Codice di Procedura Civile art. 176 - Forma dei provvedimenti.Forma dei provvedimenti. [I]. Tutti i provvedimenti del giudice istruttore [187], salvo che la legge disponga altrimenti [178 5, 199 2, 288 1, 289 2, 297 4, 302, 303 1, 669-sexies 2, 669-novies 2; 77 1, 82 4, 100 2 att.], hanno la forma dell'ordinanza [134 1]. [II]. Le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dell'udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi [134, 136, 186] 1.
[1] Comma modificato dall'art. art. 25 della l. 12 novembre 2011, n. 183, che ha soppresso, le ultime parole del comma che recitavano: «anche a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. Al fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di volere ricevere la comunicazione » Ai sensi dell'art. 36 della l. n. 183 cit. la modifica ha vigore a partire dai trenta giorni successivi al 1° gennaio 2012. Il comma era stato modificato dall'art. 2 3 lett.c) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80. InquadramentoL'art. 176, comma 1, afferma il criterio generale che vede l'ordinanza come forma tipica dei provvedimenti del giudice istruttore nell'esercizio dei poteri di direzione e di impulso del giudizio. Il comma 2 della disposizione in commento pone, invece, la regola della conoscenza o conoscibilità delle ordinanze, legata, al pari dei relativi effetti, non solo alla forma del provvedimento, ma anche al suo contenuto. Questa norma si congiunge ai primi due commi del successivo art. 177, in virtù dei quali le ordinanze stesse, diversamente dalla sentenza, non possono mai pregiudicare la decisione della causa e, salvo eccezioni, possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha emesse. Rapporti fra forma e contenuto del provvedimentoÈ tuttora ricorrente in giurisprudenza l'affermazione secondo cui, per stabilire se un provvedimento ha carattere di sentenza o di ordinanza, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze — soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato — i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279, contengono una statuizione di natura decisoria (Cass. II, n. 27127/2014; Cass. S.U., n. 25837/2007). L'assolutezza di questa conclusione è mitigata dall'opposto convincimento secondo il quale l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata facendo esclusivo riferimento alla qualificazione data dal giudice all'azione proposta nel provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza e dal suo effettivo contenuto, ciò in base al principio di apparenza e affidabilità (Cass. S.U., n. 4617/2011). Ciò comporta necessariamente un'indagine sugli atti, al fine di accertare se l'adozione da parte del giudice di una determinata forma del provvedimento decisorio sia stata o meno il risultato di una consapevole scelta, ancorché non esplicitata con motivazione ad hoc, nel qual caso decisiva rilevanza va attribuita alle concrete modalità con le quali si è svolto il procedimento (Cass. VI-1, n. 20385/2015; Cass. I, n. 623/2016 ). Si è così affermato che, anche dopo l'innovazione introdotta dalla l. n. 69/2009, in relazione alla forma dell'ordinanza della decisione sulla competenza, il provvedimento del giudice adito (nella specie monocratico), che, nel disattendere la corrispondente eccezione, affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sé, è insuscettibile di impugnazione con il regolamento ex art. 42, ove non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, salvo che quel giudice, così procedendo e statuendo, lo abbia fatto conclamando, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, l'idoneità della propria determinazione a risolvere definitivamente, davanti a sé, la suddetta questione (Cass. S.U., n. 20449/2014). Presunzione di conoscenzaIn forza del comma 2 dell'art. 176, le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza ed inserite nel processo verbale a norma dell'art. 134 c.p.c. si reputano conosciute sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto intervenire, e pertanto non devono essere comunicate a queste ultime dal cancelliere. A tal fine resta irrilevante che il giudice si sia ritirato in camera di consiglio e abbia dato lettura dell'ordinanza al termine della stessa, in assenza dei legali dalle parti (Cass. lav., n. 10539/2007). L'ordinanza, ai sensi dell'art. 134, «se è pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale», la cui data, essendo sempre rilevabile dal ruolo, fa si che sia sempre presente il requisito di cui all'art. 176, comma 2 (Cass. I, n. 8870/2001). Va attribuita a tal fine fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza, sia essa pubblica o camerale, che attesti l'avvenuta pronuncia in udienza dell'ordinanza (Cass. II, n. 440/2009). In particolare, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della opposizione agli atti esecutivi, è da considerare emesso in udienza anche il provvedimento emesso a seguito dell'inserimento nel verbale di udienza della espressione « il giudice dispone con separata ordinanza», in quanto essa — di per sé — non indica l'avvenuta chiusura della udienza, e non implica conseguentemente la necessità di far acquisire alla parte conoscenza legale degli esiti di essa mediante comunicazione di cancelleria, ma sta a significare che l'ordinanza verrà pronunciata una volta esaurita la trattazione delle cause, determinando a carico della parte interessata a conoscere il contenuto dell'ordinanza solo un onere di attesa fino al termine della udienza (Cass. III, n. 5510/2003). L'art. 45 l. n. 69/2009, che ha modificato l'art. 42, prevedendo la forma decisoria dell'ordinanza in tema di decisioni sulla competenza, non ha inciso sul relativo regime impugnatorio, sicché in caso di provvedimento resa a verbale di udienza, il termine per la proposizione del regolamento decorre dalla data di questa, sempre in forza della presunzione di conoscenza di cui al presente articolo (Cass. VI-L, n. 2302/2015). Il principio di cui al comma 2 dell'art. 176 trova applicazione, atteso il richiamo di cui all'art. 487, comma 2, anche nel processo esecutivo, ed anche in quest'ultimo le ordinanze emesse fuori udienza devono essere comunicate alle parti e la prova dell'avvenuta pronuncia fuori udienza è a carico della parte che eccepisce l'omessa comunicazione (Cass. III, n. 14045/2001). Mancata comunicazioneLa mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere, ai sensi dell'art. 176, comma 2, dell'ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza provoca la nullità del provvedimento, per difetto dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, nonché la conseguente nullità, in forza dell'art. 159, di tutti gli atti successivi dipendenti (Cass. III, n. 8002/2009; Cass. III, n. 5758/2009; Cass. L, n. 12360/2003). Più in particolare, la mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere, ex art. 176, comma 2, dell'ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori dell'udienza provoca la nullità dell'ordinanza stessa e quella degli atti successivi dipendenti, ai sensi dell'art. 159, a condizione che essa abbia concretamente impedito all'atto il raggiungimento del suo scopo, nel senso che abbia provocato alla parte un concreto pregiudizio per il diritto di difesa; se la parte abbia comunque avuto conoscenza dell'udienza fissata per la prosecuzione del processo ed abbia partecipato ad essa senza dedurre specificamente l'eventuale pregiudizio subito, né formulare istanze dirette ad ottenere il rinvio dell'udienza, la nullità deve ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo dell'atto, ai sensi dell'art. 156, comma 3 (Cass. S.U., n. 9839/2021). Così, la mancata comunicazione al difensore costituito di una delle parti dell'ordinanza, emessa fuori udienza, di anticipazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni già fissata ad un'udienza non immediatamente successiva, tale da precludere altresì il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica, determina la nullità di tutti gli atti successivi del processo e della sentenza che lo conclude, per violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 101, riferibile ad ogni atto o provvedimento ordinatorio dello svolgimento del processo (Cass. n. 17847/2017). Identico effetto invalidante si produce nel rito del lavoro, in ipotesi di irregolare utilizzazione dell'istituto della riserva ex art. 186 e successivo mancato avviso al difensore del provvedimento, non potendosi considerare pronunciata in udienza, e quindi conosciuta dalle parti, un'ordinanza emessa fuori udienza, non letta alle stesse e, proprio perché non pubblicizzata attraverso la lettura, depositata in cancelleria (Cass. lav., n. 24159/2006). Allorché l'ordinanza pronunciata fuori udienza venga comunicata dal cancelliere dopo i tre giorni contemplati dall'art. 176, comma 2, non si produce alcuna invalidità, trattandosi di termine non perentorio, in assenza di un'espressa previsione di legge in tal senso, sempreché tale ritardo del cancelliere non implichi un'effettiva impossibilità per la parte di provvedere all'adempimento disposto col relativo provvedimento (Cass. II, n. 10607/2016; Cass. II, n. 6396/1984). Peraltro, l'erronea indicazione della data di fissazione dell'udienza successiva, contenuta in un'ordinanza resa a scioglimento di una riserva di pronuncia, non comporta alcuna violazione del contraddittorio allorché si tratti di errore materiale che non rende la data dell'ulteriore corso del giudizio talmente incerta da impedire alla parte destinataria della comunicazione di individuare, con un minimo di diligenza e buon senso, la successiva udienza che il giudice intendeva effettivamente indicare (Cass. II, n. 26065/2016, che escludeva la nullità conseguente all'erronea fissazione, a seguito di riserva, di un'udienza per la prosecuzione del giudizio con data relativa all'anno precedente a quello in cui era stata assunta la riserva medesima, risultando, peraltro, esattamente specificato, nel relativo biglietto di cancelleria, l'anno in corso ai fini della corretta individuazione della data di rinvio). Si è deciso che la comunicazione, alla parte costituita, dell'ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza ex art. 176, comma 2, pur dovendo avvenire, di norma, secondo le forme previste dagli artt. 136 c.p.c., e 45, disp. att., c.p.c., attraverso la consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero la notificazione a mezzo dell'ufficiale giudiziario, può essere validamente eseguita anche in forme equipollenti, sempreché risulti la certezza dell'avvenuta consegna e della precisa individuazione del destinatario, sottoscrittore per ricevuta, la quale non può essere raggiunta ove il cancelliere si sia limitato a certificare di avere eseguito la comunicazione, senza indicare con quali modalità (Cass. II, n. 21439/2022). I provvedimenti pronunciati in sede di udienza a trattazione scritta o "cartolare" devono intendersi emessi fuori udienza, con la conseguenza che la conoscenza di essi può avvenire soltanto all'esito della comunicazione di cancelleria, realizzata ai sensi dell'art. 176, comma 2, non potendosi applicare la presunzione legale di conoscenza dei provvedimenti adottati in udienza in capo ai soggetti presenti o che dovevano comparirvi (Cass. I, n. 13735/2023). Se poi il giudice dell'esecuzione dà lettura in udienza dell'ordinanza che rigetta l'istanza di sospensione e, contestualmente, fissa il termine per l'instaurazione della fase di merito dell'opposizione esecutiva, quest'ultimo decorre dalla data di tale udienza, anche nel caso in cui il giudice ne abbia previsto la decorrenza dalla - non necessaria ed anzi irrituale – comunicazione del provvedimento, trovando applicazione sempre l'art. 176, comma 2 (Cass. III, n. 19777/2024). Ad avviso, peraltro, di Cass. SU, n. 28975/2022, nelle controversie regolate dal rito sommario, il termine di trenta giorni per l'impugnazione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c. decorre, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell'art. 281-sexies. BibliografiaCordopatri, Per la chiarezza delle idee in tema di forma del provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo e del suo regime impugnatorio, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2014, 785 ss.; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Principi, VI ed., a cura di Colesanti-Merlin-Ricci, Milano, 2002; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010; Saletti, voce Estinzione del processo: 1) dir. proc. civ., in Enc. giur., XIII, Roma, 1989. |