Codice di Procedura Civile art. 189 - Rimessione al collegio 1

Antonio Scarpa

Rimessione al collegio1

[I]. Il giudice istruttore, quando procede a norma dei primi tre commi dell'articolo 187 o dell'articolo 188, fissa davanti a sé l'udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione e assegna alle parti, salvo che queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori:

1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 171-ter. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dell'articolo 187, secondo e terzo comma.

2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali;

3) un termine non superiore a quindici giorni prima dell'udienza per il deposito delle memorie di replica.

[II]. La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'articolo 187, secondo e terzo comma.

[III]. All'udienza fissata ai sensi del primo comma la causa è rimessa al collegio per la decisione.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 19 l. 14 luglio 1950, n. 581; successivamente modificato dall'art. 23 l. 26 novembre 1990, n. 353 e, da ultimo, così  sostituito dall'art. 3, comma 13, lett. l), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo prima della modificazione: « [I] Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, a norma dei primi tre commi dell'articolo 187 o dell'articolo 188, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'articolo 183. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dall'articolo 187, secondo e terzo comma. [II] La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'articolo 187, secondo e terzo comma.». Vedi inoltre l'art.23-bis, comma 7, d.l. 2 marzo 2024, n. 19, conv., con modif., in l. 29 aprile 2024, n. 56.

Inquadramento

Una volta esaurita l'eventuale istruzione espletata, o quando comunque la causa sia matura per la decisione, o ancora quando debba essere decisa una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, la causa viene rimessa al collegio per la decisione a norma dell'art. 189 (modello ordinario) oppure dell'art. 275- bis c.p.c.

L 'art. 189, che sostituisce i previgenti artt. 189 e 190, delinea il procedimento ordinario di passaggio in decisione .

Esso trova applicazione sia quando si procede a norma dei primi tre commi dell'art. 187, sia quando si procede a norma dell'art. 188.

Il giudice fissa davanti a sé l'udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione e assegna alle parti, salvo che queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori:

1) un primo termine, non superiore a sessanta giorni prima dell'udienza, per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 171- ter . Si chiarisce che le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi in cui le parti siano rimesse al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, o una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, giacché la rimessione investe sempre il collegio stesso di tutta la causa;

2) un secondo termine, non superiore a trenta giorni prima dell'udienza, per il deposito delle comparse conclusionali;

3) un ultimo termine non superiore a quindici giorni prima dell'udienza per il deposito delle memorie di replica.

All'udienza fissata a valle di questi tre termini, la causa è così rimessa al collegio per la decisione.

Appaiono scontate le critiche sulla superfluità di tale udienza celebrata dopo che le parti abbiano depositato le loro conclusioni e i loro scritti conclusionali, al solo fine di spedire la causa a sentenza. Di tale udienza di discussione si è detto che rischia di « replicare la vecchia collegiale », che in essa non viene svolta nessuna attività, che è auspicabile che il giudice ne disponga (o che altrimenti ne facciano congiunta richiesta le parti) la sostituzione con il deposito di note scritte a norma dell'art. 127- ter  ( Luiso , Il nuovo processo civile , cit., 101).

Ciò renderà, tuttavia, ancora più paradossale l'incedere della progressione processuale: le parti depositeranno in non più di sessanta giorni dapprima note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni, poi le comparse conclusionali, poi le memorie di replica, e poi ancora note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Bisogna augurarsi che in questa insistita combinazione e ripetizione di conclusioni non trovi più spazio alcuno la teorica della presunzione di abbandono della richiesta che non risulti riproposta nell'uno o nell'altro degli scritti difensivi conclusivi . Ciò vieppiù ove la rimessione della causa a sentenza sia fatta per la decisione di una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, il che certamente non esonera le parti dal formulare interamente le loro conclusioni, essendo il collegio investito del potere di decisione della totale controversia, ma rende ormai irragionevole la tradizionale illazione secondo cui, in mancanza di specifiche conclusioni istruttorie, il collegio stesso deve decidere la causa allo stato delle emergenze probatorie eventualmente esistenti.

Una residua utilità dell'udienza tenuta dopo che le parti abbiano già definitivamente concluso può ravvisarsi al fine di dare più agevole applicazione alla regola dell'immutabilità del giudice, che, per la validità della decisione, postula l'identità tra il giudice dinanzi al quale si è svolta la discussione e quello che ha pronunciato la sentenza.

L'udienza fissata davanti al giudice istruttore per la rimessione della causa in decisione individua irretrattabilmente, con riguardo al medesimo magistrato ed alle disposizioni sulla composizione dei collegi dettate dagli artt. 113 e 114 disp. att. c.p.c., il collegio che deve emanare la sentenza, con conseguente necessità di rinnovazione di tale udienza ove debba essere sostituito il magistrato dapprima designato .

La scelta del d.lgs. n. 149/2022 è stata, dunque, quella di immaginare una udienza per la rimessione della causa al collegio, rispetto alla quale decorrono termini perentori a ritroso, destinati non soltanto allo scambio delle difese conclusionali (come era già prima della Riforma del 1990), ma anche alla precisazione per iscritto delle conclusioni, precisazione consistente nella definitiva esposizione delle domande, eccezioni e conclusioni di ciascuna parte. La fissazione di tale udienza segue il momento di chiusura dell'istruzione, ovvero il momento in cui il giudice abbia comunque contezza che non residuino attività istruttorie da compiere, il che avviene sia quando siano state accolte le deduzioni istruttorie delle parti ed assunte le relative prove, sia quando non appaia al giudice necessario procedere nell'assunzione delle prove richieste, sia quando le parti non abbiano avanzato alcuna istanza istruttoria.

È risaputo che il momento della precisazione delle conclusioni, di riforma in riforma, si è sempre più allontanato dal momento che segna la preclusione per le parti in ordine alle facoltà di modificare domande, eccezioni e conclusioni, produrre nuovi documenti, chiedere nuovi mezzi di prova e proporre nuove eccezioni. Tuttavia, a fronte degli insistiti dubbi dottrinali sulla necessità di contemplare un'apposita udienza per la precisazione delle conclusioni (soprattutto dopo l'abrogazione dell'art. 110 disp. att. c.p.c., che prevedeva la fissazione di una nuova udienza di trattazione a seguito della chiusura dell'assunzione della prova per esaurimento di essa o per decadenza delle parti), questa tappa intermedia è stata mantenuta per consentire al giudice di scaglionare nel tempo la decisione delle cause e la conseguente redazione delle sentenze. Nell'assetto ora delineato dal d.lgs. n. 149/2022, è dalla data in cui viene fissata la rimessione in decisione che decorrono i termini per il deposito delle conclusioni, delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, mentre è dall'udienza di rimessione al collegio che decorrono i termini di sessanta o trenta giorni (a seconda che si tratti di causa a decisione collegiale o monocratica: artt. 275, comma 1, e 281- quinquies , comma 1, c.p.c.) per il deposito della sentenza da parte del giudice .

Le parti possono comunque rinunciare ad uno o a tutti i termini di cui all'art. 189 e così il giudice può invitare le stesse a precisare le conclusioni già nel corso dell'ultima udienza istruttoria. È tuttavia difficile da concepire una rinuncia delle parti costituite al termine per il deposito delle note contenenti la precisazione delle conclusioni; ove la stessa si verifichi, essa non implica ovviamente di per sé alcuna volontà di rinuncia alle domande ed alle eccezioni precedentemente proposte, né importa decadenze, dovendosi presumere che le parti stesse abbiano inteso tenere ferme, senza variarle, le conclusioni formulate in precedenza nell'atto introduttivo del giudizio e nella comparsa di risposta, come anche, eventualmente, nelle memorie integrative ex art. 171- ter.

I termini si computano a ritroso rispetto alla data dell'udienza fissata per la rimessione al collegio, secondo il criterio generale di cui all'art. 155 c.p.c. (va quindi conteggiato il giorno finale e non il giorno iniziale).

La sequenza procedimentale risultante dall'art. 189 ha natura essenzialmente inderogabile, essendo posta a tutela del diritto delle parti, sicché il giudice deve fissare d'ufficio i tre termini di cui al primo comma, sempre che non vi sia accordo in senso contrario delle parti, le quali abbiano espressamente rinunziato alla concessione di detti termini.

Giacché è prevista l'assegnazione di termini perentori « non superiori » (e dunque al massimo pari) a sessanta, trenta e quindici giorni prima dell'udienza, la loro mancata assegnazione non può tuttavia dirsi causa di nullità purché l'udienza per la rimessione in decisione sia comunque fissata a norma dell'art. 189 ad almeno centocinque giorni di distanza, dovendosi intendere i termini per i depositi degli scritti difensivi assegnati nella misura massima stabilita dalla legge.

Sarebbe altrimenti nulla la sentenza deliberata dopo aver negato alle parti l'assegnazione di alcuno o di tutti i termini per le attività difensive di cui all'art. 189, nonostante che esse non vi abbiano rinunciato, o comunque prima della scadenza degli stessi. L'art. 189 consente al giudice istruttore, quando è fissata l'udienza per la rimessione in decisione, soltanto di assegnare termini più brevi (è da ritenere per motivate ragioni di urgenza e comunque in misura congrua, che consenta un adeguato margine per le difese). La parte che deduca tale vizio in appello deve tuttavia impugnare la sentenza di primo grado anche in rapporto alle statuizioni di merito (Cass. S.U.,  n. 36596/2021 ).

Funzione dell'udienza di precisazione delle conclusioni

A fronte dei dubbi teorici sempre più diffusi circa la superfluità dogmatica di isolare una specifica udienza per la precisazione delle conclusioni, essa continua a rappresentare un momento del processo essenziale nella prassi giudiziaria.

Invero, con la Riforma del codice di procedura civile del 1950, la precisazione delle conclusioni aveva acquisito l'importante valenza di segnare la preclusione per le parti in ordine alle facoltà di modificare domande, eccezioni e conclusioni, produrre nuovi documenti, chiedere nuovi mezzi di prova e proporre nuove eccezioni.

Opera il cosiddetto principio di immutabilità delle conclusioni, siccome strutturate nelle precedenti fasi processuali. Per questo, l'attività finale di precisazione delle conclusioni può rappresentare davvero unicamente un inutile doppione delle attività svolte dalle parti, da ultimo, con le memorie contemplate dall'art. 171-ter, comma 6, differenziandosi da queste unicamente per l'influenza che sull'illustrazione finale di domande ed eccezioni possono spiegare le eventuali acquisite risultanze probatorie.

Rimane tuttavia possibile per le parti, in sede di precisazione delle conclusioni, rinunciare ad una o più delle richieste originarie, come ridurre il petitum, allegare circostanze che non modifichino il thema decidendum, ovvero sollecitare l'esercizio del potere officioso del giudice di rilievo o qualificazione Facoltà, invero, tutte comunque ancora esercitabili utilmente pure nella successiva redazione delle comparse conclusionali.

L'indispensabilità di un'apposita udienza per la precisazione delle conclusioni è convalidata dall'intervenuta abrogazione dell'art. 110 disp. att., norma che prevedeva la fissazione di una nuova udienza di trattazione a seguito della chiusura dell'assunzione della prova per esaurimento di essa o per decadenza delle parti. Rientra dunque oggi nella discrezionalità del giudice invitare le parti a precisare le conclusioni già nel corso dell'ultima udienza istruttoria, o altrimenti rinviare ad una successiva udienza per la precisazione delle conclusioni. La riserva in decisione della causa senza la fissazione di un'udienza destinata preventivamente alla precisazione delle conclusioni integra una semplice irregolarità, che non invalida l'ulteriore fase del giudizio, giacché tale invito non è prescritto a pena di nullità e la sua mancanza non importa, di regola, alcuna lesione del principio del contraddittorio, non impedendo ai contendenti di precisare, ed eventualmente modificare, le rispettive conclusioni (Cass. I, n. 24041/2006).

Nelle cause di competenza del tribunale in composizione collegiale, il giudice istruttore, invitate le parti a precisare le conclusioni innanzi a sé, non ha, peraltro, alcun obbligo di fissare un'ulteriore udienza innanzi al collegio, dinnanzi al quale, tuttavia, ciascuna parte può chiedere, previa fissazione di udienza, la discussione orale (Cass. II, n. 1662/2017).

 

Natura ed effetti dell'ordinanza di rinvio per la precisazione delle conclusioni

Il potere del giudice istruttore di revoca delle ordinanze, anche se discrezionalmente esercitabile, trova comunque ostacolo nel divieto di riaprire termini già esauriti, né può essere esercitato al fine di cancellare preclusioni già verificatesi.

Deve, pertanto, ritenersi vietata la revoca dell'ordinanza di rimessione della causa per la discussione disposta al fine di permettere al contumace di costituirsi; né in ogni caso può essere consentita la costituzione tardiva del medesimo all'udienza di discussione, per l'inderogabile esigenza di evitare l'indefinito protrarsi delle liti e di coordinare l'attività difensiva delle parti con l'esercizio della funzione decisoria (Cass. III, n. 3269/1995).

L'ordinanza con la quale il giudice rinvia le parti ad una successiva udienza per la precisazione delle conclusioni non è un provvedimento decisorio incidente su diritti soggettivi, ma un provvedimento meramente ordinatorio, e pertanto è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso essa (Cass. III, n. 1186/2007).

L'obbligo di scandire la separazione fra la fase istruttoria e la fase di decisione

In base alle norme che regolano il procedimento di decisione sulle questioni di giurisdizione e di competenza o su altre questioni pregiudiziali di rito, il giudice può disporre che tali questioni siano decise separatamente dal merito, ma tale modo di procedere postula che le parti siano invitate a precisare le conclusioni (artt. 187 e 189) e che la causa venga, dunque, rimessa in decisione.

Si è affermato che, anche dopo l'innovazione introdotta dalla novella di cui alla l. n. 69/2009, in relazione alla forma della decisione sulla competenza (da adottarsi, ora, con ordinanza anziché con sentenza), il provvedimento del giudice adito (nella specie monocratico), che, nel disattendere la corrispondente eccezione, affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sé, è insuscettibile di impugnazione con il regolamento ex art. 42, ove non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, salvo che quel giudice, così procedendo e statuendo, lo abbia fatto conclamando, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, l'idoneità della propria determinazione a risolvere definitivamente, davanti a sé, la suddetta questione (Cass. S.U., n. 20449/2014).

L'invito alla precisazione delle conclusioni può, tuttavia, ritenersi regolarmente svolto qualora nel verbale di udienza siano effettivamente riportate tali conclusioni, a nulla rilevando l'omessa trascrizione a verbale dell'invito del giudice a precisarle, in quanto tale invito costituisce l'ineludibile, seppure implicito, presupposto logico-giuridico dell'avvenuta attività di precisazione delle conclusioni svolta dalle parti all'udienza. La decisione della causa che non sia stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni definitive, istruttorie e di merito, né dal semplice invito a provvedervi rivolto dal giudice alle parti, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; tale nullità, peraltro, non rientrando tra quelle tassativamente previste dall'art. 354 che impongono la rimessione della causa al giudice di primo grado, comporta che il giudice del gravame debba decidere nel merito previa rinnovazione degli atti nulli, cioè ammettendo le parti a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, sono state loro precluse.

Precisazione delle conclusioni, domande e istanze istruttorie

L' omessa riproduzione nelle conclusioni definitive di cui all'art. 189, di una delle domande proposte con l'atto di citazione implica soltanto una mera presunzione di abbandono della stessa, sicché il giudice del merito, al quale spetta il compito di interpretare la volontà della parte, è tenuto ad accertare se, malgrado la materiale omissione, sussistano elementi sufficienti — ricavabili dalla complessiva condotta processuale o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate — per ritenere che la parte abbia inteso insistere nella domanda pretermessa in dette conclusioni.

Tale presunzione deve ritenersi peraltro inoperante se, su invito del giudice, le parti abbiano precisato le conclusioni in ordine ad una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito (Cass. III, n. 14964/2006). D'altro canto, Una volta che la causa sia stata trattenuta in decisione, la rimessione sul ruolo istruttorio non può far rivivere una domanda alla quale la parte abbia, espressamente o implicitamente, rinunciato. Pertanto, l'inclusione della domanda rinunciata tra le conclusioni definitive successivamente alla predetta rimessione sul ruolo integra gli estremi della formulazione di una domanda nuova (Cass. I, n. 5215/2007).

Cass. S.U., n. 1785/2018, ha ribadito che, affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali (si veda anche Cass. VI, n. 11222/2018).

La parte che, poi, si sia vista rigettate dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poiché, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello (Cass. III, n. 25157/2008).

Spetta, peraltro, alla parte attivarsi per l'espletamento del richiesto mezzo istruttorio che il giudice abbia ammesso; sicché, ove la parte rimanga inattiva, chiedendo la fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni senza più instare per l'espletamento del mezzo di prova, è presumibile che abbia rinunciato alla prova stessa (Cass. III, n. 25157/ 2007).

Si è poi affermato che l'interpretazione degli artt. 189, 345 e 346, secondo cui l'istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con l. n. 130/2008), né con gli artt. 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di «difendersi provando», subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell'istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato (Cass. VI, n. 10748/2012).

Si vedano più di recente Cass. n. 4487/2021; Cass.  n. 33103/2021; Cass. n. 10767/2022, secondo le quali la presunzione di abbandono dell’istanza non ribadita in sede di conclusioni può essere superata qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla deduzione pretermessa; viceversa, cfr. Cass. S.U., n. 9456/2023, secondo cui l’allegazione non riprodotta in modo puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni deve ritenersi rinunciata.

E', in definitiva, da ritenere che, affinché una domanda, un'eccezione o una deduzione istruttoria  possa ritenersi davvero rinunciata dalla parte, non debba reputarsi mai sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni quando la causa sia trattenuta in decisione, costituendo tale omissione, al più, una mera presunzione di abbandono, sicché occorre, piuttosto, accertare se dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte stessa, o dalla stretta connessione della domanda, eccezione o istanza non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla questione pretermessa (Cass.I, n. 15860/2014. Così, parimenti, se il difensore della parte diserta l'udienza di precisazione delle conclusioni o, pur presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (Cass. VI, n. 22360/2013). E questo pare l'unico percorso coerente con la direttrice che segnava già Cass. S.U., n. 4712/1996, sforzandosi meritoriamente di privare di rilevanza processualmente significativa ogni condotta delle parti che si esaurisca in un causale ‹‹silenzio di pochi minuti››.

Procedimenti camerali

Nei procedimenti di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale (quale il giudizio di appello in materia di divorzio), deve essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio; tuttavia, trattandosi di procedimenti caratterizzati da particolare celerità e semplicità di forme, ad essi non sono applicabili le disposizioni proprie del processo di cognizione ordinaria e, segnatamente, quelle di cui agli artt. 189 (rimessione al collegio) e 190 (comparse conclusionali e memorie) (Cass. I, n. 565/2007).

Rito del lavoro

Nel rito del lavoro — essendo vietate le udienze di mero rinvio e non essendo prevista un'udienza di precisazione delle conclusioni — ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata, oltre che all'ammissione ed assunzione di eventuali prove, alla discussione orale e, quindi, alla pronuncia della sentenza ed alla lettura del dispositivo — sulle conclusioni di cui al ricorso, per quanto riguarda l'attore, e su quelle di cui alla memoria difensiva, per quanto concerne il convenuto, salvo modifiche autorizzate dal giudice per gravi motivi — con la conseguenza che il giudice del lavoro non è tenuto ad invitare le parti alla precisazione delle conclusioni — prima della pronuncia della sentenza — al termine dell'udienza, nella quale le stesse parti hanno facoltà di procedere alla discussione orale — rimessa, integralmente, alla loro discrezionalità — senza che ne risulti alcuna violazione del diritto di difesa (Cass. lav., n. 9235/2006).

La funzione delle comparse conclusionali e delle memorie di replica

La comparsa conclusionale e, a maggior ragione, la memoria di replica, hanno la sola funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande ed eccezioni già ritualmente proposte e non possono contenerne di nuove che costituiscano un ampliamento del thema decidendum, sicché il giudice non incorre nel vizio di omessa pronunzia ove non esamini una questione proposta per la prima volta in tale comparsa o memoria. In particolare, con le memorie le parti possono solo replicare alle deduzioni avversarie ed illustrare ulteriormente le tesi difensive già enunciate nelle comparse conclusionali e non anche esporre questioni nuove o formulare nuove conclusioni (Cass. VI, n. 98/2016). Quando, però, nella comparsa conclusionale, delle varie tesi fra loro collidenti sostenute nell'atto di citazione, in via cumulativa o subordinata, ne venga adottata solo una che elida le altre, il principio di non contraddizione legittima il giudice a ritenere abbandonate le altre tesi. Nonostante la natura semplicemente illustrativa della comparsa conclusionale, si rende, infatti, possibile rinunciare, attraverso di essa, a qualche capo della domanda, con conseguente restrizione del thema decidendum (Cass. I, n. 13165/2004). Ove sia prospettata per la prima volta in comparsa conclusionale una questione nuova, il giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo (Cass. III, n. 16582/2005).

L'art. 189, comma 1, n. 1), prescrivendo che le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni da sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 171-ter, mira, invero, ad assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l'ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase di trattazione a. Tale norma non impedisce, tuttavia, che l'attore, senza apportare alcuna aggiunta o modifica alle conclusioni precisate in precedenza, e, soprattutto, senza addurre nuovi fatti, esponga, nella comparsa conclusionale, una nuova ragione giustificativa della domanda rivolta al giudice adito, basata su fatti in precedenza accertati o su acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti (Cass. I, n.11547/2019).

Così, nell'interpretazione della domanda il giudice deve tenere conto dei limiti oggettivi di essa, quali risultano non soltanto dal contenuto dell'atto introduttivo del giudizio, ma anche dalle conclusioni definitive precisate dopo la chiusura dell'istruzione, poste in relazione con la citazione e con le eventuali modifiche e trasformazioni delle conclusioni originarie, pur non potendo desumere il concreto contenuto della domanda giudiziale dalla comparsa conclusionale (Cass. II, n. 5402/2019).

Ove la causa sia rimessa sul ruolo per sollecitare il contraddittorio delle parti su questioni sopravvenute, il giudizio viene riportato nella fase decisoria, con conseguente necessità di osservare le prescrizioni in ordine ai termini previsti dall'art. 189 ai fini dello scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica (Cass. III, n. 4202/2021).

Termini per il deposito di conclusionali e repliche

Avendo le comparse conclusionali e le memorie di replica solo funzione meramente illustrativa delle ragioni già addotte dalle parti nei precedenti atti processuali, potrebbe escludersi la nullità della sentenza resa dal giudice per il solo fatto della mancata assegnazione alle parti del termine per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie.

Si è affermato talvolta che la mancata assegnazione di tale termine, o la pronunzia della sentenza prima della scadenza dei termini già assegnati, possono rendersi causa di nullità della decisione resa soltanto se da esse si derivata in concreto una lesione del diritto di difesa. A tal fine, la parte dovrebbe dimostrare che l'impossibilità di assolvere all'onere del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica abbia impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande e/o eccezioni rispetto a quanto già indicato nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. III, n. 4020/2006). Cass. III, n. 7067/2017; si veda anche Cass. III, n. 25855/2017, relativa a fattispecie di decisione della causa che risultava assunta nello stesso giorno in cui era scaduto il termine fissato per il deposito di note di replica, pur essendo stata la sentenza poi depositata in cancelleria quattro giorni dopo). Altrimenti, si è deciso che l'omessa assicurazione alle parti del potere di depositare le comparse conclusionali ai sensi dell'art. 190, conseguente al deposito della sentenza prima della scadenza del relativo termine, deve ritenersi in ogni caso motivo di nullità della sentenza stessa per violazione del diritto di difesa ed essendo essa inidonea al raggiungimento del suo scopo, che è quello della pronuncia della decisione anche sulla base dell'illustrazione definitiva delle difese che le parti possono fare proprio nelle conclusionali e, quindi, del loro esame, senza che, ai fini della deduzione di detta nullità con il mezzo di impugnazione, la parte sia tenuta ad indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere ove le fosse stato consentito il deposito della conclusionale, poiché, richiedendosi l'assolvimento di tale onere, si verrebbe impropriamente ad attribuire la funzione di elemento costitutivo della nullità ad un comportamento inerente il modo in cui, mediante il rispetto del noto principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione della decisione (contemplato dal comma 1 dell'art. 161), la parte può far valere la nullità stessa, ovvero al veicolo necessario per darle rilievo nel processo (Cass. III, n. 6293/2008; Cass. III, n. 20142/2005; Cass. II, n. 14657/2008Cass. VI, n. 18149/2016; Cass. III, n. 24636/2016; Cass. II, n. 11200/2021). 

La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite sulla base di questo principio: la parte che proponga l'impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (Cass. S.U., n. 36596/2021).

La memoria di replica deve essere presa in considerazione dal giudice indipendentemente dalla circostanza che la controparte abbia o meno in precedenza depositato una propria comparsa conclusionale (Cass. III, n. 6439/2009).

Parimenti, qualora la causa trattenuta in decisione sia stata rimessa sul ruolo affinché le parti possano rendere chiarimenti, il giudice non può successivamente limitarsi ad assegnare il solo termine per il deposito delle comparse conclusionali, obliterando quello per le repliche: Cass. I, n. 6795/2023.

Comporta la nullità della decisione anche l'assegnazione di termini "sfalsati" (cioè, di un primo termine concesso solo all'attore e di un successivo termine fissato al solo convenuto) per il deposito di memorie, perché è così permessa soltanto al difensore del convenuto la replica agli argomenti avversari (Cass. lav. n. 11711/2023).

Contenuto accessorio della comparsa conclusionale

Non determina interruzione del processo la deduzione contenuta nella comparsa conclusionale, nella quale il difensore si limiti a chiedere la fissazione di apposita udienza istruttoria, riservandosi in tale sede di dichiarare uno degli eventi di cui all’art. 300, dovendo una simile dichiarazione essere finalizzata al conseguimento di tale effetto e corredata dei necessari requisiti formali (quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti) (Cass. II, n. 19139/2015). La comparsa conclusionale, quale atto non sottoscritto dalla parte, e perciò riconducibile alla sola volontà del procuratore, è pure insuscettibile di contenere dichiarazioni con valore confessorio (Cass. II, n. 5307/1998). Né essa può contenere la dichiarazione di deferimento del giuramento decisorio (Cass. II, n. 19727/2003). Può, invece, essere formulata nella comparsa conclusionale la richiesta di distrazione delle spese processuali (Cass. III, n. 412/2006).

Bibliografia

Caponi, Il processo civile telematico tra scrittura e oralità, in Riv. trim. dir e proc. civ. 2015, 305 ss.; Cordopatri, Per la chiarezza delle idee in tema di forma del provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo e del suo regime impugnatorio, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2014, 785 ss.; Didone, Le ordinanze anticipatorie di condanna e la nuova trattazione della causa, in Giur. mer. 2008, 333 ss.; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Mirenda, Le ordinanze ex art. 186-bis, ter e quater c.p.c., in Giur. mer. 1999, 189 ss.; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010; Saletti, voce Estinzione del processo: 1) dir. proc. civ., in Enc. giur., XIII, Roma, 1989; Scrima, Le ordinanze ex art.186-bis e ter c.p.c., in Giur. mer. 1998, 137 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario