Codice di Procedura Civile art. 185 bis - Proposta di conciliazione del giudice 1Proposta di conciliazione del giudice1 [I] Il giudice, fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice2. [1] Articolo inserito dall'articolo 77, comma 1, lettera a), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 98. [2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 13, lett. g), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha sostituito le parole: «fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione» alle parole: «alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoIl riformato art. 185-bis ha spostato in avanti il momento ultimo per la formulazione della proposta di conciliazione del giudice, che può ora intervenire « fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione » . Il giudice procede a formulare la proposta transattiva o conciliativa ove la stessa sia consentita dalla natura e dal valore della controversia, e sia facilitata dall’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione, con la garanzia che tale proposta non possa mai costituire motivo di ricusazione o astensione. La funzione del giudiceNella conciliazione giudiziale, il giudice cumula una natura promiscua: quella di mediatore dell'accordo conciliativo contenente la regolamentazione transattiva della lite e quello di titolare del potere di decisione della controversia in caso di fallimento della conciliazione. Il giudice non deve premere per la conciliazione, ma deve certamente promuoverla. Ciò può avvenire, con diverse modalità operative, nelle successive fasi del processo: quando, nel corso dell'udienza di trattazione il giudice richieda ai difensori chiarimenti ed indichi le questioni rilevabili d'ufficio; quando, perché richiesto congiuntamente delle parti o perché a tanto autonomamente determinatosi, provveda ad interrogare personalmente i contendenti; ancora, quando l'istruzione sia stata ormai compiuta e siano più agevolmente prevedibili gli esiti del processo. In tal senso, il giudice, nel predisporre il tentativo di conciliazione, adempie ad una funzione sia recettiva che propositiva di informazioni. Nella funzione recettiva, il giudice apprende dalle parti gli elementi necessari ad una reale comprensione dei termini della contesa. In un sistema processuale, quale il nostro, pur sempre dominato dalla tradizionale incompatibilità tra parte e teste (arg. dall'art. 246), e quindi ispirato da un'illazione di non sincerità dei litiganti, l'interrogatorio libero delle parti ed il tentativo di conciliazione devono opportunamente tendere a recuperare al processo il sapere dei soggetti, si “interessati” alla lite, ma che, di regola, sono i più informati sui fatti di causa. Ultimato il momento recettivo, il giudice transita al segmento propositivo della sua attività di preparazione della conciliazione. Il magistrato dovrà fornire ai contendenti dati che contribuiscano a rendere, in qualche misura, “prevedibile” la sua decisione, perché essi possano oculatamente soppesare quali siano i vantaggi ed i costi derivanti, rispettivamente, dalla conciliazione ovvero del prosieguo litigioso. Sarà quindi opportuno ricordare alle parti i precedenti giurisprudenziali che possano fornire le regole applicabili come criterio di decisione nella questione in esame, in funzione della identità o dell'analogia corrente tra i singoli casi concreti. Il giudice, che sin dal primo contatto con le parti ed i loro difensori dimostri di riconoscere l'autorevolezza dell'orientamento giurisprudenziale esistente in ordine a fattispecie analoghe a quella di causa, apporta indubbiamente nel processo un fattore di razionalizzazione del contenzioso ed un impegno di uniformità di trattamento, contribuendo alla prevedibilità e quindi alla certezza della decisione, il che costituisce anche un propellente della definizione conciliativa. Ulteriormente il giudice rappresenterà alle parti il presumibile svolgimento dell'istruzione della causa, così preventivandone i tempi necessari (in sostanza anticipando informalmente, in attesa della definitiva articolazione delle deduzioni istruttorie, il calcolo che sarà poi operato nel calendario del processo ex art. 81-bis disp. att.), cosa che potrà rivelarsi un indispensabile elemento da ponderare, anche sotto un profilo economico, nella valutazione di convenienza della soluzione in via conciliativa. Il giudice potrebbe anche sollecitare le parti comparse personalmente, se lo consenta la natura del giudizio, all'espletamento di una consulenza tecnica con finalità conciliativa, ex art. 696-bis, ove si concordi con quella dottrina che ne ravvisa l'ammissibilità non solo in via preventiva, ma pure in corso di causa, in applicazione dell'art. 699. Il testo del nuovo art. 185-bis, che smentisce che la proposta di conciliazione possa in alcun modo costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice dovrebbe permettere di superare definitivamente le infondate, quanto diffuse, resistenze di carattere ideologico, che paventano il rischio di indebite anticipazioni del convincimento del magistrato, ogni qual volta lo stesso, nel dirigere il tentativo di conciliazione, o anche nel decidere motivatamente sulle istanze di tipo anticipatorio o sulla ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova, esprima le sue valutazioni preventive sull'esito della lite: queste occasioni costituiscono, piuttosto, espressione del principio di collaborazione del giudice con le parti, e in quanto tali non possono mai pregiudicare l'esito del giudizio. Com'è noto, l'ingiustificato rifiuto di una ragionevole proposta conciliativa ha notevole incidenza sulla condanna alle spese, in forza del comma 1 dell'art. 91. Tale norma, introdotta dalla l. n. 69/2009, dispone che il giudice se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal comma 2 dell'art. 92. Pare sostenibile che la proposta, di cui si parla al comma 1 dell'art. 91, possa essere non solo quella proveniente dalla parte personalmente o dal suo procuratore, ma anche quella elaborata dal giudice a norma dell'art. 185-bis. Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che La proposta conciliativa o transattiva, formulata dal Giudice ai sensi dell'art. 185-bis, anche se rifiutata dalle parti, può costituire la base su cui il mediatore, successivamente adito su disposizione del medesimo giudice, può esperire un autonomo tentativo di conciliazione (Trib. Verona III, 18 aprile 2017 , in Ilprocessocivile.it , 19 giugno 2017). Si è anche osservato come, benché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell'art. 185-bis debba essere motivata (essendo le motivazioni dei provvedimenti funzionali alla loro impugnazione, possono essere indicate alcune fondamentali direttrici utili a orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nell'opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente (Trib. Roma, 4 novembre 2013 , in Guida dir. 2013, 49-50, ins., IV9, che ha anche ritenuto l 'art. 185-bis, nella formulazione derivante dal d.l. n. 69/2013 come modificato dalla l. di conv. n. 98/2013, applicabile anche ai processi pendenti, in virtù del principio “tempus regit actum”, dal giorno della sua entrata in vigore). BibliografiaCaponi, Il processo civile telematico tra scrittura e oralità, in Riv. trim. dir e proc. civ. 2015, 305 ss.; Cordopatri, Per la chiarezza delle idee in tema di forma del provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo e del suo regime impugnatorio, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2014, 785 ss.; Didone, Le ordinanze anticipatorie di condanna e la nuova trattazione della causa, in Giur. mer. 2008, 333 ss.; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Mirenda, Le ordinanze ex art. 186-bis, ter e quater c.p.c., in Giur. mer. 1999, 189 ss.; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010; Saletti, voce Estinzione del processo: 1) dir. proc. civ., in Enc. giur., XIII, Roma, 1989; Scrima, Le ordinanze ex art.186-bis e ter c.p.c., in Giur. mer. 1998, 137 ss. |