Codice di Procedura Civile art. 191 - Nomina del consulente tecnico.

Antonio Scarpa

Nomina del consulente tecnico.

[I]. Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell’articolo 183, quarto comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente deve comparire1.

[II]. Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.

 

[1] Comma così sostituito dall'art. 46, comma 4, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Il testo precedente recitava: «Nei casi di cui agli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con l'ordinanza prevista nell'articolo 187, ultimo comma, o con altra successiva, nomina un consulente tecnico e fissa l'udienza nella quale questi deve comparire». Successivamente modificato dall'art. 3, comma 13, lett. n), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149  che ha sostituito le parole: «dell'articolo 183, quarto comma» alle parole: «dell'articolo 183, settimo comma» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022,  come modificato dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

La consulenza tecnica è disposta con ordinanza, nella quale viene indicata la persona del consulente e l'udienza stabilita per il conferimento dell'incarico. L'ordinanza è sempre suscettibile di revoca. La scelta del consulente deve di regola avvenire tra le persone iscritte negli appositi albi (art. 61, comma 2). Il consulente nominato ha l'obbligo di assumere l'incarico, salvo che ricorra giusto motivo di astensione (art. 63). Gli artt. 22 e 23 disp. att. riguardano la distribuzione degli incarichi ed il relativo potere di vigilanza. A norma dell'art. 23 disp. att., come modificato dalla l. n. 69/2009, il presidente del Tribunale vigila affinché, senza danno per l'amministrazione della Giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti all'albo, in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al dieci per cento di quelli affidati dall'ufficio, e garantisce che sia assicurata l'adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici.

Il Codice Civile e il Codice di Procedura Civile escludono la consulenza tecnica dal novero dei mezzi di prova in senso stretto, e qualificano la stessa come strumento istruttorio in senso lato, sulla scia delle dottrine più influenti dello scorso secolo, che indussero il nostro legislatore a rimeditare sulla opposta collocazione sistematica, la quale era invece pacifica nella vigenza della codificazione del 1865. Si tratta, in ogni caso, di mezzo che, se non serve direttamente a fissare formalmente la verità legale dei fatti affermati dalle parti, coopera con le prove allo scopo di rendere intelligibili gli stessi. In particolare, la ragione giustificatrice della consulenza è quella di sopperire all'insufficienza delle conoscenze tecniche e scientifiche del giudice e delle stesse parti, intendendosi, in realtà, per tecnica o scienza ogni regola di valutazione delle risultanze probatorie che non si identifichi con le norme del diritto. Il consulente tecnico fornisce perciò al giudice, al fine della sua decisione, quelle nozioni che, pur apparendo necessarie alla composizione della lite, esulano dal comune patrimonio di esperienze dell'uomo medio.

La ricostruzione dell'attività del consulente è corroborata dall'inquadramento che lo stesso Codice di rito civile fa dell'ausiliare del giudice, messo a confronto con il perito previsto nel processo penale: l'art. 61 prevede che il giudice possa farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica «per il compimento di singoli atti o per tutto il processo», con ciò espressamente non riducendo lo scopo della consulenza tecnica all'isolata esposizione di un parere in sede di relazione.

I rischi di una intollerabile dilatazione del ruolo del consulente tecnico giustificano l'esigenza (ravvisata anche nella Riforma introdotta con la l. n. 69/2009, che ha aggiunto, nel contenuto nell'ordinanza di nomina del C.T.U. di cui all'art. 191, la espressa dicitura: « formula i quesiti ») di una rigorosa delimitazione dell'incarico assegnato dal giudice, evitando l'adozione di formule pigre e stereotipate (quale il laconico quesito, purtroppo diffuso in certe usanze, che rimette all'ausiliare di accertare «quanto altro utile a fini di giustizia»), ed invece da adeguare alle specificità del tema di causa e delle emergenze probatorie già agli atti. Altro argine avverso l'eventuale straripamento delle attività peritali può essere fornito dal procedimento garantito allestito nell'art. 92 disp. att. Lo sconfinamento del consulente d'ufficio, che esegua accertamenti non strettamente necessari per rispondere ai quesiti postigli, cagiona invero la nullità dei medesimi per violazione del principio del contraddittorio, e la conseguente inutilizzabilità probatoria di essi.

Si è tuttavia affermato che il giudice può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta (Cass. III, n. 25162/2020).

Funzione della consulenza tecnica

La giurisprudenza è tuttavia consapevole che la consulenza, oltre a svolgere questa primaria funzione di integrazione delle conoscenze scientifiche del giudice e di valutazione specialistica degli elementi già acquisiti, può altresì costituire strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass. lav., n. 1149/2011).

La crescente incidenza che le indagini peritali hanno assunto in ampi settori del contenzioso civile (si pensi, ad esempio, alla materia contabile, al tema della responsabilità professionale, al contenzioso nei settori previdenziali ed assistenziali, ai giudizi risarcitori per danni biologici, agli accertamenti dei rapporti di filiazione) ha indotto la nostra scienza giuridica ad elaborare nuovi assetti sistematici, in maniera da ricomprendere la consulenza tecnica nella categoria processuale dei mezzi tipici di prova. Il diffondersi di prove ad elevato contenuto scientifico giustifica, del resto, il ricorso alla consulenza tecnica con funzione accertativa, e non più semplicemente assistenziale e valutativa.

In tale ottica si giustificano le tesi dottrinarie (tuttora avversate dalle Corti) propense alla ammissibilità di una testimonianza tecnica, ovvero di una prova testimoniale avente ad oggetto dichiarazioni relative a fatti direttamente percepiti dal testimone, ma altresì dal medesimo valutati in base alla sua preparazione tecnica così consentendosi l'utilizzazione per fini processuali delle particolari conoscenze extragiuridiche del testimone.

Ma queste sono pure le premesse argomentative che portano, come già accennato, ad avvalersi della consulenza tecnica non soltanto incaricando l'ausiliare di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (cosiddetto « consulente deducente »), ma anche di accertare i fatti stessi («consulente percipiente»), quando appunto si tratti di fatti la cui conoscenza postula specifiche competenze. Ciò, peraltro, senza che la consulenza percipiente serva ad esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assuma, ovvero a supplire alla deficienza delle sue deduzioni o offerte di prove, ovvero ancora a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi o circostanze non allegati, risultando altrimenti sovvertiti i criteri sovraordinati posti dall'art. 2697 c.c. e dall'art. 115 (Cass. II, n. 1190/2015).

Ad esempio, nelle controversie in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d'ufficio funzione "percipiente" quando essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. VI n. 13736/2020).

A differenza del testimone, che nel processo ha una funzione passiva, ed infatti viene esaminato, il perito adempie ad una funzione attiva, esamina, e perfino percepisce egli stesso i fatti di causa, quando il giudice non abbia preparazione sufficiente per la percezione diretta dei fatti medesimi, il che avviene se questa imponga il ricorso a regole tecniche, anziché a regole di comune esperienza. Il “perito percipiente”, pertanto, si sostituisce al giudice o, quanto meno, concorre con esso nel percepire i fatti di causa, mentre il “perito deducente” è soltanto un somministratore di regole di esperienza ignote al giudice, e può sia limitarsi ad indicare tali regole, perché poi il giudice le applichi alla vicenda oggetto di lite, sia spingersi a valutare i fatti dedotti e provati col sussidio di quelle. L'insufficienza tecnica del giudice, cui il perito può essere chiamato a supplire, non deve mai essere quella che deriva dalla mancata conoscenza delle norme di diritto, rilevando negativamente per il magistrato pure sul piano disciplinare il conferimento al consulente di un incarico volto alla qualificazione giuridica di fatti o alla verifica della conformità alla legge di determinati comportamenti, ancorché egli riservi a sé la valutazione finale degli esiti della consulenza (Cass. S.U., n. 6495/2015; Cass. S.U., n. 11037/2008). Ritorna abitualmente in giurisprudenza il principio secondo cui la consulenza tecnica d'ufficio è funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano soltanto cognizioni di ordine tecnico, e non giuridico, sicché il consulente non può essere incaricato di svolgere accertamenti e di formulare valutazioni circa la legittimità di condotte umane, o di opere materiali, né di ricostruire il contenuto e la portata di una norma o di un negozio, o di rinvenire la normativa applicabile alla fattispecie da giudicare; ove, peraltro, una tale inammissibile qualificazione giuridica sia stata comunque effettuata dall'ausiliare, di essa il giudice non deve tener conto, se non dopo averla vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti (Cass. n. 1186/2016; Cass. n. 996/1999;Cass. II, n. 7554/1986; Cass. n. 342/ 1997). La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, ma questi è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter comunque risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare, e senza poter respingere l'istanza di ammissione della consulenza tecnica e poi ritenere non accertati i fatti che la consulenza avrebbe potuto verificare (Cass. I, n. 7472/2017). Dal più generale “diritto alla prova”, garantito dall'art. 24 Cost., che comprende il diritto di agire o di resistere in giudizio provando, ovvero il diritto della parte all'assunzione ed alla valutazione di tutte le prove che siano rilevanti al fine di dimostrare la verità dei fatti che delineano la sua difesa, e che perciò obbliga il giudice a motivare la propria valutazione di ammissibilità e rilevanza delle deduzioni istruttorie, discende, dunque, il “diritto della parte alla consulenza tecnica d'ufficio” ogni volta che il giudice non sia in grado di verificare correttamente le questioni tecniche correlate alla selezione dei fatti rilevanti ai fini della decisione. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono che si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza, specie a fronte di una richiesta di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (Cass. III, n. 13038/2024; Cass. sez. lav. 37027/2022;Cass. n. 17399/2015; Cass. n. 11034/2002; Cass. n. 13209/1991).  Ciò ha indotto la nostra scienza giuridica ad elaborare nuovi assetti sistematici, in maniera da ricomprendere la consulenza tecnica nella categoria processuale dei mezzi tipici di prova (Salomone,1017 ss.; Satta, 220).

Secondo Cass. III, n. 13770/2018, il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale vizio ricorre anche nel caso in cui nel corso del giudizio di merito siano state espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, ed il giudice si sia uniformato alla seconda consulenza senza valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, limitandosi ad un'acritica adesione ad essa, ovvero si sia discostato da entrambe le soluzioni senza dare adeguata giustificazione del suo convincimento mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti. (Cass. VI, n. 18598/2020; Cass. III, n. 13399/2018); in senso contrario, Cass. VI, n. 12387/2020, secondo la quale la consulenza tecnica di ufficio non può costituire un “fatto”, ai fini dell'art. 360, comma 1, n. 5, giacché atto processuale che vale quale mero elemento istruttorio). Sui rapporti tra consulenza tecnica d’ufficio e vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, anche Cass. III, n. 7716/2024; Cass. I, n. 32069/2023; Cass. sez. lav. 25281/2023).

Ed ancora, ove sia stata disposta una consulenza tecnica cd. percipiente, il giudice, per disattenderne le risultanze, deve motivare in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU (Cass. III, n. 36638/2021; Cass. III, n. 200/2021).

Così pure ove nel corso del giudizio venga nominato un consulente tecnico d'ufficio che depositi due consulenze recanti conclusioni tra loro difformi e inconciliabili, il giudice può aderire a una delle conclusioni prospettate, o anche discostarsene o disporre un nuovo accertamento, ma non limitarsi a prendere atto del contrasto, facendo ricadere sulla parte le lacune e le inefficienze dell'operato del proprio ausiliario (Cass. II, n. 11091/2024).

Per Cass. n. 8460/2020, è nulla, ai sensi dell'art. 132, comma 2, n. 4, la sentenza del giudice di appello il quale, sollecitato con il gravame a controllare la decisione di primo grado, che si era limitata a condividere le conclusioni di una CTU, senza considerare la consulenza di parte, abbia proceduto all'esame dell'appello dichiarando genericamente di prestare anch'egli adesione all'elaborato peritale.

Si è altrimenti affermato che, qualora il giudice aderisca alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni, poiché l'accettazione del parere dell'ausiliare, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, ben potendo il richiamo, pure "per relationem", dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione delle argomentazioni, dei principi e dei metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l'ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all'una o all'altra conclusione (Cass. V, n. 11917/2021; Cass. I, n. 15147/2018). Ed ancora, si è deciso che, in presenza di due successive contrastanti consulenze tecniche d'ufficio, allorché il giudice aderisca al parere del consulente che abbia espletato la sua opera per ultimo, va ritenuta sufficiente la motivazione della sentenza, pur se l'adesione non sia specificamente giustificata, ove il secondo parere tecnico fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario (Cass. VI, n. 8429/2021).

Gli stessi recenti interventi normativi che hanno portato ai vigenti artt. 696 e 696-bis, con l'ampliamento dell'oggetto dell'accertamento tecnico preventivo fino a comprendere altresì la valutazioni sulle cause e sui danni relativi e con l'introduzione della consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, lasciando immutata la collocazione tra i procedimenti di istruzione preventiva, avvalorano la prospettiva di una funzione squisitamente probatoria della consulenza tecnica, che addirittura diviene nella pratica uno strumento di fondamentale importanza per la risoluzione delle controversie.

L'apporto scientifico che il consulente tecnico fornisce al processo, sia favorendo il ragionamento probatorio, sia procurando egli stesso nuovi elementi di fatto, non si erge a contenuto indefettibile della decisione giudiziaria, né si pone come fonte di prova legale, i cui risultati debbano necessariamente prevalere su quelli degli altri mezzi istruttori.

 Secondo, quindi, il suo prudente apprezzamento il giudice deve stabilire se sia stato raggiunto, di volta in volta e di caso in caso, il grado di prova richiesto dalla legge. A tale scopo, vengono in soccorso del magistrato anche la statistica e la matematica, che possono consentirgli di stabilire quante probabilità vi siano di verosimiglianza dei fatti dimostrati. Rilevano, in particolare, quelle conoscenze scientifiche da cui possano trarsi inferenze sulla specifica vicenda litigiosa.

Peraltro, la scientificità della materia di causa incide sulla distribuzione dell'onere della prova. Quando l'accoglimento o il rigetto della domanda  dipende dall'applicazione non soltanto di norme di diritto, ma anche di regole tecniche di giudizio, estranee al bagaglio della comune esperienza, la prova si intende più “vicina”, e perciò spetta, alla parte che svolga l'attività che è governata  da quelle regole (Cass. n. 23918/2006; Cass. n. 11488/ 2004;Cass. n. 10297/2004). In questa prospettiva, la scelta di ammettere una consulenza tecnica d'ufficio per richiedere al perito di indicare al giudice quali siano le regole tecniche occorrenti per valutare i fatti dedotti e provati, o addirittura per incaricarlo di accertare egli stesso quei fatti la cui conoscenza postula specifiche competenze, significa esonerare la parte, che vi sarebbe altrimenti tenuta, dal dimostrare quali siano i criteri specialistici, tratti dalla ricerca ed elaborati in seno alla comunità scientifica, che dovevano orientarne la condotta, e quindi, in certo senso, vanificare lo stesso principio di “vicinanza della prova”. Sembra, allora, massimamente opportuna una maggiore corresponsabilizzazione delle parti del processo civile nell'uso probatorio della scienza. Già la scelta della persona da nominare consulente tecnico d'ufficio dovrebbe coinvolgere le allegazioni delle parti, ciò consentendo indirettamente, tra l'altro, di allineare il nostro ordinamento a quegli ordinamenti stranieri che adeguatamente valorizzano il sapere dei contendenti. E' incoerente che il giudice, il quale maturi nel corso del giudizio la consapevolezza che il senso comune e la sua cultura personale non bastino a dare risposta ai quesiti di carattere scientifico posti dai fatti sui quali dovrà decidere, possa essere “lasciato solo” nella scelta dell'esperto chiamato a fornirgli quei dati e quelle informazioni scientifiche che egli ignora. L'iscrizione “negli albi speciali” di cui agli artt. 61 e  13 e ss. disp. att. garantisce solo sotto l'aspetto formale la “particolare competenza tecnica” del consulente, né possono rassicurare il giudice, circa l'elevato livello di specializzazione dell'ausiliare, i generici requisiti di iscrizione posti dall'art. 15 disp. att. Soltanto il consulente che sia dotato di elevate conoscenze in ordine alle specifiche questioni da trattare può somministrare al giudice quella “buona scienza” di cui egli ha assoluto bisogno. Deve auspicarsi, allora, che la scelta del consulente tecnico avvenga nel contraddittorio delle parti, dove deve formarsi la prova, come stabilito dall'art. 111 Cost. e dagli artt. 194, comma 2, 197 e 201. Estendere il contraddittorio alla fase della scelta del consulente permette al giudice di approfittare delle nozioni scientifiche possedute dai contendenti per acquisirle al giudizio, in modo che la selezione soggettiva dell'esperto avvenga nella piena consapevolezza del confronto dialettico delle posizioni difensive e delle contrapposte informazioni. Il momento  procedimentale che può utilmente attivare tale contraddittorio sulla scelta condivisa del consulente tecnico è quello delle seconde e terze memorie di appendice della trattazione, allorché attore e convenuto potranno dapprima, nel secondo termine, indicare le conoscenze scientifiche necessarie al tema di lite ed il nome o i nomi delle persone che assicurino al riguardo l'acquisizione di nozioni affidabili; per poi prendere posizione, sulle indicazioni della controparte, nel terzo termine dedicato alla prova contraria. E' compito prioritario delle parti, nell'esplicitazione del loro assetto difensivo, rendere preventivamente edotto il giudice circa le condizioni che occorrono per un'integrazione istruttoria dotata di validità scientifica, in rapporto alle caratteristiche delle diverse aree del sapere. Con l'avveduto apporto dei contendenti, la selezione soggettiva del tecnico esperto può essere meglio modulata sulle specifiche caratteristiche della consulenza e confortare l'auspicio della futura plausibilità delle conclusioni peritali.

Poiché la CTU è atto compiuto nell'interesse generale di giustizia e, dunque, nell'interesse comune delle parti, le relative spese rientrano pertanto tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92, sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest'ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l'esclusione del rimborso (così Cass. I, n. 11068/2020).

C.T.U. e preclusioni

Si consideri come di regola, e opportunamente, la consulenza tecnica d'ufficio venga ordinata dal giudice quando sono ormai maturate le preclusioni istruttorie, e cioè dopo che egli abbia provveduto sulle richieste probatorie già avanzate dalle parti, ovvero dopo che siano scaduti i termini perentori assegnati in sede di prima udienza comma 6. Il regime delle preclusioni dovrebbe comportare altresì che non possano trovare ingresso nel processo, mediante consegna effettuata dalle parti o acquisizione compiuta d'iniziativa dal Consulente Tecnico, documenti che non siano stati prima tempestivamente prodotti in giudizio, ampliandosi altrimenti il panorama valutativo del consulente oltre i confini del legittimo panorama conoscitivo del giudice.

La giurisprudenza, di regola, ammette il consulente tecnico di ufficio ad acquisire ogni elemento necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, anche se risultanti da documenti non prodotti in giudizio, sempre che non si tratti di fatti che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni, debbono essere provati dalle parti, ma di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza (Cass. II, n. 2671/2020; Cass. III, n. 12921/2015; Cass. I, n. 28669/2013).

Non pare correttamente impostato il discorso secondo cui le contestazioni che le parti vogliano muovere ad una relazione di consulenza tecnica d'ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché esse vanno soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell'art. 157, dovendo, perciò, indispensabilmente dedursi (a pena, altrimenti, di decadenza) nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. III, n. 15747/2018Cass. I, n. 19427/ 2017;Cass. III, n. 4448/2014). La consulenza tecnica di ufficio, sotto il profilo epistemico, è uno strumento di accertamento e di valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione che presentino problemi scientifici: perciò, le critiche al contenuto dell'elaborato peritale non possono essere disciplinate dalle stesse regole stabilite per le nullità processuali relative, e cioè rimesse all'istanza della parte esclusivamente interessata. La verifica della completezza dei risultati dell'attività del consulente d'ufficio non è stabilita soltanto in funzione del corretto sviluppo dei poteri dei contendenti, e non può dunque rimanere subordinata alla specifica e tempestiva opposizione di una parte, ponendosi essa, piuttosto, in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione. Non può logicamente ravvisarsi un onere di immediata eccezione delle parti avverso al contenuto della consulenza tecnica d'ufficio, secondo la logica della preclusione in senso causale, giacché il perito non è l'autore di narrazioni alternative dei fatti che servono a circoscrivere la materia controversa, quanto il somministratore delle regole scientifiche che occorrono al giudice per garantire la tutela dei diritti in contesa. Se l'enunciato dei fatti percepiti e tecnicamente valutati dal perito è falso, la non contestazione delle parti non lo fa divenire vero all'atto della decisione finale.

I rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157, costituiscono, infatti, argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, che possono essere svolte fino ancora nella comparsa conclusionale, sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, e purché il breve termine a disposizione per la memoria di replica, comparato con il tema delle osservazioni, non si traduca, con valutazione da effettuarsi caso per caso, in un'effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa, spettando al giudice sindacare la lealtà e correttezza di una siffatta condotta della parte alla stregua della serietà dei motivi che l'abbiano determinata (Cass. I, n. 15418/2016; Cass. III, n. 20829/2018; in senso contrario, Cass. VI n. 22316/2020).

Così, si è deciso che lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al "thema decidendum" della controversia o l'acquisizione ad opera dell'ausiliare di elementi di prova  in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti (Cass. III, n. 31886/2019).

Altra è la questione dei vizi non di contenuto ma di forma della consulenza tecnica d'ufficio, i quali certamente vanno eccepiti tempestivamente, ai sensi dell'art. 157, comma 2, subito dopo il deposito della relazione e, se disattesi, vanno riproposti in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello, dovendo, in mancanza , ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità (Cass. II, n. 23493/2017, inerente all'omesso invio alle parti della bozza di relazione, vizio che si intende tuttavia sanato anche per rinnovazione, quando il contraddittorio sia recuperato dal giudice dopo il deposito della relazione, con la rimessione in termini delle parti per formulare le proprie osservazioni, al fine di consentire il pieno esercizio dei poteri di cui all'art. 196; si veda anche Cass. I, n. 5491/2018).

Cass. SU n. 3086/2022 ha chiarito che il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio; entro gli stessi limiti, il consulente può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio; ove si tratti, peraltro, di esame contabile, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente può acquisire, pur prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni; (conforme, Cass. III, n. 26144/2023); l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti, è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso; l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, cui il consulente nominato dal giudice pervenga nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice, viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell'art.161.

Così anche il vizio della nullità dell'elaborato disposto nel primo grado di giudizio per avere il CTU utilizzato documenti irritualmente acquisiti, utili a provare i fatti principali, va fatto valere con l'appello, restando altrimenti sanato (Cass. II, n. 17118/2024).

Si è rimarcato criticamente in sede di commento alla richiamata decisione delle Sezioni Unite che il giudice è privo di un potere di allegazione di un fatto nuovo nel processo, sia pure eventualmente mediante formulazione del quesito al consulente tecnico, sicché sarebbe comunque incompatibile col presupposto legittimante la consulenza tecnica d'ufficio la decisione che infine dovesse fondarsi, ad esempio, su un atto di quietanza acquisito di propria iniziativa dall'ausiliario, non disponendo il giudice di generali poteri istruttori sopra i documenti che possa trasferire al consulente (F.Auletta, L'istruzione probatoria mediante consulente tecnico: la Corte profert de thesauro suo nova et vetera, in Giur. it., 2022, 2136 ss).

Sempre a commento della recente pronuncia della Suprema Corte, si è osservato che il punctum dolens è quello dell'acquisizione, da parte del consulente tecnico, nel corso delle sue indagini, di documenti nuovi, cioè diversi da quelli già raccolti nei fascicoli del processo, il che rafforza il rischio che la consulenza tecnica si configuri come forma di outsourcing dell'istruzione probatoria, che deresponsabilizza il giudice, allontanandolo dalla prova (B. Cavallone, Discutibili esercizi di nomofilachia. La consulenza tecnica d'ufficio in cassazione, in Riv. dir. proc., 2022, 981 ss.).

Bibliografia

Cataldi, La nomina del c.t.u., in Giur. mer. 2007, 2799 ss.; Gamba, La consulenza tecnica nel processo civile tra principio del contraddittorio e regole processuali, in Riv. it. med. leg. 2014, 15 ss.; Mambriani, Appunti in tema di consulenza tecnica nel processo civile. il ruolo del consulente tecnico d'ufficio, in Riv. dott. comm. 2013, 559 ss.; Potetti, Novità e vecchie questioni in tema di consulenza tecnica d'ufficio nel processo civile, in Giur. mer. 2010, 24 ss.

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