legislatore definisce il soggetto che assume l'iniziativa di instaurazione del processo, ricorrente (art. 633, art. 702-bis, art. 706) o istante (art. 669-sexies).

Colui contro il quale l'attore volge la sua pretesa, e che perciò convoca davanti al giudice perchè possa difendersi, viene definito dalla legge convenuto (art. 166, art. 416, art. 702-bis). Mentre, dunque, l'attore è un soggetto necessariamente attivo del processo, nel senso che spetta a lui la libera scelta di parteciparvi, e perciò acquisisce la qualità di parte soltanto in conseguenza di un atto da lui compiuto, le vesti di convenuto vengono assunte per effetto di una determinazione altrui, ovvero per volontà del medesimo attore. E' l'attore, infatti, che deve, a pena di validità dell'atto introduttivo del giudizio dallo stesso compiuto, indicare il nome, il cognome, la residenza, il domicilio o la dimora del convenuto e di chi lo rappresenti o lo assista (art. 163, comma 3, n. 2,  art. 414, n. 2), non ammettendo l'ordinamento che si possa adire il giudice per chiedergli pronunce dirette in incertam personam. Individuando il destinatario delle proprie domande processuali, l'attore calibra altresì l'effetto sostanziale del giudicato:  per quanto dispone l'art. 2909 c.c., il giudicato fa stato, e, cioè, afferma la sua verità oggettiva, per le parti, i loro eredi e gli aventi causa, pur sommandosi a tale efficacia diretta per i litiganti (e i loro successori), un'efficacia riflessa nei confronti di quei soggetti che, seppur rimasti estranei al processo in cui venga emessa la decisione,  siano non di meno titolari di un diritto dipendente o subordinato rispetto alla situazione definita. L'effetto positivo del giudicato, ovvero la sua idoneità a manifestare una verità vincolante inter partes, si unisce ad un effetto negativo, tale da impedire che la vicenda delibata possa essere oggetto in futuro di una nuova sentenza, anche se la pronuncia del giudice sia stata di rigetto della domanda per mancanza o insufficienza delle prove sul fatto costitutivo del diritto vantato dall'attore: il nostro ordinamento processuale non tollera, infatti, all'esito dei giudizi a cognizione piena ed esauriente, l'adozione di sentenze di rigetto “allo stato” (Cass. II, n. 715/1980), a differenza di quanto, ad esempio, può accettarsi per i provvedimenti di volontaria giurisdizione (giacché privi del carattere della definitività) o per i provvedimenti cautelari (la cui istanza, ove già respinta, può essere reiterata «quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto»: art. 669-septies, comma 1).

Non contravviene al principio della delimitazione soggettiva del processo e dei correlati effetti del giudicato ad esso conseguente la particolare natura del diritto che ne sia l'oggetto. Così, è vero che l'azione di rivendica è strumentale all'accertamento della proprietà, e perciò suppone una rigorosa prova di essa, ma ciò non significa che, essendo la proprietà ‹‹ il diritto reale per eccellenza››, che ‹‹o esiste di fronte a tutti o non esiste››, l'accoglimento della domanda e la pronuncia di condanna alla restituzione del possesso siano tali da far ritenere inclusi nell'oggetto del giudicato tutti i possibili fatti e titoli che concorrano a delineare la certezza erga omnes dell'acquisto del rivendicante. In altre fattispecie, come ad esempio nell'azione negatoria, o confessoria servitutis, o di scioglimento di comunione, la proprietà del bene si pone, invece, unicamente come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della lite, sicché la parte non ha l'onere di fornire la prova piena della titolarità, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in via presuntiva, del possesso della res (Cass. II, n. 21851/2014; Cass. II, n. 13212/2013).

La distinzione tra attore e convenuto attiene, per quanto detto, soltanto al momento iniziale del processo, visto che si regge sulla posizione assunta dai due soggetti nella fase introduttiva del procedimento, e non certo sulla loro posizione di partenza con riguardo alla lite: sicché, mentre nelle azioni di condanna è inevitabile che il ruolo delle parti nel processo rispecchi la loro posizione sostanziale, non potendo che essere attore il creditore insoddisfatto e convenuto il debitore inadempiente, nelle azioni di mero accertamento uno qualsiasi dei titolari della situazione sostanziale, rispetto alla quale sussista un'obiettiva incertezza, può rendersi attore o convenuto (a seconda di chi per primo prenda l'iniziativa) nel processo. Dalla maggiore tempestività in ordine all'instaurazione del giudizio non derivano, tuttavia, conseguenze quanto ai poteri che l'una o l'altra parte possono esercitarvi: questo è garantito innanzitutto dall'art. 111, comma 2, Cost., che impone la parità delle condizioni delle parti nel processo, ovvero l'attribuzione ad entrambe di facoltà difensive equipollenti. Si pensi solo al potere di formulare la domanda, il quale viene fruito dapprima dall'attore, ma è poi disponibile per la parte convenuta (qualora quest'ultima non intenda limitarsi a chiedere il rigetto della pretesa avversaria) nelle forme e nei termini  previsti per proporre domanda riconvenzionale. E' evidente, peraltro, che alcune conseguenze processuali discendono inevitabilmente dalla posizione di attore o di convenuto assunta dai soggetti della lite: così, ad esempio, ai sensi dell'art. 2697 c.c., al primo spetta fornire la prova dei fatti giuridici da cui deriva il diritto vantato, mentre al convenuto,  se contrapponga una difesa articolata su vicende diverse da quelle poste a base della domanda, compete la prova di tali fatti impeditivi o estintivi.

Ad attore e convenuto spetta, quindi, propriamente la qualità di “parte”, in quanto autori degli atti del processo e, reciprocamente, destinatari dei loro effetti. Tuttavia, diverse sono le possibili nozioni di parte: colui che compie gli atti del processo si definisce “parte in senso formale” (soggetto dell'azione); colui che riceve gli effetti degli atti del processo è la “parte in senso processuale”; colui che è titolare del rapporto sostanziale per cui è lite e subisce gli effetti dell'accertamento giudiziale è, infine, la “parte in senso sostanziale” (soggetto della lite).

Secondo un principio generale di indisponibilità del potere di stare in giudizio e di necessario collegamento tra diritto alla tutela giurisdizionale e affermazione della titolarità del diritto sostanziale, si verifica una normale coincidenza soggettiva fra la parte in senso formale e la parte in senso sostanziale; ciò non avviene unicamente allorché il titolare del rapporto controverso sia privo di capacità processuale, oppure quando venga conferita la rappresentanza processuale a colui che già sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio (art. 77), casi nei quali si ha un soggetto (parte in senso formale) che sta in giudizio in nome e per conto di altri (parte in senso sostanziale). Qualora il giudizio venga, tuttavia, promosso da soggetto privo di poteri rappresentativi (o, come si dice, di “legittimazione processuale”), il vizio può essere sanato in ogni stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della spontanea costituzione del soggetto dotato dell'effettiva rappresentanza della parte sostanziale, oppure mediante ordine giudiziale exart. 182, comma 2 (Cass. S.U., n. 9217/2010).

Parimenti, nelle ipotesi di sostituzione processuale eccezionalmente ammesse dall'ordinamento, si realizza una scissione tra parte in senso processuale (il cosiddetto sostituto processuale) e parte in senso sostanziale (il cosiddetto sostituito). Come spiega l'art. 81, nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. In queste ipotesi,  sebbene la titolarità dell'interesse dedotto in giudizio competa non all'attore, ma al sostituito, il potere di agire in nome proprio per la tutela di quell'interesse trova la sua fonte in un diritto soggettivo autonomo, ossia in un particolare rapporto sostanziale che intercede tra il sostituto ed il sostituito.

I “titolari” nel gioco del processo sono, pertanto, coloro che siano dotati della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio (legittimazione attiva o passiva).

Il rischio che alla competizione prendano parte persone estranee al rapporto concretamente dedotto in lite va attentamente scongiurato dal giudice, dovendosi prevenire una sentenza inutiliter data: quale arbitro deputato alla verifica costante delle regole, il magistrato deve, quindi, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno) ed in via preliminare rispetto al merito (adottando una pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell'azione), controllare la perfetta coincidenza dell'attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta.

La legitimatio ad causam è, dunque, istituto processuale, e connota il soggetto che ha il potere di proporre la domanda giudiziale e quello che ha il dovere di subire tale iniziativa: essa è condizione dell'azione, nel senso che ne dipende l'ottenimento di una qualsiasi decisione di merito da parte del giudice, ma va riscontrata esclusivamente alla stregua della fattispecie allegata, rimanendo sufficiente che la riferibilità all'attore ed al convenuto di quei diritti, e, rispettivamente, di quei doveri o di quegli obblighi, venga semplicemente prospettata dal primo mediante deduzione di fatti idonei in astratto a fondare le situazioni giuridiche controverse.

Cosa distinta dalla legittimazione è, allora, l'effettiva titolarità del rapporto oggetto di causa, in quanto questione che non può risolversi sulla base della narrazione dei litiganti, giacché attiene al merito del processo, ossia al riscontro dei requisiti di fondatezza della domanda e delle eccezioni spiegate nelle reciproche difese. Si comprende allora come il profilo dell'eventuale difetto di titolarità di diritti, doveri o obblighi in contesa non sia affatto rilevabile d'ufficio, e piuttosto rimesso al tempestivo rilievo delle parti, in quanto contestazione rientrante nelle facoltà dispositive e soggetta all'onere deduttivo e probatorio di queste (cfr. Cass. S.U., n. 2951/2016; Cass. S.U., n. 1912/2012).

La citazione di un imprenditore individuale ovvero di una impresa individuale, identificata con il nome ed il cognome del titolare, ha come destinatario la persona fisica dell'imprenditore stesso e va notificata a quest'ultimo secondo le regole delle notificazioni a persone fisiche ex art. 138 ss., e non già ai sensi dell'art. 145 (Cass. VI, n. 7041/2020).

Si è affermato che non va integrato il contradditorio nei confronti della persona fisica che, cumulando in sé la qualità di parte in proprio e quella di erede di altro soggetto, deceduto prima dell'inizio del giudizio, sia stata comunque citata nella causa in proprio; ciò in quanto tale situazione, in cui è dato ravvisare l'unicità della parte in senso sostanziale, differisce da quella della morte della parte avvenuta nel corso del giudizio, la quale, in seguito all'interruzione del processo ai sensi degli artt. 299 e 300, comma 2, c.p.c., determina la necessità della citazione in riassunzione degli eredi in tale qualità, ancorché già costituiti in nome proprio, oppure della prosecuzione del processo nei loro confronti (Cass. VI, n. 5444/2021).

L'atto di citazione notificato ad una società già incorporata in un'altra è nullo per inesistenza della parte convenuta, ma tale nullità, rilevabile d'ufficio, resta tuttavia sanata per effetto della costituzione in giudizio della società incorporante, indipendentemente dalla volontà e dall'atteggiamento processuale di questa, atteso che la "vocatio in ius" di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti sia succeduto un altro soggetto, consente comunque di individuare il rapporto sostanziale dedotto in giudizio (Cass. I, n. 10301/2020).

Il decreto legislativo (d.lgs. n. 164/2024- Correttivo Cartabia) concernente disposizioni integrative e correttive al d.lgs.10 ottobre 2022, n. 149, recante attuazione della l. 26 novembre 2021, n. 206, ha previsto che all’art. 163, tra le indicazioni che deve contenere l’atto di citazione, sia aggiunta quella relativa all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi del convenuto.

Errore nella forma dell’atto introduttivo ed effetti della domanda

Anche se l'art. 163 impone l'introduzione del giudizio ordinario con citazione, anziché con ricorso, il fatto che sia erroneamente proposto un ricorso non comporta l'automatica invalidità dell'intero processo, operando comunque il principio della conversione degli atti nulli in relazione al raggiungimento del loro scopo, sicché occorre verificare se dall'erronea inversione sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quant'altro possa aver impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario. Per le eventuali inosservanze alle regole del procedimento ordinario, ivi comprese quelle relative al termine di comparizione di cui all'art. 163-bis, il giudice investito della domanda con ricorso deve perciò disporre d'ufficio la conversione dell'atto introduttivo, mediante la rinnovazione dello stesso, salvo che la parte convenuta non si sia, comunque, costituita; solo il difetto di tale rinnovazione (perché non disposta, ovvero perché non eseguita nonostante la relativa statuizione) dà luogo a una nullità che si trasmette all'intero giudizio ed alla successiva sentenza  (Cass. I, n. 13639/2013; Cass. I. n. 18201/2006).

Tranne, tuttavia, che agli effetti dell'art. 1137 c.c., nella formulazione vigente prima della modifica di tale norma introdotta con la l. 11 dicembre 2012, n. 220 (sulla base di quanto deciso da Cass. S.U., n. 8491/2011), non può affermarsi che la giurisprudenza riconosca un'assoluta equipollenza tra la notificazione della citazione - forma corretta di esercizio dell' azione ordinaria ai sensi dell'art. 163 - ed il deposito del ricorso, impropriamente adoperato dall'attore. Si è già detto che la proposizione di un giudizio di cognizione ordinaria in forma di ricorso (anziché di citazione) non può dirsi per ciò solo causa di nullità, non essendo tale nullità comminata dalla legge, secondo quanto dettato dall'art. 156, comma. Non è però nemmeno corretto esasperare la tesi della fungibilità della forma della citazione e del ricorso in sede di introduzione di un giudizio ordinario, arrivando a ravvisare nella scelta della forma dell'atto introduttivo una libera facoltà demandata all'attore. L'aberratio nella forma dell'atto introduttivo del giudizio va comunque valutata dal giudice alla luce di quei requisiti che l'atto stesso deve avere per raggiungere il suo scopo, in base al criterio operativo fornito dal secondo comma dell'art. 156: sicché una nullità extratestuale potrebbe comunque rilevarsi in tale evenienza, ove risultasse frustrata la funzione della citazione, e stimolare al riguardo quei meccanismi rimediali che l'ordinamento consente. Nella specie, è difficile confutare che, sotto il profilo della editio actionis, una citazione ed un ricorso sono effettivamente fungibili. Un primo problema è quello che pone la valutazione delle conseguenze dell'erronea introduzione di una causa ordinaria con ricorso al fine del prodursi di tutti gli effetti sostanziali e processuali propri della domanda giudiziale. Ad esempio, la proposizione della domanda giudiziale rappresenta un evento idoneo ad impedire la decadenza da un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, bensì solo in quanto instaura un valido rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice ai fini di una pronuncia di merito. Nella prima parte dell'art. 2966 c.c., è precisato che “la decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto”, cioè dal compimento dell'atto che rappresenta il concreto esercizio del diritto nella sua forma tipica, secondo un precostituito modello, normativo e negoziale.  Poiché, stando all'art. 163, la domanda si propone, di regola, mediante citazione, la conclusione più rigorosa, radicata sull'art. 2966 c.c., dovrebbe portare a concludere che soltanto citare in giudizio il convenuto consente di compiere l'atto tipico previsto dalla legge idoneo ad impedire un'eventuale decadenza, consistente nell'esercizio del diritto potestativo di azione. Lo schema proprio della citazione postula la proposizione della domanda dell'attore e la contemporanea evocazione in causa del convenuto: di conseguenza, la pendenza del giudizio, ai sensi dell'art. 39, comma 3, è data soltanto dalla notificazione della citazione, e dunque prima ancora della costituzione dell'attore, che si ha in seguito al perfezionamento del procedimento notificatorio ed alla consegna dell'atto al destinatario. Nello schema tipico del ricorso, invece, domanda e chiamata in causa della controparte per il giudizio rimangono distinte, poiché dapprima l'attore manifesta la sua volontà di chiedere un certo provvedimento al giudice mediante il deposito dell'atto presso la cancelleria, e poi adempie al susseguente onere di evocare in causa il destinatario delle sue richieste, dando esecuzione a quanto disposto dal giudice in ordine ai termini di attivazione del contraddittorio ed alla data dell'udienza di discussione. Se l'attore si serva della forma errata del ricorso, non c'è da discutere propriamente di conversione dell'atto nullo, ai sensi dell'art. 1424 c.c., per riconoscere ad esso gli effetti sostanziali di un atto di citazione, non potendosi dar rilevo alla volontà dell'improvvido autore dell'atto introduttivo, il quale deve piuttosto conformarsi alle previsioni di legge.

E' vero invece che l'art. 121 (però destinato a quei soli atti del processo per i quali non siano richiesti dalla legge forme determinate) e l'art. 159, comma 3, possono venire incontro all'interprete, consentendo altresì di attribuire idonei effetti pure ad un ricorso che la parte abbia erroneamente proposto in luogo di una citazione; ma, in via di approssimazione, le regole da applicare non devono essere quelle correlate alla malintesa forma dell'atto scelta dalla parte, sebbene quelle appropriate al modello legalmente corretto (Salvaneschi, 140 ss.; Oriani, 1986, 18; Auletta ,186; Marelli, 172; Minetola–Murra, 1053 ss.). Si osserva, così, che “qualora sia adottato, come atto contenente la domanda, un modello diverso da quello corretto, il momento della produzione degli effetti processuali e sostanziali deve essere individuato non tenendo conto dell'atto in concreto utilizzato, ma di quello previsto in via generale per quella domanda, non potendo essere consentito alla parte – mediante la proposizione di un ricorso piuttosto che di una citazione (o viceversa) – di alterare il regime di efficacia degli atti processuali. In pratica, questo significa che, potendo procedersi alla conversione, l'adozione del ricorso in luogo della citazione o viceversa non costituisce ex se motivo di inammissibilità della domanda: peraltro, la verifica della tempestività (e, più in generale, il momento della produzione degli effetti processuali) va fatta considerando la data della notificazione (del ricorso e del decreto) se si fosse dovuto adottare il modello della citazione, laddove invece occorrerà valutare la data dell'iscrizione a ruolo ove fosse stato imposto il ricorso ” (Olivieri, 118). Le resistenze abitualmente opposte alla declamazione di un principio di effettiva piena equipollenza tra la notificazione di una citazione ed il deposito di un ricorso, al momento dell'introduzione di un giudizio - soprattutto se correlate alla verifica dell'impedimento di un termine decadenziale -, intravedono il rischio di potenziali disparità di trattamento tra i cittadini, cui fosse permesso di procedere discrezionalmente all'uno o all'altro adempimento. Esclusa l'operatività del criterio di cui all'art. 39 con riferimento ai procedimenti instaurati con ricorso, e ritenuto, pertanto, in adesione all'orientamento assolutamente prevalente, che la pendenza di tali giudizi si collochi sin dal momento del deposito dell'atto introduttivo in tribunale, una piena parificazione sotto il profilo effettuale tra una citazione (notificata) ed un ricorso (depositato), anche al fine di interrompere un termine di decadenza, dovrebbe essere confrontata altresì con l'art. 111, comma 2, Cost., in nome delle esigenze del contraddittorio con il soggetto passivamente legittimato. E' innegabile, ad esempio, che l'adozione del ricorso come forma impropria di proposizione di un'azione ordinaria rischia di comprimere arbitrariamente il diritto del convenuto di essere posto tempestivamente a conoscenza della litispendenza, ovvero della circostanza che sia stata proposta una domanda nei suoi confronti, per poter sperimentare i propri poteri difensivi, quale la facoltà di accesso al fascicolo d'ufficio, ai sensi dell'art. 76 disp. att., facoltà certamente strumentale ai fini di un corretto esercizio del diritto al contraddittorio ed alla parità delle armi. Di tal che, l'utilizzo del ricorso, in un modello processuale che, ex lege, postula per contro la forma introduttiva generale della citazione, può dar luogo ad un paradigma procedimentale che consacra un deficit della garanzia informativa della litispendenza in capo al convenuto passivamente legittimato. Così, il tralaticio principio della conversione, o della conservazione processuale, ricorrente per le fattispecie di errore nell'adozione degli atti introduttivi del giudizio (diffusamente invocato nella giurisprudenza in tema di appello e di opposizione a decreto ingiuntivo nelle controversie soggette al rito del lavoro, di opposizione nei processi esecutivi, di appello avverso le sentenze di separazione dei coniugi e di divorzio, o di riassunzione del processo) conclude che il ricorso impropriamente proposto vale come citazione soltanto a seguito della sua tempestiva notifica al destinatario.

Mentre, peraltro, è stato sempre agevole per la giurisprudenza ridurre o contrarre gli effetti di una citazione erroneamente notificata a quelli di un idoneo ricorso, presentando la prima sempre tutti gli elementi strutturali del secondo, più complicato è invece apparso tributare ad un ricorso impropriamente spiegato l'efficacia di un atto di citazione, all'uopo occorrendo l'intervento ab externo di un provvedimento del giudice che integri il profilo deficitario della vocatio in ius.  Rispetto all'imposto modello ordinario della citazione, ex art. 163, il ricorso, invero, non contiene l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione, né l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza, né l'avvertimento che la costituzione tardiva implichi le decadenze di cui agli artt. 38 e 167. Ne discende la nullità dell'atto, ai sensi dell'art. 164, comma 1, e dell'art. 156, comma 2: le regole da applicare nella qualificazione di validità dell'atto introduttivo non possono essere di certo quelle legate al modello erroneamente scelto dalla parte, ma quelle appropriate del modello dovuto secondo legge. A tale nullità, tuttavia, potrà porre rimedio il giudice, facendo buon uso degli strumenti di sanatoria dei vizi relativi alla vocatio in ius previsti nei commi 2 e 3 dell'art. 164, e dunque disponendo la rinnovazione dell'atto da notificare al condominio convenuto non costituito, oppure la fissazione di nuova udienza su istanza del convenuto comunque costituitosi, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria. La sanatoria exart. 164 costituisce per il giudice un obbligo e non già una mera facoltà. In questo modo, l'errore nella forma dell'accesso all'autorità giudiziaria viene sanato mediante instaurazione di un corretto contraddittorio, ed allo stesso tempo non preclude al condomino l'utile esercizio del diritto potestativo di azione.

Un regime peculiare è dettato dall'art. 4, comma 5 del d.lgs. n. 150/2011. In particolare, nei procedimenti disciplinati dal d.lgs. n. 150 del 2011, per i quali la domanda va proposta nelle forme del ricorso e che, al contrario siano introdotti con citazione, il giudizio è correttamente instaurato ove quest'ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4 del d.lgs. n. 150 cit., la quale opera solo "pro futuro", ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto avere, avendo riguardo alla data di notifica della citazione, quando la legge prescrive il ricorso, o, viceversa, alla data di deposito del ricorso, quando la legge prescrive l'atto di citazione (Cass. S.U., 758/2022).

Così, il riscontro, in sede di appello, dell'erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario, anziché con il rito stabilito dal d.lgs. n. 150 del 2011, impone al giudice d'appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva, secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull'attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o, comunque, la rimessione al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c. (Cass. II, n. 10864/2023).

Al contrario, nell'ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 - che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto -, producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. (Cass. S.U., n. 927/2022).

 

Indicazione del difensore, della procura e sottoscrizione dell’atto.

L'art 163, comma 3, n. 6, richiede, in relazione al difensore, la mera indicazione del nome e cognome e non già quella della sua residenza, né la necessità di tale indicazione può desumersi dalla disposizione contenuta nel n. 2 della norma predetta, in cui si prescrive l'indicazione della residenza della parte e delle persone che rispettivamente la rappresentano e la assistono, giacché tale prescrizione attiene non alla residenza del procuratore ad lites, ma della persona che ha la rappresentanza o l'assistenza di persone totalmente o parzialmente prive di capacità giuridica.

Neppure la mancata indicazione della procura al difensore nell'atto di citazione è causa di nullità dell'atto citazione stessa (come si arguisce dall'art. 164, essendo sufficiente, ai sensi dell'art. 125, comma 2, che la medesima procura sia conferita prima della costituzione dell'attore.

La mancanza della sottoscrizione del difensore nella copia notificata dell'atto di citazione non ne comporta la nullità, se dalla copia stessa sia possibile desumerne la provenienza da un procuratore abilitato munito di mandato (Cass. III, n. 8815/2020).

Bibliografia

Biavati, La riforma del processo civile: motivazioni e limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2022, 45 ss.; B. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito ordinario di cognizione, in Giustiziacivile.com, 5 gennaio 2023; De Santis, La redazione degli atti difensivi ai tempi del processo civile telematico: sinteticità e chiarezza, in Giusto proc. civ., 2017, 749 ss.; Dondi, Obiettivi e risultati della recente riforma del processo civile. La disciplina della cognizione a una prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 927 ss.; Panzarola, Sul (presunto) principio di sinteticità nella redazione degli atti processuali civili, in Giusto proc. civ., 2018, 69 ss.; Punzi, Sul processo civile telematico, in Riv. dir. proc., 2022, 1, 1 ss.; Raiti, Il principio di sinteticità e di chiarezza del ricorso per cassazione secondo la legge delega sulla Riforma del processo, in Riv. dir. proc., 2022, 3, 1027 ss.; Tedoldi, Il processo civile telematico tra logos e techne, in Riv. dir. proc., 2021, 3, 843 ss.; Tombolini, Note «a caldo» sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile: le modifiche al giudizio di primo grado, in Judicium, 15 dicembre 2021.

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